Riassunto: Dal naso al cielo

Dal naso al cielo (L. Pirandello) prende il lettore su un affascinante viaggio filosofico: ci viene chiesto di considerare l’essenza dell’umanità ed, in particolare, come riconosciamo la verità: in altre parole, i metodi che dovremmo utilizzare e il processo che dovremmo seguire per determinare—mentre cerchiamo di risolvere un problema complesso e intrinsecamente difficile—ciò che è vero contro quello falso.

La novella inizia così:

I pochi ospiti del vecchio albergo in vetta al monte Gajo avevano da una settimana il piacere di sentir parlare il senatore Romualdo Reda.

– Finalmente!

Ci sono due protagonisti:

-Il primo, il senatore Romualdo Reda, è un grande uomo della scienza. Il Reda è rispettato, rigoroso, attento, impegnativo, studioso ed esigente; persegue la verità usando il metodo scientifico. In altre parole, lui si basa le sue scoperte su un processo che primo coinvolge la generazione di un’ipotesi e poi la sperimentazione controllata, cioè, le sue scoperte sono basate su dati che uno può misura, quantifica e analizza.

-Il secondo, il professore Dionisio Vernoni, è un po’ di un ‘showman’/impresario, cioè, un sognatore, un uomo meno rigoroso, un iconclast. Lui è meno interessato su o i dati o la misura delle cose o le sperimentazioni; invece è più interessato su l’immaginazione, l’inventiva, lo stile, la persuasione, il dibattito e l’emozione.

(In un’altra novella che abbiamo letto di recente (I due compari), è scritto questo confronto tra i due protagonisti: “Giglione era l’albero ben radicato; Butticè, l’uccello che gli svolazzava tra i rami cantando.” Gentili lettori, cosa ne pensano? Per lo meno, a questo punto della trama, non sia vero che la personalità del Reda assomiglia il Giglione e che quella del Vernoni assomiglia il Butticè?)

Tutti gli ospiti del vecchio albergo-rifugio sulla cima di montagna sanno che il senatore Romualdo Reda è anche in albergo, e sperano che lui accetterà di parlare con loro (forse gli darà una conferenza). Gli ospiti hanno aspettato 20 giorni o così, senza alcuna indicazione dal Reda del suo interesse.

Ma nessuno degli altri ospiti sa che il Reda è venuto in albergo sulla consulenza dei suoi medici. Mentre al lavoro ha di recente subito ciò che potrebb’essere stato un episodio d’esaurimento; i suoi medici lo hanno consigliato di fare una pausa completa dalle esigenze / richeste e dai rigori della vita professionale.

Da una ventina di giorni lassú, l’illustre chimico, accademico dei Lincei, non aveva ancora scambiato una parola con nessuno. Non si sentiva bene; era stanco; anzi si diceva che ultimamente a Roma era stato colto da un lieve deliquio nella Sala di chimica, dove soleva trattenersi dalla mattina alla sera; e i medici l’avevano addirittura forzato a darsi un po’ di riposo, a interrompere almeno per qualche mese gli studii ch’egli, da vecchio, seguitava con inflessibile tenacia e il solito ispido rigore.

Siamo quindi informati che il Reda è un uomo d’onore, essenzialmente impermeabile / non interessato da molte delle tentazioni della vita quotidiana.

Della stessa tenacia, dello stesso rigore era regolata la sua condotta nella vita. Pregato insistentemente due volte d’accettar la carica di ministro della pubblica istruzione, tutt’e due le volte aveva opposto un reciso rifiuto, non volendo distrarsi dai suoi studii e dai suoi doveri d’insegnante.

Né fisicamente imponente né bello, il Reda sembra essere un vecchio esausto dal suo lavoro.

Piccolissimo di statura, quasi senza collo, con quella faccia piatta, cuojacea, tutta rasa, e quelle pàlpebre gonfie come due borse, che gli nascondevano le ciglia, e quei capelli lunghi, grigi, lisci e umidicci, che gli nascondevano gli orecchi, aveva l’aspetto d’una vecchia serva pettegola.

Mentre all’albergo, il Reda trascorre la migliore parte di ogni giorno seduto fuori, leggendo materiali non scientifici.

Ogni giorno, sul pomeriggio, scendeva su lo spiazzo davanti all’albergo, seguíto da un cameriere che gli recava un grosso fascio di riviste e di giornali o qualche libro; e, su una sedia di giunco a sdraio, s’immergeva per alcune ore nella lettura, all’ombra del maestoso faggio secolare che dominava la vetta.

(Dato che il Reda era estremamente energico da anni, il lettore cominci a sospettare che la salute del Reda potrebb’essere più grave che sappiamo. La sua mancanza d’interesse per coinvolgere gli altri ospiti è coerente con questo sospetto.)

Poi il lettore viene dato alcune informazioni di base sull’albergo-rifugio.

Maestoso, per modo di dire, quel faggio: doveva essere ormai mortalmente seccato di star lassú, esposto a tutti i venti, e dava a veder chiaramente che non apprezzava l’altissimo onore e la fortuna che gli toccava in quei giorni di riparare con le fronde copiose un cosí illustre personaggio. Si sarebbe detto che non se n’accorgeva nemmeno.

Anche l’albergo pareva non si sentisse per nulla onorato d’ospitarlo, e serbava tranquillamente l’aria umile e malinconica di vecchio convento abbandonato. Ma l’albergatore… ah, bisognava vederlo, l’albergatore: aveva subito assunto verso gli altri avventori un sussiego da diplomatico; e i camerieri… anche i camerieri, bisognava vederli, s’erano messi a prestare i loro servizii con un’impagabile sprezzatura, per fare intender bene che non avrebbero potuto piú che tanto occuparsi degli altri, intenti com’erano tutti agli ordini di quell’uno.

Siamo quindi introdotti alla maggior parte degli altri ospiti. Ci sono: un giovane scrittore (Torello Scamozzi), un paio madre-figlia (le Gilli), una donna inglese (Miss Green) e una coppia (i Sandrocca). Ci è spiegato che lo Scamozzi è molto attento a tutt’e quattro delle signore ed in particolare alla signorina Gilli.

Il giovane avvocato e dilettante giornalista Torello Scamozzi n’era addirittura stomacato; non tanto per sé, diceva, quanto per le signore. E minacciava di far le sue vendette su i molti giornali di cui si diceva collaboratore. Ma le signore generosamente lo pregavano di non cimentarsi per loro.

Erano quattro, le signore: cioè, le Gilli, mamma e figlia, Miss Green, inglesina alquanto attempatella, bionda e cerulea, sempre fornita di mal di capo e d’antipirina, e la moglie del dottor Sandrocca, atassico e relegato perpetuamente su una sedia a ruote.

(Questi personaggi non sembrano essere ‘pienamente sviluppati’… non sembrano o influenzare la trama o aggiungere molto alla storia. Forse Dal naso al cielo sia stato scritto per il teatro… l’inclusione di queste personaggi periferici funzioni principalmente per facilitare/compilare la trama?)

Ci sono due ospiti aggiuntivi: primo, Leone Borisi, che può avere una relazione con la moglie del Sandrocca.

Molto piú saggio, cioè a dire piú pratico, un altro giovane ospite, Leone Borisi, lasciava allo Scamozzi il gusto di far cosí il paladino delle signore e specialmente della cara e vivacissima signorina Niní Gilli, e per conto suo s’era messo a spingere la sedia del dottor Sandrocca giú per i viottoli del monte, sotto gl’ippocàstani: a spinger la sedia con una mano e a cinger con l’altra la vita alla moglie del bravo dottore, ch’era una brunotta ricciuta, dal nasino ritto e gli occhietti ardenti, simpaticissima. Oh, cosí, badiamo! innocentemente, quasi per distrazione, dietro le spalle del marito che rideva, rideva e parlava e fumava la pipa, senza mai smettere un momento.

Il secondo è il professore Dionisio Vernoni… un uomo arrogante, irritante e insolente,

Il miracolo di far parlare l’illustre senatore Romualdo Reda lo aveva operato un nuovo ospite che, a prima giunta, aveva fatto arricciare il nasino alle quattro signore e storcere il muso all’albergatore.

…che ha un aspetto disordinato, insipido, non impressionante,

Sciamannato, tutto gocciolante di sudore, col testone raso e la cotenna ridondante su la nuca, le lenti che gli scivolavano sempre di traverso sul naso a gnocco, e quei grossi occhi biavi che pareva le andassero cercando per guardare, obbligando il capo a certi buffi rigiramenti sul collo che facevano pensare a un bue smanioso sotto il giogo, il professor Dionisio Vernoni non era fatto in verità per attirar la confidenza. Ma poi, a sentirlo parlare…

…ed è appassionato, emotivo, idealista e ostinato,

Forse, dentro di sé, il professor Dionisio Vernoni soffriva dei vulcanici rimescolamenti delle sue tante passioni dentro il capace petto; ma, per quel che poi se ne vedeva di fuori, faceva tanto ridere. Ridere sopra tutto perché, con quella montagna di carne sudata addosso, era un incorreggibile idealista, il professor Dionisio Vernoni: un idealista che, anche a costo d’essere scannato, non s’acquietava, non sapeva, non voleva acquietarsi all’irritante rinunzia della scienza di fronte ai formidabili problemi dell’esistenza, al comodo (egli diceva vigliacco) ripararsi del cosí detto pensiero filosofico entro i confini del conoscibile. E cacciava di qua e di là con le due manacce le ostinatissime mosche che volevano attaccarglisi al faccione sudato.

Subito dopo il suo arrivo, il Vernoni nota la presenza del Reda. I due si conoscono bene, poiché il Vernoni è precedentemente stato uno studente del Reda.

Vedendo sotto il faggio il senatore, ch’era stato suo maestro, tant’anni addietro, all’Università (tutti i professori di parecchie Università erano stati suoi maestri, perché aveva preso tre o quattro lauree, una dopo l’altra, Dionisio Vernoni), tra lo stupore di tutti e l’indignazione dell’albergatore, gli era corso innanzi, gli s’era anzi precipitato addosso, gridando con le braccia levate:

– Oh, lei qua, illustrissimo signor professore?

Quasi immediatamente, il Vernoni tenta di impegnare il Reda in quello che può essere un vecchio dibattito… sulla natura essenziale dell’uomo, ed in particolare, come uno può distinguere tra l’uomo e gli altri animali.

E quasi subito s’erano riaccese tra l’antico scolaro e il vecchio maestro le fervide discussioni rimaste famose per molti anni all’Università romana.

Abbiamo ancora una volta il senso che il Reda ha poco interesse a discutere le idee del Vernoni, cioè, che lui non ha la forza di litigare con lui. Persiste il Vernoni, tuttavia, e gli altri ospiti si riuniscono per guardare la ‘concorrenza’.

Fervide, da una parte sola, s’intende: da parte del Vernoni; perché il senatore rispondeva asciutto e mordace, con un frigido sogghignetto su le labbra, il quale dava a vedere com’egli degnasse di qualche risposta quel suo strambo discepolo, solamente per pigliarselo a godere.

Lo avevano compreso bene tutti gli altri avventori, i quali a poco a poco s’erano fatti intorno a sentire. Ora, ogni dopo pranzo, si assisteva a quel duello intellettuale sotto il faggio, come a un vero spasso.

Tutti scoppiavano a ridere, di tratto in tratto, a certe argute risposte dell’illustre senatore, mentre il Vernoni ora balzava in piedi con tanto d’occhi sbarrati, ora, tutto sospeso, spalmava sul petto le due manacce come a trattenere una valanga di precipitose proteste.

La vecchia signora Gilli e Miss Green, però, trascinate spesso dalla foga appassionata con cui il professor Vernoni perorava in favore delle sue nobili e magnanime teorie, approvavano involontariamente col capo. Allora il senatore rispondeva con una certa vocetta agra di stizza. E il Vernoni, o s’insaccava nelle spalle, o borbottava con amaro disdegno:

– L’erba, dunque, eh? L’erba! Come se fossimo tante pecorelle…

Niní Gilli, a queste parole, prorompeva in una irrefrenabile risata, a cui tutti gli altri facevano eco, mentre il senatore guardava in giro come se non avesse inteso bene, e domandava:

– L’erba? Perché, l’erba? Non capisco.

– L’erba! L’erba! – raffermava, quasi piangendo dalla stizza, il Vernoni. – Qual è per le pecore la sola verità che esista? L’erba. L’erba che cresce loro sotto il mento. Ma noi, vivaddio, possiamo guardare anche in sú, illustrissimo signor senatore! In sú, in sú, le stelle!

La vecchia signora Gilli e Miss Green tornavano ad approvare col capo, convintissime, questa volta.

E il senatore allora masticava:

– Anche in sú, già, come dice Sallustio.

– Come dice Sallustio, sissignore, – rimbeccava pronto il Vernoni. – Ma anche guardando in giú, scusi… la talpa, signor senatore: guardiamo la talpa e seguiamo la logica della natura.

– Ah no!

Il senatore Romualdo Reda, sentendo nominar la natura, s’inquietava sul serio: scattava battendo ambo le mani su i braccioli:

– Ma via! ma mi faccia il piacere! ma la sua logica, caro Vernoni! Tanto per ridere… Lasciamo star la natura, per carità!

– Scusi, scusi, scusi, – s’affrettava allora a spiegare il Vernoni, ponendo avanti le mani. – Che la natura abbia una logica, si può forse mettere in dubbio? Ma ne abbiamo una prova lampantissima, scusi, nella sua economia! Mi lasci dire, illustrissimo signor professore! La talpa… Perché la talpa ha cosí debole l’organo visivo? Ma perché deve star sottoterra! Logica della natura. E l’uomo? Scusi, perché deve poter vedere le stelle, l’uomo? Una ragione ci dev’essere, scusi!

Tutti restavano sospesi per un momento nell’attesa della risposta del signor senatore; ma questi socchiudeva gli occhi stanchi, enfiati, tentennava il capo, apriva le labbra a un sorrisetto di sdegnosa commiserazione e lasciava tutti delusi recitando:

– Gestit enim mens exilire ad magis generalia ut acquiescat: et post parvam moram fastidit experientiam. Sed haec mala demum aucta sunt a dialectica ob pompas disputationum.

– Bacone? – domandava il professor Dionisio Vernoni, asciugandosi il copioso sudore dalla fronte e dalla nuca.

E il senatore:

– Bacone.

(Avanti e indietro: supposizione contro misurazione, intuizione contro una prova controllata di un’ipotesi. I due uomini sembra affrontare la questione dell’esistenza umana e le ragioni per cui gli umani dominano la terra.)

***

È preoccupato il resto della novella con un incidente che sottolinea ulteriormente le differenze filosofiche e metodologiche di ognuno dei protagonisti.

Una mattina, la signorina Gilli, da sola, è andata a fare un giro dall’albergo al convento abbandonato, poi è tornata all’albergo… terrorizzata, urlando e abbastanza sconvolta.

Se non che, una di quelle mattine, per tempissimo, tutti gli ospiti dell’albergo in vetta al monte furono destati all’improvviso dalle grida acutissime della signorina Niní Gilli e della madre. Che cosa era accaduto?

Dapprima si disse che la cara Niní, essendosi recata sola, all’alba, giú nelle macchie del Conventino, aveva fatto un brutto incontro.

Brutto? Come? Forse aggredita? Ma non s’era sentito mai che nelle macchie del Conventino bazzicassero… ah, non si trattava di malandrini? E che incontro, allora?

La cara Niní, o la Gillina come la chiamavano, era venuta sú dalle macchie di corsa, di corsa, scarmigliata, urlando, in preda a un terror pazzo. Adesso si dibatteva, sú in camera, in una terribile convulsione di nervi.

Ma che incontro era stato, insomma? Che le avevano fatto?

Il convento abbandonato è piazzato in una radura di una foresta.

Le macchie del Conventino erano su la costa occidentale del monte: fittissime e intricate. Macchie propriamente non erano, perché tutti quegl’ippocàstani là, sebbene rimasti sottili, erano ormai divenuti d’altissimo fusto e dritti come aghi: un bosco. Si chiamavano del Conventino perché, in una breve radura in mezzo, era un piccolo convento antico, in rovina e abbandonato, con la chiesuola da una parte, il cui interno misterioso s’intravedeva appena appena attraverso le fessure del portone imporrito.

Sentendo le sue urla, anche gli altri ospiti diventano piuttosto sconvolti; in particolare vogliono sapere l’opinione del Reda dopo la sua intervista (in consultazione) con la signorina Gilli nella sua stanza. Il Reda conclude che soffre di una forma transitoria di isteria!

Lo Scamozzi, pallido, costernatissimo, incitava il Borisi, incitava i camerieri a correr con lui, armati, giú nelle macchie, a vedere. Ma a vedere che cosa? Se ancora non si sapeva nulla di certo! Che diceva il senator Reda accorso in camera della signorina? Era anche medico il Reda, benché non avesse mai esercitato la professione.

Soltanto il professor Dionisio Vernoni si dichiarava pronto a seguire lo Scamozzi. Ma questi non se ne fidava, e fingeva di non udirlo e di non vederlo.

Finalmente, ecco il Reda! Uh, lodato Dio, sorrideva… Ebbene?

– Nulla, signori miei. Stiano tranquilli. Una lieve psicosi passeggera. Crisi isterica, ecco. Passerà.

(Hah! Questa è una diagnosi piena di ironia per il lettore moderno: anche se è vero che una diagnosi di isteria femminile: 06hysterical431x300

era popolarizato e promossa (da Freud) e ben accettata dai psichiatri nei primi anni del Novecento: title-page-from-joseph-breuer-1842-1925-and-sigmund-freuds-1856-1939-EX6NF7è ampiamente screditata oggi… considerata come un insulto alle donne, cioè, sia paternalistico e falso).

Il Vernoni poi esprime il suo disprezzo per la diagnosi del Reda: dice che sa esattamente perché la signorina Gilli era così terrificante: la musica! musica celeste! proveniente dal convento abbandonato!

I due protagonisti litigano.

Ma il professor Dionisio Vernoni si fece avanti accigliato, rabbuffato:

– Psicosi? – disse. – Giú nelle macchie del Conventino? Se lei dice psicosi, io so di che si tratta!

So tutto, so tutto! La signorina Gilli ha veduto! La signorina Gilli ha sentito anche lei! Lo Scamozzi, il Borisi, il dottor Sandrocca, la moglie, Miss Green si voltarono a guardarlo a bocca aperta:

– Veduto… che cosa?

– Ma non gli diano retta, per carità! – esclamò il senatore.

– Allucinazione, è vero? – gridò allora il Vernoni, con aria beffarda e di sfida.- Psicosi… crisi isterica… E come spiega lei allora che anch’io, sissignore, anch’io, l’altro giorno, verso sera, ho udito… sissignori, ho udito mentr’ero là solo, nella macchia, presso il Conventino, una musica… una musica di paradiso, che partiva dalla chiesetta… organo e arpe… melodia divina! Non l’ho detto a nessuno; lo dico adesso perché son certo che la signorina Gilli, anche lei, ha udito… Per vergogna sono stato zitto, vi giuro! perché ho avuto paura, sí! sí! paura, e sono scappato via a gambe levate!

– Oh la finisca, per favore, signor mio! – lo interruppe a questo punto l’albergatore, notando l’effetto che quelle parole producevano sugli altri avventori. – Lei vuol rovinarmi! Ma scusi, sono pazzie! Non s’è mai detto nulla di simile; nessuno ha mai udito nulla! Fortuna che c’è qui S. E… dico l’on. senatore… un luminare della scienza… e anche un altro egregio dottore, che… manco male, ride, guàrdino! ride, e ha ragione… è proprio da ridere, caro signor dottore! Una semplicissima crisi nervosa…

– Isterica, – corresse il senatore.

– Ecco, isterica… e quando lo dice lui! – concluse l’albergatore. – Che musica! che organo! che arpe! Andiamo tutti insieme alla macchia… Farò servir loro laggiú la colazione… Un luogo delizioso, sicurissimo… Apriremo la chiesa… vedranno…

Poi l’albergatore offre un giudizio,

– Ma l’organo c’è davvero? – domandò la signora Sandrocca.

– Non c’è… cioè… sí, c’è e non c’è… – rispose, confuso, l’albergatore. – Si figuri dopo tanti secoli, come ridotto… Forse qualche topo… Via, è da ridere… è da ridere, non è vero, signori?

…che sembra essere progettato solamente per proteggere i proprii interessi commerciali: l’albergatore sembra essere preoccupato con l’impatto negativo che l’esperienza della signorina Gilli può avere sugli altri clienti e sulla reputazione dell’albergo. (NB: si tratta di un esempio di come la verità può essere oscurata dal pregiudizio!)

La spiegazione dell’albergatore è ridicola. Nessuno la crede.

E rise: lui sí, rise, e seguitò anche a ridere il dottor Sandrocca che rideva sempre; ma non risero gli altri, né mostrarono di gradir la proposta di fare colazione là nella macchia del Conventino. Quanto al senatore, voltò le spalle, sdegnato, e andò a sdrajarsi su la sedia di giunco sotto il faggio.

Poi la signora Gilli arriva sulla scena. Sembra essere offesa dalla diagnosi del Reda… esprime il suo disprezzo. (Brava, signora, bravissima!)

In quella, sopravvenne frettolosa e con insolita energia, quantunque una gamba, forse per la sovreccitazione, le si fosse come indurita, la vecchia signora Gilli in cerca dell’albergatore.

Non le garbava per nientissimo affatto, a lei, per nientissimo affatto le garbava quella dichiarazione dell’illustre signor senatore, la quale aveva tutta l’aria d’esser fatta per non danneggiare l’albergatore. Ma che crisi isterica d’Egitto, se la sua figliuola non aveva mai e poi mai sofferto di mal di madre? Si fa presto a dire! Poi la taccia rimane; e commenti e malignazioni. No, no. Le cose a posto! Voleva le cose a posto, la signora Gilli; che tutti cioè sapessero quel che era accaduto; poi saldare il conto e andar subito via: subito, perché la sua povera figliuola tremava ancora come una foglia, dallo spavento, e diceva che sarebbe morta a rimanere ancora lí, anche per una notte sola.

La signora Gilli racconta poi ciò che ha sentito e veduto sua figlia.

E la signora Gilli prese quindi a raccontare che la povera Niní aveva proprio sentito sonar l’organo nella chiesetta del Conventino.

– Udite? udite? – esclamò allora, trionfante, Dionisio Vernoni.

La vecchia signora s’arrestò, come intronata, a guardarlo e gli domandò:

– Ma come? lei… Come l’ha saputo lei?

E il Vernoni:

– Non l’ho saputo; l’ho supposto, signora! N’ero certo; piú che certo; perché ho sentito anch’io!

Sgomenta e pur lieta, la signora Gilli batté le mani, esclamando:

– Vedono dunque? E mica il signore qua può soffrire di mal di madre… direi…

Dionisio Vernoni non diede tempo agli altri di sorridere di questa considerazione; incalzò:

– Organo e arpe?

– Arpe? Arpe, non so, – rispose quella, atterrita dal modo con cui il Vernoni la guardava. – Dice organo Niní, e dice che ne rimase meravigliata dapprima… meravigliata che qualcuno si fosse recato a sonare cosí per tempo là, in quella chiesetta abbandonata. Non sospettò proprio nulla di straordinario; tanto è vero che s’accostò per vedere… e allora… io non so, non so precisamente che cosa abbia veduto… non lo lascia intender bene… dice frati… dice processione… candele accese…

Questa storia è in gran parte coerente con ciò che il Vernoni ha sentito e visto! Il Vernoni non aveva prima comunicato agli altri la sua esperienza al convento perché aveva temuto d’essere ridicolizzato. Ora, però, si sente giustificato.

(In gran parte, sì, ma non in totale: “Arpe? Arpe, non so…” La mancanza di coerenza nelle esperienze della signorina Gilli e il Vernoni è esilarante ed importante: ad uno scienziato come il Reda, la mancanza di coerenza è un segno rivelatore di artefatto: per lui, ogni probabilità, l’osservazione sarebbe ignorata (cioè, non sarebbe trattata come affidabile). D’altra parte, a un sognatore come il Vernoni le due esperienze sono in generale coerenti ei dettagli della discrepanza sono proprio questi (dettagli), senza un significato particolare.)

L’opinione del Vernoni è che la musica è un fenomeno naturale, che la musica è reale, anche se difficile da comprendere o verificare. Inoltre crede che il fenomeno è la prova di un altro mondo che esiste parallelamente al mondo conosciuto, cioè, un altro mondo infestato-abitato dagli spiriti che non possono essere visti—ma certo possono fare la musica e spaventare le ragazze!!

La vecchia signora Gilli lasciò in sospeso il discorso, chiamata in fretta da una cameriera, per una nuova convulsione di Niní. E allora venne il momento del professor Dionisio Vernoni, a cui tutti istintivamente si rivolsero. E il professor Dionisio Vernoni attaccò subito col suo solito fervore; e cominciò a parlare di occultismo e di medianismo, di telepatia e di premonizioni, di apporti e di materializzazioni: e agli occhi de’ suoi ascoltatori sbalorditi popolò di meraviglie e di fantasime la terra che l’orgoglio umano imbecille ritiene abitata soltanto dagli uomini e da quelle poche bestie che l’uomo conosce e di cui si serve. Madornale errore! Vivono, vivono su la terra di vita naturale, naturalissima al pari della nostra, altri esseri, di cui noi nello stato normale non possiamo avere, per difetto nostro, percezione; ma che si rivelano a volte, in certe condizioni anormali, e ci riempiono di sgomento; esseri sovrumani, nel senso che sono oltre la nostra povera umanità, ma naturali anch’essi, naturalissimi, soggetti ad altre leggi che noi ignoriamo, o meglio, che la nostra coscienza ignora, ma a cui forse inconsciamente obbediamo anche noi: abitanti della terra non umani, essenze elementari, spiriti della natura di tutti i generi, che vivono in mezzo a noi, e nelle rocce, e nei boschi, e nell’aria, e nell’acqua, e nel fuoco, invisibili, ma che tuttavia riescono talvolta a materializzarsi.

Il Reda non può più tollerare le opinioni del Vernoni: esplicitamente le respinge. Poi decide d’andare al convento per vedere per sé.

Stizzito che il senator Reda non entrasse a discutere con lui, per provocarlo, s’abbandonò apposta ai piú fantastici voli, alle piú ardite supposizioni, alle piú seducenti spiegazioni e, alla fine, proruppe in una carica a fondo contro la scienza positiva, contro certi cosí detti scienziati che non vedono una spanna oltre i loro nasi (ripeté quattro o cinque volte questa frase): frigidi miopi presuntuosi, che vogliono costringere la natura ad assoggettarsi alle esperienze, ai calcoli dei loro gabinetti, sotto il cilizio dei loro strumentucci e dei loro congegnucci miserabili. Il senatore Romualdo Reda, zitto. Lo Scamozzi, il Borisi, Miss Green, la signora Sandrocca, quasi sbigottiti dalla violenza aggressiva del Vernoni, allungavano di tratto in tratto uno sguardo a spiarlo. Zitto, impassibile, il senatore Romualdo Reda se ne stava disteso su la sedia a sdrajo, sotto il faggio, con gli occhi chiusi, come se dormisse. A un certo punto, quando parve a lui, si alzò e, senza dir nulla, senza guardar nessuno, con due dita inserite tra i bottoni del panciotto, s’avviò tranquillo e grave, quantunque cosí piccolino, per il viottolo che conduceva alle macchie del Conventino.

– Benedetto! – esclamò l’albergatore, mandandogli un bacio su la punta delle dita.

Poi, rivolto al Vernoni:

– Lei, signor mio, dica pure quel che vuole: è padrone! Ma guardi: la migliore risposta è quella. 

E indicò con la mano il senatore che scompariva pian piano, piccolino, sotto gli altissimi ippocàstani in discesa.

Tuttavia dopo parecchie ore solleva una preoccupazione… il Reda non è tornato all’albergo.

Quando, già a tarda sera, il professor Dionisio Vernoni e Torello Scamozzi, i quali cavallerescamente avevano voluto accompagnare fino alla stazione di Valdana le signore Gilli e a Valdana s’erano poi trattenuti tutta la giornata, si ricondussero stanchi e affamati all’alberguccio, in vetta al monte, vi trovarono tutti gli altri ospiti come smarriti in un silenzio d’infinita costernazione.

Il senatore Romualdo Reda non era ancora ritornato dalle macchie del Conventino.

Una ricerca iniziale del convento ei dintorni ha fallito trovare il Reda, anche una seconda ricerca non è riuscita. Viene quindi intrapresa una terza ricerca,

Quando si giunse al Conventino, tutti gli occhi si volsero al portone imporrito della chiesuola. Un brivido corse a tutti per la schiena, allorché l’albergatore vi si appressò e con una mano lo spinse piú volte.

– Chiuso!

Lo Scamozzi e il Vernoni proposero di cercar tra le rovine del convento; ma l’albergatore assicurò che già l’aveva fatto lui con la massima diligenza. Per la macchia, per la macchia piuttosto bisognava cercare, perché forse il senatore s’era internato tra gli alberi e poi non aveva saputo trovar piú modo a uscirne. Erano in otto e avevano quattro torce! dunque, a due a due, pazienza! una coppia qua, una coppia là, pian piano, con attenzione.

Cosí fecero; e l’esplorazione durò per circa un’ora; qualche fiaccola si spense e si penò molto a riaccenderla; poi l’orrore stesso del luogo, la stanchezza cominciarono a suggerire da un canto men fosche supposizioni; a ingenerar dall’altro la sfiducia su l’esito dell’impresa. Si diedero la voce; si raccolsero di nuovo sul viottolo, da cui nessuna delle coppie s’era discostata di molto; e facilmente s’accordarono tutti su la proposta di rimandar la ricerca a domattina con la luce.

…ei ricercatori scoprono il corpo del Reda.

Alla fine, un grido! Veniva dalla radura, ov’erano le rovine del Conventino. Accorsero tutti, trafelati, ansanti.

Là, proprio sotto ai primi ippocàstani, a una cinquantina di passi dal Conventino, giaceva il cadavere del senatore Romualdo Reda, piccolo piccolo, disteso supino, senz’alcuna traccia di violenza addosso, anzi come se qualcuno l’avesse composto nel sonno eterno, coi piedi giunti, i braccini distesi lungo la minuscola persona.

La fine è molto molto ironica… un ragno, che rappresenti il mondo naturale, cioe, il mondo che uno scienziato cerca di spiegare, è strisciato nella narice del Reda. Il ragno emerge, e poi sale (misteriosamente) lungo un filo di seta che sembra finire nel cielo.

Come si estende il filo al cielo? Oh Dio! Il cielo? …che è proprio la fonte dell’ispirazione del Vernoni!

Rimasero tutti basiti a mirarlo.

Dall’alto delle corone di quegli ippocàstani pendeva un esilissimo filo di ragno, che s’era fissato su la punta del naso del piccolo senatore.

Di quel filo non si vedeva la fine.

E dal naso del piccolo senatore un ragnetto quasi invisibile, che sembrava uscito di tra i peluzzi delle narici, viaggiava ignaro, sú sú, per quel filo che pareva si perdesse nel cielo.

Tutt’e tre delle immagini (ragno, filo, cielo) sembrano essere progettate appositamente per essere AMBIGUE, lasciando al lettore di decidere se esista solo un mondo naturale o, in più, un mondo parallelo che solo gli esseri umani abbiano l’immaginazione di discernere.

***

Penso che la fine della novella sia volutamente ambigua perché il Pirandello abbia voluto il lettore prendere in considerazione la possibilità che, per spostare la civiltà in avanti, abbiamo bisogno di tutt’e due dei protagonisti: abbimao bisogno delle persone che lavorano all’interno dei confini di ciò che è conosciuto / compreso così come loro che sognano delle cose sconosciute / le cose che non è mai stato visto prima.

Forse, il punto di vista del Pirandello sia che uno non è meglio dell’altro! …che non c’è concorrenza affatto! Invece i protagonisti complementono l’un l’altro!

Gentili lettori, cosa ne pensano?

 

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