Riassunto: L’ombra del rimorso

Inizia il meraviglioso L’ombra del rimorso (L. Pirandello) così:

– Sono venuto, – si lamentò dalla soglia Bellavita, con quell’esitazione di chi si butta a parlare e poi, incerto, si trattiene, – sono venuto, perché l’ho capito, sa? il cuore a Vossignoria…, il cuore non le regge più… a venire da me… L’ho capito!

Il primo paragrafo introduce il lettore al Bellavita, il protagonista. Il suo nome è ironicissimo, dato che il suo mondo ha già crollato, in seguito alla morte della moglie, Teresina, 6 giorni prima.

La descrizione di Bellavita suggerisce che lui sia un uomo che rimane incerto di se stesso e, al tempo stesso, un uomo alla ricerca della risposta a una domanda: veniamo a sapere che Bellavita è andato a trovare un uomo, il notaio Denaro (un nome giusto e ironicisissimo), che piange anche la morte della Teresina (la moglie di Bellavita); Bellavita si cheide se, per questo motivo, il Denaro abbia smesso di venire al caffè che Bellavita e Teresina avevano posseduto e gestito. (Forse una visita al caffè sarebbe stato semplicemente troppo doloroso per il notaio da sopportare / reggere?)

Il notaio Denaro, senza indizii, è infelice di vederlo. Tuttavia, lo invita a casa.

Ricomposto appena dallo scatto d’ira all’annunzio di quella visita, il signor Notajo, dal tavolino innanzi al quale stava seduto nella sua stanza da letto, accennò di sì col grosso capo calvo, ma senza saper bene perché. (Il cuore? che aveva detto?) E invitò con un cenno della mano il visitatore a introdursi, a sedere.

Bellavita ha portato suo figlio Michelino alla visita. Michelino saluta il Denaro, e tutt’e due trascorrono del tempo insieme, mentre Bellavita aspetta in un’altra stanza. Il lettore arriva a capire che il dolore di Bellavita è intensamente sentito e profondo. Apprendiamo anche che uno dei motivi della visita è quello di alleviare Bellavita della disperazione e il dolore che si sente a causa della morte di Teresina: una visita permette Bellavita di lasciare casa sua — un atto fisico — e gli da l’opportunità di condividere il dolore con qualcun altro.

Forse, a casa sua, si sarebbe buttato giù, nella disperazione di quel cordoglio. Ma siccome qua la commiserazione che il signor cavaliere poteva accordargli non doveva occupar soverchio posto nello stesso e certo non men disperato cordoglio da cui doveva essere straziato anche lui in quel momento, gli parve anche troppo toccar così col sedere appena appena quella punta di seggiola.

Il notaio Denaro è un membro della classe media. (Ha un orologio da taschino in oro. Abbiamo letto prima che un notaio ha infatti servito come un usuraio, una funzione spesso essenziale per una piccola città, e che questo tipo d’attività potrebbe essere molto redditizio.)

Poi il Pirandello fornisce al lettore uno scorcio iniziale dell’opinione di Bellavita del notaio Denaro. Bellavita guarda nei suoi occhi e vede l’angoscia a causa della morte di Teresina. Ci viene detto che Bellavita rispetta il Denaro; è anche grato di conoscere qualcuno che capisce e che condivide il dolore che si sente.

Rimase Bellavita un pezzo a contemplare con occhi gravi e densi d’angoscia la calvizie paonazza del signor Notajo, emergente là dalle braccia conserte. Se il rispetto non l’avesse trattenuto, si sarebbe accostato in punta di piedi a deporre un bacio di convulsa gratitudine su quella calvizie, tanto il doloroso raccoglimento del signor Notajo gli era di balsamo al cuore. Se ne sentiva proprio beato, quasi gliela desse a pascere lui tutta quella pena commovente in cui lo vedeva sprofondato, come il latte del suo seno una mamma al suo bambino.

Bellavita è venuto in parte a spiegare gli accordi che ha fatto lui per il funerale di Teresina. Ha ordinato i fiori e anche tre messe commemorative in una chiesa. La spiegazione di questi accordi è molto effusiva e molto rispettosa, quasi al punto d’essere ossequiosa.

Penso che sia importante notare che il Denaro ha pagato per queste spese, e apprendiamo che il Denaro si arrabbia una volta che capisce lo scopo di ciò che ha fatto Bellavita. Per esempio,

– E poi le feci collocare tutte e due sul carro funebre, signor Cavaliere. La sua e la mia. Accanto. Tanto, tanto belle, se Vossignoria le avesse vedute! Parlavano.

– Chi parlava?

– Quelle due corone, signor Cavaliere.

La faccia paonazza del Notajo, alzata, come recisa e posata lì sul piano del tavolino, diventò livida dalla stizza.

– Spero, – disse, – che nel nastro non avrai fatto scrivere il mio nome!

…e questo:

– Poi? – domandò di nuovo il Notajo.

– Poi, – riprese tra il pianto Bellavita, – tre messe ho fatto dire alla sant’anima: una per lei, una per me, una per Michelino.

Michelino si scosse, invanito dalla bella notizia che una messa… oh! anche per lui? e fece per ripassarsi la mano sulla giacca; ma interruppe il gesto vedendo sorgere in piedi il signor Notajo.

– Mi dirai quanto hai speso!

In risposta a questo sfogo Bellavita fa ricordare il Denaro la profondità del suo dolore.

– Signor Cavaliere…

– Mi dirai quanto hai speso! – ribatté forte, con esasperazione, il Notajo.

Bellavita strinse tra i denti il labbro per impedire uno scoppio di singhiozzi, ma le lagrime gli piovvero dagli occhi.

– Pe… per carità, – barbugliò. – Mi… mi vuol dare anche questo dolore?

(A questo punto, ammetto che mi chiedo se Bellavita abbia manipolato il Denaro a pagare per le spese funerarie.)

C’è un secondo motivo per la visita. Bellavita vuole sapere se potrebbe avere il permesso del notaio Denaro per consentire Michelino rimandare a scuola, anche se Teresina è morto solo 6 giorni prima. Non ha anticipato la domanda, il Denaro; lui è proprio incredulo, si arrabbia.

Alla fine, Bellavita riuscì a risucchiarsi le ultime lagrime dal naso e riprese:

– Sono venuto anche per Michelino.

– Per Michelino?

– Per domandare a Vossignoria se posso rimandarlo a scuola.

– Dio grande e buono! – esclamò allora il Notajo, levando le pugna al soffitto. – E perché lo domandi a me?

– Ma per sapere se le sembra giusto, dopo sei giorni soltanto.

Con ambo le mani ancora alzate il Notajo fece un gesto violento di noncuranza:

– Ma fa’ quello che ti pare!

Ancora una volta Bellavita (abilmente, penso!) sembra utilizzare il suo dolore per manipolare la conversazione.

– Ah no, – scattò Bellavita, con gravità e anche con risolutezza, a questo punto. – Di Michelino si tratta! E non voglio far nulla, io, senza il consiglio e il consenso di Vossignoria. Il ragazzo soffre a star solo in casa con me. Vede come s’è ridotto in sei giorni, povera creatura? Ma io non so far altro che piangere, piangere, piangere…

E di nuovo, giù lagrime, a fontana.

Che cosa si sente il notaio Denaro? Quali sono le sue emozioni? Mentre le risposte solo diventano gradualmente chiare, entro la fine della novella il lettore capisce che lui è in lutto perché era l’amante di Teresina. Il Denaro è molto a disagio in presenza di Bellavita… (ovviamente, secondo me, a causa del tradimento; se ci sia più di questo, Pirandello ha scelto di non spiegarci). Questo misto di tristezza e (forse) di colpa potrebbe spiegare perché il notaio Denaro ha accettato di pagare per le spese funerarie.

Eventualmente, diventa anche chiaro che Bellavita capisce come provocare il Denaro: costringendolo a trascorrere del tempo con Michelino e con lui stesso, il Denaro viene ricordato continuamente delle due vite colpite dal tradimento.

Bellavita ha un terzo motivo per la visita. Nei 6 giorni dopo la morte di Terasina, oltre al dolore che si sente, Bellavita è stato evitato ed emarginato dai suoi vicini, e anche sottoposto alla calunnia e al ridicolo. Tale trattamento è mistificante: perché hanno scelto di trattarlo con tanta crudeltà in questo momento??

A un tratto, soffocato, arrangolando, balzò in piedi e andò a buttarsi addosso al Notajo, disperatamente.

– Ah, signor Cavaliere, – gridò, – per carità, signor Cavaliere, abbia considerazione di me! Non m’abbandoni, non m’abbandoni in questo momento, signor Cavaliere! Tutti mi disprezzano per causa sua; tutti ridono di me; di questo mio stesso lutto! Lei solo mi può e mi deve compatire! Lei che sa il sentimento mio! Lei che sa che non ho voluto mai nulla da Lei! Un po’ di considerazione soltanto, per il rispetto che le ho sempre portato; un po’ di considerazione per la mia disgrazia, per la nostra disgrazia, signor Cavaliere!

Così, secondo me, il terzo motivo è quello di accendere una luce sul maltrattamento che l’ha ricevuto; vuole chiedere al Denaro sia per consiglio (una spiegazione) e supporto… e, sicuramente, per ricordargli di quello che ha fatto.

Il terzo motivo, ovviamente, provoca Il Denaro,

E lo guardò, in così dire, da vicino, così affitto affitto e con certi occhi così smarriti e atroci, da pazzo, che al Notajo passò la tentazione di tirargli una spinta per levarselo d’addosso e mandarlo a schizzar lontano.

Quasi non gli parve vero. Provò schifo nel sentir la magrezza di quelle braccia sotto la stoffa pelosa dell’abito ritinto, nella violenza che facevano per aggrapparglisi al collo in quella convulsione di pianto. E con questo schifo nelle dita, si voltò verso la finestra chiusa della stanza, come per cercare uno scampo. Chi sa perché, in quella finestra notò subito la croce che nella vetrata formavano le bacchette di ferro arrugginite. E, nello stesso tempo, una strana relazione avvertì tra l’orribile peso di quell’uomo che gli piangeva sul petto e tutta la solinga tristezza della sua vita di vecchio scapolo grasso, quale ora gli appariva evidente dai vetri sudici di quella finestra sul cielo bigiognolo della mattinata autunnale.

Per sottrarsi a quell’incubo, si mise a esortare il piangente a farsi animo: gli promise che non l’avrebbe abbandonato; che sarebbe andato a trovarlo a casa; come prima, sì!

…e poi Bellavita infila il coltello tra le costole del Denaro e torce:

– Ma Teresina… Teresina, signor Cavaliere… Teresina, non la troverà più! Non le reggerà il cuore, a Vossignoria…

– Se ti dico che verrò! Verrò, verrò…

E così alla fine riuscì a mandarlo via.

Rimasto solo, stette per più di cinque minuti ad aprire e chiudere le mani, tutto vibrante, congestionato, e a muggire, a fischiare, a gridare in tutti i toni:

– Perdio… perdio… perdio…

Naturalmente non ritornano il Denaro ei suoi amici al caffè di Bellavita.

Ma né il Notajo venne, né nessuno dei suoi amici, che prima solevano passar là nel caffeuccio le mezze giornate a conversare, a leggere i giornali, a giocare a carte.

Bellavita, ancora e ancora, torna a casa del Denaro. La sua persistenza, data la natura profonda del suo dolore è notevole. L’ossequiosità, il dolore, il rispetto, il figlio — il metodo è attentamente ripetuto ogni visita.

Solo dopo quattro o cinque di quelle visite, cominciò a comprendere che esse non erano bene accette al Notajo. Non disse nulla. Aggiunse al pianto, sempre vivo per la morte della moglie, altro pianto per questo nuovo dolore, e diradò un poco le visite. Quando andava, mandava dentro lo studio del Notajo Michelino, e lui si sedeva silenzioso e con gli occhi chiusi nell’anticamera, lì accanto alla bussola di panno verde ingiallito con l’occhio opaco nel mezzo. A poco a poco le palpebre gli si gonfiavano di pianto, e le lagrime gli gocciolavano grosse e spesse per le guance scavate. Il naso, pieno anch’esso di lagrime, gli veniva di soffiarselo forte; se lo soffiava piano, per non disturbare; piano piano… E di tutta quella sua delicatezza non rimeritata s’inteneriva angosciosamente; e quell’angosciata tenerezza gli si scioglieva subito in un nuovo e più urgente sgorgo di lagrime.

Bellavita vuole costringere il rapporto tra il Denaro e Michelino. In questo, riesce ad irritare sia il ragazzo e l’uomo.

– T’ha baciato, di’, t’ha baciato? – domandava subito a Michelino, accorrendo come un assetato, appena lo vedeva uscire dallo studio.

Michelino alzava le spalle, seccato, non comprendendo il perché di quell’ansiosa, insistente premura del padre di sapere che cosa gli avesse detto e fatto il Notajo.

– Non t’ha baciato?

– M’ha fatto così, – rispondeva alla fine Michelino, passandosi celermente una mano sui capelli irsuti.

– E nient’altro?

– Nient’altro.

Poi … una rivelazione. In aggiunta al suo dolore, apprendiamo che Bellavita è pro_fon_da_men_te arrabbiato! Il tradimento, la morte di Terasina, i maltrattamenti dai suoi vicini hanno causato il suo mondo a crollare… sembra vero che la sua rabbia sia quasi profondo come il suo dolore. (Sicuaramente la rabbia NON è un sentimento d’un uomo timido, ossequioso!)

Nella scaffalatura in fondo le bottiglie dei liquori eran tutte coperte di polvere. E su uno dei piatti della bilancia, sul banco, era rimasto un peso d’ottone, a ricordare l’ultima vendita di dolci fatta dalla moglie, che fino a poco tempo addietro sedeva là, ridente e sfavillante, a quel banco, col nasino bianco di cipria, lo scialletto rosso di seta a lune gialle sul seno prosperoso, i cerchioni d’oro agli orecchi; e ogni sorriso di risposta a ogni sguardo che le fosse rivolto, le scopriva le pozzette alle guance leggermente imbellettate.

Lo aveva ancora nelle narici il profumo di quella donna e gli veniva di serrare i pugni, assalito da una disperata voglia di fracassar quelle vetrine, di rovesciar quelle bottiglie, che gli esasperavano insopportabilmente l’angoscia con la loro simmetrica immobilità di cose che potevano seguitare a esser per sé, là come prima, mentre tutto per lui era finito, finito!

Bellavita ha considerato il notaio Denaro come un amico, qualcuno che era stato solidale. La svolta degli eventi ha reso il tradimento e l’abbandono ancora più difficile da comprendere ed accettare.

E l’infame calunnia ch’egli tenesse su quella bottega di caffè coi denari del notajo Denora; quand’invece, aveva proibito alla moglie d’accettare perfino quello che si dice un fiore dal signor Notajo! Si pigliava i soldi del caffè, quando il Notajo veniva lì con gli amici, proprio perché, a non pigliarseli, gli sarebbe parso di dar troppo nell’occhio; ma Dio sa quanto ne soffriva! Altro che quel poco di caffè, pur fatto con specialissima cura, gli avrebbe dato il sangue delle vene, per la sviscerata gratitudine che gli serbava, della difesa che nei primi tempi del matrimonio il signor Notajo aveva fatto di lui contro la moglie che lo accusava di poco avvedimento, di poco tatto con gli avventori e d’inesperienza anche e di goffaggine; gratitudine poi della pace che il signor Notajo, con la sua tranquilla e circospetta relazione, gli aveva rimesso in famiglia; gratitudine della rivincita che con l’amicizia di lui aveva potuto prendersi su tutti coloro che lo avevano sempre deriso per le sue arie da «persona civile», che sapeva trattare e stare in confidenza coi meglio signori.

Come mai, ora ch’era rimasto così stroncato dalla sciagura, nemmeno uno di essi si faceva più vedere al caffè? Che male aveva fatto al signor Notajo, da esser trattato così dai suoi amici? Se mai qualcuno tra loro due, poteva aver rimorso d’aver fatto male all’altro, quest’uno certamente non poteva esser lui.

Non se ne dava pace, Bellavita. Ne impazziva, parola d’onore, ne impazziva!

Il notaio Denaro non può sostenere più le visite e le provocazioni di Bellavita. Lui ha inventato / escogitato un piano per prendere controllo dell’educazione di Michelino, e quindi ha inviato un collega per spiegare a Bellavita il piano.

– Lasciatemi dire, vi prego. Il Notajo vi propone, caro Bellavita, di mettere il ragazzo in un collegio, a Napoli.

Bellavita sgranò tanto d’occhi, ripiombando nello sbalordimento doloroso, ma col sospetto ormai che il discorso che quel signore era venuto a fargli, nascondeva sotto ogni parola un tradimento preparato dal Notajo.

– A Napoli? – disse. – Il ragazzo? E perché?

– Per dargli una migliore educazione, – rispose subito quegli, come se fosse una cosa chiara per se stessa, evidente. – E si assumerà il Notajo, s’intende, tutte le spese, purché voi consentiate a separarvene.

Bellavita, stordito, resiste con decisione l’idea.

Dapprima ancor quasi smarrito, poi a mano a mano raffermandosi sempre più in quel sospetto che lo riempiva di sgomento e d’indignazione a un tempo, Bellavita cominciò a domandare e a dire:

– E perché? Il ragazzo, qua, studia, signor avvocato; va bene a scuola; io lo tengo d’occhio. Perché il signor Notajo mi propone di mandarlo in un collegio, e così lontano, a Napoli? E io? Ah, non vuol più tenere nessun conto di me, il signor Notajo? Senza il ragazzo, io morrei… Sto morendo io, signor avvocato, sto morendo qua, di crepacuore, abbandonato da tutti, senza sapere perché! Ma che gli ho fatto io, che gli ho fatto, in nome di Dio? Vuol levarmi anche il ragazzo?… No, no, mi lasci dire! Non è vero niente, signor avvocato, che gli sta a cuore l’educazione di Michelino. No. È altro! è altro! E io lo so, signor avvocato, che cos’è! Ma come? Mi parla di spese, lui? osa parlarmi di spese? E quando mai ho ricorso a lui per mantenere il ragazzo come un figlio di signori? Io, coi miei soli mezzi! io! E finché campo, ci penserò sempre io, glielo dica! Non posso mandarlo a Napoli. Ma quand’anche potessi, non vorrei. Perché il signor Notajo mi fa dir questo? Ha forse creduto che gli portavo il ragazzo per averne qualche cosa?

Bellavita è offeso dal piano e dal fatto che il Denaro ha inviato un surrogato. Intende bene che la proposta è stata progettata per liberare il Denaro da ogni ulteriore interazione con lui.

Ma chiaro, veramente, quando fu al dunque, stentò più d’un poco a parlare quell’amico, perché non era mica facile far comprendere a Bellavita il dispetto del Notajo per il suo canino attaccamento. Come spiattellargli in faccia che, con la morte della donna, il Notajo aveva creduto d’essersi liberato dell’incubo di lui, che col ridicolo della sua incredibile mansuetudine, col rispetto ossequioso di cui lo faceva segno davanti a tutti gli amici, con le lodi sperticate che profondeva con chiunque ne parlasse, gli aveva avvelenato il piacere di quell’unica avventura tardiva della sua sobria, riservatissima esistenza?

Ragiona Bellavita che le azioni del Denaro sono responsabili (in varii modi) per il disastro che ha colpito la sua vita.

Poteva mai tollerare il signor Notajo la minaccia di non levarselo più d’attorno, e che egli seguitasse a rispettarlo, a incensarlo, a servirlo davanti a tutti, a dimostrare in tutti i modi, come aveva sempre fatto, che se tanti trattavano con confidenza il signor notajo Denora, non stessero a farsi illusioni, perché il signor notajo Denora aveva in segreto una ragione di speciale intimità con lui, e non avrebbe potuto accordarla ad altri? Legato a lui, per forza, dall’amore per la stessa donna, poteva il signor Notajo seguitare ora a rimaner legato, attaccato a lui dal dolore comune, dal lutto comune per la perdita di lei? Siamo giusti! Era ridicolo! ridicolo! E Bellavita, perdio, doveva capirlo, che, essendo forzato quel primo legame, ora che la morte finalmente lo aveva sciolto, il signor Notajo non aveva più nulla da spartire con lui, perché il dolore, se lo aveva, il lutto, se voleva portarlo per la morte di quella donna, non c’era nessun bisogno che lo avesse e lo portasse in comune con lui. Troppo aveva fatto ridere. Ora basta. Non voleva più.

Poi, Bellavita spiega con precisione come ha sofferto di conseguenza delle azioni del Denaro.

– Ah teme il ridicolo il signor Notajo? Lui, lo teme? Perché io lo rispetto, teme il ridicolo? Lui che per dieci anni mi rese lo zimbello di tutto il paese, teme il ridicolo? Ah, quanto mi dispiace! E per questo vuole disfarsi di me e di Michelino? Perché sono andato a trovarlo a casa col ragazzo e voglio rispettarlo ancora? Quanto me ne dispiace, parola d’onore! Ma se è per questo, ah, signor avvocato, gli dica – la prego – che in casa, io, col ragazzo non andrò più a trovarlo; ma che, quanto a rispettarlo, ah, quanto a rispettarlo non posso farne a meno! L’ho sempre rispettato, quando il rispetto poteva costarmi d’avvilimento e di mortificazione, e vuole che proprio ora, ora che n’ho più bisogno, non lo rispetti più? Mi dica lei come potrei fare a non rispettarlo più, signor avvocato! Non ho mai fatto altro, tutta la vita, e vuole che ora, tutt’a un tratto, non lo rispetti più? Per forza, sempre lo rispetterò, glielo dica! Mi scusi. Me lo insegna lui il mezzo di vendicarmi, e vuole che io non me n’approfitti? Davanti a tutti mi metterò a rispettarlo di più, in modo che tutti vedano e sappiano qual è e quant’è, questo mio rispetto per lui! Me lo può impedire? Appena lo vedo, subito me gli attacco dietro. Mi metto di professione a fare la sua ombra! Sissignore. L’ombra del suo rimorso; di tutto il male che m’ha fatto per tutto il bene che gli ho voluto. Glielo vada a dire. Egli il corpo ed io l’ombra. Mi dà un calcio, e me lo piglio; uno schiaffo, e me lo piglio. Gli faccio anzi tanto di cappello, subito, a ogni calcio che m’allunga, a ogni schiaffo che mi dà. Può andare a dirglielo. Egli il corpo ed io l’ombra.

L’amico cercò in tutti i modi di dissuaderlo, con preghiere, con ragionamenti, con minacce. Bellavita non si rimosse più da quella sua frase:

– Egli il corpo ed io l’ombra.

“Egli e il corpo ed io l’ombra.” In altre parole Bellavita è venuto a rendersi conto che il Denaro (certo con Teresina) è il protagonista della vita crollata sua e che lui, Bellavita, ha subito le conseguenze.

Dato che il suo mondo è crollato e che Il Denaro ha appena proposto di separare Bellavita da suo figlio, completando la distruzione, si può facilmente capire come Bellavita avrebbe potuto crollare /scivolare in uno stato di disperazione. Ma non lo fa. Nel corso del tempo, ha deciso di seguire il Denaro in un modo che non gli permette di dimenticare o di razionalizzare o di nascondere i danni che ha fatto. Bellavita non è più una vittima.

Stava per precipitare nell’abisso della più nera disperazione, ed ecco che aveva trovato, in quelle due parole, un sostegno per fermarsi, per riprendersi. Oh Dio! Poteva anche ridere! Sì. Ecco che già rideva. Aveva tanto pianto; ora poteva ridere. Sì, sì. E avrebbe fatto ridere tutti. Sarebbe stata la sua vendetta. Ogni marito ingannato dalla moglie avrebbe dovuto adottarlo, questo nuovo genere di vendetta: mettersi a rispettare, a venerare, a incensare davanti a tutti, in tutti i modi, l’amante della moglie fino a farlo disperare; riverberargli addosso di continuo il ridicolo della propria mansuetudine, fino a farlo fuggire tra la baja di tutti; e fuggito, ecco, ecco, corrergli ancora dietro, e ancora inchini e riverenze e scappellate, fino a non dargli più un momento di requie. Una volta per uno, pezzo d’ingrato! Non ci aveva mai pensato, lui, che quel suo sincero rispetto era già una vendetta del tradimento, perché avvelenava al signor Notajo il piacere di esso. Motivo di più, ora, per rispettarlo, il signor Notajo che gli aveva aperto gli occhi e che per mezzo di quell’amico gli aveva fatto vedere e toccare con mano quanto ne aveva patito, poverino! Bisognava compensarlo, povero signor Notajo, con altrettanto rispetto, d’ora in poi.

Infatti Bellavita vuole che tutti sappiano. A questo fine, acquista i vestiti nuovi — tutto in nero — per sottolineare il suo dolore. Poi segue il notaio ovunque. Il promemoria è fastidioso e provocatorio.

E Bellavita corse dal suo sarto a ordinargli un nuovo abito da lutto che facesse colpo e saltasse subito agli occhi di tutti per un che di goffo che il sarto ci doveva mettere. Roba da pompa funebre. E camicia nera, solino nero, cravatta nera, bastoncino nero, guanti neri, fazzoletto nero: tutto nero. E poi su, dritto impalato, dietro al signor Notajo, a scortarlo a due passi di distanza, nell’ora che usciva dallo studio per la consueta passeggiata.

La prima volta che prese a scortarlo così, il Notajo notò che la gente che gli veniva incontro si fermava e scoppiava a ridere. Si voltò, e, come scorse Bellavita parato a quel modo, prima allibì, poi si sentì rimescolare tutto e gli corse a petto e gli muggì sotto sotto, accennando di levar la canna d’India:

– Lasciami in pace, Bellavita, o t’accoppo, sai!

Nessuna legge è stata interrotta: il notaio Denaro non è mai minacciata o ferito. Il metodo di vendetta è quello di ricordarlo di ciò che ha fatto, del danno che lui ha causato. In due occasioni, Bellavita è stato battuto da lui ma è rimasto passiva e non violenta.

Ma Bellavita gli restò davanti zitto e con gli occhi bassi; impassibile, come un’ombra. E la gente tutt’intorno, ferma per via, a guardare e a ridere. Per sottrarsi a quelle risa il Notajo riprese ad andar di fretta, e allora Bellavita, dietro, di fretta anche lui. Il Notajo andò a ricorrere al Commissario di polizia; ma al Commissario di polizia Bellavita, quando fu chiamato, rispose che non disturbava nessuno; che la strada non era del signor Notajo e che egli ci camminava per conto suo, vestito così perché gli era morta la moglie. Il Notajo pensò di starsene parecchi giorni in casa, e Bellavita per tutti quei giorni all’ora solita gli passeggiò sotto le finestre come una sentinella. Il Notajo finalmente uscì; e lui, di nuovo, dietro. Un giorno, alla fine, non potendone più, il Notajo gli diede una solenne fiaccata di bastonate; e lui, come aveva detto, se le pigliò; poi, un altro giorno, una tremenda labbrata con la grossa tabacchiera d’argento; e lui, per più d’una settimana, seguitò ad andargli dietro col labbro che gli pendeva come una lingua di cane. Che restava da fare al notajo Denora? Ammazzarlo? Per levarsene la tentazione, e sentendosi per di più stanco e nauseato, sia della professione, sia della inutile vita che conduceva in città, decise di chiuder lo studio e si ritirò a vivere in campagna.

Alla fine della novella Bellavita ha trionfato. Il Denaro è allontanato. Bellavita è accettato ancora una volta dai suoi vicini.

Ha funzionato il metodo di vendetta di Bellavita! Il messaggio della novella è profondamente commovente. Rappresenta, in un senso, una terza via per ottenere vendetta. Il metodo di Bellavita è nettamente diverso da quello che Gesù ci ha insegnato (‘torna l’altra guancia’) e da quello che era (ed è tuttora) comune nel mondo della criminalità organizzata (cioè, per uccidere, mutilare, e minacciare i nemici).

Che modo di speranza per terminare la novella! Il Pirandello lascia pochi dubbi, tuttavia, di come difficile è in realtà il metodo non violento di Bellavita.

Bellavita, trionfante, nella bottega del caffè rammodernata e di nuovo piena di clienti, vantò, finché visse, quel suo nuovo e strepitoso metodo per vendicarsi delle corna. Ma si rammaricava di continuo che, per pochezza d’animo, i tanti cornuti del paese non lo volessero adottare.

***

Di particolare importanza: in questa novella, a mio parere, il Pirandello ha descritto una forma di vendetta non-violenta. Se la mia interpretazione sia corretta, poi segue che Pirandello abbia fatto la sua descrizione prima che una simile forma di protesta e di vendetta sono stata praticata da Martin Luther King e forse da M. Gandhi!

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