Riassunto: Il sonno del vecchio

Il sonno del vecchio (L. Pirandello) è una commedia di costume incentrata/focalizzata sulla classe media della società Italiana.

Prima abbiamo visto il Pirandello scrivere commovente (e spesso) sulla vita quotidiana della campagna Italiana, dove c’era una costante lotta, quasi darwiniana, per sopravvivere—o a causa dell’estrema povertà (e la grave privazione di cibo) o a causa della costante minaccia imprevedibile della violenza fisica.

Un estratto da un’altra novella, L’altro figlio (L. Pirandello) permette al lettore di ‘vedere’ e ‘sentire’ la disperazione e la miseria di una vita povera in campagna.

La vecchia Maragrazia bussò, e poi si calò a sedere pian piano sul logoro scalino davanti la porta.

Era la sua sedia naturale; quello, come tant’altri davanti le porte delle casupole di Fàrnia. Lí seduta, o dormiva o piangeva in silenzio. Qualcuno, passando, le buttava in grembo un soldo o un tozzo di pane; ella si scoteva appena dal sonno o dal pianto; baciava il soldo o il pane; si segnava, e riprendeva a piangere o a dormire.

Pareva un mucchio di cenci. Cenci unti e grevi, sempre gli stessi, d’estate e d’inverno, strappati, sbrindellati, senza piú colore e impregnati di sudor puzzolente e di tutto il sudicio delle strade. La faccia giallastra era un fitto reticcio di rughe, in cui le palpebre sanguinavano, rovesciate, bruciate dal continuo lacrimare; ma, tra quelle rughe e quel sangue e quelle lagrime, gli occhi chiari apparivano come lontani, quelli d’un infanzia senza memorie. Ora, spesso, qualche mosca le si attaccava, vorace, a quegli occhi; ma ella era cosí sprofondata e assorta nella sua pena, che non l’avvertiva nemmeno; non la cacciava. I pochi capelli, aridi, spartiti sul capo, le terminavano in due nodicini pendenti su gli orecchi, i cui lobi erano strappati del peso degli orecchini massicci a pendaglio portati in gioventú. Dal mento, giú giú fin sotto la gola, la floscia giogaja era divisa da un solco nero che le sprofondava nel petto cavo.

Le vicine, messe a sedere su l’uscio, non le badavano piú. Stavano quasi tutto il giorno lí, e chi rattoppava panni, chi sceglieva legumi, chi faceva la calza, e insomma, tutte occupate in qualche lavoro; conversavano davanti a quelle loro casupole basse, che prendevano luce dall’uscio; case e stalle insieme, dal pavimento acciottolato come la strada; e di qua la mangiatoja, dove qualche asinello o qualche mula scalpitavano, tormentati dalle mosche; di là, il letto alto, monumentale; e poi una lunga cassapanca nera, d’abete o di faggio, che pareva una bara; e due o tre seggiole impagliate; la madia; e poi, attrezzi rurali. Su le pareti grezze, fuligginose, per unico ornamento, certe stampacce da un soldo, che volevano raffigurare i santi del paese. Per la strada intanfata di fumo e di stalla ruzzavano ragazzi cotti dal sole, alcuni ignudi nati, altri con la sola camicina, a brendoli, sudicia; e le galline razzolavano, e grugnivano, soffiando col grifo tra la spazzatura , i porcellini cretacei.

Ovviamente, quando le circostanze della vita sono tante disperate come queste, ci sarà poco spazio per l’educazione, l’arte, la cultura, il dibattito, le nuove idee, la professionalità (ecc)!

In netto contrasto, la storia di Il sonno del vecchio si svolge in una grande città Italiana. L’attenzione è rivolta della classe media, i cui cittadini sono ben istruiti, e per i quali l’arte, la cultura, la professionalità (ecc) sono una parte essenziale della vita quotidiana.

La novella si concentra in particolare sul funzionamento di un salone, un aspetto importante della classe media nelle città Italiane dal Cinquecento alla prima metà del Novecento.

***

Il salone (Wikipedia)

Un raduno di persone sotto il tetto di un padron/ una padrona, un salone era un posto importante per lo scambio delle idee. La parola ‘salone’ si riferisce a una grande sala d’accoglienza (dei palazzi italiani). La letteratura contemporanea era dominata da nozioni idealistiche di cortesia, civiltà e onestà: i salotti erano al ‘cuore della comunità filosofica’ e, quindi, parte integrante del processo di illuminazione.

Le donne sono state spesso al centro della vita nel salone. Loro avevano un ruolo molto importante: hanno selezionato i ospiti e gli argomenti delle loro riunioni. Hanno anche avuto il ruolo di mediatore, dirigendo la discussione. Alcuni storici sostengono che queste donne erano intelligenti, cioè, autodidatti che hanno adottato e implementato i valori dell’Illuminismo per modellare i loro saloni. Infatti il salone era un’università informale per le donne: erano in grado di scambiare idee, ricevere e dare la critica, leggere le proprie opere, e ascoltare le opere e le idee di altri intellettuali.

***

Questa descrizione di un salone sottolinea il suo contributo importante ad un periodo che è venuto essere conosciuto come l‘Illuminismo. Ciònonostante, e dato che stiamo leggendo il Pirandello, Il sonno del vecchio presenta una vista un po’ meno lusinghiera (cioè, una vista ironica) del funzionamento di un salone: secondo me molto di ciò che viene descritto nella novella è pretenzioso, superficiale e falso. Possiamo anche vedere il potere della celebrità nella società; in un certo senso, la novella abbia prefigurato lo sviluppo e la crescita dei paparazzi in Italia e altrove.

Vittorino Lamanna, il protagonista della novella, è un drammaturgo emergente, che è stato invitato a dare una lettura di una sua commedia per i membri di un salone nella casa dell’Alba Venanzi. Al suo arrivo, la Venanzi informa il Lamanna che un distinto fisico Italiano, Alessandro De Marchis, sarà presente alla lettura questa sera. La Venanzi anche lo informa che ci sarà una breve presentazione dal Casimiro Luna, un importante giornalista Italiano, prima della sua lettura.

Mentre nel salotto della Venanzi ferveva la conversazione in varie lingue su i piú disparati argomenti, Vittorino Lamanna pensava alle due notizie che la padrona di casa gli aveva date, appena entrato. L’una buona, l’altra cattiva. La buona, che alla lettura della sua commedia avrebbe assistito, quel giorno, Alessandro De Marchis, il vecchio venerando che tanta luce di pensiero aveva diffuso nel mondo co’ suoi libri di scienza e di filosofia e che giustamente ora la patria considerava come una delle sue piú fulgide glorie. La cattiva, che Casimiro Luna, il “brillante” giornalista Luna, reduce da Londra, ove si era recato a “intervistare” un giovine scienziato italiano che aveva fatto or ora una grande scoperta scientifica, ne avrebbe parlato nella radunanza, prima che l'”intervista” fosse pubblicata sul giornale della sera.

Il Lamanna è sul punto del successo, e il supporto di un salone potrebbe fornire una spinta significativa alla sua carriera. Veniamo a sapere che il Lamanna è ingenuo; gli manca confidenza ed è nervoso, quindi è preoccupato per la possibilità di una lettura fallita.

Il Luna è un giornalista celebrità. È appena tornato da Londra, dove ha intervistato Guglielmo Marconi, chi ha di recente annunciato l’invenzione della radio; il Marconi è stato giustamente famoso per il suo lavoro e l’intervista, che sarà a presto pubblicato, è un colpo di stato per il Luna.

Apprendiamo anche che il Lamanna e il Luna hanno iniziato le loro carriere a quasi lo stesso tempo. Fino ad oggi il Luna è stato il più successo dei due.

Il Lamanna non invidiava al Luna tutte quelle doti appariscenti, che in pochi anni lo avevano reso il beniamino del pubblico, specialmente femminile; gl’invidiava la fortuna. Prevedeva che tra breve tutti gli sguardi si sarebbero rivolti con simpatia al giornalista effimero, elegantissimo, e che nessuno piú avrebbe badato a lui;

Poi ci viene presentato un pettegolezzo (il Gabrini), vale a dire, qualcuno che conosce tutti i successi, i fallimenti, i foibles e le virtù degli altri.

…e si lasciava vincere a poco a poco dal malumore, al quale, senza bisogno, pareva facesse da mantice un certo signore che la Venanzi gli aveva messo alle costole: un signore arguto, calvo, di cui non ricordava piú il nome, ma che gli ricordava invece quello di tutti gli altri lí presenti, dicendo male di ciascuno.

– Chi vuole, caro signore, che capisca un’acca della sua commedia, tra tutta questa gente qui? Non se ne curi, però. Basterà si sappia che lei l’ha letta nel salotto intellettuale della Venanzi. Ne parleranno i giornali. Il che, al giorno d’oggi, vuol dire tutto. La maggior parte, come vede, sono forestieri che spiccicano appena appena qualche parola d’italiano. Non sanno bene come si scriva la parola soldo, ma s’accorgono subito adesso se il soldo è falso, e sanno meglio di noi che vale cinque centesimi. L’industria dei forestieri? Idea sbagliata, caro signore! Perché…

Una delle funzioni di un salone è servire come un nexus, cioè, un luogo dove i collegamenti sono realizzati tra gli artisti emergenti ei ricchi patroni.

Venne, per fortuna, la signora Alba Venanzi a liberarlo da quel tormento. Era entrata nel salotto la marchesa Landriani, a cui la Venanzi lo voleva presentare.

– Marchesa, eccole il nostro Vittorino Lamanna, futura gloria del teatro nazionale.

– Per carità! – disse Vittorino Lamanna, arrossendo, inchinandosi e sorridendo.

Come già detto, una lettura a casa della Venanzi potrebbe fare (o distruggere) la carriera del Lamana. In questo caso, la potenziale patrona, la marchesa Landriani, non sembra essere una figura affascinante / ammirevole: il potere e il rispetto che comanda lei sembrano essere derivati esclusivamente dalla sua ricchezza. (es.) Quello che segue è la prima conversazione (superficiale) tra il Lamana e la marchesa:

La vecchia e grassa marchesa Landriani, dall’aria perennemente stordita, stava a togliersi dal naso gli occhiali a staffa azzurri e, prima d’inforcarsi quelli chiari, rimase un pezzo con gli occhi chiusi e un sorriso freddo, rassegato sulle labbra pallide.

– Conosco, conosco… – disse, molle molle. – Mi ajuti a rammentare dove ho letto di recente roba sua.

– Mah, – fece il Lamanna, compiaciuto, cercando nella memoria. – Non saprei.

E citò una o due riviste, dove aveva di recente stampato qualche cosa.

– Ah, ecco, sí. Bravo! Non ricordavo bene. Leggo tanto, leggo tanto, che poi mi trovo imbarazzata. Sí sí, appunto. Bravo, bravo.

E lo guardò con le lenti chiare, e col sorriso freddo rassegato ancora sulle labbra.

Poi il pettegolezzo informa il Lamanna che la Marchesa è insincera.

– Quella lí? – diceva, poco dopo, all’orecchio del Lamanna il signore calvo, che evidentemente lo perseguitava. – Quella lí? Una talpa, caro signore! Non conosce neppure l’o. E non di meno, va ripetendo che conosce tutti, che ha letto roba di tutti. Lo avrà detto anche a lei, scusi, non è vero? Non ci creda, per carità! Una talpa di prima forza, le dico.

Arriva il Luna in questo momento. Anche se l’ha incontrato prima, il Luna sceglie di riconoscere a malapena la presenza del Lamanna. Il lettore ha la sensazione che la serata sarà una competizione tra tutt’e due.

Entrò, in quel momento, Casimiro Luna. Vittorino Lamanna lo conosceva bene, fin da quand’era, come lui, un ignoto. Ragion per cui il Luna lo degnò appena d’un freddissimo saluto.

– Miro! Miro!

Lo chiamavano tutti per nome, cosí, di qua e di là, ed egli aveva un sorriso e una parola graziosa per ciascuno. Accennò di ghermire una rosa dal seno d’una signora e poi egli stesso fece un gesto di stupore e d’indignazione per la sua temerità, e la signora ne rise, felicissima. La padrona di casa non ebbe bisogno di presentarlo a nessuno. Lo conoscevano tutti.

A questo punto, il Lamanna ha un’opportunità di riflettere sullo stato della sua vita e carriera. Lui è deluso e domande il valore dei suoi sforzi.

Nel vederlo cosí vezzeggiato e incensato, Vittorino Lamanna pensava quanto facile dovesse riuscire a colui il far valere quel po’ d’ingegno di cui era dotato, quanto facile la vita. “Vita?” domandò tuttavia a se stesso. “E che vita è mai quella ch’egli vive? Una continua stomachevole finzione! Non uno sguardo, non un gesto, non una parola, sinceri. Non è piú un uomo: è una caricatura ambulante. E bisogna ridursi a quel modo per aver fortuna, oggi?” Sentiva, cosí pensando, un profondo disgusto anche di sé, vestito e pettinato alla moda, e si vergognava d’esser venuto a cercare la lode, la protezione, l’ajuto di quella gente che non gli badava.

Questo è un paragrafo critico! In un certo senso, il Pirandello sembra dirci che, anche se le circostanze sono molto diverse, la vita quotidiana per la classe media non è tanto migliore della vita quotidiana altrove nella società Italiana, cioè, le vite dei poveri nella campagna.

A questo punto della storia, il salone diventa completamente silenzioso per rispetto del Alessandro De Marchis, che è appena arrivato. Il De Marchis è debole e debilitato… lui è il vecchio del titolo della novella.

A un tratto, nel salotto si fece silenzio e tutti si volsero verso l’uscio, in attesa. Entrava, a braccio della moglie, Alessandro De Marchis.

Ansava il grand’uomo, tozzo e corpulento, dal testone calvo, sotto la cui cute liscia giallastra spiccava la trama delle vene turgide. La moglie coi capelli fulvi, pomposamente acconciati, lo sorreggeva, diritta, tronfia, e guardava di qua e di là, sorridendo con le labbra dipinte.

Tutti si mossero a ossequiare.

Alessandro De Marchis, lasciandosi cadere pesantemente sul seggiolone preparato apposta per lui, sorrideva con la bocca sdentata, senza baffi né barba, ed emetteva, tra l’ànsito che gli davano la pinguedine e la vecchiaja, come un grugnito, e guardava con gli occhi quasi spenti, scialbi, acquosi.

Il De Marchis ha dato un contributo significativo alla società Italiana ed sembra essere giusto di venerarlo per il suo lavoro. Tuttavia, il Pirandello fa di lui una figura comica (forse al fine di prendere in giro l’ossequiosità degli altri nella stanza): è chiaro che il De Marchis non è più in possesso delle sue facoltà.

Ma subito un vivissimo imbarazzo si diffuse nel salotto: tutti gli occhi, appena guardavano al grand’uomo, si voltavano altrove, schivandosi a vicenda.

La De Marchis, infocata in volto, contenendo a stento il dispetto, accorse presso il marito, gli si parò davanti, vicinissima, e gli disse piano, ma con voce vibrata:

– Alessandro, abbottonati! Vergogna!

Il povero vecchio si recò subito la grossa mano tremante, ove la moglie imperiosamente con gli occhi gl’indicava, e la guardò quasi impaurito, con un sorriso scemo sulle labbra.

Il Luna inizia la sua presentazione. Quasi immediatamente, il De Marchis si addormenta.

Poco dopo, mentre Casimiro Luna riferiva “brillantemente” il suo colloquio col giovine inventore italiano sulla famosa scoperta, un’altra impressione piú penosa della prima dovettero provare i convenuti nel salotto della Venanzi, guardando il vecchio glorioso.

Alessandro De Marchis, che era pure un celebre fisico, i cui libri senza dubbio quel giovine inventore italiano aveva dovuto studiare e consultare, Alessandro De Marchis s’era messo a dormire, col testone reclinato sul petto.

Il Lamanna è il primo a notare che il De Marchis si è addormentato. Si accorge a causa della sua ansietà per la sua lettura, cioè, immagino che lui analizzi la stanza per prepararsi per la lettura.

Vittorino Lamanna fu tra i primi ad accorgersene, e si sentí gelare. Casimiro Luna seguitava a parlare; ma, a un certo punto, seguendo lo sguardo degli altri, e vedendo anche lui il De Marchis immerso nel sonno, atteggiò il volto di tal commiserazione che a piú d’uno scappò irresistibilmente un breve riso subito soffocato.

Poi il pettegolezzo sussurra un’osservazione caustica.

– Ma a ottantasei anni, scusi, – osservò piano, all’orecchio del Lamanna, quello stesso signore arguto, – a ottantasei anni, davanti alla soglia della morte, che può piú importare, caro signore, ad Alessandro De Marchis che Guglielmo Marconi abbia scoperto il telegrafo senza fili? Domani morrà. È già quasi morto. Lo guardi.

E poi la Venanzi segnala il Lamanna di unirsi in una sala adiacente al salone. Lei sembra di capire lo stato ansioso del Lamanna e sembra di volere rafforzare la sua confidenza.

Vittorino Lamanna, pallido, alterato, si voltò per dirgli sgarbatamente che si stesse zitto; ma incontrò lo sguardo della Venanzi che gli fece un cenno, levandosi e uscendo dal salotto. Si alzò anche lui poco dopo, e la seguí nel salottino accanto.

La trovò, che accendeva una sigaretta, traendo con voluttà le prime boccate di fumo.

– Fumate, fumate, Lamanna, fumate anche voi, – gli disse, presentandogli una scatola di sigarette. – Non ne potevo piú! Se non fumo, muojo.

È ovvio sia alla Venanzi che al Lamanna che la presentazione del Luna è un successo.

Arrivò dal salotto, attraverso la vetrata, un fragoroso scoppio di risa.

– Caro, caro, quel Luna! Sentite? Trova modo di far ridere anche parlando di una scoperta scientifica. Speriamo che si svegli! – sospirò poi, alludendo al De Marchis. – Chi sa come deve soffrirne quella povera Cristina!

La Venanzi spiega che la Cristina, la moglie del De Marchis, che è più giovane (e una volta era naturalmente bellissima), si è sposata solo a causa dei vantaggi che gliela offre il De Marchis. Lei non ama suo marito (ha un amante). Ciònonostante sembra chiaro che il De Marchis sia troppo debilitato per prendere o preavviso o cura.

– Cristina? – domandò, accigliato, Vittorino Lamanna.

– La moglie, – spiegò la Venanzi. – Non l’avete veduta? È tanto bella! Forse ora s’ajuta un po’ con la chimica. Ah, è stato un vero peccato sacrificare alla gloria di quel vecchio tanta bellezza! Calcolo sbagliato! Il vecchio glorioso se ne sta lí, come vedete, abbandonato dalla vita, dimenticato dalla morte. La povera Cristina, evidentemente, contò che, sí, il sacrifizio della sua bellezza alla gloria non sarebbe durato tanto, e che la luce di questa gloria avrebbe poi illuminato meglio la sua bellezza. Calcolo sbagliato! E ora, poverina, vuol cavare dalla gloria a cui s’è sacrificata tutte quelle magre soddisfazioni che può: si trascina il marito dappertutto; per miracolo non si appende al collo le innumerevoli decorazioni di lui, nazionali e forestiere. Il vecchio però, eh! il vecchio se ne vendica: dorme cosí dappertutto, sapete! Dorme, dorme. Ed è già molto che non ronfi!

Il De Marchis inizia a russare! Il Lamanna è agitato a causa di ciò che un ex mentore ha detto che significa quando un membro del pubblico si addormenta.

Vittorino Lamanna sentí cascarsi le braccia. Pensò alla prossima lettura della sua commedia, mentre il vecchio dormiva; pensò al detto di un celebre commediografo francese: che durante la lettura o la rappresentazione d’un dramma, il sonno debba esser considerato come un’opinione, e si lasciò scappare dalle labbra:

– Oh Dio! E allora?

La Venanzi tenta di rassicurarlo: lei afferma che ha un piano per mantenere sveglio il De Marchis.

La Venanzi, a questo ingenuo sospiro, scoppiò a ridere, proprio di cuore.

– Non temete, non temete! – gli disse poi. – Procureremo di tenerlo sveglio. Ma già, vedrete che non ce ne sarà bisogno. L’arte vostra farà da sé il miracolo.

– Ma se mi dice che dorme sempre!

– No: sempre sempre poi no! Se mai, però, gli metteremo accanto il Gabrini: sapete? quello che vi tormenta. Me ne sono accorta. Ah, il Gabrini è terribile! Capacissimo d’allungargli sotto sotto qualche pizzicotto. Lasciate fare a me!

In questo momento arriva Flora, la bellissima figlia della Venenzi. Flora informa la madre che la Cristina ha abbandonato il De Marchis (probabilmente per incontrare il suo amante).

Entrò in quel momento Flora, la bellissima figliuola della Venanzi, a chiamare la madre. Casimiro Luna aveva finito d’esporre la sua “intervista” ed era scappato via.

La Venanzi carezzò la splendida figliuola alla presenza del giovanotto, le ravviò i capelli, le rassettò sul seno ricolmo le pieghe della camicetta di seta. Flora la lasciò fare, sorridente, con gli occhi rivolti al giovine; poi disse alla madre:

– Sai che donna Cristina è andata via anche lei?

La Venanzi reagisce con rabbia.

La madre allora s’adirò fieramente.

– Via? E mi lascia lí quel mausoleo addormentato? Ah! È un po’ troppo, mi pare! Dov’è andata?

– Mah! – sospirò la figlia. – Ha detto che ritornerà tra poco.

Poi si volse al Lamanna e aggiunse:

– Non dubiti: glielo sveglio io, or ora, con una tazza di tè.

Finalmente il Lamanna inizia la sua lettura.

Preso il tè, rimase sveglio. Vittorino Lamanna, che già si disponeva alla lettura, accolse in sé la lusinga che la sua commedia avrebbe veramente incatenato l’attenzione del vecchio, come la Venanzi gli aveva lasciato sperare, e lesse a voce alta il titolo: Conflitto.

Lesse i personaggi, lesse la descrizione della scena, e volse una rapida occhiata al De Marchis.

Esilarante, lo spettacolo teatrale è una commedia che descrive una situazione che rispecchia la vita del De Marchis! (Il protagonista è un vecchio d’eta 86 anni con una moglie infedele.)

Questi se ne stava ancora con le ciglia corrugate e pareva attentissimo. Il Lamanna si raffermò in quella lusinga, e cominciò a leggere la prima scena, tutto rianimato.

S’era proposto di rappresentare un conflitto d’anime, diceva lui. Un vecchio benefattore, ancor valido, aveva sposato la sua beneficata; questa, presa poco dopo d’amore per un giovane, si dibatteva tra il sentimento del dovere e della gratitudine e il ribrezzo che provava nell’adempimento de’ suoi doveri di sposa, mentre il suo cuore era pieno di quell’altro. Tradire, no; ma mentire, mentire neppure!

In altre parole, “Conflitto” è una commedia di costume all’interno di una novella che è una commedia di costume!

Il De Marchis rimane sveglio… il suo coraggio gonfiato, il Lamanna si chiede se questo sia perché il vecchio empatizza con la storia dello spettacolo teatrale!

Orbene, chi sa! il De Marchis forse avrebbe potuto intravedere in quella situazione drammatica un caso simile al suo, e avrebbe prestato attenzione fino all’ultimo. E il Lamanna seguitava a leggere con molto calore.

Abbastanza presto (naturalmente) il De Marchis si addormenta! Appena questo accade, il Lamanna perde la sua compostezza e la lettura è un completo fallimento.

– A ottantasei anni, davanti alla soglia della morte… – gli parve di leggere in quello sguardo; e subito sentí tutto il sangue affluirgli alle guance, dalla stizza; si confuse, s’impappinò, perdette il tono, il colore, la misura; e, con un gran ronzío negli orecchi, in preda a una esasperazione crescente di punto in punto, strascinò miseramente la lettura del suo lavoro fino alla fine.

Fu un supplizio per lui e per gli altri, che parve durasse un secolo. Finito, non vide l’ora di trovarsi solo in casa per lacerare in mille minutissimi pezzi quel suo atto unico, ch’era stato per lui strumento d’indicibile tortura.

La serata volge al termine e la Venanzi e la Flora rivedere cos’è successo. Cristina non è tornata, e il povero De Marchis decide di prendere una vettura per tornare da solo a casa.

Come le donne aiutano il De Marchis per la strada, la Venanzi rivolge la sua attenzione alla figura della Flora: la madre spera che la figlia cadrà in amore e sposarsi.

Riuscí finalmente a tirarsi sú; guardò Flora; le accarezzò una guancia.

– Sei un po’ sciupatina, – le disse. – Bellina mia, che cos’è? facciamo forse all’amore?

Flora poi chiede al De Marchis la sua opinione del amore. Il De Marchis, ignaro, parla nelle banalità.

Flora, senza arrossire, alzò una spalla e sorrise.

– Che dice mai, senatore!

– Male! – riprese allora il De Marchis. – A diciannove anni bisogna fare all’amore. E credi pure che non c’è niente di meglio, bellina mia.

Esce il De Marchis.

Si accostò lentamente a una mensola, per tuffar la faccia in un gran mazzo di rose; poi, ritraendola, sospirò:

– Povero vecchio…

Scese pian piano, a gran fatica, la scala, appoggiato al cameriere; si mise in vettura e poco dopo si addormentò anche lí, senza il piú lontano sospetto che la sera, nelle “note mondane”, tutti i giornali piú in vista avrebbero parlato di lui, del suo grande compiacimento per i trionfi di Guglielmo Marconi, della sua vivissima simpatia per Casimiro Luna e anche della sua paterna benevolenza per Vittorino Lamanna, giovane commediografo di belle speranze.

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