Riassunto: Volare

Cortesemente la morte, due anni fa, le aveva fatto una visitina di passata:

– No, comoda! comoda!

Solo per avvertirla che sarebbe ritornata tra poco. Per ora, lí, da brava, a sedere su quella poltrona; in attesa.

Ma come, Dio mio? Cosí, senza piú forza neanche di sollevare un braccio?

Brodi consumati, polli, che altro? Latte d’uccello; lingue di pappagallo…

Cari, i signori medici!

Così inizia Volare (L. Pirandello), una novella che suggerisce che le circostanze disperate possano, a volte, essere superate solo se si è disposto a ‘liberarsi’ o ‘fuggire da’ un’inattuabile situazione disperata e ricominciare da capo. (Questo può essere più facile a dirsi che a farsi, dato che la liberazione da una situazione spesso richiede le risorse, cioè, il denaro, che non può essere a disposizione di coloro che soffrano la povertà.)

La prima ‘voce’ che il lettore ‘sente’ è quello della Morte. Due anni prima, la signora Maddalena ha subito una grave malattia, e la morte è venuta ad avvertirla che il suo tempo sulla terra era limitato. L’episodio è ricordato dalla signora Maddalena… ora, lei vuole sapere perché è ancora viva, dato che lei è diventato così debole. La sua risposta? (ironica!) a causa o della sua dieta o il potere di guarigione dei suoi medici. (Scommetto io sul potere dei suoi medici!!)

In passato la signora Maddalena ha cucito per le altre per sostenere se stessa. Ora, però, è totalmente dipendente da sue figlie, Adelaide e Nenè. Adelaide lavora in una bottega che vende gli astucci, le scatole ei sacchettini di confetti (tradizionalmente dato agli ospiti che vengono a celebrare un matrimonio o una nascita). Nenè lavora a casa in consegna, fabbricando la stessa merce.

La signora Maddalena e sue figlie vivono insieme nel centro di Roma, in un piccolo appartamento vicino a piazza Navona. La signora Maddalena è una vedova. Si era sposata un cantante professionista che era molto richiesto. Prima della sua morte la famiglia era stata prospera, anche se la vita non fosse stata facile (invece di stabilire una casa in un locale, la famiglia aveva viaggiato con il padre di città in città. Inoltre non sembrava essere un piano per il futuro, (es.) la famiglia aveva speso tutto i soldi che aveva: “E i denari, com’erano entrati, eran volati via.” Di conseguenza quando il marito era morto la signora Maddalena era lasciata con cinque bambini a prendersi cura di e nessun ovvio mezzo di sostegno.)

La signora Maddalena era anche una cantante di talento e, in teoria, avrebbe potuto fare una carriera per se stessa nel campo di musica, ma il marito non le consentiva. Invece lei sempre sembrava essere incinta (alla fine la coppia aveva avuto cinque figli, di cui Adelaide era la maggiore e Nenè la minore).

Gli altri tre figli? Tutt’e tre erano fratelli che purtroppo erano morti ad un’età giovane. Le circostanze delle loro morti non sono spiegate al lettore (potrebb’essere a causa della povertà) ma le implicazioni sono chiare: le morti dei fratelli hanno diminuito le probabilità che la famiglia prospererà, dato che sembrava essere molte più opportunità per gli uomini d’avere successo rispetto alle donne.

Adelaide aveva trentasei anni. Dieci di meno, Nenè, perché tra l’una e l’altra c’erano stati tre maschi che il buon Dio aveva voluti per sé. I maschi, che avrebbero potuto sostener la casa e formarsi facilmente uno stato, morti; e quelle due povere figliuole, invece, che le avevano dato e le davano tuttora tanto pensiero, quelle sí, le erano rimaste.

A dir poco la situazione era precaria: tre donne, una madre e sue figlie, vivendo insieme a Roma, la madre vecchia e debole, e le figlie a malapena fare abbastanza soldi per sopravvivere.

Tutt’e tre, insomma, riuscivano a mettere insieme appena appena tanto da pagar la pigione di casa e da levarsi la fame; non sempre.

Poi Adelaide soffre una malattia dei reni che le impedisce di lavorare per almeno tre mesi. La disperazione sulle finanze intensifica.

– Dottore, che è?

Niente. Cosa da nulla. Nefrite. State a letto tre o quattro mesi, ben riguardata dal fresco, con una bella fascia di lana attorno alla vita; letto, lana e latte; latte, lana e letto. Tre elle. La nefrite si cura cosí.

Quel guadagno fisso, su cui facevano il maggiore assegnamento, era venuto per tanto a mancare. E allegramente! La padrona della bottega aveva promesso di serbare il posto ad Adelaide, e che intanto, per tutto il tempo della malattia, non avrebbe fatto venir meno il lavoro a Nenè. Ma con un pajo solo di mani che poteva fare adesso questa povera figliuola, cresciute le spese per la cura di due malate?

Gli oneri delle loro vite condivise ora appartengono interamente alla Nenè. Gli oneri, però, presto si rivelati essere impossibili: Nenè lavora giorno e notte ma ancora non fare abbastanza soldi… è esaurita.

Ma che bello spettacolo, allora! Pareva una tomba, quella camera. Senz’aria, senza luce, là, a mezzanino, in una delle vie piú vecchie e piú anguste, presso Piazza Navona. (E dalla piazza, piena di sole nelle belle giornate, arrivavano in quella tomba gli allegri rumori della vita!)

Tre lettini, in quella camera, un cassettone, un tavolino, un divanuccio e quattro sedie. Puzzo di colla, tanfo di rinchiuso. La povera Nenè non aveva piú tempo, e neanche voglia, per dir la verità, di fare un po’ di pulizia. Sul cassettone, ci si poteva scrivere col dito, tanta era la polvere. Stracci e ritagli per terra. E lo specchio, su quel cassettone, fin dall’estate scorsa, tutto ricamato dalle mosche. Ma se non si curava piú neanche della sua persona, quella povera figliuola…

Per superare le circostanze come queste una donna può sperare di sposare, cioè, trovare un uomo che può fornire per lei. Adelaide ha 36 anni e deve ancora trovare un marito (anche se lei è bella, saggia, modesta e laboriosa). D’altra parte Nenè ha 26 anni ma lei non ha più la capacità di farsi una bella figura: come menzionato, lei è esausta e non ha più la forza di prendersi cura di se stessa.

Eccola là, tutta sbracata, senza busto, in sottanina e col corpetto sbottonato, e i capelli spettinati che le cascavano da tutte le parti. Ma che seno e che respiro di gioventú!

Di recente Nenè ha avuto un corteggiatore, ma lei ha concluso il rapporto perché l’uomo mancava l’integrità e il buon carattere: era un usuraio e anche, di recente, è stato condannato per offese al buon costume.

Uno solo s’era fatto avanti, l’inverno scorso: un bel tipo! Vecchio impiegato in ritiro, tutto ritinto, doveva aver messo da parte – chi sa come – una buona sommetta, perché prestava a usura. Nenè aveva detto di sí, solo per farle chiudere gli occhi meno disperatamente. Ma poi s’era presto capito che tanta voglia di sposare colui non la aveva, e che invece… Ma sí, tutt’a un tratto, s’era sparsa la voce che lo avevano messo dentro per offese al buon costume.

***

È l’inverno a Roma. Fa freddo, nuvoloso, triste… ha piovuto ogni giorno per più di due settimane.

La signora Elvira, il proprietario della bottega dove Adelaide ha lavorato prima della sua malattia, viene a casa per parlare con Nenè. La signora Elvira è elegante, pratica, dura e testardo (dopotutto ha sopravvissuto a Roma come una proprietaria). Lei è anche abbastanza ostinata per tentare di sconfiggere il passare del tempo.

In gioventú, una trentina d’anni fa, si doveva esser molto compiaciuta di se stessa, quella signora Elvira, se con tanta ostinazione aveva voluto conservarsi tal quale, coi capelli biondi d’allora e il roseo delle guance e il rosso delle labbra e quella ridicola formosità del busto e dei fianchi. Sapendo di non poter piú ingannare nessuno e neanche se stessa, si ritruccava quella sua povera maschera sciupata con violento dispetto per rappresentare almeno per qualche momento, di sfuggita, davanti allo specchio quella lontana immagine di gioventú passata invano, ahimè. Se non che, certe volte, se ne dimenticava; e allora il contrasto fra quella truccatura di rosea zitellina e la sguajataggine della vecchia inacidita, strideva buffissimo e sconcio.

La signora Elvira non è senza cuore. Può essere generosa verso gli altri che sono meno fortunati (es.) ha accettato di mantenere aperta la posizione di Adelaide alla bottega durante la sua convalescenza e fino a quando lei è pronta a tornare al lavoro. Mentre Adelaide recupera, la signora Elvira l’ha permessa la Nenè a lavorare nella bottega di notte. (Questo è il secondo lavoro di Nenè.)

La signora Elvira è venuta a casa perché c’è un problema. Qualche lavoro che Nenè ha eseguito era scadente (a causa del suo esaurimento), e il cliente o ha rifiutato di pagare in tutto per la merce o ha chiesto un rimborso. In entrambi i casi, non sarebbe giusto per la bottega di pagare la somma intera. Quindi la signora Elvira propone che lei stessa pagherà la metà della somma e che Nenè pagherà l’altra metà.

La signora Elvira porse a Nenè una lettera e rispose con le mani per aria:

– Che cos’è? Centoquattordici lire di ritenuta! Bisogna che mi vuoti il cuore dalla bile, o schiatto! Sono parti da fare a una come me? Ma dico.. Lo sa Dio quel che sto patendo per voi a bottega, per serbare il posto a Lalla, e tu intanto, anima mia, qua… centoquattordici lire di ritenuta? Impazzisco.

– Ma che c’entro io? – fece Nenè.

– Che c’entri tu? – rimbeccò pronta quella. – E il lavoro chi l’ha fatto?

– Non io sola.

– Tu per la maggior parte; tu che vuoi prendertene sempre piú di quello che puoi fare! Ed ecco che ne viene. Hai visto? Piombi la sera tardi a bottega, approfitti che non ho tempo di vedere e che mi fido di te… Ah, cara mia, no! Io non le pago. Centoquattordici lire? Fossi matta! Ci ho colpa anch’io, che non ho sorvegliato. Pagheremo, metà io, metà tu.

Nenè ammette che non ha il denaro. La signora Elvira capisce questo, e lei propone che Nenè lavorerà presso la bottega (senza stipendio) finché il suo debito è ripagato… a partire di questa settimana… non c’è spazio per discussione.

– E con che pago io? – fece Nenè, quasi ridendo.

– Come non gliela do? Siamo in arretrato di due mesi. Ci butta in mezzo alla strada. Creda, signora Elvira, che le vogliono fare una soperchieria, perché il lavoro…

– Zitta, zitta, bella mia, non mi parlare del lavoro! – la interruppe quella. – Ridammi il paracqua e ringrazia Dio, anima mia, se non ti volto le spalle, come dovrei. Se non tutto in una volta, sconterai a poco a poco, in considerazione, bada bene! di tua sorella che mi lasciò sempre contenta e di tua madre. C’è malattie; compatisco. Ti do la metà, e basta. Statevi bene.

Questa, naturalmente, è un’altra significativa inversione di fortuna. Nenè non era in grado di arrivare a fine mese quando lei aveva due lavori (e due stipendi), e lei era fisicamente e mentalmente esausta per giunta. Ora dovrà lavorare altrettanto duro ma per meno soldi! Cioè, una situazione impossible.

Stimando vano ogni sfogo di parole, si stettero zitte tutt’e tre. Nello sguardo della madre però e in quello d’Adelaide parve a Nenè di scorgere come un rimprovero per quel lavoro eseguito male; quel rimprovero che forse avrebbero voluto rivolgerle a tempo e che non le avevano rivolto per delicatezza, giacché vivevano ormai alle spalle di lei. Parve anche a Nenè che quel poco denaro lasciato lí sul cassettone dalla padrona della bottega fosse dato come in elemosina a lei che aveva lavorato, non perché lo meritasse, ma solamente per riguardo alla sorella che se ne stava a letto e alla madre che se ne stava in poltrona. Cosí infatti aveva detto colei. Non meritava dunque nessuna considerazione, lei come lei, pur essendo ridotta in quello stato, peggio d’una serva? E sissignori! Per disgrazia, a un certo punto, ad Adelaide scappò un sospiro in forma di domanda:

– E ora come si fa?

Più tardi quel giorno, Nenè riceve una delusione finale. Una sua amica, molto gentile e sincera, arriva a casa per ordinare 100 sacchettini di confetti: l’amica sposerà un giovanotto con un buon lavoro che ha accettato di pagare per il matrimonio (stravagante e costoso). Tutto questa fortuna… nonostante il fatto che l’amica non è così bella come Nenè.

Un’amica di Nenè. Una spilungona miope, tutta collo, dai capelli rossi crespi; e gli occhi ovati e una bocca da pescecane. Ma tanto buona, poverina! Da piú d’un anno non si faceva vedere. Ora veniva tutta festante, vestita bene, ad annunziare all’amica il suo prossimo matrimonio. Sposava, sposava anche lei, e pareva non ci sapesse credere lei stessa. Stringeva forte forte le braccia a Nenè nel darle l’annunzio, e rideva (con quella bocca!) e per miracolo non saltava dalla gioja, senza pensare che lí, in quella camera squallida, c’erano due povere malate e che la sua amica, tanto piú giovane, tanto piú bellina di lei… Oh, ma ella era venuta per un buon fine! Sapeva delle malattie, sapeva delle angustie, e aveva pensato subito alla sua Nenè. Ecco: per commissionarle i sacchettini dei confetti. Li voleva fatti da lei. Cento. E belli, belli, belli li voleva, e senza risparmio. Pagava lui, lo sposo.

– Un ottimo posto, sai! Segretario al Ministero della Guerra. E un anno meno di me. Un bel giovine, sí. Eccolo qua!

Aveva il ritratto con sé: lo aveva portato apposta per farlo vedere a Nenè. Bello, eh? E tanto buono, e tanto innamorato: uh, pazzo addirittura! Fra una settimana le nozze. Bisognava dunque che fossero fatti presto, quei sacchettini.

Tutto ciò che riguarda il rapporto (tra sposina e sposino) sembra essere facile, senza sforzo, spensierato.

Parlò sempre lei in quella mezz’oretta che si trattenne in casa dell’amica. Piú non poteva, perché era già tardi: alle cinque e mezzo lui usciva dal Ministero, volava da lei, e guai se non la trovava a casa.

– Geloso?

– No, Dio liberi! Geloso no, ma non vuol perdere neanche un minutino, capisci? Oh, senti, Nenè mia: senza cerimonie tra noi! Tu avrai certo bisogno di qualche anticipazioncina per le spese…

Nenè raggiunge un punto di frustrazione-disperazione e ‘si rompe’. (Questa è la goccia che fa trabbocare il vaso!) Nonostante il suo disperato bisogno di denaro, Nenè ha rifiutato un pagamento anticipato per la merce. La madre e la sorella, che hanno assistito la riunione, sono state perplesse e disorientate da quello che hanno appena ascoltato.

Le tre donne, questa volta, non tornarono a guardarsi negli occhi. La madre li richiuse, mentre le labbra le fremevano di pianto. Adelaide li volse senza sguardo al soffitto. Poco dopo, Nenè scoppiò in una fragorosa risata.

– Bello davvero, oh, quello sposino!

– Fortune! – sospirò, dalla poltrona, la madre.

Adelaide, dal letto:

– Imbecille!

Infine Adelaide chiede a Nenè come intende fabbricare i sacchettini senza un acconto. La risposta è assurda.

– Intanto, – riprese la madre, che non si scorgeva quasi piú, – l’anticipazione… Sei andata a dirle che non ne avevi bisogno…

– Già! Come farai? – soggiunse Adelaide.

Nenè guardò l’una e l’altra, poi alzò le spalle e rispose:

– Semplicissimo! Non glieli farò.

– Come? Se hai preso l’impegno! – disse la madre.

E Nenè:

– Mi prenderò il gusto di farla sposare senza sacchettini. Oh, a lei poi non glieli fo, non glieli fo e non glieli fo! Questo piacere me lo voglio prendere. Non glieli fo.

La signora Maddalena e Adelaide sembrano riconoscere che Nenè abbia raggiunto il limite di quello che può tollerare. Poi Nenè erruta:

Nenè non rispose, lí per lí; ma sentí in quel breve silenzio crescere in sé l’esasperazione; alla fine proruppe:

– Ma se non basto! se non basto! Non vedete? M’arrabatto e, per far piú presto, invece di guadagnare, la ritenuta a quella strega ritinta! e qua i sacchettini alla giraffa sposa, che li vuol belli… Non ne posso piú! Che vita è questa?

Adelaide, in risposta allo scoppio, ha tentato di aiutare la Nene, ma lei è stata fisicamente incapace. Poi il Pirandello crea una metafora di un’uccellina che non era in grado di liberarsi d’una situazione impossibile e ha subito le conseguenze.

Prima d’uscire, col cappello già in capo, stette a lungo, a lungo, presso la finestra a guardar fuori, attraverso i vetri bagnati dalla pioggia.

Sul davanzale di quella finestra, in un angolo, era rimasta dimenticata una gabbietta, dalle gretole irrugginite, infradiciata ora dalla pioggia che cadeva da tanti giorni.

In quella gabbietta era stata per circa due mesi una passerina caduta dal nido, nei primi giorni della scorsa primavera.

Nenè l’aveva allevata con tante cure; poi, quando aveva creduto ch’essa fosse in grado di volare, le aveva aperto lo sportellino della gabbia:

– Godi!

Ma la passeretta – chi sa perché! – non aveva voluto prendere il volo. Per due giorni lo sportellino era rimasto aperto. Accoccolata sulla bacchetta, sorda agli inviti dei passeri che la chiamavano dai tetti vicini, aveva preferito di morir lí, nella gabbia, mangiata da un esercito di formiche venute sú per il muro da una finestrella ferrata del pianterreno, dov’era forse una dispensa. Proprio cosí. Quella passeretta era stata uccisa dalle formiche in una notte mangiata dalle formiche, sciocca, per non aver voluto volare. Per non aver voluto cedere all’invito, forse, d’un vecchio passero spennacchiato, ch’era stato in gabbia anch’esso tre mesi, una volta, per offese al buon costume.

Entro la fine della novella è chiaro che Nenè, in contrasto con la passeretta, ha il coraggio e la forza di carattere di liberarsi della sua situazione impossibile.

Ebbene, no. Dalle formiche, no, lei non si sarebbe lasciata mangiare.

– Nenè, – chiamò la madre, per scuoterla.

Ma Nenè uscí di fretta, senza salutar nessuno. Mandò i denari, ogni giorno. Non la rividero piú.

***

Nella novella il verbo volare viene utilizzato quattro volte:

– Il denaro vola dentro e fuori della famiglia.

– La sposina vola ad incontrare il suo promesso sposo.

– La passeretta non vola.

– Nenè vola.

In ogni caso il soggetto fa una scelta consapevole di volare o no. Così, il volo sembra essere una metafora per quello che ci possiamo fare quando ci troviamo una situazione avversa nella vita quotidiana.

Di recente ho letto la seguente citazione, “Come si fa a camminare (avanti) una linea che continua a disintegrarsi sotto di te?” (New York Times, 2016)

Si tratta da una recensione di una dramma moderna, ma si applica altrettanto bene per la signora Maddalena, Adelaide e Nenè, non e vero? Dunque, dopo quasi 100 anni, la risposta giusta, a volte, rimane “volare”.

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