Riassunto: La corona

La corona (L. Pirandello) inizia così:

Il dottor Cima si fermò all’entrata della villetta comunale, che sorgeva sul poggio all’uscita del paese; stette un pezzo a guardare il rustico cancello a una sola banda, sorretto da due pilastri non meno rustici, dietro ai quali si levavano tristi due cipressetti (tristi, quantunque attorno a loro ridessero in ghirlande qua e là, tra il cupo verde, alcune roselline rampicanti); guardò l’erto viale che dal cancello saliva al poggio, alla cui vetta stava tra gli alberi un chiosco che voleva sembrare una pagoda; e aspettò che il desiderio di farsi una giratina per sollievo in quella vecchia villetta quasi abbandonata riuscisse a vincere in lui la rilassatezza delle membra, che il tepore inebriante del primo sole gli aveva cagionato.

Francesco Cima, medico, è andato a fare una passeggiata e arriva in una villa piccola, che è ora proprietà comunitaria e che si trova in cima d’un poggio, appena fuori le mura del paese: la villetta è vecchia, rustica e bella.

La storia si svolge durante la transizione dall’inverno alla primavera. La primavera, bellissima, è ovviamente appena arrivata,

Il fresco d’ombra di quella poggiata a bacio era saturo di fragranze selvatiche amare, di prugnole; dense e acute, di mentastri e di salvie. Veniva dagli alberi, come un invito, il cinguettío continuo degli uccellini festanti per il ritorno della dolce primavera. E il dottor Francesco Cima si mise a salire a lenti passi alla villetta, respirando con voluttà quell’aria satura di fragranze, rapito, stordito, quasi vaneggiante in una ebbrezza deliziosa.

La vista di quelle piante rinverdite, che si beavano smemorate nel sole, lo svolare delle farfalle bianche su i fiori dell’ajuole, davano ai pensieri del dottore, che non potevano esser lieti, un contorno quasi vaporoso, di sogno.

…ed il Cima è incantato dalla villetta ei suoi giardini circostanti.

Com’era bella quella villetta quieta, in cui nessuno veniva a passeggiare!

— Se fosse mia…

Ecco: il desiderio, non potendo la mano rapace, allungava un sospiro. E chi sa quanti e quanti non venivano lí a passeggiare appunto per questo, per non sospirare come lui adesso: Se fosse mia!

Cominciamo a conoscere la personalità del Cima. Sembra essere pensoso, rispettoso, generoso (non avido). Sembra avere un bel senso delle sue priorità di vita. Il lettore ha anche un’impressione iniziale che il Cima sia intelligente e ben istruito, un professionista.

Come detto, la villetta è di proprietà pubblica… con, come uno può immaginare, le regole comunitarie:

Perché è destino delle cose che sono di tutti di non essere poi propriamente di nessuno.

A ogni passo un palo e una tabella: «Proibito di entrare nelle ajuole»; «Proibito di danneggiare le piante»; «Proibito di cogliere i fiori».

…e questo fatto è accoppiato con la realizzazione che la persona che, infatti, è padrone della proprietà è il giardiniere!

Si era insomma padroni soltanto di guardare, passando. Ora la proprietà vuol dire «io», non vuol dire «noi». E lí dentro uno solo poteva dir «io»: il giardiniere, che era dunque il padrone vero, e per giunta pagato per esserlo, e vi aveva casa e stato e vendeva per conto suo i fiori, ch’eran di tutti e di nessuno.

Il cinguettio d’un uccello attiva una memoria personale che, per noi, rafforza l’impressione che il Cima è una brava persona,

Un trillo, fra tanti, piú acuto, ridestò chiara a un tratto nel dottore la memoria d’una villeggiatura lontana, in una vecchia cascina perduta tra gli alberi dell’aperta campagna, lieta della vicinanza del mare. Ah! era ragazzo allora: un ragazzaccio che aveva la passione della caccia. Quanti poveri uccellini aveva uccisi!

…che ciònonostante, sta vivendo qualcosa di una crisi di mezza vita.

Le amarezze, le costernazioni, i fastidii che gli venivano dalla sua professione di medico, gli s’erano quasi addormentati in fondo all’anima. Non cosí il rammarico d’aver compiuto da qualche mese quarant’anni. Il piú bel tempo della vita era già finito per lui, e purtroppo senza ch’egli potesse dire d’aver goduto mai veramente della giovinezza. E c’era forse da godere nella vita! Oh, sí, poteva, poteva esser bella la vita; poteva una mattinata serena come quella compensare di tante afflizioni e di tante noie.

(Uno può immaginare che una gran parte della sua gioventù sia stata caratterizzata da un intenso e unico focus sui suoi studi medici seguito da un focus sulla sua carriera. Ora, all’età di 40 anni, uno possa sospettare che non tutto sulla pratica della medicina è divertente, onorevole, eccitante. Dunque, a questo punto della vita è comprensibile che il Cima guarda / cerca altrove (cioè, oltre la sua professione) per trovare ispirazione e soddisfazione.)

Ci è spiegato che il Cima è recentemente sposato. Lui, all’improvviso, si accende che deve tornare in casa e chiedere a sua moglie di accompagnarlo per condividere l’esperienza della villetta in primavera.

Il dottore si fermò, a un pensiero sortogli improvviso: quello di tornare indietro, di correre a casa a prendere la giovane moglie (era sposo da sette mesi), per far godere anche a lei l’incanto di quella passeggiata. Rimase un tratto perplesso, poi riprese ad andare lentamente per il viale.

Tuttavia, questo non sembra essere una proposta diretta.

No. Quell’incanto era per lui solo. Sarebbe stato anche per la moglie, forse, se lei fosse venuta senza il suo invito, a passeggiare da sola. Insieme, l’incanto sarebbe svanito, per tutt’e due. Ecco, era già svanito anche per lui, solamente a pensarci. L’amaro di quella sottile malinconia, dianzi avvertito appena, gli saliva ora alla gola.

A questo punto siamo presentati a sua moglie. È molto chiaro che lei è una buona persona; è anche più giovane del Cima (loro hanno 22 e 40 anni, rispettivamente), e straordinariamente bella.

Non che avesse da ridire minimamente su la moglie. Tanto buona, poverina! Ma aveva circa diciotto anni meno di lui; appena ventidue; ed egli, già coi capelli grigi su le tempie e la barba brizzolata.

Il corteggiamento e il matrimonio hanno evoluto durante un breve periodo di tempo. Il Cima credeva, al momento del matrimonio, che c’era un autentico senso di affetto tra i due, e la sua speranza era che questo sentimento crescesse e si sviluppasse in qualcosa di più profondo.

Sette mesi addietro, sposando, aveva sperato che la stima affettuosa, dimostratagli durante il breve fidanzamento, avrebbe potuto cangiarsi presto in amore, facilmente. Bastava che ella si accorgesse appena che, nonostante quella canizie su le tempie, egli la amava come un fanciullo. Non aveva amato mai, prima di lei, alcun’altra donna.

(Io penso che ciò che vuole / cerca sia la compagnia e l’intimità… cioè, abbia voglia di condividere la vita sua con un’altra per cui esistono l’affezione reciproca, il rispetto reciproco, l’ammirazione reciproca… in altre parole, un amore vero e profondo.)

Tuttavia, quello non era ancora accaduto. Dopo sette mesi, la moglie del Cima sembra ancora tenere qualcosa indietro (cioè, lei non era pienamente impegnata a lui).

Sogni! L’amore, il vero amore (egli lo sentiva bene) in sua moglie non era ancor nato, non sarebbe forse mai nato. Gli sorrideva, gli dimostrava in tanti modi di volergli bene, ma cosí, come per dovere.

Infatti ci è spiegato che sta ancora lutando la perdita del suo primo vero amore, che è morto improvvisamente e tragicamente tre anni prima da una malattia infettiva.

Ora, non sarebbe stato forse tanto aspro per lui il cordoglio, se un certo puntiglio non glie l’avesse segretamente esacerbato, impedendogli di fare anche su la sua giovane compagna quelle riflessioni un po’ amare ma piene di bonaria indulgenza, con le quali era pur solito di scusare e compatire tant’altre cose nella vita.

Da ragazza, sua moglie, s’era innamorata, col fervore dei diciott’anni, d’un giovanetto, studente di liceo, morto di tifo. Lo sapeva, perché era stato chiamato come medico, allora, proprio lui al letto di quel giovane. E sapeva ch’ella era stata lí lí per impazzire dal dolore; che s’era chiusa in una camera, al bujo, per molte settimane, senza voler vedere nessuno; che non era piú uscita di casa; che avrebbe voluto farsi monaca. Uh, se n’erano dette tante, in paese! L’intera cittadinanza s’era commossa al caso crudele di quell’amore di due giovani spezzato dalla morte, perché egli, il povero morto, era nelle grazie di tutti per la vivacità dell’ingegno, per le gentili fattezze, per i modi gioviali e garbati; e lei, lei che lo piangeva disperatamente, era ritenuta con ragione una delle piú belle ragazze del paese.

Un anno dopo la morte (durante quest’anno lei ha rimasto a casa), i suoi genitori la costrinse a lasciare la casa… per ‘rientrare’, per così dire, nel mondo.

Quando, dopo circa un anno, forzata dai parenti, s’era presentata in qualche radunanza, la sua vista, il suo contegno, l’aria mesta del volto, i mesti sorrisi avevano destato in tutti, e specialmente nei giovani, una fervida ammirazione, una vivissima tenerezza. Essere amato da lei, scuoterla da quel fascino doloroso, richiamarla alla vita, all’amore, alla giovinezza, era diventato il sogno, l’ambizione d’ogni giovanotto.

Lei era immediatamente circondata dagli uditori, ma non era pronta: ci è stato spiegato che le sue motive erano onorevoli e, certamente, lei non era ostentata nel suo dolore. Semplicemente non era pronta — era incapace di lasciar andare la memoria del suo ragazzo. Ostinatamente lei ha rifiutato diverse offerte del matrimonio seri e valide.

Ma lei si era ostinata in quel suo lutto. Ostentazione, no; ma, a poco a poco, qualcuno aveva cominciato a susurrare malignamente che ella, pur cosí umile e modesta, doveva provare un certo compiacimento del proprio cordoglio, essendosi accorta ch’esso la rendeva a tutti piú cara, piú ammirevole. Forse chi diceva cosí, parlava per dispetto o per gelosia. La prova ch’ella non intendeva, con quelle gramaglie, d’essere maggiormente desiderata, era nel fatto che in pochi mesi aveva rifiutato quattro o cinque profferte di matrimonio, serie profferte dei migliori giovani del paese.

Il senso che abbiamo è che sia giovane ed inesperta nei modi del mondo. È anche una buona persona, ma qualcuna sopraffatta dalla tristezza e dalla perdita, qualcuna che ha difficoltà ad affrontare le circostanze della sua vita.

Allo stesso tempo, tuttavia, altri cominciano a pettegolezzare. Il pettegolezzo è negativo e può essere stato motivato dalla gelosia e dalla mancanza di rispetto. (Ci chiediamo: forse i pettegolezzi siano più ‘esperti’ nell’amore e nei rapporti e, di conseguenza, più cinici sulla vita e l’amore?)

Il Cima la conosce: lui era il medico che ha curato il ragazzo al momento della sua malattia e della sua morte. Quasi due anni dopo la tragedia, i due si incontrano di nuovo: si sviluppa un senso d’affetto e poi si sposano,

Erano passati quasi due anni dalla sciagura, e nessuno piú ormai, dopo quei rifiuti cosí recisi, s’attentava a chiederla in isposa, quando s’era fatto avanti lui, il dottor Cima, quantunque sconsigliato dagli amici; e – sissignori – era stato accolto, lui, subito.

…anche se il Cima è stato avvertito che lei non può mai veramente amarlo.

Passata la prima sorpresa però, tutti s’erano spiegata la ragione di quella vittoria. Ella aveva detto di sí, perché il dottore non era piú giovane, e nessuno dunque avrebbe potuto supporre ch’ella lo sposasse per amore, per vero amore: aveva detto di sí, perché egli stesso non avrebbe certamente preteso d’essere amato come un giovanotto, e si sarebbe contentato di quell’affetto quieto e tepido, fatto di stima, di gratitudine e di devozione.

Abbastanza presto dopo il matrimonio, il Cima scopre che sua moglie è rimasta in lutto, e non è ancora pronta ad impegnarsi pienamente a lui. Poi impariamo di più del Cima: ci è spiegato che anche lui è inesperto nei modi del mondo. La moglie è la prima donna che ha amato (fuori della sua famiglia) e abbiamo il senso che veramente non sia sicuro come rendere meglio il suo matrimonio.

Che cosí fosse veramente, non aveva tardato a comprenderlo anche lui. Ne aveva tanto sofferto; ne soffriva tanto tuttora; doveva fare piú volte al giorno sforzi violenti su se stesso, ora per frenare uno scatto, ora per non tradire il rammarico acerbo. Era una vera tortura sentirsi tuttavia giovane nel cuore, e non poterlo dire, non poterlo dimostrare, per paura di perdere anche la stima e la gratitudine di lei, accordate solo a questo patto: reprimere ogni impulso di quell’amore che per lui era il primo e sarebbe stato l’ultimo.

Mah! giovane ancora, anzi bambino, per una sola donna egli avrebbe potuto essere ormai: per la sua vecchia mamma, se non fosse morta da tre anni! Lei, sí, avrebbe sentito bene con lui l’incanto di quella mattinata deliziosa; e, senza pensarci due volte, egli sarebbe corso a prenderla a casa, la sua santa vecchierella, per farla ristorare al tepore di quel primo sole. L’avrebbe trovata certamente rannicchiata in un cantuccio, col rosario in mano, a pregare per tutti i malati ch’egli aveva in cura.

 

Sorrise con dolce mestizia il dottor Cima a questa immagine, scrollando lievemente il capo, mentre saliva al vialetto piú alto della villa sul poggio. Pregando per tutti i malati ch’egli aveva in cura, la sua santa vecchierella non dimostrava molta fiducia in lui e nella sua scienza. Glielo aveva domandato scherzosamente una volta, ed ella gli aveva subito risposto che non pregava per questo, ma perché Dio lo ajutasse a salvare i suoi malati.

 

— E dunque tu credi, che senza l’ajuto di Dio…

 

Non lo aveva lasciato finire.

 

— Che dici? L’ajuto di Dio ci vuol sempre, figliuolo!

 

E pregava, pregava da mane a sera; tanto che egli, quasi quasi, avrebbe desiderato di non aver molti clienti, per non stancare troppo le labbra di lei.

***

Ecco… due protagonisti, due persone carine ed inesperte… due persone che si prendono cura l’uno l’altra, che hanno deciso di sposarsi, ma non sono ancora riuscite a raggiungere l’amore profondo / vero (cioè, un senso, condiviso da tutt’e due, di intimità e compagnia e basato su ammirazione e rispetto reciproco).

Comprendiamo che una tragedia ha superato la moglie e la impedisce di partecipare pienamente al suo matrimonio. Comprendiamo anche che il Cima non è sicuro di sé (perché manca le competenze necessarie per aiutarla a far progredire con la vita); quindi lui è riluttante… si affida il suo tempo sperando che le cose cambieranno.

***

A questo punto la narrazione ritorna alla villetta. Il Cima incontra un giardiniere che lo informa che la corona è pronta per il ritiro.

Tornò a sorridere. Col ricordo della madre, i suoi pensieri avevano ripreso i contorni vaporosi del sogno; l’incanto gli s’era rifatto.

Glielo ruppe improvvisamente il nuovo giardiniere, che si trovava lassú a sarchiare in un pratello.

— Oh, eccomi qua, signor dottore! M’ha cercato a lungo?

— Io no, veramente…

— È pronta, sa? bell’e pronta fin dalle otto.

E, cosí dicendo, gli si fece avanti col berretto in mano e la fronte imperlata di sudore.

— Se vuol vederla, è qua, nella pagoda. Andiamo subito.

Il Cima non sa cosa parli il giardiniere.

— Veder che cosa? — domandò il dottore, restando. — Io non so…

— Come, signor dottore! La corona.

— La corona?

Il giardiniere menziona la data e ricorda al Cima che la sua serva ha posto l’ordine per la corona. Il Cima è mistificato.

Il giardiniere lo guardò, restando anche lui, non meno stupito.

— Scusi, non ne abbiamo 12, oggi?

— Ebbene?

— Non mi ha mandato la serva l’altro jeri, a ordinarmi per oggi una corona?

— Io?… per il 12?… Ah, già… — disse allora il dottore, fingendo di ricordarsi. — Ho mandato… già… ho mandato la serva…

— Rose e violette, non si ricorda? — e il giardiniere tornò a sorridere della smemorataggine del signor dottore.

— È pronta da stamani alle otto! Venga a vederla.

Per fortuna si mosse avanti e cosí non poté notare l’alterazione improvvisa del volto del dottore, che lo seguí come un automa, con gli occhi attoniti, foschi, la bocca aperta, aperte le mani.

La spiegazione segue: il 12 è l’anniversario della morte del ragazzo, ed in attesa la moglie ha chiesto la corona segretamente (via la serva), che ha previsto di mettere sulla sua tomba quel giorno.

È sconvolto povero Cima, a dir lo meno, dalla rivelazione.

Una corona? La moglie, di nascosto, aveva ordinato una corona? Sí, il giorno 12 appunto cadeva l’anniversario della morte di quel ragazzo. Ancora, dopo tre anni? Pur essendo adesso sua moglie? Gli mandava di nascosto una corona… Moglie già d’un altro! Lei, cosí timida; lei, cosí modesta, tanto ardire! Tanto dunque lo amava? tanto viva era ancora la memoria di lui nel suo cuore? E perché aveva sposato un altro, allora? Se il suo cuor era ancora di quello, e sempre di quello sarebbe stato? Perché? perché?

Cosí tra sé farneticando, il dottore seguitava ad andar dietro al giardiniere. Voleva vederla, quella corona; sí, vederla per accertarsi bene, con gli occhi suoi, che sua moglie era capace di un tale inganno, d’un tal tradimento.

I due uomini procedono ad un capannone dove viene conservata la corona. Gli uomini discutono di pagamento. Il Cima accetta di pagare, anche se è un po’ perduto (in un stupore).

Quando la vide, là nella pagoda, in un angolo, ritta su una tavola di ferro, appoggiata alla parete, gli parve che fosse per lui, e restò a mirarla a lungo.

Il giardiniere, interpretando a suo modo quell’ammirazione:

— Bella, eh? — domandò. — E tutte rose e violette fresche, sa? colte all’alba. Pochine, cento lire, signor dottore! Sa che fatica metterle insieme a una a una tutte queste violette? E le rose? D’inverno, perché rare; quand’è stagione, perché le vogliono tutti… pochine cento lire! Me ne deve dare almeno altre venti.

Il dottore si provò a parlare, ma sentí che gli mancava la voce; aprí le labbra a uno squallido sorriso, e si sforzò a dire:

— Io… pagartela, eh? Poche, cento lire… Rose e violette, già… cento venti? Eccole qua.

— Grazie, signor dottore, — s’affrettò a rispondere il giardiniere, prendendo il denaro. — Creda che le merita…

(Secondo me il fatto che il Cima considerebbe pagare è completamente coerente con quello che conosciamo della sua personalità.)

Poi il CIma dice al giardiniere che sarà lui a raccogliere la corona, nessun altra.

— Tienla qua, — troncò il dottore, rimettendo in tasca il portafogli. — Se viene la serva, non gliela dare. Verrò a prenderla io.

E uscí dalla pagoda; scese per il viale; svoltò; appena si vide solo, nascosto, si fermò, strinse le pugna e contrasse tutto il volto in uno spasimo di riso:

— Gliel’ho pagata io…

Il Cima torna a casa. Durante il giro, valuta le sue opzioni e decide come rispondere a ciò che sua moglie ha fatto. Si domanda: “È stato un tradimento?” In caso affermativo, si chiede come dovrebbe rispondere?

Che doveva fare adesso? Prendere la moglie, senza farle male, e ricondurla alla casa del padre: ecco, sí, questo si meritava! E che andasse a piangere lontano quel suo ragazzo morto, senza rubar cosí l’amore d’un galantuomo, ch’ella aveva, se non altro, il dovere di rispettare. Né amore, né rispetto? Ah, ella aveva rifiutato i giovani e s’era preso uno, per lei vecchio, perché costui l’amore, via!, non si sarebbe neppur sognato di pretenderlo, coi capelli già grigi, con la barba già brizzolata; ma avrebbe anche chiuso un occhio, e anche tutti e due, su la sua pena antica; non si sarebbe avuto a male di nulla, il vecchio! Però di soppiatto gliela mandava, la corona! Meno male! Eh già, moglie d’un altro, non aveva stimato conveniente andar lei, di persona. Per quanto vecchio il marito, via, sarebbe stato un po’ troppo! Aveva mandato la serva a ordinar la corona, in prova del costante amore; e la avrebbe fatta appendere dalla serva alla tomba di quel suo povero amore.

Ah, com’era stata ingiusta veramente la morte di quel ragazzo! Se fosse vissuto, quel ragazzo, se avesse avuto il tempo di divenire uomo, di divenire esperto e istrutto anche lui di tutte le sagge perfidie della vita, e la avesse sposata lui, la sua cara fanciulla innamorata; si sarebbe accorta bene costei, che altro è fare all’amore dalla finestra, a diciott’anni, altro è vivere nella dura realtà quotidiana, quando già le prime fiamme si sono ammorzate e comincia il tedio dei giorni uguali, e la stanchezza, e nascono i primi dissapori, e il giovane marito comincia a esser sazio e stufo della moglie e pensa già di tradirla… Ah, come avrebbe desiderato ch’ella avesse potuto fare per qualche tempo, con quel ragazzo là, una siffatta esperienza! Allora sí, questo vecchio…

…O dovrebbe fare una scena? Dovrebbe agire più cinico?

Serrò piú volte le pugna fino ad affondarsi le unghie nelle palme; poi si guardò le mani che gli tremolavano, e alla fine si riscosse traendo un lungo sospiro.

L’impeto della prima impressione era caduto. Stette un pezzo a guardare innanzi a sé, vide poco discosto un sediletto e andò a sedervisi meccanicamente.

Ebbene, e questo vecchio, – seguitò a pensare, – non intendeva forse di regolarsi anche lui come un ragazzaccio? fare una scenata? uno scandalo? Oh, allora tutti quelli che avevano indovinato cosí facilmente la ragione per cui egli era stato subito accolto: — Uno scandalo? — avrebbero esclamato. — Eh, via, in fin dei conti perché? Per una corona da morto… Certo ogni anno la poverina, per il giorno 12, aveva mandato una corona al camposanto. Il nuovo giardiniere non lo sapeva. Quell’anno, anche quell’anno ella, naturalmente, se n’era ricordata… Naturalmente, sí, perché il povero dottore, via, non aveva potuto farglielo dimenticare. Se n’era ricordata, e non aveva saputo resistere alla tentazione. Certo, oh, certo aveva fatto male… Ma il sentimento non ragiona! Si trattava d’un morto, alla fin fine!

Cosí tutti avrebbero pensato.

…O dovrebbe invece fingere di non sapere nulla?

E allora che doveva far lui? Lasciar correre? fingere di non saper nulla? ritornar sú, dal giardiniere, a dirgli che desse alla serva quella corona, trattenuta lí perché gli servisse da prova?

Ah, no, questo no! Avrebbe dovuto anche farsi restituire il danaro pagato, raccomandare a colui di star zitto…

(Decide che questo non funziona, dato che ha già fatto il pagamento!)

Sicuramente il Cima è ferito dal segreto di sua moglie, e come resultato è anche triste… ma al tempo stesso la sua personalità sia affascinante, un misto univoco di intelligenza, maturità, determinazione, ragionevolezza e ingenuità. Non è cinico certo di amore e di rapporti! (Abbastanza stranamente, infatti, può essere vero che la sua ingenuità e mancanza d’esperienza lo aiutino ‘tenere duro’, cioè, stare e lavorare verso qualcosa di meglio!

Era grave, il fatto, ma per il suo cuore che n’era rimasto ferito; grave anche per il ridicolo che gliene sarebbe potuto venire, se il caso si fosse risaputo, perché provava il poco rispetto che sua moglie aveva per lui. Egli doveva vincere il proprio cuore, dirgli che aveva un bel sentirsi giovane, quando tutti lo credevano vecchio. Un giovanotto, sí, avrebbe potuto anche fare uno scandalo; lui, vecchio, no; doveva mostrarsi superiore, lui, e imporre altrimenti alla moglie il rispetto.

Si alzò, con gran calma, ma con un senso d’indolenzimento in tutte le membra. Gli uccelletti della villa seguitavano a cinguettare, festanti. Dov’era piú l’incanto di poco prima?

Il dottore lasciò la villa e s’avviò per ritornare a casa. Quando giunse al portone, però, addio calma! Aveva un affanno da cavallo; e non sapeva come avrebbe fatto a salir la scala, con quelle gambe che gli tremavano. L’idea di riveder la moglie, adesso… Doveva esser piú triste del solito, ella, in quel giorno… Ma forse avrebbe saputo dissimular bene la tristezza: era già abituata, rassegnata. Ed egli la amava, oh miseria! la amava tanto, tanto… e sentiva, in fondo, ch’ella meritava d’essere amata; sí, perché era buona anche, buona come appariva da quelle pure fattezze delicate, da quei profondi occhi neri, vellutati, nel pallor bruno del volto.

Al arrivo in casa, il Cima trova la moglie nella sua camera da letto. Sta vestendosi.

Venne ad aprirgli la serva. La vista di costei lo sconcertò. Era a parte del segreto, quella vecchia, complice dell’inganno. Stava da tanti anni a servizio nella casa paterna della moglie, era affezionatissima a questa; e forse non avrebbe parlato; certo però non avrebbe saputo apprezzare né fors’anche comprendere ciò che egli aveva già divisato di fare. Sarebbe stata a ogni modo una testimonia volgare. Ed egli voleva che quanto stava per fare rimanesse segreto tra lui e la moglie.

Entrò diviato alla camera di lei.

La moglie era davanti la specchiera a pettinarsi. Di tra le braccia alzate sul capo, le scorse nello specchio il volto, incontrò lo sguardo di lei, che esprimeva sorpresa di vederlo in casa a quell’ora insolita.

Il Cima la invita ad unirsi alla villetta. (Non capiamo esattamente quello che il Cima intende fare).

— Sono ritornato, — disse, — per invitarti a uscire con me.

— Ora? — domandò lei, voltandosi, senz’abbassare le braccia che reggevano sul capo il volume dei bellissimi capelli neri, ancora sciolti; e gli sorrise languidamente.

Egli si turbò, quasi fino alle lagrime a quel pallido sorriso, come se vi avesse scorto una profonda pietà di lui, dell’amore che le portava, del dolore ch’ella ancora non indovinava, ma che tra poco avrebbe saputo.

— Sí, ora, — rispose. — È tanto bello, fuori… Sbrígati. Andremo alla villetta, anche piú lontano, in campagna… Prenderemo una vettura…

— Perché? — domandò lei, quasi senza volerlo. — Giusto oggi?

Egli temette, a questa domanda, che lo sguardo lo tradisse. Stentava già tanto a mantenere calma la voce.

— Non ti andrebbe, oggi? — disse. — Ma ti farà bene, vedrai. Sbrígati, sbrígati. Voglio cosí.

Si mosse per uscire dalla camera. Sulla soglia si voltò:

— T’aspetto nello studio.

Partono. Che meraviglia! Notevolmente / incredibilmente, il Cima la porta alla villetta per raccoglie la corona e poi si recano al cimitero per metterlo sulla tomba del ragazzo.

Poco dopo, ella era pronta. Ah, per questo, lo ubbidiva sempre, buona buona; faceva sempre ciò che egli voleva e com’egli voleva: soltanto sul cuore di lei, eh, lí no, egli non aveva alcun potere. Una timida opposizione aveva tentato appena: — Giusto oggi? — ma pure, ecco, con tutta l’angoscia che in quel giorno doveva aver dentro, aveva ubbidito, era pronta ad andare a passeggio, in campagna, dove lui voleva.

Uscirono; attraversarono per un tratto a piedi il paese, poi egli prese a nolo una vettura, e ordinò al vetturino di fermarsi davanti la villetta comunale. Qua, smontò lui solo, pregando la moglie d’attenderlo un poco.

Quando, dopo circa un quarto d’ora, ella, già turbata e costernata, lo vide ridiscendere dalla villetta, seguito dal giardiniere che reggeva su le braccia la corona, fu per mancare. Ma egli la sostenne con lo sguardo.

— Al camposanto! — ordinò al vetturino, rimontando subito in carrozza.

Appena questa si mosse, ella ruppe in un pianto irrefrenabile, recandosi il fazzoletto sugli occhi e sulla bocca.

— Non piangere, — diss’egli allora, piano. — Non ho voluto dirti nulla a casa; non vorrei dirti nulla neanche adesso. Ti prego, non piangere. L’ho saputo per caso. M’ero recato là alla villetta a passeggiare; e il giardiniere me l’ha detto, credendo che l’avessi ordinata io, questa corona. Non piangere, sú! Andiamo a deporla insieme, vedi?

Ella stette con gli occhi nascosti nel fazzoletto, finché la vettura non si fermò davanti al cancello del camposanto.

Egli la ajutò a scendere, poi prese la corona ed entrò con lei nel recinto.

— Sai, dov’è?

Ella fe’ cenno di no, col capo.

— Vieni! — diss’egli, incamminandosi per il primo viale a manca, e guardando a una a una tutte le tombe, che vi erano allineate.

Questa è, a dir lo meno, una sorpresa! Il Cima prova il suo valore… è generoso e altruisto!! Le sue azioni non sono niente di più e niente di meno che un’espressione d’amore vero.

Sua moglie ora rende conto di ciò che il Cima significa per lei. Il suo atto altruistico d’amore lo sopraffa (al suo merito, lei comprende bene ciò che il CIma ha fatto). L’atto di lui le permette di passare dal suo dolore!

Era la penultima di quel viale. Egli allora si scoprí il capo, depose la corona su la pietra tombale, si ritrasse pian piano e, senza farsi scorgere da lei, s’allontanò, come per darle tempo di recitare una preghiera. Ma ella restò lí, muta, senza poter nemmeno staccare il fazzoletto dagli occhi. Non un pensiero, non una lagrima per il morto. Come smarrita, si voltò a un tratto a cercare il marito, lo chiamò, come finora non l’aveva mai chiamato; gli s’appese al braccio, convulsa:

— Perdonami! Perdonami! Portami via!

 

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