Riassunto: Un po’ di vino

Il seguente è un’espressione americana comune:

“Fa schifo la vita, e poi uno muore”.

L’espressione riconosce che la vita può essere dura, cioè, piena di difficoltà, delusioni e frustrazioni. Per lo meno, sembriamo dire che, ci sia di più sulla vita che è difficile (a conti fatti / tutto sommato).

Non sono sicuro di quanto questo sia vero per me. La mia vita finora è ovviamente stata un mix delle esperienze buone e cattive però direi che sono stato fortunato, che la maggior parte della mia vita è stata buona. In altre parole, a conti fatti / tutto sommato ho molte molte ragioni per essere felice, soddisfatto e contento (e per questo, rimango molto grato).

(Allora… in questo mondo ci sono gli altri che hanno una vita peggiore della mia? Ovviamente! Simpatizzo io con questi poveri? Ai momenti, fa spezzare il mio cuore per loro? Sì, certo!!)

Come su di te, cara Paola? Sei contenta con vita tua, a conti fatti / tutto sommato?

***

Un tema ricorrente nelle novelle che abbiamo letto finora è la questione di come gli esseri umani reagiscono alla tragedia. In primo posto abbiamo letto novelle con i protagonisti che combattono / lottano di nuovo — alcuni di loro combattono / lottano con pura aggressività / assertività, mentre ci sono gli altri più furbi. Abbiamo anche leggere novelle con i protagonisti che sembrano rassegnarsi al loro destino: possono usare la fede religiosa (o una filosofia più laica) per spiegare / razionalizzare una circostanza tragica. Finalmente abbiamo letto ancora altre novelle in cui i protagonisti cadono in uno stato di disperazione e molti di questi commetteranno il suicidio.

Nel mondo di Pirandello, le varie risposte allo stress associato con una tragedia sono spesso sia psicologiche e fisiche. Molte novelle sono melodrammatiche, vale a dire, tragicomiche… l’uso d’ironia e la giustapposizione di dolore e umorismo è sfumato, sofisticato, stimolante, e sorprendentemente moderno.

La novella Un po’ di vino sembra estendere l’attenzione del Pirandello sui vari modi in cui ci adattiamo alle difficoltà della vita quotidiana.

(Almeno credo questo sia il significato della novella… confesso che Un po’ di vino era estremamente difficile per me, una vera sfida!)

L’impostazione della novella è una taverna.

Ero entrato in quella Bottiglieria, io che non bevo vino, per far compagnia a un amico forestiere, che pare non possa andare a letto senza il viatico, ogni sera, d’un buon bicchierotto.

La storia è narrata da un uomo che non abbiamo mai incontrato. La storia del narratore ha avuto luogo qualche tempo nel passato, e la narrazione prende la forma d’una reminiscenza. All’inizio della novella, il narratore è andato alla taverna di trascorrere del tempo con un amico che viveva altrove e stava visitando.

(A mio parere la frase di apertura descriva il punto di vista del Pirandello: vuole mostrare come la taverna funziona come un adattamento alle difficoltà / ai disagi della vita quotidiana. In altre parole, penso che la taverna sia un luogo che facilita un fuga dalla realtà, cioè, dal disagio e dalla tragedia e dalle norme della società. Dopotutto, una taverna è uno spazio pubblico in cui c’è l’amicizia, la conversazione, la risata; e dove ci sono i giochi, la musica, le canzone. Naturalmente, c’è anche l’’alcol che rilascia le nostre inibizioni e intorpidisce il nostro dolore… a seconda della dose dell’alcol, o possiamo essere liberati (disinibiti) o possiamo essere stuporosi: fino a quando gli effetti dell’alcol svanire, siamo in grado d’ignorare i nostri problemi.)

La taverna nella novella di certo non era un posto stravagante.

Due sale comunicanti per un’arcata in mezzo: una piú bassa; l’altra, tre gradini piú sú; lugubri tutt’e due, con le pareti a metà coperte da uno zoccolo di legno. La prima, con l’impalchettatura dei liquori, stinta, unta, impolverata, e un vecchio banco di mescita davanti; l’altra, dove c’eravamo messi a sedere, col solo giro di tavolini tozzi verniciati di giallo e quattro lampadine che pendevano dal soffitto, filo e padellina.

Il narratore è arrivato ad incontrare il suo amico di prima sera, e la taverna era quasi vuota.

Di prima sera, non c’era quasi nessuno.

C’era solamente un altro tavolo occupato… da due uomini che erano completamente ubriachi. A dir lo meno questi erano poco sofisticati e rozzi.

Di prima sera, non c’era quasi nessuno. Due, che avevano già asciugato la prima bottiglia, sedevano in silenzio, cupi, col mento sul petto, in un angolo. A un tratto, uno d’essi spalancò la bocca ed emise un suono lungo, a piú riprese, che non finiva piú. L’altro si voltò a ragguardarlo:

– E tu ragli, caro mio, cosí!

Poi si voltò a noi e aggiunse:

– Ma guarda s’è il modo di sbadigliare!

Ha inizialmente reagito con disgusto il narratore. (Più presto si afferma che non beve gli alcolici.) Lui non ho voluto essere in questo luogo e subito ha chiesto al suo amico per finire la sua bibita.

Questo segno sguajato di noja bestiale fece da susta al disgusto che provavo dacché avevo messo piede in quel luogo; m’alzai e gridai al mio amico:

– Sbrígati, per piacere!

Tuttavia, non aveva fretta l’amico: assaporava (ha preso un grande piacere) di bere vino, con evidente infantile abbandono!

Ma il mio amico, posando il bicchiere ancora a metà pieno di quel suo nero aleatico denso come un rosolio, socchiuse gli occhi e ingollò il sorso che aveva tratto con voluttà cosí bambinescamente palese, che subito la stizza che me ne venne si ruppe in una risata. Tornai a sedere, umiliato dalla coscienza che stavo lí a far da mezzano a quella sua voluttà.

(Quindi il piacere dell’amico ha causato il narratore di mettere da parte il suo disgusto, ei due uomini sono rimasti nella taverna.)

Col passare del tempo, sono arrivati più avventori. I primi erano un vecchio cieco accompagnato da una strana giovanotta.

Intanto altri avventori erano venuti. Alcuni, nell’altra sala, giocavano a carte. Venne anche un vecchio cieco, con un occhio che gli sbatteva bianco e quasi ridente da una parte, la chitarra al collo, guidato da una ragazzina magra, con una frangetta di capelli stopposi sulla fronte, pietosissima; ma tutt’a un tratto si mise a cantare, distratta, con una voce quasi non sua e cosí spietata, che sollevò le proteste generali e fu fatta andar via.

(Il perché lei ha scoppiato in canzone non è chiaro.)

Poi è arrivato il marchese, accompagnato da uno (Costantino) che lavorava per la famiglia del marchese.

Al tavolino accanto al nostro s’appressò a un certo punto una strana coppia:

Una strana coppia davvero! La descrizione del marchese è indimenticabile: un vecchio, più morto che vivo, debole che ciònonostante manteneva il comportamento d’un nobile.

un vecchio signore dall’aria molto nobile, impettorito, quasi incadaverito vivo,

La descrizione di Costantino è ancora meglio / più fantastica (!): un giovanotto con una grande testa pelosa, senza collo, un malaticcio volto gonfio, le borse sotto gli occhi, e un’espressione di dolore.

condotto per mano da un giovane cameriere dalla grossa testa capelluta, come posata senza collo sulle spalle, e una faccia da malato, gonfia, con gli occhi bolsi ma dolci tra i peli, occhi che avevano la dolente opacità del turchese.

Per caso Costantino l’ha guidato il marchese ad un tavolo vicino al narratore.

Pieno di riguardosa attenzione per il vecchio signore che si reggeva a stento sulle gambe, senza lasciargli la mano si introdusse tra un tavolino e l’altro, scostò la seggiola e pian piano ve lo posò a sedere come un fantoccio; poi si recò nell’altra sala e ritornò poco dopo con un quartuccio di vinetto biondo che gli pose davanti sul tavolino, e un bicchiere; e se ne andò.

Poi abbiamo ulteriori informazioni sul marchese. In primo luogo il suo aspetto fisico,

Il vecchio rimase lí immobile, con le mani sulle gambe giunte. Aveva una bellissima testa, ma sciupata, da colonnello a riposo; di qua e di là, di traverso, come scritti calligraficamente, due esemplari occhi di pesce; e tutte segnate le guance d’una fitta trama di venuzze violette.

(La prominenza delle vene facciali potrebb’essere intesa come un segno di alcolismo)

…poi i suoi vestiti,

Vestiva bene, di pulita semplicità. Ma che brutto segno e che tristezza quando, o dal taglio o dal colore o dalla qualità della stoffa, si capisce che un abito è di tre o quattr’anni fa, e lo si vede rimasto nuovo nuovo, senza una grinza né una macchiolina, addosso a un vecchio! Guardandolo, si aveva la certezza che egli sarebbe morto con quell’abito di quattr’anni rimasto nuovo, e che forse vi si sentiva già morto dentro.

(Il messaggio sembra essere che il marchese abbia raggiunto la fine della vita e che ha avuto poche nuove risorse alla sua disposizione. Abbiamo il senso che la sua vita è stata su una traiettoria discendente.)

Ad un tratto ha apparso una mosca. Inizialmente è attacato il narratore, che l’ha cacciata via.

Una mosca me ne diede la prova.

Poi la mosca l’ha attaccato il marchese — ostinatamente, voracemente, insistentemente — ma il marchese non l’ha cacciata via, e il narratore si è chiesto se il marchese fosse incapace di farla (per esempio, perché il marchese aveva sofferto un ictus ed era parzialmente paralizzato).

Aveva cominciato a molestarlo ostinatamente, appena lasciato lí sulla seggiola. Ma egli non accennava nemmeno d’alzare una mano per cacciarla. Lí per lí mi nacque il dubbio che non potesse, e da questo dubbio, una smania irrefrenabile, nel veder quella mosca attaccarglisi vorace a certe bollicine di calore che aveva sulla fronte.

Il narratore ha voluto d’aiutare il marchese e stava per cacciare via la mosca quando il marchese ha parlato ad alta voce!

Ero sul punto di cacciargliela io, quand’egli volse pian piano verso di me la sola testa e con un fine e malinconico sorriso mi disse:

– Certe mosche hanno questa natura, che un tale è appena morto, che non si sa che messaggeri hanno: lo sanno subito. E subito, come lo sanno, vengono ad appiccarsi e a bearsi del sudorino della morte.

Questo è un commento straordinariamente perspicace… nel primo posto per quanto riguarda il comportamento normale d’una mosca, poi per quanto riguarda lo stato della sua (il marchese) salute e finalmente per quanto riguarda la capacità del marchese di ‘leggere i pensieri’ del narratore. (Il lettore potrebbe chiedersi a questo punto se il corpo del marchese stiava venendo a mancare mentre la sua mente funzionasse ancora perfettamente?)

Ci restava, alla mente del narratore, una preoccupazione sulla possibilità di una paralisi:

Ora certo non s’è mai dato il caso che un cadavere, steso duro sul letto tra quattro ceri, abbia alzato la mano per cacciarsi una mosca dalla fronte o dal naso. Ma quel vecchio signore, perdio, quantunque all’aspetto incadaverito, stava seduto in una bottiglieria, aveva mosso la testa, mi aveva parlato. Solo le mani pareva non potesse muovere.

Poi il narratore ha cercato di trovare il cameriere per averlo tornare e riempire il bicchiere di vino del marchese; non è riuscito:

E il quartuccio di vino gli restava davanti intatto, lí sul tavolino, col bicchiere vuoto accanto. Cercai con gli occhi nell’altra sala il cameriere, che forse aveva attaccato discorso con qualcuno e s’era dimenticato di venire a servire il padrone; non mi riuscí di scorgerlo;

Dunque il narratore ha allungato la mano per riempire il bicchiere… ma il marchese ha afferato la mano per impedirgli di farlo.

e allora, non reggendo piú alla vista dell’immobilità di quel povero vecchio, allungai la mano alla bottiglia per versargli io il vino nel bicchiere e ajutarlo a bere. Ma con stupore gli vidi alzar subito una mano dalle gambe per trattenere la mia. Sorrise, inchinando appena il capo; rimise a posto la mano e mi disse:

– Grazie, non s’incomodi: non bevo.

Poi il marchese l’ha informato il narratore che non beve più l’alcol e che la bottiglia sul suo tavolo è riempito d’acqua! (Qui, per la terza volta il marchese era in grado di ‘leggere il linguaggio del corpo’ del narratore.)

Lo guardai, sorpreso; guardai la bottiglia, come per domandargli perché allora il cameriere gliel’avesse messa lí davanti; il vecchio signore mi lesse negli occhi la domanda e mi rispose:

– Per finta. Non è vino.

– Non è vino? E che cos’è?

– Niente. Acquetta.

Il marchese hanno indicato che non tollera di più il vino.

Il vino, io, per forte che sia lo bevo, poco, ma pretto. Provi a versarmene un dito di quello del suo amico, e vedrà che cosa avviene.

Tuttavia, il marchese gli ha chiesto il narratore per una piccola quantita di vino; il narratore stava per fornirla quando è intervenuto Costantino.

Incuriosito, presi la bottiglia d’aleatico del mio amico, e stavo per versarne un poco nel bicchiere del vecchio signore, che subito dall’altra sala si precipitò il cameriere, il quale evidentemente stava in agguato, a coprir con la mano il bicchiere e a gemere con esasperazione:

– Signor Marchese!

E poi, rivolto a noi:

– Signori miei, per carità! Chi poi ci va di mezzo sono io!

E se n’andò, portandosi via il bicchiere.

Poi ha espresso un rimpianto il marchese,

Il vecchio signore tornò a sorridere di quel suo fine e malinconico sorriso, tentennando lievemente il capo; poi socchiuse gli occhi e trasse un lungo sospiro.

– Povero Costantino!

…in risposta, il narratore l’ha chiesto una domanda,

Mi parve che non fosse piú il caso di prender la cosa sul serio, e gli domandai:

– Le proibisce di bere, eh?

…e ha risposto/spiegato il marchese che non ha bevuto di più l’alcol all’ordine di suo figlio e per compassione per Costantino, il cameiere.

Mi rispose:

– Non lui; me lo proibisce mio figlio; e non perché gl’importi della mia salute, ma perché io non offenda il decoro del casato con quel po’ d’allegria che mi verrebbe subito da un dito di vin pretto. Costantino berrebbe anche lui volentieri. Non può, pena la morte. Malatissimo. Malatissimo e carico di famiglia, poverino. Mi astengo dal bere per compassione di lui. Sarebbe cacciato via su due piedi, se mi riportasse a casa, non dico brillo, ma appena appena vivace.

Infine il marchese ha spiegato che una volta amava bere, che ha capito bene gli effetti dell’alcol (cosa sarebbe successo quando beveva troppo, per esempio, e quando beveva poco), e come ha utilizzato l’alcol come una fuga dalla tristezza della vita sua.

Oh, creda, non piú che vivace; perché io seguirei sempre, a ogni modo, la buona regola: portarsi, bevendo, né un punto piú sú, né un punto piú giú; ma al punto giusto. Un punto piú sú, il brio trasmoda; un punto piú giú, il brio non s’accende. E se il brio non s’accende, vapora la tristezza. Le porto un paragone. Le torce, caro signore, accese di giorno, in un mortorio. La fiamma, al sole, non si vede. E che si vede invece? Il loro fumighío. Mi spiego?

Fece con un dito in aria il segno di quel fumighío, e si tacque.

Come divagazione/digressione, il narratore ci spiega che, adesso mentre racconta la storia, lui non capisce più quello che il marchese stava dicendo (cioè il suo punto di vista), anche se al momento (nella taverna) pensava che il marchese era ben ragionevole e sensato.

Veramente il paragone, ora che ci ripenso, non aveva quella chiarezza di rapporti che la rettorica stima necessaria perché un paragone riesca efficace; ma in quel punto, detto da lui, con un garbo cosí meticolosamente forbito, esile voce e funebre compostezza, non solo efficacissimo, mi parve il piú calzante e proprio ch’egli potesse portare.

Il narratore ha poi chiesto il marchese perché è venuto a taverna, se non ha più bevuto l’alcol, e perché avrebbe fatto una mostra del vino finto/falso sul tavolo.

Tornai a interessarmi di lui, con nuova e piú viva curiosità e gli domandai perché, non potendo bere, si faceva condurre dal cameriere in una bottiglieria.

Il marchese l’ha spiegato che l’esperienza finta di taverna e di vino era meglio di nessuna esperienza affatto…

– Eh, perché! – sospirò. – Perché io possa vedere qua la mia tristezza (che è tanta!) come una povera mendicante davanti a una porta, che se le fosse appena appena schiusa, la farebbe subito diventare, da cosí nera com’è, una fragola di giardino. Lei è giovane: ama, spera, desidera; vede il mondo come il suo amore, come la sua speranza e il suo desiderio. Ma se per disgrazia se ne votasse, il mondo le diventerebbe subito un altro. E sarebbe perciò allora piú vero di come è adesso che lei ama, spera, desidera? Tutti vini immateriali, codesti. Io vecchio, per vedere ancora sopportabile il mondo, mi mettevo dentro un poco, poco poco, di vino materiale. Mio figlio non vuole piú, per il decoro del casato. E poi c’è questo povero Costantino… Ecco, mi consolo, dandomi qua una prova che questa mia tanta tristezza, sí, ora è vera, ma basterebbe che bevessi un dito di vino, perché non fosse piú. Lei potrebbe obbiettarmi che non sarebbe vera allora neppure la mia allegria, la quale dipenderebbe dal dito di vino che avrei bevuto. E io non le dico di no. Ma torniamo daccapo; che cosa è vero, caro signore? Che cosa non dipende da ciò che ci mettiamo dentro per crearci ora questa e ora quella verità? Ecco, stia a sentire…

(In altre parole un uomo della sua età avrà/prenderà ciò che è possibile / che può ottenere!!)

La novella termina con una descrizione di alcuni avventori ubriachi che saltellavano nelle tavole, totalmente disinibiti nonché ignari agli oneri della vita quotidiana,

Si levava dalle due sale della bottiglieria, che m’era sembrata in principio cosí lugubre, un allegro frastuono. Guardai in giro, e tutti i visi mi parevano cangiati, alcuni schiariti, altri accesi. Quattro signori a un tavolino, ritti sui busti e protesi l’uno verso l’altro, con le teste accoste accoste, intonavano con gran delizia non so che musica, cantando col naso; altri ciarlavano forte, altri ridevano.

…e, sicuramente, con un commento ironico e con un po’ d’irritazione!!

E allora, tornando a guardare il vecchio signore, che s’era ricomposto in quell’orribile immobilità di pulito cadavere seduto, e ripensando a quanto or ora aveva finito di dirmi, mi sentii preso da una profonda pietà. Aveva di nuovo la mosca su quelle bollicine di calore. Mi chinai verso di lui e gli dissi piano:

– Ma scusi, non si potrebbe almeno cacciare codesta mosca dalla fronte?

***

Credo che uno dei messaggi impliciti di Un po’ di vino è legato ai pericoli delle sostanze che danno dipendenza come alcol quando loro sono usati per fuggire dalla realtà. (Nella novella, intravediamo il comportamento di dipendenza dell’ amico del narratore, dei due uomini che sono ubriachi di prima serata, del marchese, del Costantino, e degli avventori che satellano in maniera disinibita alla fine della novella.)

Il fatto è che l’alcol e le droghe non risolvono i problemi che incontriamo nella vita, invece li mascherano solo per brevi periodi di tempo. Poi i problemi ritornano e il ciclo ripete. Il Pirandello sembra dirci che questo possa degenerare rapidamente a un pericoloso stato di dipendenza che possa solo rendere la vita quotidiana più difficile.

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