Riassunto: O di uno o di nessuno

Chi era stato? Uno de’ due, certamente. O forse un terzo, ignoto. Ma no: in coscienza, né l’uno, né l’altro de’ due amici avevano alcun motivo di sospettarlo. Melina era buona, modesta; e poi, cosí disgustata dall’antica sua vita; a Roma non conosceva nessuno; viveva appartata e, se non proprio contenta, si dimostrava gratissima della condizione che le avevano fatta, richiamandola due anni addietro, da Padova, dove, studenti allora d’università, l’avevano conosciuta.

Così inizia O di uno o di nessuno (L. Pirandello), una novella complicata e lunga che, secondo me, è stata progettata per esplorare gli effetti perniciosi d’incertezza sulla salute e sul benessere umana.

Il Pirandello introduce il lettore ai tre protagonisti all’inizio della novella.

– Melina è una ragazza che vive a Roma; qualcosa della sua vita passata, a Padova, era piuttosto sgradevole.

– Tito Morena e Carlino Sanni sono amici stretti, inseparabili; insieme hanno frequentato l’università di Padova. Ora vivono a Roma; lavorano per il governo.

I giovanotti sono pratici: riconoscono la necessità (sia biologica che emotiva) d’avere una relazione stabile con una donna, ma in questo momento sono anche consapevoli dei rischi finanziari ed emotivi associati con la ricerca di una coniuge (cioè, in questa fase delle loro carriere).

Vinto insieme un concorso al Ministero della guerra, collegata la loro vita in tutto, Tito Morena e Carlino Sanni avevano stimato prudente e giudizioso, due anni addietro, cioè ai primi aumenti dello stipendio, provvedere anche insieme al bisogno indispensabile d’una donna, che li curasse e salvasse dal rischio a cui erano esposti, seguitando ciascuno per suo conto a cercare una qualche sicura stabilità d’amore, di contrarre un tristo legame, non men gravoso d’un matrimonio, per adesso e forse per sempre conteso loro dalle ristrettezze finanziarie e difficoltà della vita.

Per risolvere questo problema i giovanotti pensano a Melina, con cui hanno avuto una relazione (sessuale) a Padova.

E avevano pensato a Melina, tenera e dolce amica degli studenti padovani, che erano soliti andar a trovare in via del Santo, nelle sere d’inverno e di primavera lassú. Melina sarebbe stata la piú adatta per loro: avrebbe recato con sé da Padova tutti i lieti ricordi della prima, spensierata gioventú.

Infatti, secondo me Melina potrebbe aver avuto relazioni con molti studenti all’università. (Le relazioni possano essere ciò che significa, “cosí disgustata dall’antica sua vita”.)

I giovanotti scrivono a Melina e propongono che lei si trasloca a Roma per continuare le relazioni.

Le avevano scritto; aveva accettato; e allora (giudiziosamente, come sempre) avevano disposto che ella non coabitasse con loro. Le avevano preso in affitto due stanzette modeste in un quartiere lontano, fuori di porta, e lí andavano a trovarla, ora l’uno ora l’altro, cosí come s’erano accordati, senza invidia e senza gelosia.

Questa disposizione ha durato due anni senza incidente, fino a quando Melina rimane incinta.

D’indole mitissima, di poche parole e ritegnosa, Melina si era mostrata amica a tutt’e due, senz’ombra di preferenza né per l’uno né per l’altro. Erano due bravi giovani, bene educati e cordiali. Certo, uno – Tito Morena – era piú bello; ma Carlino Sanni (che non era poi brutto neanche lui, quantunque avesse la testa d’una forma curiosa) molto piú vivace e grazioso dell’altro.

L’annunzio inatteso, di quel caso impreveduto, gettò i due amici in preda a una profonda costernazione.

Un figlio!

Chi è il padre? Nessuno lo sa di sicuro!

Uno di loro due era stato, certamente; chi de’ due, né l’uno né l’altro, né la stessa Melina potevano sapere. Era una sciagura per tutti e tre; e nessuno de’ due amici s’arrischiò a domandare dapprima alla donna: – Tu chi credi? – per timore che l’altro potesse sospettare ch’egli intendesse con ciò di sottrarsi alla responsabilità, rovesciandola soltanto addosso a uno; né Melina tentò minimamente d’indurre l’uno o l’altro a credere che il padre fosse lui.

Ella era nelle mani di tutti e due, e a tutti e due, non all’uno né all’altro, voleva affidarsi. Uno era stato; ma chi de’ due ella non solo non poteva dire, ma non voleva nemmeno supporre.

La questione della paternità è l’incertezza che guida la narrazione della novella.

Il lettore apprende poi che i giovanotti non hanno molto l’esperienza di vita o la maturità.

Legati ancora alla propria famiglia lontana, con tutti i ricordi dell’intimità domestica, Carlino Sanni e Tito Morena sapevano che quest’intimità non poteva piú essere per loro, staccati come già ne erano per sempre. Ma, in fondo, erano rimasti come due uccellini che, sotto le penne già cresciute e per necessità abituate al volo, avessero serbato e volessero custodir nascosto il tepore del nido che li aveva accolti implumi. Ne provavano intanto quasi vergogna, come per una debolezza che, a confessarla, avrebbe potuto renderli ridicoli.

Quindi si può dedurre che loro sono scarsamente attrezzati per affrontare l’incertezza associata con la questione di paternità. È interessante notare che il Pirandello scrive che i giovanotti riconoscere in se stessi la mancanza d’esperienza e maturità; per loro questo è un difetto: vuol dire che non sono pronti a funzionare come adulti indipendenti. Pare che entrambi ritengano questo essere un difetto di personalità… e una fonte di vergogna. Inconsciamente, il senso di vergogna porta i giovanotti a soffrire il rimorso; questo, a sua volta, li fa essere (consciamente) egocentrici e senza empatia (cioè, in grado di comportamento crudele).

E forse l’avvertimento di questa vergogna cagionava loro un segreto rimorso. E il rimorso, a loro insaputa, si manifestava in una certa acredine di parole, di sorrisi, di modi, che essi credevano invece effetto di quella vita arida, priva di cure intime, in cui piú nessun affetto vero avrebbe potuto metter radici, che eran costretti a vivere e a cui dovevano ormai abituarsi, come tanti altri. E negli occhi chiari, quasi infantili, di Tito Morena lo sguardo avrebbe voluto avere una durezza di gelo. Spesso lo aveva; ma pure talvolta quello sguardo gli si velava per la commozione improvvisa di qualche lontano ricordo; e allora quella velatura di gelo era come l’appannarsi dei vetri d’una finestra, per il caldo di dentro e il freddo di fuori. Carlino Sanni, dal canto suo, si raschiava con le unghie le gote rase e rompeva con lo stridore dei peli rinascenti certi angosciosi silenzii interiori e si richiamava all’ispida realtà del suo vigor maschile che, via, gl’imponeva ormai d’esser uomo, vale a dire, un po’ crudele.

Il Pirandello spiega poi che per tutt’e due la relazione con Melina è importante perché riempie un vuoto della vita creato dalla separazione dalla famiglia.

S’accorsero, all’annunzio inatteso della donna, che, senza saperlo e senza volerlo, ciascuno, dimenticandosi dell’altro e anche della voluta durezza e della voluta crudeltà, aveva messo in quella relazione con Melina tutto il proprio cuore, per quel segreto, cocente bisogno d’intimità familiare.

Secondo me questo è importante: vuol dire che i giovanotti hanno un bisogno per Melina per di più di sesso (cioè, possono avere bisogno di lei più disperatamente che il lettore possa aver inizialmente capito.

Poi il Pirandello spiega che i due giovanotti immaginano che sono stati traditi… non tanto da Melina, ma invece dal suo corpo!

E avvertirono un sordo astio, un’agra amarezza di rancore, non propriamente contro la donna, ma contro il corpo di lei che, nell’incoscienza dell’abbandono, aveva evidentemente dovuto prendersi piú dell’uno che dell’altro. Non gelosia, perché il tradimento non era voluto. Il tradimento era della natura; ed era un tradimento quasi beffardo. Ciecamente, di soppiatto, la natura s’era divertita a guastar quel nido, che essi volevano credere costruito piú dalla loro saggezza, che dal loro cuore.

Solamente un ragazzo potrebbe essere capace di tale ragionamento!!

I giovanotti si preoccupano che Melina probabilmente vorrà tenere il bambino; si preoccupano anche della sua reazione se loro non siano d’accordo con lei.

La maternità in quella ragazza assumeva per la loro coscienza un senso e un valore, che li turbava tanto piú profondamente in quanto sapevano che ella non si sarebbe affatto ribellata, se essi non avessero voluto rispettargliela; ma li avrebbe in cuor suo giudicati ingiusti e cattivi.

Melina esprime un senso generale della gratitudine: la opportunità di trasferirsi a Roma la salva da una vita miserabile (a Padova) e rappresenta una rinascita di sorta. A Padova, per sopravvivere, lei sia apparentemente dipesa agli studenti maschi. Questa vita ha causato un grande peccato; infatti, la vergogna ha causato Melina di essere infertile. (I giovanotti probabilmente hanno saputo che lei era sterile quando hanno vissuto a Padova.) A Roma però Melina ha imparato a leggere e a scrivere, ha anche imparato a lavorare per gli altri (come una dama) e a mantenere qualche risparmio (probabilmente per la prima volta nella sua vita). A Roma, Melina viveva con fiducia e orgoglio: credeva che era pronta a sostenere non solamente se stessa (questo è un sentimento che mancano i giovanotti!) ma anche un figlio.

Come conseguenza Melina ha riacquistato la sua capacità di avere figli.

Era in lei tanta dolcezza dolente e rassegnata! Con gli occhi, il cui sguardo talvolta esprimeva il sorriso mesto delle labbra non mosse, diceva chiaramente che lei, non ostante quell’ambiguo suo stato, da due anni, mercé loro, si sentiva rinata. E appunto da questo suo rinascere alla modestia degli antichi sentimenti, dovuto a loro, al modo con cui essi, quasi a loro insaputa, l’avevano trattata, proveniva la sua maternità, il rifiorire di essa che, nella trista arsura del vizio non amato, s’era per tanti anni isterilita.

Ora, non sarebbero venuti meno, d’improvviso, crudelmente, alla loro opera stessa (IRONIA!), ricacciando Melina nell’avvilimento di prima, impedendole di raccogliere il frutto di tutto il bene che le avevano fatto?

A questo punto il lettore può facilmente capire perché Melina vuole tenere il bambino senza l’aiuto dei giovanotti.

D’altra parte, i giovanotti sono catturati in un vortice di concorrenti e contrastanti interessi:

– gli interessi personali

– l’interesse migliore della Melina

– l’interesse migliore del neonato.

Il Pirandello spiega chiaramente che l’incertezza associata con la paternità è la più grande sfida per i giovanotti.

Questo i due amici avvertivano in confuso nel turbamento della coscienza. E forse, se ciascuno dei due avesse potuto esser sicuro che il figlio era suo, non avrebbe esitato ad assumersene il peso e la responsabilità, persuadendo l’altro a ritrarsi. Ma chi poteva dare all’uno o all’altro questa certezza?

Nel dubbio inovviabile i due amici decisero che, senza dirne nulla per adesso a Melina, quando sarebbe stata l’ora l’avrebbero mandata a liberarsi in qualche ospizio di maternità, da cui quindi sarebbe ritornata a loro, sola.

I giovanotti inizialmente decidono che Melina deve dare il bambino in adozione e tornare a loro da sola.

Poi c’è un lungo tratto della novella in cui il Pirandello illustra gli effetti deleteri d’incertezza sui giovanotti: la loro amicizia è in frantumi. Come menzionato in precedenza, i giovanotti sono egocentrici: si preoccupano per le loro finanze, l’equità, la loro virilità, le loro sacrifici personali, e la possibile perdita di Melina.

Inoltre, a volte, mostrano che si preoccupano per Melina.

Melina allora alzò la tela e vi nascose la faccia. Stette un pezzo cosí; poi, con gli occhi pieni di lagrime, scotendo amaramente il capo, disse:

– Dunque, no? proprio no, è vero? non debbo… non debbo preparar nulla?

E vedendo, a questa domanda supplichevole, restare il giovine tra confuso e seccato e commosso…

E questo…

– E poi? – fece Tito. – Credi che ella sarebbe piú, quale è stata finora? Se desidera tanto di tenersi il figlio! La faremmo infelice, credi, Carlino, inutilmente. Perché… lo sento, lo sento bene, per me è finita! Sarà un dispetto sciocco: non mi passa; sento che non mi passa. E allora? non posso, non voglio piú tornarci, ecco!

– E dovremmo abbandonarla cosí? – domandò Carlino accigliato.

– Ma nient’affatto, abbandonarla! – esclamò Tito. – T’ho detto e ripetuto che seguiterò a dar la parte mia, finché ella si troverà in questo stato e non troverà modo di provvedere a sé altrimenti. Tu poi, per conto tuo, fa’ quello che credi. Te lo dico proprio senz’astio, bada! e con la massima franchezza.

Dopo un periodo di separazione da Melina, i giovanotti sono costretti a interagire con lei: hanno bisogno di pagare il suo stipendio e l’affitto. All’improviso Tito Morena cambia idea: afferma che ora pensa che Melina dovrebbe tenere il bambino! Questa conversione del cuore porta Carlino Sanni a sospettare che il Morena ha sentito in questo modo per tutto il tempo.

Ah, che sbaglio aveva commesso Melina, non rivolgendosi prima a Tito! E un altro sbaglio, piú grosso, aveva poi commesso lui, riferendo a Tito la proposta di lei. No, no: egli non doveva riferirgliela; doveva dire a Melina che ne parlasse a Tito direttamente, e che anzi non gli facesse intravvedere di averne prima parlato a lui. Ecco come avrebbe dovuto fare! Ma poteva mai immaginarsi che Tito se la pigliasse cosí a male?

Dopo un po entrambi i giovanotti sono d’accordo che Melina dovrebbe tenere il bambino. E allora, perché questo è Pirandello, Melina muore subito dopo il parto.

In successione rapida, il bambino, Ninì, viene mandato a vivere con una balia (che ha appena perso il suo neonato durante il parto) e poi in un collegio. Al collegio, Ninì fa amicizia con un altro studente, che alla fine muore anche! Poi Ninì è adottato dai genitori del ragazzo che muore. Ninì decide che i giovanotti posso venire a fargli visita nella sua casa nuova, ma solo se Tito Morena e Carlino Sanni vengono a visitare insieme. Una volta che gli viene detto cosa fare (da un ragazzo non meno!), i giovanotti diventano di nuovo amici. Incertezza rimosso… di nuovo amici… IRONIA!

Leave a comment