Riassunto: La tragedia d’un personaggio

È mia vecchia abitudine dare udienza, ogni domenica mattina, ai personaggi delle mie future novelle.

Cinque ore, dalle otto alle tredici.

M’accade quasi sempre di trovarmi in cattiva compagnia.

Inizia così La tragedia d’un personaggio (L. Pirandello), uno scorcio davvero affascinante nei metodi e la vita interiore di uno scrittore di narrative / finzione.

(Ci può essere alcun dubbio chi è lo scrittore??)

Tra le domande / problematiche che vengono sollevate nel corso della novella ci sono:

– Che processo segue uno scrittore per creare una storia di narrativa?

– Quali sono i limiti / costrizioni che uno scrittore deve rispettere?

– Quali sono le preoccupazioni etiche di uno scrittore?

– Quali standard di eccelenza fanno portare uno scrittore al suo lavoro?

All’inizio della novella il narratore (uno scrittore di narrativa) descrive il suo metodo per creare una nuova storia di narrativa: ogni domenica, lui trascorre cinque ore (alle 8 di mattina all’1) selezionando il protagonista d’una nuova opera di narrativa.

Il ‘personaggio’ sembra essere uno dei principali criteri di selezione. ‘Personaggio’ è una scelta interessante dato che la parola si riferisce alla ‘personalità’ o al ‘carattere’, cioè, un modo fondamentale di vedere la vita. Ad esempio, il concetto di ‘personaggio’ potrebbe descrivere come una persona reagisce alle avversità (si adatta? …lotta? …rinuncia?). ‘Personaggio’ possa anche descrivere i valori / le caratteristiche di una persona: è intelligente? …ben istruita? …raffinata? …egocentrica o generosa? …onesta o disonesta? …crudele o gentile? Insomma tutte le complesse, difficile-da-definire cose che rendono una persona unica; cioè, tutte le cose che ci aiutano comprendere le scelte che una persona fa tutti i giorni, che ci aiutano capire i successi o i fallimenti di una persona.

In questo modo il concetto di ‘personaggio’ può anche descrivere la vita interiore del protagonista. Il narratore della novella sembra utilizzare la vita interiore d’un protagonista come il punto di partenza per esplorare qualche verità universale della condizione umana. (Se il narratore è infatti il Pirandello, la verità universale sembra spesso riguardare come gli esseri umani affrontano le sfide del mondo moderno.)

Mentre leggendo la novella per la prima volta, ho assunto che il narratore fosse il Pirandello e che le sessioni di domenica fossero il suo studio privato di psichiatria. In altre parole, il Pirandello ha l’abitudine di selezionare i protagonisti delle sue novelle sulla base della personalità dei pazienti veri. Tuttavia, in questo momento io non sia così sicuro. Dopo rileggendo la novella, mi rendo conto che la risposta giusta dipenderà del significato della parola ‘udienza’.  (Es.) ‘Udienza’ vuol dire un letterale, faccia-a-faccia incontro con un paziente? Oppure vuol suggerire qualcosa di più sottile, ad esempio, un autore alla sua scrivania contemplando le sue note o forse un elenco delle potenziali idee che potrebbero essere la base per il protagonista della sua prossima storia?

In questo momento io sono in favore della seconda interpretazione. Vale a dire, la parola ‘udienza’ si riferisce a un processo contemplativo, una riesame privata delle idee che porta alla selezione di un protagonista.  (Paola, cosa ne pensi?)

Il narratore ci dice che il tipo del personaggio che lui favorisce sia qualcuno che è disturbato, infelice, scontento con la vita. Lui non può facilmente spiegare perché è attratto da questo tipo di persona.

Non so perché, di solito accorre a queste mie udienze la gente piú scontenta del mondo, o afflitta da strani mali, o ingarbugliata in speciosissimi casi, con la quale è veramente una pena trattare.

Il narratore poi descrive la sua predilezione (una preferenza personale) per le persone infelici. Ma, nello stesso respiro, ci dà anche uno sguardo nei suoi standard di eccellenza. Il narratore si rifiuta di creare un ritratto semplice / simpatico del personaggio che sceglie. Invece esplora il loro carattere con l’obiettività, la diligenza e il rigore, cercando di descrivere la complessità della loro vita interiore (sia buone e cattive).

Io ascolto tutti con sopportazione; li interrogo con buona grazia; prendo nota de’ nomi e delle condizioni di ciascuno; tengo conto de’ loro sentimenti e delle loro aspirazioni. Ma bisogna anche aggiungere che per mia disgrazia non sono di facile contentatura.

Il narratore antropomorfizza il personaggio. Da un lato lui non permetterà il personaggio d’influenzarlo o ingannarlo. D’altra parte, il personaggio farà richieste del narratore: ad esempio, sembra insistere su un processo equo in modo che è descritto in modo accurato.

Sopportazione, buona grazia, sí; ma esser gabbato non mi piace. E voglio penetrare in fondo al loro animo con lunga e sottile indagine.

Ora avviene che a certe mie domande piú d’uno aombri e s’impunti e recalcitri furiosamente, perché forse gli sembra ch’io provi gusto a scomporlo dalla serietà con cui mi s’è presentato.

Poi il narratore descrive al personaggio (antropomorfizzato) il suo processo di selezionare / creare un personaggio — descrive le sue motivazioni e le razionali. (In un certo senso questo sia un’udienza al contrario, nel senso che il personaggio sembri essere rivedendo lo scrittore!)

Con pazienza, con buona grazia m’ingegno di far vedere e toccar con mano, che la mia domanda non è superflua, perché si fa presto a volerci in un modo o in un altro; tutto sta poi se possiamo essere quali ci vogliamo. Ove quel potere manchi, per forza questa volontà deve apparire ridicola e vana.

A volte le spiegazioni dello scrittore sono soddisfacenti (e si placano i personaggi), a volte no.

Non se ne vogliono persuadere.

Ancora una volta, lo scrittore descrive la sua predilezione per il personaggio che ha scelto. Questa volta però la predilezione prende la forma del compatisco.

E allora io, che in fondo sono di buon cuore, li compatisco.

Nel respiro dopo, però, lo scrittore descrive la necessità di ‘lievitare’ / ‘arricchire’ il suo compatisco con una risata.

Ma è mai possibile il compatimento di certe sventure, se non a patto che se ne rida?

(Questa combinazione del compatisco e della risata può essere la base per il tono ironico che è presente in quasi tutte le novelle che abbiamo letto finora!)

La questione che diventa allora, “Qual’è l’intenzione della risata?” È tinge o di ridicolo o di crudeltà o con empatia? In altre parole, sta ridendo lo scrittore del o con il suo personaggio?

(Lo fa entrambi lui allo stesso tempo?)

Lo scrittore (che sembra essere ben noto) sembra essere stato criticato in passato, cioè, la risata è capita d’essere crudele in natura dai critici.

Orbene, i personaggi delle mie novelle vanno sbandendo per il mondo, che io sono uno scrittore crudelissimo e spietato. Ci vorrebbe un critico di buona volontà, che facesse vedere quanto compatimento sia sotto a quel riso.

Ma dove sono oggi i critici di buona volontà?

Da questo, mi sembra di capire che i critici sono una forza che ogni scrittore deve contendersi, cioè, i critici sono in grado di decidere se uno scrittore esito positivo o negativo.

Poi il narratore torna al suo processo. Tra l’elenco dei personaggi potenziali osserva che alcuni sono più audaci e aggressivi che gli altri.

È bene avvertire che alcuni personaggi, in queste udienze, balzano davanti agli altri e s’impongono con tanta petulanza e prepotenza, ch’io mi vedo costretto qualche volta a sbrigarmi di loro lí per lí.

Penso che qui, in realtà, il narratore descriva il suo processo di selezionare il prossimo personaggio… in altre parole, i personaggi che ‘saltano fuori’ in realtà sono quelli i cui tratti caratteriali sono il più attraente allo scrittore in quel particolare giorno. (Vale a dire che alcuni tratti sono così attraente / ispirante che loro devono essere impiegate prima!)

Il narratore ci dice che di solito ci sono due gruppi dei personaggi della sua lista – quelli audaci-aggressivi che cercano di saltare in avanti e quelli timidi che rimangono dietro. Poi ci racconta come ha placato i personaggi audaci che non sono selezionati quel  giorno.

Parecchi di questa lor furia poi si pentono amaramente e mi si raccomandano per avere accomodato chi un difetto e chi un altro. Ma io sorrido e dico loro pacatamente che scontino ora il loro peccato originale e aspettino ch’io abbia tempo e modo di ritornare ad essi.

E poi dice un po’ di più sui personaggi timidi, e uno in particolare, Icilio Saporini, che è stato il soggetto di una novella entitolato Musica vecchia.

Poi il narratore ci dice che domenica scorsa è arrivato dopo le 8 di mattina perché era alzato fino a tardi la sera prima leggendo un lungo romanzo inviato a lui (come un dono) più di un mese prima. In totale, il narratore non sembra essere impressionato con la qualità della scrittura. Tuttavia c’è un personaggio, il dottor Fileno, che sembra avere catturato la sua immaginazione — meno a causa del modo in cui è ritratto nel romanzo, ma piuttosto a causa di come il narratore immagina lui avrebbe usato un personaggio come il dottore.

Quest’ultima domenica sono entrato nello scrittojo, per l’udienza, un po’ piú tardi del solito.

Un lungo romanzo inviatomi in dono, e che aspettava da piú d’un mese d’esser letto, mi tenne sveglio fino alle tre del mattino per le tante considerazioni che mi suggerí un personaggio di esso, l’unico vivo tra molte ombre vane.

Rappresentava un pover’uomo, un certo dottor Fileno, che credeva d’aver trovato il piú efficace rimedio a ogni sorta di mali, una ricetta infallibile per consolar se stesso e tutti gli uomini d’ogni pubblica o privata calamità.

Sembra che il dottor Fileno abbia inventato un metodo infallibile per consolare una persona turbata. Il metodo si basa sull’uso dei precedenti storici (la storia ricordata) per fornire la prospettiva (cioè, come i termini di paragona). Via la storia, una persona in difficoltà arriva a capire che non è sola, che ci sono stati infatti gli altri che hanno sperimentato i problemi simili. Penso che l’idea sia che il senso di comunità fornisce qualche conforto.

Potremmo dire che il metodo terapeutico (si chiama ‘La fila del lontano’) permette la persona turbata di concentrarsi sul ‘quadro generale’ invece delle loro preoccupazioni personali immediate. Il metodo è abilmente descritta utilizzando l’analogia d’un telescopio.

Insomma, di quel suo metodo il dottor Fileno s’era fatto come un cannocchiale rivoltato. Lo apriva, ma non per mettersi a guardare verso l’avvenire, dove sapeva che non avrebbe veduto niente; persuadeva l’anima a esser contenta di mettersi a guardare dalla lente piú grande, attraverso la piccola, appuntata al presente, per modo che tutte le cose subito le apparissero piccole e lontane. E attendeva da varii anni a comporre un libro, che avrebbe fatto epoca certamente: La filosofia del lontano.

Poi il narratore esprime qualche dubbio sul metodo.

Non si sognava neppure, il dottor Fileno, di trarre dal passato ammaestramenti per il presente.

Sapeva che sarebbe stato tempo perduto, e da sciocchi; perché la storia è composizione ideale d’elementi raccolti secondo la natura, le antipatie, le simpatie, le aspirazioni, le opinioni degli storici, e che non è dunque possibile far servire questa composizione ideale alla vita che si muove con tutti i suoi elementi ancora scomposti e sparpagliati. E nemmeno si sognava di trarre dal presente norme o previsioni per l’avvenire; anzi faceva proprio il contrario: si poneva idealmente nell’avvenire per guardare il presente, e lo vedeva come passato.

E poi il narratore offre una valutazione piuttosto negativa del romanzo,

Durante la lettura del romanzo m’era apparso manifesto che l’autore, tutto inteso ad annodare artificiosamente una delle trame piú solite, non aveva saputo assumere intera coscienza di questo personaggio, il quale, contenendo in sé, esso solo, il germe d’una vera e propria creazione, era riuscito a un certo punto a prender la mano all’autore e a stagliarsi per un lungo tratto con vigoroso rilievo su i comunissimi casi narrati e rappresentati; poi, all’improvviso, sformato e immiserito, s’era lasciato piegare e adattare alle esigenze d’una falsa e sciocca soluzione.

…e immagina cosa avrebbe potuto fare con il personaggio del dottor Fileno.

Ero rimasto a lungo, nel silenzio della notte, con l’immagine di questo personaggio davanti agli occhi, a fantasticare. Peccato! C’era tanta materia in esso, da trarne fuori un capolavoro! Se l’autore non lo avesse cosí indegnamente misconosciuto e trascurato, se avesse fatto di lui il centro della narrazione, anche tutti quegli elementi artificiosi di cui s’era valso, si sarebbero forse trasformati, sarebbero diventati subito vivi anch’essi. E una gran pena e un gran dispetto s’erano impadroniti di me per quella vita miseramente mancata.

Il narratore ritorna poi all’udienza di domenica scorsa: si é aspettato di ordinare attraverso le sue note come al solito. Al contrario però il dottor Fileno (antropomorfizzato) é apparso esigendo la sua attenzione.

Ebbene, quella mattina, entrando tardi nello scrittojo, vi trovai un insolito scompiglio, perché quel dottor Fileno s’era già cacciato in mezzo ai miei personaggi aspettanti, i quali, adirati e indispettiti, gli erano saltati addosso e cercavano di cacciarlo via, di strapparlo indietro.

Il dottor Fileno vuole il narratore di usarlo come un protagonista in una delle sue novelle. Le sue ragioni sono due. In primo luogo osserva che la protagonista di un’opera di finzione potrebb’essere immortale.

Nessuno può sapere meglio di lei, che noi siamo esseri vivi, piú vivi di quelli che respirano e vestono panni; forse meno reali, ma piú veri! Si nasce alla vita in tanti modi, caro signore; e lei sa bene che la natura si serve dello strumento della fantasia umana per proseguire la sua opera di creazione. E chi nasce mercé quest’attività creatrice che ha sede nello spirito dell’uomo, è ordinato da natura a una vita di gran lunga superiore a quella di chi nasce dal grembo mortale d’una donna. Chi nasce personaggio, chi ha l’avventura di nascere personaggio vivo, può infischiarsi anche della morte. Non muore piú! Morrà l’uomo, lo scrittore, strumento naturale della creazione; la creatura non muore piú! E per vivere eterna, non ha mica bisogno di straordinarie doti o di compiere prodigi. Mi dica lei chi era Sancho Panza! Mi dica lei chi era don Abbondio! Eppure vivono eterni perché – vivi germi – ebbero la ventura di trovare una matrice feconda, una fantasia che li seppe allevare e nutrire per l’eternità.

Il dottor Fileno poi lamenta che il modo in cui è stato interpretato dall’altro scrittore era insoddisfacente. Dottor Fileno aspira ad essere uno dei grandi personaggi della lettertura, e vuole che il narratore lo aiuta raggiungere il suo obiettivo.

– Ah no? non vede? – fece il dottor Fileno. – Ho forse sbagliato strada? Sono caduto per caso nel mondo della Luna? Ma che razza di scrittore è lei, scusi? Ma dunque sul serio lei non comprende l’orrore della tragedia mia? Avere il privilegio inestimabile di esser nato personaggio, oggi come oggi, voglio dire oggi che la vita materiale è cosí irta di vili difficoltà che ostacolano, deformano, immiseriscono ogni esistenza; avere il privilegio di esser nato personaggio vivo, ordinato dunque, anche nella mia piccolezza, all’immortalità, e sissignore, esser caduto in quelle mani, esser condannato a perire iniquamente, a soffocare in quel mondo d’artifizio, dove non posso né respirare né dare un passo, perché è tutto finto, falso, combinato, arzigogolato! Parole e carta! Carta e parole! Un uomo, se si trova avviluppato in condizioni di vita a cui non possa o non sappia adattarsi, può scapparsene, fuggire; ma un povero personaggio, no: è lí fissato, inchiodato a un martirio senza fine! Aria! aria! vita! Ma guardi… Fileno… mi ha messo nome Fileno… Le pare sul serio che io mi possa chiamar Fileno? Imbecille, imbecille! Neppure il nome ha saputo darmi! Io, Fileno! E poi, già, io, io, l’autore della Filosofia del lontano, proprio io dovevo andare a finire in quel modo indegno per sciogliere tutto quello stupido garbuglio di casi là! Dovevo sposarla io, è vero? in seconde nozze quell’oca di Graziella, invece del notajo Negroni! Ma mi faccia il piacere! Questi sono delitti, caro signore, delitti che si dovrebbero scontare a lagrime di sangue! Ora, invece, che avverrà? Niente. Silenzio. O forse qualche stroncatura in due o tre giornaletti. Forse qualche critico esclamerà: “Quel povero dottor Fileno, peccato! Quello sí era un buon personaggio!”. E tutto finirà cosí. Condannato a morte, io, l’autore della Filosofia del lontano, che quell’imbecille non ha trovato modo neanche di farmi stampare a mie spese! Eh già, se no, sfido! come avrei potuto sposare in seconde nozze quell’oca di Graziella? Ah, non mi faccia pensare! Sú, sú, all’opera, all’opera, caro signore! Mi riscatti lei, subito subito! mi faccia viver lei che ha compreso bene tutta la vita che è in me!

Il narratore rifiuta inizialmente la richiesta del dottor Fileno a causa di una preoccupazione etica; infatti il dottore è la creazione d’un altro scrittore e non sarebbe etico utilizzarlo.

– Si fa scrupolo? – mi domandò, scombujandosi. – Si fa scrupolo? Ma è legittimo, legittimo, sa! È suo diritto sacrosanto riprendermi e darmi la vita che quell’imbecille non ha saputo darmi. È suo e mio diritto, capisce?

– Sarà suo diritto, caro dottore, – risposi, – e sarà anche legittimo, come lei crede. Ma queste cose, io non le faccio. Ed è inutile che insista. Non le faccio. Provi a rivolgersi altrove.

– E a chi vuole che mi rivolga, se lei…

– Ma io non so! Provi. Forse non stenterà molto a trovarne qualcuno perfettamente convinto della legittimità di codesto diritto. Se non che, mi ascolti un po’, caro dottor Fileno. È lei, sí o no, veramente l’autore della Filosofia del lontano?

L’ultima parola della novella appartiene al narratore:

– Si lamenta del suo autore; ma ha saputo lei, caro dottore, trar partito veramente della sua teoria? Ecco, volevo dirle proprio questo. Mi lasci dire. Se Ella crede sul serio, come me, alla virtú della sua filosofia, perché non la applica un po’ al suo caso? Ella va cercando, oggi, tra noi, uno scrittore che la consacri all’immortalità? Ma guardi a ciò che dicono di noi poveri scrittorelli contemporanei tutti i critici piú ragguardevoli. Siamo e non siamo, caro dottore! E sottoponga, insieme con noi, al suo famoso cannocchiale rivoltato i fatti piú notevoli, le questioni piú ardenti e le piú mirabili opere dei giorni nostri. Caro il mio dottore, ho gran paura ch’Ella non vedrà piú niente né nessuno. E dunque, via, si consoli, o piuttosto, si rassegni, e mi lasci attendere a’ miei poveri personaggi, i quali, saranno cattivi, saranno scontrosi, ma non hanno almeno la sua stravagante ambizione.

 

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