Riassunto: Musica vecchia

Davanti allo specchio, in gran fretta, tutta impacciata tra tante bocce boccette pomate calamistri, la signorina Milla finiva d’acconciarsi i capelli, quando udí il campanello della porta.

— Ih che furia!

E corse a chiuder l’uscio della camera che dava nella saletta d’ingresso. Appena chiuso, lo riaprí e, sporgendo il capo, disse piano alla servetta che accorreva alla scampanellata:

— Fa’ passare, Tilde. E di’ che aspetti un momentino.

Comincia così Musica vecchia (L. Pirandello), una novella affascinante, tanto per la storia che ci viene raccontata quanto per ciò che la storia implica e ci costringe a confrontare.

All’inizio ci viene presentato il primo dei due protagonisti, cioè, la signorina Milla Donnetti. Lei ha fretta — ha accettato di partecipare ad un concerto (probabilmente di musica classica) con il signor Hans Begler, un musicista professionista. La Milla sa che il Begler dovrebbe arrivare momentaneamente all’appartamento; da lì loro progettano d’andare insieme al concerto. Il campanello suona; la Milla non è ancora pronta per salutare il Begler, e dice alla sua serva di chiedergli di aspettare un po’.

Poi siamo consapevoli del fatto che la Milla ha raggiunto la mezza età. Sembra felice che il Begler sia venuto nell’appartamento… sospettiamo che lei sia affezionata al signore.

Ritornata davanti allo specchio, si sorrise.

Un po’ di sangue le era affluito alle guance; niente, a confronto delle caldane d’una volta; ma pur quel poco, ecco, le rianimava tutto il visetto sciupato di vecchia bambola dagli occhi troppo grandi, dal nasino troppo piccolo.

La Milla ha un ricciolo di capelli bianchi che tende a cadere (prominentemente!) nel mezzo della fronte. Cerca di nasconderlo (forse vuole nascondere la sua età?), ma senza successo.

E nel volto cosí rianimato, non le stava ora quasi per grazia quel ciuffetto di capelli bianchi rialzato su la fronte, lí proprio nel mezzo? La signorina Milla alzò la mano per carezzarselo col pettine. Il gesto però le rimase a mezzo.

La Milla non può fare a meno di ascoltare le voci della serva e l’ospite… è certa che l’ospite non è il Begler.

Chi parlava nella saletta d’ingresso?

Non poteva esser lui, di certo. Quando entrava lui, tremava il pavimento.

Dopo un po’, la serva entra nella stanza per spiegarla che l’ospite è infatti il Maestro Icilio Saporini (l’altro protagonista). Il Saporini è un vecchio signore che ha chiesto informazioni su dove si trova la signora Margherita, la madre della Milla.

Poco dopo, Tilde, con la scuffietta in capo e il grembiulino bianco su la veste nera, venne a presentarle un biglietto da visita. La signorina Milla vi lesse un nome sconosciuto: Maestro Icilio Saporini; guardò accigliata la servetta.

— E chi è?

— Un vecchietto piccolo piccolo, pulito pulito.

— Un vecchietto? E che vuole? — tornò a domandare la signorina Milla, infastidita. — Ma non sai che devo uscire col signor Begler? Credevo che fosse lui. Ora come si fa?

— Posso dirglielo…

— Che vuoi piú dirgli adesso? Chi è? che vuole da me?

— Mah! — fece Tilde, stringendosi nelle spalle. — Parla tanto curioso… con un vocino di zanzara… Mi ha chiesto se stava qua la signora Margherita.

— La mamma? — domandò con un sussulto la signorina Milla.

— Già, se era ancora viva, — rispose Tilde. — Io gli ho detto che…

A questo punto, la conversazione tra la Milla e la serva viene interrotta dall’arrivo del Begler.

Una nuova scampanellata piú forte troncò la risposta.

— Quest’è lui! — scappò detto alla signorina Milla; poi, correggendosi: — il signor Begler.

Il Begler (come pubblicizzato) è una tempesta!

La servetta sorrise sotto sotto. La signorina Milla richiuse l’uscio. Poco dopo, dal pianoforte del salotto venne una tempesta fragorosa di note: il segnale ansioso d’Isotta nel secondo atto del Tristano. Il signor Begler la chiamava ogni volta cosí.

La Milla si affretta ad incontrare il Begler, un uomo estroverso di origine tedesca.

Il Begler, a dir lo meno, ha fretta:

Accorse. Oh Dio… no, piano, piano! — Ma che piano! Balzando dal seggiolino del pianoforte, il signor Begler le si precipita incontro con le braccia levate, grosso, azzampato, il cappellaccio ancora in capo, ammaccato, rincalcato fino alla nuca. Dalle tese a spera schizza tondo e irto di peli rossicci il faccione brozzoloso paonazzo, in cui ghignano impudenti gli occhi.

— E il kappello? senza kappello? Subito il kappello!

La Milla si scusa discretamente per il fatto che non è ancora pronta per lasciare l’appartamento. Spiega che è stata occupata dall’arrivo inaspettato del Saporini.

La signorina Milla parò le mani in difesa, sorridendo; e nella penombra del salotto, ove oltre al pianoforte erano altri strumenti a corda e varii leggii da musica, accennò all’altro ospite, di cui ancora il signor Begler non s’era accorto.

Il maestro Icilio Saporini se ne stava tutto ristretto in sé, piccino piccino, lisciandosi con una mano guantata, che non pareva nemmeno, la rada zazzeretta argentea.

— Il maestro… il maestro… — disse la signorina Milla, non ricordandosi piú il nome per far la presentazione.

— Saporini Icilio… — suggerí, a due riprese, con un fil di voce il vecchietto, e strisciò una riverenza.

La Milla invita volentieri entrambi gli uomini ad accomodarsi, ma il Begler rifiuta bruscamente… è intenzionato ad arrivare in tempo per il concerto. Quasi prima che venga pronunciata un’altra parola, il Begler lascia l’appartamento. Come tale la Milla è lasciata indietro. (O, come diciamo, “alta e secca”!)

— Saporini, già! il maestro Icilio Saporini, — ripeté la signorina Milla. — Il violoncellista Hans Begler. S’accomodino.

Ma il Begler:

— Nein, nein! — miagolò, accennando appena appena di togliersi il cappellaccio. — Nein, nein! krazie, pella mia! Niente akkomodo io; fado fia, fado fia! Non vogh-lio pértere konzerto per fisita questo sigh-nore. Krazie, pella mia! Riferisco, riferisco, karo sigh-nor.

E, inchinandosi due volte goffamente, scappò via a tempesta, com’era venuto.

La Milla è delusa / arrabbiata / furiosa da questo giro di eventi e lei a malapena si nasconde i suoi sentimenti.

La signorina Milla, conoscendone la furia, non si provò neanche a trattenerlo; mortificata, contrariata, afflitta, guardò il vecchietto,

Il Saporini capisce subito cos’è successo ed è mortificato. Dice alla Milla che otterrà una vettura e l’accompagnerà al luogo del concerto, in modo che lei possa incontrare il Begler,

il quale, venendo cosí per caso a sapere che ella doveva recarsi a un concerto con quel signore, cominciò a storcersi tutto come un cagnolino, per scongiurarla d’andare: per carità, non si sarebbe dato pace, altrimenti, d’esser capitato in un momento cosí poco opportuno.

— Sú, sú, il cappellino, il cappellino. Raggiungeremo il signore con una vettura. La accompagnerò io fino alla sala. Mi faccia questa grazia, per carità!

…ma, mentre la Milla elabora ciò che è appena successo, la sua curiosità sembra crescere: voglia saperne di più sulla connessione tra il Saporini e sua madre.

— Ma io vorrei prima sapere…

Il Saporini, intento a lasciare l’appartamento, incoraggia la Milla a prepararsi ad uscire, ma lei rimane ferma. La Milla spiega al Saporini che è morta sua madre; il Saporini risponde da dicendo che lo sospettava tanto: spiega che ha 81 anni!

— Dopo, dopo…

— Lei ha chiesto della mamma, — disse la signorina Milla. — Ma non c’è piú la mamma!

— Eh, me… me l’immaginavo, — balbettò il vecchietto. — Non dovrei esserci piú, veramente, neanche io… Ottantun anni!

La Milla risponde che sua madre è morta 6 anni fa. Mostra al Saporini il ritratto della madre — sembra vero che il ritratto sia stato realizzato dopo che suo marito, il padre della Milla, era morto (“quel ritratto di vecchia incuffiata“).

— Ottantuno? — esclamò la signorina Milla. — La mamma è morta da sei anni.

E, levando una mano a indicare il ritratto fotografico appeso alla parete:

— Eccola là.

Davanti al ritratto della signora Margherita, il Saporini è sbalordito — incapace d’un discorso coerente,

Il maestro Icilio Saporini alzò gli occhietti che quasi gli sparivano fra le borse delle pàlpebre, e rimase un pezzetto a rimirare quel ritratto di vecchia incuffiata, che evidentemente non gli diceva nulla: scosse il capo, e con un sorriso afflitto cominciò a balbettare:

— No… non mi… non mi… Quella, no… eh!… io, sa? io… no, no!

…ma, alla fine, dice che la Milla è l’immagine precisa di sua madre,

Cosí balbettando, con due dita si stirava il colletto, come se tutt’a un tratto se ne sentisse serrar la gola. Diede un’ingollatina e riprese:

— Lei, lei piuttosto… ecco, sí, lei… me la… me la richiama viva.

…un’idea che la Milla rifiuta completamente: sua madre era considerata da tutti una donna maestosamente bella, mentre la Milla non pensa a se stessa in quel modo.

— Io? proprio? — domandò meravigliata la signorina Milla. — Ma no, sa! Io non somiglio punto alla mamma… Ma che!

La Milla potrebb’essere corretta per quanto riguarda il suo aspetto fisico (dopotutto è di mezza età e non è mai stata sposata). Tuttavia il Saporini non è d’accordo con la Milla: spiega che forse non ha ereditato le caratteristiche fisiche (“lineamenti”) di sua madre, ha ereditato molti altri tratti da lei, ad es. la luce nei suoi occhi, i suoi modi (cioè, il modo in cui si muove e il modo in cui si comporta), il suo sorriso, il suono della sua voce.

Il vecchietto scosse un dito.

— Non può saperlo, — bisbigliò. — Lei guarda ai lineamenti… Ma la luce degli occhi?… le mosse?… il sorriso?… la voce?… Io ho conosciuto la sua mamma molto, molto prima di lei, signorina, in ben altri tempi! E lei non può… non può comprendere quello che io provo in…

Questi tratti evocano i ricordi potenti in il Saporini, e alla fine è sopraffatto dall’emozione,

Non poté seguitare; trasse un fazzoletto e se lo recò agli occhi.

…ma poi sembra riprendersi e concentrarsi sul compito a portata di mano: consegnare la Milla al concerto.

Fu un momento. Si riprese subito e costrinse di nuovo la signorina Milla a prendere e a mettersi il cappellino per arrivare a tempo al concerto. In vettura, le avrebbe dato notizia di sé.

Nella vettura, la loro conversazione continua: il Saporini rivela d’avere due caratteristiche distintive: primo, ha iniziato a manifestare segni distintivi di senilità, e secondo, è un anacronismo, cioè, non ha adattato al presente, invece sembra aver rimasto bloccato in quel periodo della sua vita, decenni prima, quando era un aspirante musicista e compositore a Roma. Era in quel periodo che il Saporini è venuto a conoscenza e riverenza il nonno e la madre della Milla.

Diventa ovvio che il Saporini è un terribile narratore… è incoerente per tutti gli scopi pratici!

Che notizia? La signorina Milla ne poté capire ben poco, quel giorno; e ne incolpò la sua ansia d’arrivare al concerto, l’esilissima voce del vecchietto, il frastuono della vettura. Ma poi? Da altre notizie raccolte riposatamente, nel silenzio del salottino, con tutta la buona volontà, non riuscí mai a comporsi chiaramente la storia (che voleva parer molto avventurosa e piena di strane vicende) di quel vecchietto. Il quale, mettendosi ogni volta a parlare di sé, pareva non sapesse da qual parte rifarsi, come se tuttavia si sentisse lontanissimo, e per arrivare a dir chi era dovesse fare un cammino infinito, attraverso a vie remotissime, intricate, irte d’intoppi, di siepi e tra una folla innumerevole che lo tirava di qua, di là, e gli sbarrava il passo di continuo.

— Eh, ma poi… — sospirava — poi c’era… sicuro… e quando io… sí, perché quello là, come si chiamava?… quello là… no, veramente fu un altro… quell’altro, prima, che…

Si confondeva, si smarriva fra tanti minuti particolari, citando nomi ignoti, luoghi spariti o mutati, testimonianze di cose morte, che accompagnava con esclamazioni e sorrisi e gesti, come se a mano a mano vedesse e toccasse quel che diceva, o piuttosto che bisbigliava.

Certo era questo, che aveva ottantun anni; che a poco piú di venti, cioè nel 1849, alla caduta della repubblica, aveva abbandonato Roma e l’Italia, e che vi ritornava adesso, dopo circa sessanta anni passati in America, a New York.

Ancora una volta: mentre alcune delle incoerenze / disorientamenti di lui possono essere dovute alla sua età, può anche essere fatta risalire al suo ritorno in Italia dopo molti decenni in America. Il Saporini sembra essere o un “pesce fuor d’acqua” o un uomo d’altri tempi o un uomo alla ricerca del suo passato (cioè, un passato che in effetti sia ormai scomparso: sembra che ci sia poco sull’Italia del presente che riconosce o capisce.)

In breve tempo, una storia tratta dal passato diventa un pasticcio confuso di piccoli dettagli frammentati e incoerenti,

Teneva molto a far comprendere che si era compromesso allora piú d’un po’ nei moti rivoluzionarii… Eh

sí, dopo il famoso voltafaccia!

— Il voltafaccia di chi?

— Come di chi? Ma di Pio IX, santo Dio!

…che La Milla trova impossibile da comprendere.

La signorina Milla lo guardava con gli occhi di bambola, sbarrati. Sentendo ricordare tanti fatti, e personaggi, tutti cosí uno piú «famoso» dell’altro, s’era accorta ch’era proprio deplorevole la sua ignoranza di storia contemporanea. E forse per questo non riusciva a intendere come e perché si fosse compromesso il maestro Icilio Saporini.

C’era di mezzo la musica, senza dubbio: un certo inno patriottico. E c’era di mezzo anche un certo zio Nando. Sicuro. Uno zio Nando, rientrato in Roma nel 1846, dopo il famoso editto…

Altro sbarramento d’occhi della signorina Milla. Che editto? Ma quello del perdono, perbacco! il famoso editto del perdono, col quale Pio IX, tra tanti delirii di entusiasmo, aveva dato principio al suo regno, accordando piena amnistia a tutti i condannati ed esuli politici dello Stato pontificio.

— E anche allo zio Nando?

— Anche allo zio Nando, sicuro!

La storia alla fine porta a un tradimento:

Ora, in casa di questo zio Nando pareva si raccogliessero i piú ferventi patrioti d’allora. Il guajo era che il maestro Icilio Saporini li chiamava tutti per nome, questi ferventi patrioti. Diceva:

— Pietro… eh, Pietro… valente medico, valente poeta…

Chi fosse questo Pietro, valente medico, valente poeta, la signorina Milla dovette stentare un pezzo a capire. Ma Pietro Sterbini, santo Dio! il dottor Pietro Sterbini, quello della famosa congiura contro Pellegrino Rossi!

— Ecco, sí… fu Pescetto che gli diede prima un urtone; un semplice urtone, qua, nel vestibolo della Cancelleria, Pescetto, cioè… come si chiamava di nome? Filippo… no, Pippo era un altro della congiura… Eh sí, Pippo! Pippo Trentanove… Pescetto si chiamava Antonio Ranucci. Sí, ecco: Antonio, un urtone; e Giggi, Luigi Brunetti, figlio di Ciceruacchio, prima un pugno in faccia e poi, là, una coltellata alla gola… Ma chi li aveva messi sú, la sera del 14, all’osteria del Fornajo, a Ripetta? Lui, Pietro, Pietro Sterbini; mentre la polizia si aspettava la botta da quelli della salita di Marforio congiurati per ridere, i fratelli Facciotti, Gennaro Bomba, Salvati e Toncher, che faceva la spia. Ma erano tutti… sa? come tante girandole apparecchiate, erano; e lui, Pietro… Pietro era la colombina che le incendiava tutte.

Cosí raccontava il maestro Icilio Saporini col suo vocino di zanzara. E quel Pietro entrava in tutti i suoi racconti. Già alla signorina Milla pareva proprio di potergli stringere la mano, a Pietro, e farlo sedere lí, su una poltroncina del salotto.

Neanche a dirlo, era dovuta anche a Pietro l’unica e non ben chiara compromissione del maestro Icilio Saporini negli affari politici dal 1846 al 1849. Sí, perché Pietro per la famosa ricorrenza del 21 aprile 1846, natale di Roma, dovendosi tenere una gran festa alle Terme di Tito, sú all’Esquilino, per inneggiare al divino Pio IX, esaltato allora come secondo fondatore dell’eterna città, Pietro, valente medico, valente poeta, aveva composto un bellissimo inno, breve, di due strofette, con un ritornello:

Eri caduta; lèvati,

Madre di tanti eroi…

Se le ricordava ancora parola per parola il maestro Icilio Saporini! E il ritornello:

Tu vivi in Campidoglio,

Tu sei regina ancor.

Basta: era venuto a leggerlo (Pietro) in casa di zio Nando, questo suo inno, pochi giorni avanti.

Dice (sempre lui, Pietro):

— Tu, Icilio! — dice — ti sentiresti di musicarlo? — dice. — Lo canteranno — dice — gli studenti.

Il maestro Icilio Saporini aveva, sí e no, diciott’anni, allora; non aveva ancor preso il diploma all’Accademia; ma il sentimento stesso… eh, tutta l’anima gli cantava, in quei giorni! Ci s’era messo, e in una notte lo aveva musicato.

Se non che Pietro… un vero tradimento! Dice:

— Figliuolo mio, Magazzari, il maestro Magazzari s’è profferto — dice — di musicarlo lui!

E il 21 aprile alle Terme di Tito su l’Esquilino, alla presenza di ottocento convitati, era stato cantato l’inno musicato dal Magazzari.

Ma allora? Anche ammesso che potesse considerarsi come una seria compromissione politica l’aver musicato un inno, quando ancora Pio IX si compiaceva degli osanna dei liberali, il Magazzari, se mai, non lui poteva essersi compromesso… Ma! La signorina Milla non poté capirci piú che tanto.

(Il tradimento sembra abbastanza piccolo in retrospettiva, ma in realtà uno può ben immaginare come lo possa essere stato sconvolgente e indimenticabile per un giovanotto.)

La Milla rimane curiosa. È molto intelligente e si sforza di conoscere il Saporini (principalmente, sembra, a causa del suo legame con suo nonno e sua madre). A suo avviso, riesce a capire che il Saporini è stato, nel migliore dei casi, una ‘figura minore’ della scena musicale di Roma. Capisce bene anche che lui rimane bloccato in un passato che non esiste più.

Del maestro Magazzari ella aveva sentito parlar piú volte dalla madre che fino agli ultimi anni aveva serbato memoria di tutti i fatti e gli uomini, specialmente del mondo musicale romano d’allora: il nome del maestro Icilio Saporini non era venuto mai fuori dalle labbra di sua madre. E dunque agli occhi della signorina Milla il maestro Icilio Saporini rimaneva non solo nel presente, nella Roma d’oggi, uno sperduto che non riusciva a trovar posto; ma anche nel passato, in quel mondo d’allora, com’ella attraverso le notizie e le memorie della madre se l’era immaginato. Neanche in quel mondo ella riusciva a trovargli posto; certo perché egli non aveva saputo farselo né nel cuore, né nella memoria della madre. Come niente era adesso, niente era stato di certo anche allora.

A dir vero, il Saporini non si dava alcun vanto. Una punta d’invidia e di gelosia la mostrava ancora per il Magazzari; e pregato insistentemente dalla signorina Milla sonò, o meglio, accennò sul pianoforte una frase… non tutto l’inno famoso… la frase che accompagnava i due versi della seconda strofetta di Pietro:

A te lo scettro, il soglio,

A te l’eterno allor…

ma soltanto per far vedere quant’era piú solenne, piú maestosa, piú ispirata di quella del Magazzari. E basta.

La Milla ha anche un’opinione su ciò che probabilmente sia successo al Saporini in America: sembra che sia stato un insegnante di musica di successo… qualcuno, cioè, che promuoveva le opere classiche dei venerati compositori italiani del passato.

Che aveva poi fatto là, in America, per sessant’anni di fila? Eh, da quella zazzeretta argentea era facile indovinarlo! Il maestro di musica italiano, come lo intendono degli italiani, tutti i signori forestieri, aveva fatto! Cioè, uno che strimpelli sulla chitarra, zazzeruto e con gli occhi imbambolati, l’antica e da noi dimenticata canzonetta di Santa Lucia:

Sul mare luccica

l’astro d’argento…

E, a giudicar dall’apparenza, la professione del maestro di musica italiano doveva aver fruttato bene; il maestro Icilio Saporini doveva aver raccolto una discreta sommetta, con la quale aveva potuto attuare il sogno, chi sa quanto vagheggiato là, di venire a chiudere gli occhi in patria. Ma forse, povero vecchiettino, si figurava di ritrovar Roma quale l’aveva lasciata nel 1849.

(Secondo me questo sembra essere un po’ d’ironia e di critica sottile: in primo luogo, sembra essere un commento sulle realizzazioni del Saporini… lungo le linee di (come diciamo) “Coloro che non sanno fare, insegnano”. Secondo, sembra essere una critica di America, che sembra essere interessato solo al passato culturale italiano invece di conoscere e abbracciare la cultura del momento e del futuro.)

Poi ci viene raccontata la storia di come il Saporini è arrivato all’appartamento della Milla. Sembra che stia vagando nel centro di Roma, cercando senza successo i segni della città della sua gioventù, quando ha inciampato sul quartiere di sua madre e ha riconosciuto la sua strada ed edificio.

Roma, la sua Roma, quella che viveva per lui, nei suoi ricordi lontani, era invece sparita; scomparsi, morti, tutti i conoscenti della sua generazione.

Arrivando da lontano, da tanto lontano, non s’immaginava certo di dover trovarsi davanti a un’altra lontananza irraggiungibile: quella del tempo.

Dov’era giunto?

Dalla Roma d’oggi a quella della sua gioventú, quanto cammino!

E s’era messo, appena arrivato, per questo cammino, a ritroso, con l’animo pieno d’angoscia, a cercar nella Roma d’oggi le tracce dell’antica vita.

Ora, passando per via del Governo Vecchio, s’era ricordato che vi stava il maestro Rigucci al numero 47, il maestro Rigucci dell’Accademia, che aveva una figliuola tanto bella, Margherita, sonatrice d’arpa esimia… Chi sa! Poteva esser viva ancora! Ma era possibile che stésse ancora lí di casa? Era già una fortuna aver ritrovato, nella vecchia via, ancora in piedi, la casa. Non solo le case, ma anche tante e tante vie erano scomparse! Aveva salito la scala, solamente per il piacere di rimettere il piede su quei gradini della scala antica, umida, semibuja. Sul pianerottolo del secondo piano si era fermato e, guardando alla porta di mezzo… ah che balzo gli aveva dato il cuore in petto! La vecchia targa ovale, di rame, che recava il nome di Rigucci, era ancora lí, sotto a un’altra, meno vecchia, col nome di Donnetti. E dunque stava lí ancora? ah, lui, il maestro, no di certo; ma lei, Margherita? E aveva tirato il pallino del campanello.

Eccola là, Margherita, la fanciulla tanto, tanto bella, esimia sonatrice d’arpa: quella vecchietta incuffiata, rinsecchita del ritratto…

Segue l’intuizione della Milla sul legame tra il Saporini e sua madre: non crede che fosse romantico.

Ma che era stata per lui un giorno quella vecchietta?

La signorina Milla aveva veduto commuoversi fino alle lagrime il maestro Icilio Saporini, guardando quel ritratto, ma tuttavia credette di poter concludere che sua madre, da giovane, non era stata mai altro per lui che la figlia del professor Rigucci dell’Accademia. Forse, sí, egli era stato qualche volta nella casa del nonno, perché sapeva dire di tanti che vi convenivano; delle famose serate musicali che vi si tenevano in onore dei piú celebrati maestri del tempo; delle fervide simpatie di cui godeva Margherita Rigucci, allora giovinetta e bellissima. Fors’anche, studentello, chi sa! s’era innamorato anche lui della figlia del professore; ma innamorato per conto suo, senza lasciare alcun ricordo, neppure del nome, in lei.

Poi ci viene detto che per il Saporini l’appartamento rappresenta una traccia della sua gioventù. Inizialmente, è confortato dalla sua presenza nell’appartamento — si unisce con la Milla, il Begler e gli altri per alcuni notti di musica, proprio come ha fatto decenni fa. Diventa presto disilluso, tuttavia, perché la musica che suonano è moderna e dissonante.

La commozione si spiegava forse cosí: che in quella casa finalmente, dopo tanti giorni di vana e amarissima ricerca, il povero vecchietto sperduto era riuscito a rintracciare un vestigio della vita antica, un posticino ove sedere, dopo tanto cammino, senza sentirsi estraneo del tutto.

Ma il piacere d’aver ritrovato questo posticino, questo cantuccio dei ricordi, cominciò in breve a essergli amareggiato da quel pianoforte lí, da quegli altri strumenti musicali, che lo intronavano, che lo intontivano addirittura, con certe zuffe di suoni, ire di Dio, che facevano andare in visibilio tutti quei signori, stranieri per la maggior parte, che si riunivano nel salotto antico del maestro Rigucci, del maestro Rigucci adoratore di Rossini! E piú di tutti facevano andare in visibilio la signorina Milla Donnetti, la nipote del maestro Rigucci, la figlia di Margherita Donnetti-Rigucci!

Poi impariamo che non solo la Milla abbraccia la musica nuova, ma anche l’ha fatto sua madre!

Non diceva nulla, ma gli pareva una vera profanazione quella musica, lí, in quel salotto, che sapeva le divine melodie della piú schietta musica italiana. Non diceva nulla, si faceva anzi piú piccino che poteva, su la seggiola, e di tratto in tratto levava la manina guantata a li- sciarsi, dietro, la zazzeretta, e alzava gli occhi al ritratto della sua vecchia Margherita.

La signorina Milla lo vedeva con la coda dell’occhio e frenava a stento una risatina. Una sera gli sedette accanto e gli domandò:

— Non le piace? Non si diverte?

— Dico la verità — le rispose piano, con un sorrisetto,— io… io guardo là… quella mia vecchietta là…

— Me ne sono accorta!

— Sí? La guardo e… sento cantar Rosina del Barbiere, sento cantare Amina…

— Eppure, sa? — gli disse allora la signorina Milla. — La mamma con gli anni si era… evoluta, convertita, eh sí! convertita alla musica nuova.

— A questa? — chiese cosí sbigottito il vecchietto, che la signorina Milla non poté frenare questa volta la risata.

— Tradimento?

— Ma… ecco… scusi… — rispose egli, tutto imbarazzato. — Capisco, capisco bene che possa piacere a codesti signori forestieri: è la loro musica; la sentono cosí, amen! Ma noi? Abbiamo la nostra, le glorie nostre: Paisiello, Pergolesi, Rossini, Bellini, Donizetti, Verdi…

Una sera la Milla e il Begler decidono di prendere in giro il Saporini. L’imbarazzo porta ad un argomento, e alla fine, all’allontanamento del Saporini dagli altri.

Quella bufera del signor Begler, a cui la mattina seguente la signorina Milla riferí le amare rimostranze del vecchiettino, quando fu la sera, per fargli uno scherzo a suo modo, d’accordo con gli amici che componevano il quartetto, interruppe, a un certo punto, non so che languida diavoleria del Ciaicovski che pareva l’incubo d’un malato che ci avesse i cani in corpo, lasciò il violoncello, saltò al pianoforte e attaccò furiosamente l’aria del Rigoletto: “Questa o quella per me pari sono”.

Tutti scoppiarono a ridere. Il maestro Icilio Saporini si guardò prima attorno stordito, poi impallidí: forse sarebbe riuscito a dominarsi, se il Begler, rigirandosi di furia sul seggiolino a vite del pianoforte, non avesse gridato a tutti quelli che ridevano:

— Ma perché? Ma pellissima musika da persaghlieri questa! Pellissima! pellissima!

— La musica di Verdi, musica da bersaglieri? — disse allora il vecchietto, levandosi in piedi, tutto fremente d’indignazione nell’esigua personcina. — Ma io allora ho l’onore di dirle che lei, caro signore, non capisce nulla! che lei non ha… non ha…

E con la mano, poiché la voce gli mancò, si mise a picchiarsi il petto, dalla parte del cuore.

— Vorrei aver vent’anni di meno, — disse poi, mostrando le dita delle manine che gli tremicchiavano, — per farle sentire la musica vera…

— Col pirolí? — domandò il Begler. — Qua, qua, fenga qua… lei, pella mia.

E andò a strappare dalla seggiola la signorina Milla; la fece sedere a forza al pianoforte, e le impose:

— Sonate musika fostra!… tutta musika fostra!… io skommetto di mettere sempre in tutta musika fostra il pirolí.

E fece con tre dita uno sgambetto sui cantini del pianoforte.

— Cosí!

Risero tutti di nuovo. Il maestro Icilio Saporini sperò per un attimo che la signorina Milla, la nipote del maestro Rigucci, non si prestasse a quello scherzo indegno. Felicissima invece, la signorina Milla si diede a sonare questo e quel pezzo delle opere italiane piú famose; e pareva che scegliesse apposta quelli in cui piú facilmente quel tedescaccio potesse cacciare il suo pirolí… E, ogni volta, uno scroscio di risa. Mira, o Norma, pirolí… ai tuoi ginocchi pirolí…

Il vecchietto dovette fare un violento sforzo su se stesso per non scappar via; finse di ridere anche lui, per non dare a vedere d’aversi a male di quello scherzo; andò parecchie altre sere, puntuale, alle riunioni in casa della signorina Donnetti; poi diradò le visite, con la scusa della fredda stagione e dell’età avanzata; infine non andò piú.

Qualche tempo in avanti, la Milla trova una delle vecchie composizioni del Saporini, per caso, mentre cerca tra le carte della madre. La composizione è di qualità media.

Ora un giorno la signorina Milla, cercando tra le vecchie carte della mamma, scoprí un foglio di musica ingiallito, spiegazzato, scritto a mano; credette dapprima fosse qualche bozza del nonno, e la buttò lí; finita la ricerca, rimise nello scaffale tutto il fascio delle carte; ma quel foglio di carta… come mai? eccolo lí di nuovo. Come se avesse voluto restar fuori. Lo guardò meglio, e quale non fu la sua sorpresa nel trovarvi un’arietta del maestro Icilio Saporini, allora forse non ancora maestro, un’arietta dedicata alla mamma, alla divina Margherita Rigucci, su i tenui versi del Metastasio:

Nelle luci

Tue divine

Pace alfine

Trova il cor…

Corse al pianoforte e la lesse. Oh, non era niente: stentatuccia, pretenziosetta; ma pure con certe ingenuità care, che facevano ridere e che commovevano a un tempo. Forse la mamma aveva cantato, da giovane, quell’arietta. Si provò a canticchiarla anche lei:

Nelle luci… nelle luci…

Nelle luci tue divine

Pace alfine

Pace alfine

Pace alfine trova il cor…

A questo punto, il Saporini ha trovato un appartamento a Roma. La Milla manda la sua serva per fargli visita. La notizia è che il Saporini si è ammalato.

Lo stesso giorno, mandò Tilde a chieder notizia del vecchiettino. Egli le aveva detto che, dopo lunga ricerca, aveva finalmente trovato stanza in una vecchia casa di via Cestari, e le aveva descritto minutamente questa stanza, la padrona di casa che aveva quasi i suoi anni, i mobili antichi, un pianofortino nella stanza accanto, buono da sonarci ancora… la musica vecchia, almeno.

Tilde, di ritorno, le annunziò che il vecchietto era infermo e che da parecchie settimane non usciva piú di casa. La signorina Milla si propose di andarlo a visitare; se lo propose per otto giorni di seguito; ma, purtroppo, non trovò mai un momentino di tempo. Mandò di nuovo Tilde dopo gli otto giorni; e Tilde questa volta venne a dirle che il povero vecchiettino era proprio per andarsene.

Alla fine, la Milla e il Begler vanno a trovare il Saporini, che è piuttosto malato, vicino alla morte.

C’era a visita quel giorno il signor Begler; pur tuttavia la signorina Milla si commosse alla notizia. Nella commozione, ebbe un pensiero gentile e lo comunicò al signor Begler. Il signor Begler, con la boccaccia atteggiata al perpetuo ghigno muto, lo approvò. Andarono insieme alla casa del vecchietto; ma né l’uno né l’altra entrarono nella camera, ov’egli giaceva quasi inerte e come di cera su i guanciali; si fermarono nella stanza ov’era il pianofortino; la signorina Milla posò sul leggío quel foglio di musica ingiallito, rinvenuto tra le carte della mamma, e si mise a cantar piano quell’antica arietta, quasi con voce che arrivasse da lontano:

Nelle luci

Tue divine

Pace alfine

Trova il cor…

Il maestro Icilio Saporini, ai primi accordi, schiuse gli occhi e guardò la vecchia padrona di casa, che sedeva vigile a piè del letto. Riconobbe la sua arietta d’un tempo? Forse no. Ma la voce… quella voce…

Bisbigliò qualcosa, con gli occhi velati di lagrime. Forse un nome:

— Margherita.

A un tratto, mentre la voce di là seguitava a modular dolcemente: Nelle luci… nelle luci tue divine… pace alfine… pace alfine… pace alfine trova il cor… scattò stridulo, nei cantini, un beffardo PIROLÌ.

Il vecchietto ebbe un sussulto; come colpito, riabbandonò il capo che aveva sollevato appena dai guanciali, quasi attratto dal canto. E non lo rialzò piú.

***

È sempre interessante considerare il significato più profondo delle novelle.

Mi chiedo se il significato più profondo di Musica vecchia potrebb’essere legato al patrimonio italiano. La domanda sembra essere: dovrebbe l’Italia fare affidamento solo sul suo passato — cioè, dovrebbe il paese semplicemente abbracciare il passato e diventare, in effetti, un museo delle opere venerate e magnifiche di letteratura, arte, musica, architettura, scultura, pittura e disegno? — o invece dovrebbe riconoscere il passato ma scegliere d’abbracciare il futuro (il nuovo, la scienza e la tecnologia)?

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