Riassunto: Il figlio cambiato

Qualcosa di terribile è successo / accaduto nella casa accanto!

È più o meno la metà di notte… una vicina ha appena urlatoooo /piantooo. (Un terribile urlo / pianto / lamento orribile! veramente, fa torcere l’intestino!!) L’urlo ha suscitato i vicini, uno dei quali è il narratore della novella.

Avevo udito urlare durante tutta la notte, e a una cert’ora fonda e perduta tra il sonno e la veglia non avrei piú saputo dire se quelle urla fossero di bestia o umane.

La mattina dopo, il quartiere sta ronzando dagli eventi della sera precedente: l’infante di una vicina, la signora Longo, è stato rubato, sostituito da un altro!

La mattina dopo venni a sapere dalle donne del vicinato ch’erano state disperazioni levate da una madre (una certa Sara Longo), a cui, mentre dormiva, avevano rubato il figlio di tre mesi, lasciandogliene in cambio un altro.

Poi il narratore apprende ulteriori dettagli della rapina: sembra che qualche persone, cioè, esseri sopranaturali (cioè, streghe e spiriti), fosse responsabili per il furto e l’interruttore.

– Rubato? E chi gliel’ha rubato?

– Le “Donne”!

– Le donne? Che donne?

Mi spiegarono che le “Donne” erano certi spiriti della notte, streghe dell’aria.

Il narratore (penso che sia un medico) è incredulo e indignato dalla menzione di ‘streghe e spiriti’; fa poco per nascondere dalle vicine i suoi sentimenti. Sono, a loro volta, offese.

Sbalordito e indignato, domandai:

– Ma come? E la madre ci crede davvero?

Quelle brave comari erano ancora cosí tutte accorate e atterrite, che del mio sbalordimento e della mia indignazione s’offesero.

Ulteriori dettagli sono poi messi a nostro disposizione. L’infante della signora Longo era ben noto d’aver avuto la pelle bianca ei capelli biondi (lui era descritto come “Gesù”!), mentre il rimpiazzo / il ricambio / la sostituzione è notato d’aver la pelle nera e un deformato viso, grossolano e brutto.

Mi gridarono in faccia, come se volessero aggredirmi, che esse, alle urla, erano accorse alla casa della Longo, mezz’ignude come si trovavano, e avevano visto, visto coi loro occhi il bambino cambiato, ancora là sul mattonato della stanza, ai piedi del letto. Quello della Longo era bianco come il latte, biondo come l’oro, un Gesú Bambino; e questo invece, nero, nero come il fegato e brutto, piú brutto d’uno scimmiotto.

Apparentemente la signora Longo era suscitata nel momento del furto e dell’interruttore. Appena si era completamente svegliata, ha trovato il ‘rimpiazzo’ sul pavimento della camera da letto (quella sera, come sempre, la Longo e suo infante sono stati dormiti insieme nel letto).

E avevano saputo il fatto, com’era stato, dalla stessa madre, che se ne strappava ancora i capelli: cioè, che aveva sentito come un pianto nel sonno e s’era svegliata; aveva steso un braccio sul letto in cerca del figlio e non l’aveva trovato; s’era allora precipitata dal letto, e acceso il lume, aveva veduto là per terra, invece del suo bambino, quel mostriciattolo, che l’orrore e il ribrezzo le avevano perfino impedito di toccare.

A questo punto, in risposta all’incredulità e all’indignazione del narratore, i vicini sottolineano che la signora Longo aveva avvolto suo infante in un panno di stoffa prima d’andare a letto. Loro sostengono che il tessuto sarebbe stato previsto di limitare i movimenti dell’infante… rendendo difficile, se non impossibile, che lui sarebbe stato caduto sul pavimento del proprio accordo. Ne consegue, dunque, che qualcuno deve averlo spostato al pavimento! (È ovvioooo!!!) Cosa c’è di più, suo infante è sempre stato dormito con testa più vicina alla testa del letto, mentre il ‘rimpiazzo’ è stato trovato sul pavimento nell’opposto orientamento!

Notare ch’era ancora in fasce, il bambino della Longo. Ora, un bambino in fasce, cadendo per inavvertenza della madre nel sonno, poteva mai schizzar cosí lontano e coi piedini verso la testata del letto, vale a dire al contrario di come avrebbe dovuto trovarsi?

No, no, no! Le vicine insistono / argomentano / sottolineano che tutto l’evidenza è uguale a una forma di una prova a favore di _una sola_ spiegazione plausibile, vale a dire che o alcune streghe o alcuni spiriti sono stati entrati nella casa di signora Longo, poi hanno rubato suo infante e poi lo hanno sostituito con un altro.

Era dunque chiaro che le “Donne” erano entrate in casa della Longo, nella notte, e le avevano cambiato il figlio, prendendosi il bambino bello e lasciandogliene uno brutto per farle dispetto.

Il narratore impara poi che una rapine di questo tipo non era talmente insolita / unusuale!

Uh, ne facevano tanti, di quei dispetti, alle povere mamme! Levare i bambini dalle culle e andare a deporli su una sedia in un’altra stanza; farli trovare dalla notte al giorno coi piedini sbiechi o con gli occhi strabi!

Poi uno delle vicine offre la propria prova.

– E guardi qua! guardi qua! – mi gridò una, acchiappando di furia e facendo voltare il testoncino a una bimbetta che teneva in braccio, per mostrarmi che aveva sulla nuca un codino di capelli incatricchiati, che guaj a tagliarli o a cercar di districarli: la creaturina ne sarebbe morta. – Che le pare che sia? Treccina, treccina delle “Donne”, appunto, che si spassano cosí, di notte tempo, sulle testine delle povere figlie di mamma!

A questo punto il narratore lascia la discussione,

Stimando inutile, di fronte a una prova cosí tangibile, convincere quelle donne della loro superstizione, m’impensierii della sorte di quel bambino che rischiava di rimanerne vittima.

…e poi decide di far ‘un passo dietro’ per considerare la situazione con meno emozione / con meno passione!

Nessun dubbio per me che doveva essergli sopravvenuto qualche male, durante la notte; forse un insulto di paralisi infantile.

***

[Cioè???

Mi chiedo cosa voglia dirci / spiegarci / illustrarci il Pirandello?

 Possibile che lui sta cercando di illustrare i modi in cui gli uomini reagiscono a una situazione sia sconosciuta e minacciosa?

  1. In realtà ci sono molti esempi delle situazioni orribili nella storia umana — cioè, orribili situazioni che non erano ben capite a causa dello stato di comprensione umana al momento.

Diciamolo, ad esempio, un’epidemia altamente contagiosa e letale… cioè, con la capacità di generare paura, incertezza e dubbio.

Un esempio spesso citato è la pandemia d’influenza nel 1918-1920, durante la quale circa 500 milioni di persone sono state infettate dal virus d’influenza e di cui 20-50 milioni di persone infettate sono morte. Ovviamente, questi due anni dovevano essere stati davvero terrificante!

All’epoca, la causa precisa della pandemia non era ben conosciuta, e infatti abbiamo molti esempii delle opinioni e gli azioni irrazionali! (Secondo me, non tali diversi dalle opinioni ed azioni dai vicini di signora Longo.)

Cioè, nel 1918-1920 ci sono state le storie di uomini e donne che hanno portato l’aglio in tasca… credevano che questo avrebbe impedito la malattia e la morte!

Solo ora, in retrospettiva, capiamo che il virus dell’influenza è stato responsabile per la pandemia del 1918-1920 e che l’aglio non avrebbe avuto assolutamente nessun effetto (cioè, benefico o dannoso, in alcun modo).

Con questo non intendo suggerire però che erano stupidi le persone che hanno messo le tasche con aglio. Al contrario ho grande simpatia per loro e per la loro condizione / situazione. Sicuramente, stavano semplicemente facendo quello che potevano fare per sopravvivere… cioè, a sopravvivere un terribile evento sconosciuto che ha minacciato le loro vite. 

2). Supponiamo che il Pirandello voglia descrivere un simile tipo di esperienza umana: di sicuro, su una scala più ridotta ed in un tempo / luogo più rilevante della vita sua.

Gentili lettori, se mi permettereste di speculare un po’…

Una possibilità sia che nella novella Il figlio cambiato il Pirandello abbia descritto, in un paese nella campagna dell’Italia meridionale, l’accadimento ripetuto di una malattia ereditaria.

Speculerei anche che la malattia ereditaria sia un ‘errore innato di metabolismo’ che di solito si è manifestata fino a pochi mesi dopo la nascita. Questa malattia sarebbe grave / catastrofica, cioè, avrebbe la capacità di influenzare / peggiorare sia la fisionomia e il benessere dell’infante.

Tale malattia potrebb’essere un disturbo genetico recessivamente ereditato, il cui accadimento sarebbe stato facilitato dal matrimonio di parenti di primo grado.

Diciamolo, dunque, che l’impostazione di Il figlio cambiato fosse una paese nell’Italia meridionale più di 100 anni fa, quando il matrimonio tra i parenti di primo grado fosse più comunemente accettato di quanto sia oggi. In questa impostazione è facile immaginare come una mutazione genica potesse essere passata da una generazione all’altra a una frequenza piuttosto altamente elevata, portando ad un numero abbastanza elevato dei neonati affetti.

Finalmente diciamolo che è previsto che la malattia ereditaria sarebbe manifestata come un cambiamento apparentemente improvviso e drammatico nello stato dell’infante, che, finora, sembrasse normale.

Posso facilmente immaginare come le madri dei infanti colpiti sarebbero devastate dall’insorgenza di una malattia misteriosa e poco intesa… e come potrebbero cercare una spiegazione (qualche spiegazione). Dopo ripetuti eventi, non sarebbe altrettanto difficile immaginare che le madri potessero essere convinte che “il furto e l’interruttore” perpetrata da streghe e spiriti, avessero avuto luogo!

In un certo senso, questo è esattamente quello che qualche malattia severa fa a noi… ci priva / ruba delle nostre salute e benessere, e impone un nuovo normale (un interruzione / sostituzione) nella nostra vita!]

***

Poi il narratore chiede cosa intenda fare signora Longo. È stato detto che lei non ha ancora un piano… che è stata sopraffatta e ha avuto bisogno di essere trattenuta,

Domandai che intendesse fare adesso, quella madre.

Mi risposero che l’avevano trattenuta a viva forza perché voleva lasciar tutto, abbandonare la casa e buttarsi alla ventura in cerca del figlio, come una pazza.

…e anche sostenuta.

– E quella creaturina là?

– Non vuole né vederla, né sentirne parlare!

Una di loro, per tenerla in vita, le aveva dato a succhiare un po’ di pan bagnato, con lo zucchero, avvolto in una pezzuola formata a modo di capezzolo. E mi assicurarono che, per carità di Dio, vincendo lo sgomento e il raccapriccio, avrebbero badato a lei, un po’ l’una un po’ l’altra. Cosa che, in coscienza, almeno nei primi giorni, dalla madre non si poteva pretendere.

– Ma non vorrà mica lasciarla morir di fame?

Quella sera infatti signora Longo visita la casa di Vanna Scoma, un’altra del quartiere con una reputazione d’aver la capacità di contattare spiriti / streghe che rubano i neonati.

Riflettevo tra me e me se non fosse opportuno richiamar l’attenzione della questura su quello strano caso, allorché, la sera stessa, venni a sapere che la Longo s’era recata per consiglio da una certa Vanna Scoma, che aveva fama d’essere in misteriosi commerci con quelle “Donne”. Si diceva che queste, nelle notti di vento, venivano a chiamarla dai tetti delle case vicine, per portarsela attorno con loro. Restava lí su una seggiola, con le sue vesti e le sue scarpe, come un fantoccio posato; e lo spirito se n’andava a volo, chi sa dove, con quelle streghe. Potevano farne testimonianza tanti che avevano appunto sentito chiamarla con voci lunghe e lamentose: – Zia Vanna! Zia Vanna! – dal proprio tetto.

La Scoma dice alla povera Longo, dopo aver fatto la sua preghiera, di aver ‘visto’ suo infante.

S’era dunque recata per consiglio da questa Vanna Scoma, la quale in prima (e si capisce) non aveva voluto dirle nulla; ma poi, pregata e ripregata a mani giunte, le aveva lasciato intendere, parlando a mezz’aria, che aveva “veduto” il bambino.

– Veduto? Dove?

Veduto. Non poteva dir dove. Ma stesse tranquilla perché il bambino, dove stava, stava bene, a patto però che anche lei trattasse bene la creaturina che le era toccata in cambio: badasse anzi, che quanta piú cura lei avrebbe avuto qua per questo bambino, e tanto meglio di là si sarebbe trovato il suo.

(Qui il Pirandello sembra divertirsi con i personaggi: Vanna Scoma è una filibustiere / truffatore, e la storia concentra sulla capacità di lei d’ingannare le sue vicini.)

Il narratore ammira il talento / il gioco della Scoma. Ci viene detto, per esempio, che fintanto la signora Longo cura bene il ‘rimpiazzo’ (non importa quanto la ripugnanza si sente!) il proprio figlio sarà ben curato dalle streghe.

Mi sentii subito compreso d’uno stupore pieno d’ammirazione per la sapienza di questa strega. La quale, perché fosse in tutto giusta, tanto aveva usato di crudeltà quanto di carità, punendo della sua superstizione quella madre col farle obbligo di vincere per amore del figlio lontano la ripugnanza che sentiva per quest’altro, il ribrezzo del seno da porgergli in bocca per nutrirlo; e non levandole poi del tutto la speranza di potere un giorno riavere il suo bambino, che intanto altri occhi, se non piú i suoi, seguitavano a vedere, sano e bello com’era.

Che se poi, com’è certo, tutta questa sapienza, cosí crudele insieme e caritatevole, non era adoperata da quella strega perché fosse giusta, ma perché ci aveva il suo tornaconto con le visite della Longo, una al giorno, e per ognuna un tanto, sia che le dicesse d’aver veduto il bambino, sia che le dicesse di no (e piú quando le diceva di no); questo non toglie nulla alla sapienza di lei; e d’altra parte io non ho detto che, per quanto sapiente, quella strega non fosse una strega.

Poi… l’arco della storia cambia quando il marito della povera Longo ritorna dopo una distesa estesa (è marinaio).

Le cose andarono cosí, finché il marito della Longo non arrivò con la goletta da Tunisi.

Marinajo, oggi qua, domani là, poco ormai si curava della moglie e del figlio. Trovando quella smagrita e quasi insensata, e questo pelle e ossa, irriconoscibile; saputo dalla moglie ch’erano stati ammalati tutt’e due, non chiese altro.

Anche se la moglie e l’infante sono in forma terribile, il marito ha i suoi bisogni… ci viene detto, quando lui ritorna al mare, che Longo è incinta. (Tutti gli uomini sono bastardi!)

Il primo trimestre di questa gravidanza è difficile per la Longo (soffre molto della malattia di mattina), facendo solo peggiorare le questioni.

E ora, in quello stato (le aveva cosí cattive, specialmente nei primi mesi, le gravidanze) non poteva piú recarsi ogni giorno dalla Scoma, e doveva contentarsi d’usar le cure che poteva a quel disgraziato perché non ne mancassero là al suo figliuolo perduto. Si torturava pensando che non sarebbe stata giustizia, dato che nel cambio ci aveva scapitato lei, e il latte, prima per il gran dolore le era diventato acqua, e ora, incinta, non avrebbe potuto piú darlo; non sarebbe stata giustizia che il suo figliuolo fosse cresciuto male, come pareva dovesse crescere questo. Sul colluccio vizzo, il testoncino giallo, un po’ su una spalla e un po’ sull’altra; e cionco, forse, di tutt’e due le gambine.

(Signora Longo ora è in condizione così povere che non può più visitare con Vanna Scoma per ricevere notizie del proprio infante.)

Infatti a questo momento la povera Longo non è in grado di produrre abbastanza latte per nutrire il ‘rimpiazzo’, chi ora soffre di fame.

La Longo però, al ritorno, tanto lo pregò che ottenne, se non pietà, sopportazione per quell’infelice. Lo sopportava anche lei, e quanto!, per non far danno all’altro.

(La preoccupazione qui è che il proprio figlio riceverà un trattamento scadente dalle streghe / gli spiriti se la Longo non riesce a curare il ‘rimpiazzo’.)

Nel frattempo arriva una lettera del marito. È diventato consapevole della favola delle streghe e degli spiriti, ed ora capisce che è possibile che l’infante a casa non sia il suo. Insiste che il ‘rimpiazzo’ venga immediatamente rimosso da casa sua.

Intanto, da Tunisi, il marito le scrisse che, durante il viaggio, i compagni gli avevano raccontato quella favola delle “Donne”, nota a tutti meno che a lui; sospettava che la verità fosse un’altra, cioè che il figlio fosse morto e che lei avesse preso dall’ospizio qualche trovatello in sostituzione; e le imponeva d’andar subito a riportarlo, perché non voleva in casa bastardi.

Signora Longo lo prega a permettere che il ‘rimpiazzo’ rimanga!

La Longo però, al ritorno, tanto lo pregò che ottenne, se non pietà, sopportazione per quell’infelice. Lo sopportava anche lei, e quanto!, per non far danno all’altro.

(Ancora una volta, la preoccupazione è che il proprio infante riceverà un trattamento scadente dalle streghe / gli spiriti se non riesce a curare il ‘rimpiazzo’.)

Poi la povera Longo dà alla luce il secondo figlio. La sua attenzione si rivolge naturalmente alla cura del neonato.

Fu peggio, quando alla fine il secondo bambino venne al mondo; perché allora la Longo, naturalmente, cominciò a pensar meno al primo e anche, per conseguenza, ad aver meno cure di quel povero cencio di bimbo che, si sa, non era il suo.

Il ‘rimpiazzo’ subisce qualche abuso dagli altri bambini, suggerendo che la ‘malattia ereditaria’ (ipotizzata) sia progressiva in natura, e sembra essere ritardato dello sviluppo o ritardato mentalmente.

Non lo maltrattava, no. Ogni mattina lo vestiva e lo metteva a sedere davanti alla porta, sulla strada, nel seggiolino a dondolo di tela cerata, con qualche tozzo di pane o qualche meluccia nel cassettino del riparo davanti.

E il povero innocente se ne stava lí, con le gambine cionche, il testoncino ciondolante dai capelli terrosi, perché spesso gli altri ragazzi della strada gli buttavan per chiasso la rena in faccia, e lui si riparava col braccino e non fiatava nemmeno. Era assai che riuscisse a tener ritte le pàlpebre sugli occhietti dolenti. Sudicio, se lo mangiavano le mosche.

Le vicine lo chiamavano il figlio delle “Donne”. Se talvolta qualche bambino gli s’accostava per rivolgergli una domanda, egli lo guardava e non sapeva rispondere. Forse non capiva. Rispondeva col sorriso triste e come lontano dei bimbi malati, e quel sorriso gli segnava le rughe agli angoli degli occhi e della bocca.

La Longo si faceva alla porta col neonato in braccio, roseo e paffuto (come l’altro… oh no! anche lui?) e volgeva uno sguardo pietoso a quel disgraziato, che non si sapeva che cosa ci stesse piú a far lí; poi sospirava:

– Che croce!

L’ultima parola è da Vanna Scoma.

Sí, le spuntava ancora, di tanto in tanto, qualche lagrima, pensando a quell’altro, di cui ora Vanna Scoma, non piú richiesta, veniva a darle notizie, per scroccarle qualcosa: notizie liete: che il suo figliuolo cresceva bello e sano, e che era felice.

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