Riassunto: Jeri e oggi

La novella Jeri e oggi (L. Pirandello) inizia così:

La guerra era scoppiata da pochi giorni.

Forse la ‘guerra’ sia la prima guerra mondiale, ed l’Italia, naturalmente, è uno dei combattenti.

Il protagonista è Marino Lerna, un nuovo coscritto (recluta/arrivato/acquisto/allievo) alle forze armate italiane. Il Lerna è ovviamente ben istruito: dopo un breve periodo di allenamento, avrà il grado di sottotenente, con un gruppo d’uomini sotto il suo comando.

Il Lerna ei suoi coscritti si trovano a Macerata, in Marche. Tutti sono appena tornati a Macerata dopo una licenza di otto giorni in famiglia.

Marino Lerna, volontario del primo corso accelerato di allievi ufficiali, avuta la nomina a sottotenente di fanteria, dopo una licenza di otto giorni trascorsa in famiglia, partí per Macerata, ov’era il deposito del reggimento a cui era stato assegnato: il 12.mo, brigata Casale.

Il piano originale era che i coscritti rimarrebbero a Macerata per 3 mesi, un periodo di formazione, prima di essere inviati alla guerra. È stato cambiato il piano, tuttavia, a causa d’una recente serie di perdite terribili subite dal reggimento: di conseguenza i nuovi coscritti sono necessarii per ‘colmare i vuoti’, cioè, riempire di nuovo / rifornire i soldati o morti o feriti. Dunque, i coscritti saranno inviati alla guerra 3 giorni da oggi!

Contava di passar lí qualche mese per l’istruzione delle reclute, prima d’esser mandato al fronte. Invece tre giorni dopo, mentre si trovava nel cortile della caserma, fu improvvisamente chiamato, non seppe da chi; e sú per le scale si trovò insieme con gli altri undici sottotenenti arrivati con lui a Macerata dai diversi plotoni.

— Ma dove? Perché?

Sú, in sala. Dal colonnello.

 

Già al deposito si sapeva che il 12.mo occupava al fronte una tra le piú aspre e difficili posizioni, sul Podgora; e che i piú giovani ufficiali vi erano stati mietuti in parecchi assalti infruttuosi. Bisognava, dunque, correr subito a colmare quei vuoti.

I coscritti sono sotto il comando del colonnello, uno di comportamento rigore-rigido ed d’atteggiamento senza-senso. (Lui infatti era un colonnello del Carabiniere nella vita civile).

Rigido sull’attenti, coi compagni, davanti una tavola massiccia, ingombra d’incartamenti, fin dalle prime parole di quel colonnello dei carabinieri, che teneva in sostituzione il comando della caserma, comprese poco dopo che doveva esser giunto un ordine di partenza per loro.

Tutti i coscritti sono giovanotti con una scarsa esperienza nei modi del mondo: capiscono loro, certamente, che la possibilità di essere feriti o uccisi è onnipresente, e sembrano lottare con la nuova realtà.

Con gli occhi ancora abbagliati dal sole di giugno che splendeva giú nell’ampio cortile, non riuscí in prima a discernere, nel bujo di quella tetra sala, se non l’argento della montura al collo della divisa del signor colonnello, il roseo d’una lunga faccia cavallina tagliato da un grosso paio di baffi, e il biancheggiar delle carte sulla tavola.

Per un tratto, smarrí nello scompiglio tumultuoso dei pensieri e dei sentimenti il senso delle parole proferite con voce dura e urtante. Si sforzò di prestar attenzione e, sissignori, era proprio cosí: l’ordine di partenza era per la sera del giorno appresso.

Dopo i coscritti sono respinto dall’ufficio del colonnello, le loro emozioni si turbinano e si evolvono. Inizialmente, mentre elaborano la notizia, loro sono descritti com’essere ‘storditi’, ‘delusi’, ‘inebriati’. Presto però sono descritti com’essere impertinenti, cioè, tutti fanno un atteggiamento spensierato, come per dimostrare, a se stessi e agli altri, che non sono sbigottiti dalla prossimità di una guerra di tiro. (“Cosa… mi preoccupa?”, sembrano chiedere!)

La tensione dell’animo, appena il colonnello licenziò quei dodici giovani, si sciolse in ciascuno di loro, per un istante, in un curioso stordimento, quasi di delusa ebbrezza. Subito se ne distolsero per abbandonarsi a un eccesso di disinvoltura rumorosa; da cui però, un momento dopo, tornarono a riprendersi con uno studio di mostrare l’uno all’altro che quella loro disinvoltura non era punto affettata.

In modi grandi e piccoli i coscritti mostrano l’ansia (es.) il primo pensiero per quasi tutti è quello di contattare i genitori e spiegare il cambio del piano.

Si trovarono, a ogni modo, tutti d’accordo nella decisione di correre al telegrafo per annunziare ai parenti con parole animose la partenza.

Tutto tranne uno, il Sarri: è ricco e contrario… ha ad esempio l’abitudine di fare / dire ciò che gli altri non osano nemmeno pensare.

Tutti, meno uno. Proprio quell’uno tra gli ottanta del plotone allievi ufficiali che da Roma era stato assegnato con Marino Lerna al 12.mo reggimento: un tal Sarri; proprio quel tal Sarri che a Marino Lerna era tanto dispiaciuto di avere a compagno, quasi che la sorte avesse voluto tra gli ottanta camerati del plotone romano scegliergli quello appunto che gli era piú antipatico.

Ma veramente quel Sarri non aveva nessuno, a cui telegrafare la sua partenza. In quei tre giorni passati insieme a Macerata, Marino Lerna, pur non riuscendo a mutare in fondo l’opinione che n’aveva, s’era sentito tuttavia un po’ meglio disposto verso di lui, forse perché da solo a solo il Sarri aveva smesso quell’aria sprezzante che lo aveva reso a Roma inviso a tutti i compagni del plotone. Marino Lerna aveva creduto di capire che lo sprezzo del Sarri derivava da un proposito, ch’era in lui quasi bisogno istintivo, di non confonder mai il suo sentimento con quello degli altri, dimostrando in tutti i modi ch’egli sentiva, non pur diversamente, ma l’opposto, senza punto curarsi dell’altrui stima. Era forse, insomma, antipatico piú per professione che per natura, e aveva l’orgoglio delle antipatie che suscitava. Poteva permetterselo, perché molto ricco e solo al mondo.

Appariamo che il Sarri ha portato con sé a Macerata una compagna (cioè, una prostituta). La sua intenzione è d’avere tanto sesso com’è possibile prima di andare in guerra, dove, suppone lui, morirà.

Da Roma s’era portata a Macerata una donnina allegra, che manteneva da circa tre mesi, ben nota ai compagni del plotone. Contava anche lui di rimanere al deposito forse piú d’un mese e voleva in questo tempo cavarsi del tutto – diceva – almeno il gusto piú facile, quello bestiale dell’altro sesso, sicuro com’era che non sarebbe certamente mancato per lui di morire in guerra, tanto l’idea di seguitare a vivere, dopo la guerra, nell’enfasi d’una patria piena d’eroi, gli era intollerabile.

Marino Lerna nota che il Sarri rimane dietro, apparentemente senza alcun interesse a contattare la sua famiglia. I due coscritti si impegnano in conversazione.

Marino Lerna, mentre con gli altri si dirigeva al telegrafo, vedendolo restare indietro, si trattenne.

— Tu non vieni?

Il Sarri scrollò le spalle.

Il Lerna ha una domanda sul programma dei treni da Roma a Macerata: vuole sapere se c’è abbastanza tempo per i suoi genitori di viaggiare a Macerata prima della sua partenza.

— No… volevo dire… — riprese il Lerna per riparare, un po’ imbarazzato, alla sciocca domanda. — Volevo chiederti un consiglio.

— Proprio a me?

— Non so… guarda: tre giorni fa, partendo da Roma, assicurai mio padre e mia madre…

— Tu sei figlio unico?

— Sí, perché?

— Ti compiango.

Dopo il Sarri capisce l’intenzione del Lerna, fa uno scherzo crudele!

— Eh, lo so, per i miei. Li assicurai che non sarei partito per il fronte se non tra qualche mese, e che prima di partire sarei andato a salutarli per…

Stava per dire «per l’ultima volta». S’interruppe. Il Sarri lo capí; sorrise.

— Ma dillo pure, per l’ultima volta.

— No, ecco, speriamo di no; faccio le corna. A salutarli, diciamo, ancora una volta, prima di partire.

Poi suggerisce che infatti sarebbe fattibile/possibile per i genitori del Lerna a visitare Macerata,

— Bene. E poi?

— Aspetta. Mio padre si fece promettere, che se per caso m’avessero negato la licenza, lo avrei avvertito a tempo perché potesse venir lui con la mamma a salutarmi qui. Ora, noi partiamo domani sera alle cinque.

— Se prendono questa sera il treno delle dieci, — seguitò il Sarri, — domattina alle sette possono essere qua per passare con te quasi tutta la giornata.

…solo per seguire questa suggestione con l’opinione che questa sarebbe una davvero pessima idea!

— Dunque, me lo consigli? — domandò Marino Lerna.

— Ma no! — esclamò il Sarri, senza esitare. — Scusa, hai avuto la fortuna di partire senza pianti…

— No, per questo, la mamma ha pianto!

— E non ne sei contento? Vorresti vederla piangere ancora? Ma di’ che parti stasera e salutali da qui! Sarà meglio per te e per loro.

Marino Lerna è naturalmente confuso da tutto questo,

Poi, vedendo che il Lerna restava lí incerto e perplesso:

— Ciao, eh — gli disse. — Vado ad annunziarla a Niní, io, la partenza. Sarà da ridere. Mi ama! Ma quella, se piange, la scazzotto.

E se n’andò.

…ed infine manda due messaggi ai suoi genitori: il primo dice “Arrivederci” e la seconda “Venite a Macerata”!

Marino Lerna s’avviò al telegrafo ancora perplesso se seguire o no quel consiglio. Al telegrafo ritrovò i compagni che avevano tutti telegrafato gli addii, senz’altro; e fece come loro; ma poi, ripensandoci e parendogli d’aver fatto un tradimento alla povera mamma, al babbo, spedí un nuovo telegramma d’urgenza, nel quale li avvertiva che se prendevano il treno delle dieci di sera, avrebbero fatto in tempo a salutarlo prima della partenza.

I suoi genitori arrivano il giorno dopo presto la mattina. Siamo presentati innanzitutto a sua mamma, una signora dei valori tradizionali. Lei è preoccupatissima per il figlio, che adora… le sue emozioni sono esposte e crude.

La mamma di Marino Lerna era una dura donnetta all’antica, come ne conserva ancora la provincia.

Eretta sul busto armato di grosse stecche, ossuta, un po’ legnosa, pur senz’esser magra; in un’ansia continua, tra sospetti e diffidenze, voltava di qua e di là gli occhietti aguzzi di topo, irrequieti.

Adorava tanto quel suo unico figliuolo, che per lui, per non staccarsi da lui già studente d’Università, aveva lasciato gli agi della sua casa antica, le abitudini patriarcali della sua vita in un villaggio degli Abruzzi; e da due anni era andata a stabilirsi nella Capitale ove si sentiva sperduta.

Arrivò la mattina del giorno appresso a Macerata in tale stato, che subito il figlio si pentí d’averla fatta venire. Ma lei protestava di no, appena scesa dal treno: di no, di no; senza poter piú staccare le braccia dal collo del figlio, piangendogli sul petto:

— Non me lo dire, Rinuccio… non me lo dire…

Poi ci viene presentato al padre del Lerna che, al contrario, finge il stoicismo.

Il padre le batteva intanto, serio serio, una mano sulla spalla. Perché era uomo, lui. E non piangeva, lui.

A Roma, poco prima di partire, aveva avuto un certo discorso con un signore sconosciuto, il quale aveva anch’esso un figliuolo al campo fin dal primo giorno della guerra e due altri piú piccoli in casa. Un certo discorso, sí. Niente. Un discorso tra due padri, ecco.

— Senza piangere…

Infatti il padre del Lerna è descritto come aver mascherato i suoi veri sentimenti.

Era senza dubbio esaltato; accennava a quel suo misterioso discorso con quel signore sconosciuto, come per nascondervi un proposito che aveva intanto un ben curioso effetto: quello di fargliela vedere, come da fuori, a lui stesso, la sua esaltazione mascherata di calma, e di fargliene forse provare ora rimorso, ora fastidio, di fronte alla nuda schiettezza, alla commozione forte e muta del figlio che soffriva del pianto della sua mamma e le faceva coraggio piú con le carezze che con le parole.

Per Marino Lerna le complessità della visita è dolorosa e preoccupante; ha infatti poca capacità di tollerare e sostenere i suoi genitori… c’è tanto da fare! tante responsabilità!

Alla fine il Sarri è stato detto essere giusto: il Lerna considerlo un errore l’invito dei suoi genitori a Macerata!

Fu purtroppo, come il Sarri aveva previsto, uno strazio inutile.

Marino Lerna accompagna i suoi genitori dalla stazione ferroviaria all’albergo, poi torna alla caserma dove trascorre la maggior parte della mattina. Ricongiunge i suoi genitori all’albergo per pranzare, e poi torna nuovamente alla caserma.

Accompagnati i genitori all’albergo, Marino Lerna dovette scappare subito in caserma, dove fu trattenuto fin quasi a mezzogiorno. E appena finito lí, nella stessa camera dell’albergo, il desinare (perché la mamma con quegli occhi disfatti dal pianto non fu possibile portarla al ristorante; e poi non si reggeva piú sulle gambe), appena finito il desinare, dovette di nuovo ritornare in fretta in furia alla caserma per le ultime istruzioni. Cosicché il padre e la madre non poterono rivederlo che pochi momenti appena, prima della partenza.

Dopo pranzo i genitori hanno l’opportunità di parlare in privato. Il padre incoraggia la mamma a mantenere la sua compostezza, sostenendo che le emozioni crude potrebbero avere un impatto negativo sul figlio… solleva anche una preoccupazione che le emozioni crude potrebbero anche “fargli così la jettatura”, sigillando il suo destino.

Ma un bel discorso, un bel discorso lungo e ragionato si provò a fare il padre alla moglie, come rimasero soli. Cose peregrine le disse in quel discorso, provandosi spesso a ingollare e passandosi la manina tremicchiante sulle labbra: che non si doveva piangere cosí, perché non era mica detto che Rinuccio… Dio liberi… i casi potevano esser tanti… il reggimento, per ora, poteva anche esser mandato in seconda linea, se si trovava agli avamposti, come dicevano, fin dal primo giorno della guerra… e poi, se tutti i soldati che andavano al fronte fossero morti, addio… piú facile era che fossero feriti… qualche feritina lieve… a un braccio, per esempio… Dio lo avrebbe assistito, il loro figliuolo… perché fargli cosí la jettatura con quel pianto? Eh… eh… a vederla piangere cosí, Rinuccio si sarebbe impressionato; certo che si sarebbe impressionato…

Ma la madre diceva che non era lei. Gli occhi… gli occhi… che poteva farci? Per il senso che le facevano tutte le parole, tutti gli atti del suo figliuolo: un senso strano e crudele, di ricordo.

— Ogni parola, capisci? mi fa l’effetto che non me la dica ora, ma che me la diceva… Cosí! Mi resta impressa, come se lui già non ci fosse piú… Che posso farci? … Dio… Dio…

— E non è jettatura, questa?

— No! che dici!

— Dico che è jettatura! E io mi metterò a ridere, vedrai che io mi metterò a ridere, quando partirà.

Finalmente viene l’ora di partire. I coscritti cominciano ad arrivare alla stazione ferroviaria. Marino Lerna è l’ultimo arrivare,

Se avessero seguitato ancora un poco, avrebbero litigato. C’era già acuta, fustigante l’impazienza per il ritardo del figliuolo. Ma Dio, come non capivano i superiori che quegli ultimi momenti dovevano essere riserbati a una povera mamma, a un povero padre?

L’impazienza diventò smania insopportabile, allorché tutti i compagni di Marino cominciarono a venire alla spicciolata e in gran fretta all’albergo, con le carrozze che si fermavano lí davanti ad aspettare il bagaglio per ripartir subito verso la stazione. Ecco, l’attendente dell’uno portava già la cassetta; l’attendente dell’altro, lo zaino, il cappotto, la sciabola; e via tutti a precipizio, in carrozza, di gran trotto.

Marino, uscito per ultimo dalla caserma, era corso a ritirate un pajo di scarpe imbullettate, da campagna, ordinate il giorno avanti; e aveva fatto tardi.

…quasi manca il treno! Così, un arrivederci frenetico è seguito da un tentativo, disperato ma riuscito, a salire sul treno!

Piú che un distacco, fu uno strappo, una furia, un precipizio. C’era il rischio di perdere il treno. Difatti, arrivò col padre e la madre alla stazione, che già chiudevano gli sportelli delle vetture: si cacciò in una, da cui i compagni si sbracciavano a chiamarlo; e subito il treno partí fra un tumulto di gridi, di pianti, d’augurii, tra uno svolazzío di fazzoletti e cenni di mani e di cappelli.

Dopo è partito il treno il padre di Lerna nota che la moglie non è più al suo fianco. Ha svenuto lei, ed è stata portata in un rifugio vicino.

Quando il signor Lerna, che aveva agitato il suo fino all’ultimo, ma senza nessuna convinzione, quasi stizzito che non gli avessero dato il tempo di farlo bene, si voltò, ancora mezzo intronato, a cercarsi accanto la moglie, non la trovò piú: l’avevano trasportata, svenuta, nella sala d’aspetto.

Alla fine, dopo la mamma è recuperata e la stazione è vuota, i genitori imbarcano su un trasporto navetta che li porterà all’albergo. Una giovanotta, apparentemente conquistata dall’emozione, imbarca anche sul trasporto navetta.

Una gran quiete, ora, nella stazione. Non c’era piú nessuno. Solo, nel vano abbagliante del lungo e stanco pomeriggio estivo, i binarii lucidi, e un lontano ininterrotto stridío di cicale.

Tutte le carrozze avevano già ricondotto in città la gente venuta a salutare i partenti; e non se ne trovò piú nessuna davanti la stazione, allorché la mamma di Marino Lerna, alla fine rinvenuta, fu in condizione d’esser trasportata all’albergo.

Il guardasala, impietosito, si profferse d’andare al prossimo garage per far venire l’omnibus automobile, che doveva esser già di ritorno.

All’ultimo momento, quando la signora, sorretta, quasi portata di peso, vi aveva già preso posto, e l’omnibus stava per avviarsi, venne di furia a montarvi una giovine bionda, sbucata chi sa da dove, con una gran paglia fiorita di rose in capo, molto scollata e vestita alla bizzarra; occhi e labbra dipinti; ma che piangeva anche lei perdutamente.

Una bella giovine.

Aveva, raccolto in una mano, un minuscolo fazzolettino di filo azzurro, ricamato; teneva l’altra, sfavillante d’anelli, su la guancia destra, come per nascondere il rossore e il bruciore d’un terribile schiaffo.

La giovanotta è Ninì, la prostituta il Sarri ha portato da Roma a Macerata.

La Niní, che il sottotenente Sarri s’era portata da Roma, tre giorni addietro.

Le due donne sono superate dall’emozione. In una scena umoristica, Ninì si preoccupa d’esprimere i suoi sentimenti davanti alla mamma.

Il padre di Marino Lerna capí subito di che genere fosse quella biondina lí. Non capí la madre che, vedendosi di faccia un’altra donna che piangeva come lei, non seppe tenersi da domandarle:

— È moglie la signora?

Quella, col suo fazzolettino da bambola sugli occhi, fece subito di no col capo.

— Sorella? — insistette la madre.

Ma a questo punto il marito intervenne col gomito a fare, sotto sotto, un segno alla moglie.

La giovine notò forse quel segno: comprese, a ogni modo, che l’inganno di quella vecchia signora sul suo conto non poteva durare a lungo, e non rispose.

Ma un’altra cosa, anche piú triste, comprese, mentre seguitava a piangere. Comprese che lei ora impediva a quella vecchia mamma di piangere, perché quella vecchia mamma, ora, provava onta a confondere le sue lagrime con quelle di lei.

Erano lagrime, per tanto, anche le sue; e lagrime d’una pena piú rara assai di quella cosí comune e naturale d’una mamma.

La fonte delle lacrime di Ninì è ambigua. Ci viene spiegato che Ninì ha avuto rapporti sessuali con molti dei coscritti, e che il Sarri, dopo aver appreso di questo, l’ha battuta. (Quindi possiamo domandare: Piangere per i giovani? per il Sarri? per se stessa?)

Non era stata soltanto del Sarri ultimamente, a Roma, la Niní; era stata anche di altri compagni di lui in quel plotone allievi ufficiali; e chi sa, fors’anche di colui, per cui quella vecchia mamma ora piangeva.

A mezzogiorno, era stata a tavola con loro, con dieci di loro. Una tavolata di diavoli. Glien’avevano fatte di tutti i colori, e lei li aveva lasciati fare, perché si stordissero come tanti matti, quei poveri ragazzi in procinto di partire per la guerra. Avevano voluto finanche scoprirle il seno, là, alla vista di tutti, in trattoria, perché era famoso tra loro quel suo piccolo seno, quasi ancora virgineo, dai tuberi eretti; e gliel’avevano voluto battezzare, matti, con lo champagne; e lei li aveva lasciati fare e toccare, baciare, premere, stringere, strappare, perché se lo portassero, sí, vivo lassú, quell’ultimo ricordo della sua carne d’amore; lassú dove forse a uno a uno tutti que’ bei giovani di vent’anni sarebbero morti domani. Aveva tanto riso con loro, e poi, sí, Dio mio… poi, baciandoli per l’ultima volta… Ma le era arrivato da parte del Sarri quel terribile schiaffo sulla guancia destra. E no, no: non se n’era avuta per male…

Via, avrebbe potuto dunque lasciarla piangere senz’offendersene, quella povera vecchia mamma. La la-sciava piangere, certo; ma non piangeva piú lei, ora, povera vecchia mamma, che n’aveva chi sa quanto bisogno.

Basata su un senso di rispetto della mamma, Ninì cerca di smettere di piangere.

E allora, ecco che lei si sforzò di trattener le sue lagrime, per lasciare scorrere quelle della madre. Ma invano. Quanto piú si sforzava di trattenerle, tanto piú impetuose esse le rompevano dagli occhi, premute anche dalla ragione crudele per cui cercava d’impedirsi lo sfogo. E alla fine, trangosciata, non potendone piú, scoprí il volto, proruppe in singhiozzi, gemendo:

— Per carità… per carità… non posso farne a meno, signora… Questo mio pianto… Posso piangere anch’io, signora… Lei, per suo figlio;… e io… non per suo figlio propriamente… per uno ch’è partito con lui, e che mi ha anche percossa, perché piangevo… Lei per uno solo… io per tutti… posso per tutti… anche per suo figlio, signora… per tutti… per tutti…

La novella termina su una nota ambigua. Il giorno dopo i genitori di Marino Lerna vedono Ninì per strada. Ha recuperato pienamente le sue emozioni e lei è intrattenente un cliente. Ninì vede la mamma di Lerna, e le imbarazza/le prende in giro.

Il giorno appresso, durante il viaggio di ritorno, alla stazione di Fabriano, la signora Lerna, mentre col marito se ne stava affacciata al finestrino d’una vettura di prima classe, rivide la giovane, che cercava di corsa un posto nel treno. Era in compagnia d’un giovanotto; recava tra le braccia un fascio di fiori, e rideva.

La signora Lerna si volse al marito e disse forte, in modo da farglielo sentire:

— Oh, guarda là, quella che piangeva per tutti!

La giovine si voltò, senz’ira, senza sdegno.

— Povera mamma buona e stupida, — le disse con quello sguardo. — E non capisci

***

È sempre interessante considerare ciò che il Pirandello vuole illustrare nelle novelle! Cosa vuole che discutiamo alla fine di ogni novella?

Penso che il messaggio centrale di Jeri e oggi sia relativo alle maschere che indossiamo quando ci presentiamo agli altri. Cioè,

– In primo luogo, un esempio delle maschere indossate dai giovani che affrontano un disastro imminente e desiderano agire in modo eroico:

La tensione dell’animo, appena il colonnello licenziò quei dodici giovani, si sciolse in ciascuno di loro, per un istante, in un curioso stordimento, quasi di delusa ebbrezza. Subito se ne distolsero per abbandonarsi a un eccesso di disinvoltura rumorosa; da cui però, un momento dopo, tornarono a riprendersi con uno studio di mostrare l’uno all’altro che quella loro disinvoltura non era punto affettata.

(Questo paragrafo, a mio parere, sia inteso ad illustrare due cose: primo la ‘risposta stereotipica’ d’un giovanotto eroico ad un pericolo imminente, e secondo le altre emozioni (es. paura, ansia) che rimangono nascoste, appena sotto la superficie.)

– Secondo, un esempio delle differenze tra il modo in cui donne ed uomini agiscono di fronte a un pericolo / tragedia imminente:

Donna

Arrivò la mattina del giorno appresso a Macerata in tale stato, che subito il figlio si pentí d’averla fatta venire. Ma lei protestava di no, appena scesa dal treno: di no, di no; senza poter piú staccare le braccia dal collo del figlio, piangendogli sul petto:

— Non me lo dire, Rinuccio… non me lo dire…

Uomo

Il padre le batteva intanto, serio serio, una mano sulla spalla. Perché era uomo, lui. E non piangeva, lui.

A Roma, poco prima di partire, aveva avuto un certo discorso con un signore sconosciuto, il quale aveva anch’esso un figliuolo al campo fin dal primo giorno della guerra e due altri piú piccoli in casa. Un certo discorso, sí. Niente. Un discorso tra due padri, ecco.

— Senza piangere…

(Questi paragrafi, a mio parere, siano delle chiavi di comprensione della novella. Il Pirandello sembra usare le reazioni diverse dei genitori per esplorare uno dei modi in cui gli uomini differenziano dalle donne. Sembra suggerirci che le diverse reazioni (cioè, la madre piange in modo incontrollabile mentre il padre ‘mantiene un labbro superiore rigido’) vengano appresi, cioè, riflettano/permettano ciò che la società aspetterebbe da mamma-papà in una situazione come questa.)

Terzo, non credo che il Pirandello limiti le sue intenzioni a questi primi due esempi parrocchiali. È dopo un gioco più grande … qualcosa di più universale!

(Es.) Il Pirandello sembra anche suggerirci che la reazione della mamma sia più onesta e vera, mentre la reazione di suo padre sia un po’ falsa. Come tale, la reazione del padre è descritta come l’una più dolorosa per guardare.

Però, nello sforzo di trattenere il pianto a ogni costo (sforzo che gli appariva evidentissimo dagli occhietti lustri, febbrili), la sua magra personcina molto curata aveva ora una ridicola solennità artificiosa che faceva pena, forse piú di quell’abbandonato cordoglio della madre.

(In questo modo il Pirandello sembra suggerirci che ci sia una risposta umana ‘condivisa’ o ‘universale’ alle situazioni di tragedia imminente / di pericolo, e che la mamma del Lerna viene più vicina a esprimerla).

Alla fine, penso che il Pirandello sembri dirci che l’espressione delle emozioni umane è complessa. Come qualcuno sceglie di esprimersi in una certa situazione può infatti dipendere in parte dal proprio background genetico (in altre parole, dipende sulla biologia). Ma dipende anche in parte dalle proprie esperienze, da ciò che uno è appreso dalla vita. Con questo, voglio dire che come ci reagiamo / come ci pensiamo / come ci presentiamo agli altri dipende anche da usanze, abbitudini, storia, convenzioni, atteggiamenti e aspettative. Possiamo dire che la maschera che indossiamo dipende dal nostro carattere innato, dalla nostra personalità, dalla somma delle nostre esperienze e dalla circostanza (cioè la situazione particolare in cui ci troviamo.

Inoltre… dato che ci cambieremo e ci evolveremo nel corso del tempo, così come le circostanze che dobbiamo affrontare, le maschere che indossiamo può anche cambiare — da un giorno all’altro.

 

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