Riassunto: La mosca

Trafelati, ansanti, per far piú presto, quando furono sotto il borgo, – sú, di qua, coraggio! – s’arrampicarono per la scabra ripa cretosa, ajutandosi anche con le mani – forza! forza! – poiché gli scarponi imbullettati – Dio sacrato! – scivolavano.

Inizia così La mosca (L. Pirandello), una novella relativamente breve che racconta un giorno della vita (e probabilmente la morte) del protagonista, Giurlannu Zarù.

All’inizio della novella due fratelli, (Saro e Neli Tortorici) hanno camminato il più presto possibile dalla campagna (vicino a Montelusa in Sicilia) al paese più vicino (circa dieci miglia di distanza)… sopra un terreno difficile e punire e sotto un clima inclementissime.

La situazione era grave: il cugino dei fratelli, il Zarù, stava morendo ei Tortorici stavano cerchando l’aiuto del medico condotto (cioè, locale), il signor dottor Sidoro Lopiccolo. [I tre cugini erano braccianti a giornata su una tenuta in campagna. La mattina presto, prima dell’alba, Saro Tortorici è andato a svegliare Giurlannu Zarù, che dormiva in una stalla. Quello che il Saro ha trovato era un giovanotto gravemente, gravemente malato: “Giurlannu Zarú era rimasto nella stalla. Prima dell’alba, Saro si era recato a svegliarlo e lo aveva trovato lí, gonfio e nero, con un febbrone da cavallo.”]

Pochi dettagli sono forniti sul Saro Tortorici, solo che lui era il fratello maggiore. Neli, d’altra parte, aveva 20 anni. È stato fidanzato, era un uomo di talento ed era ben conosciuto d’essere molto contento con la propria vita. Neli era anche fisicamente attraente, vale a dire, un Adone che provoca di svenire le ragazze. (Pensa a una versione biondo del ALESSANDRO GASSMAN!!!)

Neli Tortorici tornò a sorridere, scendendo la scala, dietro al fratello. Aveva vent’anni, lui; la fidanzata, Luzza, sedici: una rosa! Sette figliuoli? Ma pochi! Dodici, ne voleva. E a mantenerli, si sarebbe ajutato con quel pajo di braccia sole, ma buone, che Dio gli aveva dato. Allegramente, sempre. Lavorare e cantare, tutto a regola d’arte. Non per nulla lo chiamavano Liolà, il poeta. E sentendosi amato da tutti per la sua bontà servizievole e il buon umore costante, sorrideva finanche all’aria che respirava. Il sole non era ancora riuscito a cuocergli la pelle, a inaridirgli il bel biondo dorato dei capelli riccioluti che tante donne gli avrebbero invidiato; tante donne che arrossivano, turbate, se egli le guardava in un certo modo, con quegli occhi chiari, vivi vivi.

I fratelli sono arrivati alla casa del dottor Lopiccolo la domenica pomeriggio. Dottor Lopiccolo era vestito molto informalmente e non rasato. Lui e sua moglie ha sette figli. (Il figlio maggiore aveva 9 anni!) La moglie era stata limitata a letto per gli ultimi undici mesi, e la vita della famiglia era caotica (a dir poco) e la loro casa era una zona di disastro.

Il signor dottore, Sidoro Lopiccolo, scamiciato, spettorato, con una barbaccia di almeno dieci giorni su le guance flosce, e gli occhi gonfi e cisposi, s’aggirava per le stanze, strascicando le ciabatte e reggendo su le braccia una povera malatuccia ingiallita, pelle e ossa, di circa nove anni.

La moglie, in un fondo di letto, da undici mesi; sei figliuoli per casa, oltre a quella che teneva in braccio, ch’era la maggiore, laceri, sudici, inselvaggiti; tutta la casa, sossopra, una rovina: cocci di piatti, bucce, l’immondizia a mucchi sui pavimenti; seggiole rotte, poltrone sfondate, letti non piú rifatti chi sa da quanto tempo, con le coperte a brandelli, perché i ragazzi si spassavano a far la guerra sui letti, a cuscinate; bellini! Solo intatto, in una stanza ch’era stata salottino, un ritratto fotografico ingrandito, appeso alla parete; il ritratto di lui, del signor dottore Sidoro Lopiccolo, quand’era ancora giovincello, laureato di fresco: lindo, attillato e sorridente. Davanti a questo ritratto egli si recava ora, ciabattando; gli mostrava i denti in un ghigno aggraziato, s’inchinava e gli presentava la figliuola malata, allungando le braccia.

(Ci può essere alcun dubbio sul motivo per cui lei è rimasta a letto per undici mesi??)

Dottor Lopiccolo ha accettato d’aiutare i fratelli. I Tortorici e il dottor Lopiccolo sono tornati a Montelusa… hanno trovato il Zarù solo e ancora (a malapena) vivo.

Non s’incontrava anima viva, poiché tutti i contadini, di domenica, erano sú al paese, chi per la messa, chi per le spese, chi per sollievo. Forse laggiú, a Montelusa, non era rimasto nessuno accanto a Giurlannu Zarú, che moriva solo, seppure era vivo ancora.

Solo, difatti, lo trovarono, nella stallaccia intanfata, steso sul murello, come Saro e Neli Tortorici lo avevano lasciato: livido, enorme, irriconoscibile.

Rantolava.

Dalla finestra ferrata, presso la mangiatoja, entrava il sole a percuotergli la faccia che non pareva piú umana: il naso, nel gonfiore, sparito; le labbra, nere e orribilmente tumefatte. E il rantolo usciva da quelle labbra, esasperato, come un ringhio. Tra i capelli ricci da moro una festuca di paglia splendeva nel sole.

Saro Tortorici ha svegliato il cugino. Il Zarù comprendeva che era gravemente malato.

I tre si fermarono un tratto a guardarlo, sgomenti e come trattenuti dall’orrore di quella vista. La mula scalpitò, sbruffando, su l’acciottolato della stalla. Allora Saro Tortorici si accostò al moribondo e lo chiamò amorosamente:

– Giurlà, Giurlà, c’è il dottore.

Giurlannu Zarú, a un nuovo richiamo, smise di rantolare; si provò ad aprir gli occhi insanguati, anneriti, pieni di paura; aprí la bocca orrenda e gemette, com’arso dentro:

– Muojo!

Mentre i fratelli hanno scambiato le parole di speranza e di sostegno con loro cugino, il medico ha osservato il paziente. Dottor Lopiccolo ha concluso che Giurlannu Zarù soffriva da un’infezione dall’antrace. Ha speculato che l’infezione potrebb’essere stata trasmessa da un’animale al Giurlannu Zarù (via ad esempio un insetto).

Intanto il medico osservava il moribondo. Era chiaro: un caso di carbonchio.

– Dite un po’, non vi ricordate di qualche insetto che v’abbia pinzato?

– No, – fece col capo il Zarú.

– Insetto? – domandò Saro.

Il medico spiegò, come poteva a quei due ignoranti, il male. Qualche bestia doveva esser morta in quei dintorni, di carbonchio. Su la carogna, buttata in fondo a qualche burrone, chi sa quanti insetti s’erano posati; qualcuno poi, volando, aveva potuto inoculare il male al Zarú, in quella stalla.

***

Qui di seguito è una breve rassegna di ciò che conosciamo delle infezioni di antrace.

CAUSA

L’antrace è una malattia causata da un batterio, Bacillus anthracis. La malattia ha esistito da centinaia di anni e ancora si presenta naturalmente in sia gli animali e gli esseri umani in molte parti del mondo, compresa l’Europa del sud. Il Bacillus anthracis sopravvive nell’ambiente da formando le spore. Nella sua forma naturale più comune, si crea le lesioni scure sulla pelle, da cui deriva il suo nome: l’antrace è greca per il carbone.

TIPI

L’antrace cutaneo è la forma più comune. Di solito è contratta quando una persona con una lesione della pelle, come un taglio o abrasione, entra in contatto diretto con le spore dell’antrace. L’urto prurito risultante sviluppa rapidamente in un mal di nero. Alcune persone possono quindi sviluppare mal di testa, dolori muscolari, febbre e vomito.

L’antrace gastrointestinale è colto da mangiare carne d’un animale infetto, provocando i sintomi iniziali simili a intossicazione alimentare, ma questi possono peggiorare per la produzione di forti dolori addominali, vomito di sangue e diarrea grave.

L’antrace polmonare è causata quando una persona è direttamente esposta a un gran numero delle spore dell’antrace sospese nell’aria, e le inspira. I primi sintomi sono simili a quelli di un raffreddore comune, ma questo può rapidamente progredire alla respirazione grave e lo shock.

TRASMISSIONE

La letteratura medica indica che l’antrace può essere trasmessa via le mosche.

“Questo studio conferma che gli insetti ematofagi possono trasmettere meccanicamente l’antrace e supporta recenti segnalazioni aneddotiche di fly-bite-associata l’antrace umana cutanea. Il potenziale delle mosche per trasmettere meccanicamente l’antrace suggerisce che il controllo mosca dovrebb’essere considerato come parte di un programma per il controllo di antrace epizootica.”

Turell, MJ, and Knudson, GB. (1987) Mechanical transmission of Bacillus anthracis by stable flies (Stomoxys calcitrans) and mosquitoes (Aedes aegypti and Aedes taeniorhynchus). Infect Immun. 55: 1859–1861.

***

La novella termina su una nota ambigua e meravigliosa.

Giurlannu Zarù ha girato la sua testa verso il muro della stalla (intanto il dottor Lopiccolo gli ha descritto una infezione di antrace agli fratelli).

Mentre il medico parlava cosí, il Zarú aveva voltato la faccia verso il muro.

La morte era a portata di mano.

Nessuno lo sapeva, e la morte intanto era lí, ancora; cosí piccola, che si sarebbe appena potuta scorgere, se qualcuno ci avesse fatto caso.

(Era Giurlannu Zarù sveglio o addormentato? cosciente o di sognare? vivo o morto?)

Poi Giurlannu Zarù ha notato una mosca sul muro.

C’era una mosca, lí sul muro, che pareva immobile; ma, a guardarla bene, ora cacciava fuori la piccola proboscide e pompava, ora si nettava celermente le due esili zampine anteriori, stropicciandole fra loro, come soddisfatta. Il Zarú la scorse e la fissò con gli occhi.

Una mosca.

Poi Giurlannu Zarù si è chiesto (a se stesso) se questo potrebb’essere l’insetto che l’ha infettato con l’antrace.

Poteva essere stata quella o un’altra. Chi sa? Perché, ora, sentendo parlare il medico, gli pareva di ricordarsi. Sí, il giorno avanti, quando s’era buttato lí a dormire, aspettando che i cugini finissero di smallare le mandorle del Lopes, una mosca gli aveva dato fastidio. Poteva esser questa?

(Ovviamente, era estremamente improbabile che questa mosca era responsabile per la malattia del Zarù!)

La mosca ha spostato dal muro alla faccia del Neli, sistemandosi sul mento, che aveva una piccola lacerazione.

La vide a un tratto spiccare il volo e si voltò a seguirla con gli occhi.

Ecco era andata a posarsi sulla guancia di Neli. Dalla guancia, lieve lieve, essa ora scorreva in due tratti, sul mento, fino alla scalfittura del rasojo, e s’attaccava lí, vorace.

Giurlannu Zarù ha chiesto (con una “voce da caverna”) se l’insetto che l’ha infettato potrebb’essere una mosca. La risposta? Avrebbe potuto essere.

Giurlannu Zarú stette a mirarla un pezzo, intento, assorto. Poi, tra l’affanno catarroso, domandò con una voce da caverna:

– Una mosca, può essere?

– Una mosca? E perché no? – rispose il medico.

E poi, in un batter d’occhio, il Zarù ha sperimentato una serie delle negative emozioni potentissime—l’auto-commiserazione, la gelosia, la rabbia tra loro—tutto in risposta alla sua sfortunata morte prematura.

Giurlannu Zarú non disse altro: si rimise a mirare quella mosca che Neli, quasi imbalordito dalle parole del medico, non cacciava via. Egli, il Zarú, non badava piú al discorso del medico, ma godeva che questi, parlando, assorbisse cosí l’attenzione del cugino da farlo stare immobile come una statua, da non fargli avvertire il fastidio di quella mosca lí sulla guancia. Oh fosse la stessa! Allora sí, davvero, avrebbero sposato insieme! Una cupa invidia, una sorda gelosia feroce lo avevano preso di quel giovane cugino cosí bello e florido, per cui piena di promesse rimaneva la vita che a lui, ecco, veniva improvvisamente a mancare.

(Non lo so perchè esattamente, ma ho un grande simpatia per le emozioni del Zarù. Le sue emozioni sono immaturi, indifferente e complessivamente negativo, forse, ma sono anche comprensibili… dopotutto, lui è un giovanotto che dovrebbe tutto la propria vita davanti a se!)

Neli è stato morso dalla mosca.

A un tratto Neli, come se finalmente si sentisse pinzato, alzò una mano, cacciò via la mosca e con le dita cominciò a premersi il mento, sul taglietto. Si voltò a Zarú che lo guardava e restò un po’ sconcertato vedendo che questi aveva aperto le labbra orrende, a un sorriso mostruoso. Si guardarono un po’ cosí.

(Dovremmo incolpare il Zarù se Neli è stato infettivo dalla mosca?)

Finalmente il Zarù ha detto…

Poi il Zarú disse, quasi senza volerlo:

– La mosca.

Neli non comprese e chinò l’orecchio:

– Che dici?

– La mosca, – ripeté quello.

– Che mosca? Dove? – chiese Neli, costernato, guardando il medico.

– Lí, dove ti gratti. Lo so sicuro! – disse il Zarú.

A questo punto dottor Lopiccolo e Saro Tortorici hanno rivoltato la loro attenzione al Neli; Giurlannu Zarù è stato dimenticato per il momento.

Dunque, era vero? Ed ecco, lo abbandonavano lí, come un cane. Provò a rizzarsi su un gomito, chiamò due volte:

– Saro! Saro!

Silenzio. Nessuno. Non si resse piú sul gomito, ricadde a giacere e si mise per un pezzo come a grufare, per non sentire il silenzio della campagna, che lo atterriva. A un tratto gli nacque il dubbio che avesse sognato, che avesse fatto quel sogno cattivo, nella febbre; ma, nel rivoltarsi verso il muro, rivide la mosca, lí di nuovo.

Eccola.

(Paola, cosa ne pensi? Era un sogno?)

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