Riassunto: Sedile sotto un vecchio cipresso

Cari lettori… immaginate con me che state camminando nel vostro vicinato quando diventate consapevole d’un’altra persona, diciamo un uomo, che si comporta in modo strano, erratico, eccentrico. (Per amor di discussione, diciamo che l’uomo sta agendo come un pazzo.)

Potete immaginare cosa intendo io per ‘pazzo’, vero? Questo sarebbe un uomo i cui vestiti sono a brandelli, che ovviamente non ha fatto il bagno per molti giorni (forse sia lui senzatetto), che rimescola, che parla a se stesso incoerentemente mentre cammina senza meta. Ad un certo punto, lui cammina in strada, apparentemente inconsapevole del pericolo rappresentato dalle macchine.

Siete d’accordo, non è vero, che questo tipo di comportamento strano, da parte d’un’altro, evoca in noi un mix complesso delle emozioni? Di sicuro, diventiamo ansiosi e preoccupati nella presenza di qualcuno che si comporta in modo strano, erratico, eccentrico. Abbiamo bisogno di capire la causa del comportamento (malattia? abuso di sostanze?). Anche… ci fermiamo per evaluare la minaccia che il pazzo rappresenta… per noi stessi, per lui stesso, per gli altri.

Allora… a volte il comportamento strano può essere spiegato in un modo che è facilmente comprensibile, quindi il risultato può essere abbastanza soddisfacente, anche commovente. (In questi casi, non è vero che tendiamo a riferirci al comportamento come ‘eccentrico’, che ha una connotazione positiva?)

Un esempio di quest’ultimo è la signora Caterina Bellandi, che di recente è stata profilata sul New York Times. Ecco una foto della signora Bellandi.

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Cosa, diciamo? Una pazza?

No!! L’opposto… una santa diremmo! Lei una signora, di Firenze, che si è dedicata ad aiutare i bambini malati di cancro e le loro famiglie, trasportandoli nel suo ‘taxi’ (mostrato nel foto) da casa suoi all’ospedale e ritorno!!

https://www.nytimes.com/2017/12/07/world/europe/taxi-florence-cancer.html

***

Altre volte, tuttavia, il comportamento strano ed erratico può essere incomprensibile, semplicemente distruttivo… com’è vero per il signor Lino Cimino, il protagonista della novella Sedile sotto un vecchio cipresso (L. Pirandello) che inizia così:

Era stato, nel suo miglior tempo (come tanti ancora lo ricordavano), uno di quegli uomini che non si sa mai perché siano così: ti guardano con certi occhi; ti scoppiano a ridere in faccia all’improvviso senza motivo; o ti voltano le spalle lasciandoti in asso lì per lì. Per quanto pratichi con loro, non riesci mai a imparare che diavolo covino nel fondo; sempre distratti e come assenti; benché poi, quando meno te l’aspetti, li vedi montare sulle furie per certe cose da nulla, di cui non avresti mai supposto che si potessero accorgere: o, peggio, resti quasi avvilito per conto loro, venendo a sapere dopo qualche tempo che, per futilissimi motivi da te neanche avvertiti, ti han serbato di nascosto un profondo e velenosissimo rancore, mentre li vedi fiduciosi accordar la loro simpatia e la loro stima a cert’altri, dai quali pur sanno d’aver ricevuto male davvero, un mese addietro.

Strambo e un po’ ridicolo era anche nella figura e nel portamento. Le gambe, già sottili per sé, strette in quei calzoncini da cavallerizzo, parevano due stecchi; e su quelle gambe la giacca, sempre a due petti, gli segnava così preciso il busto, che sembrava uno di quei torsi avvitati su un gambo a tre piedi che si vedono nelle botteghe d’abiti bell’e fatti. Su quel busto, il testoncino, ritto sul collo stralungo; baffetti a punta, e due occhietti acuti e vivaci d’uccello, che gli sbattevano continuamente.

A vederlo così, e sapendo ch’era uno dei primi avvocati del paese, ciascuno avrebbe voluto raffigurarselo altrimenti. L’avvocato Lino Cimino rompeva subito sul viso a quei delusi una delle sue solite risate.

Qui, il narratore descrive in termini generali il comportamento strano ed erratico di qualcuno che ride in faccia — imprevedibilmente / all’improvviso / senza una ragione apparente! Oppure uno che potrebbe ignorarti (potrebbe sembrare distratto, assente ed auto-assorbito), ma poi diventa furioso con te! È orribile questa persona: è bifronte e imprevedibile. Il suo comportamento è incomprensibile, negativo – positivo (diciamo ‘caldo e freddo’), aggressivo.

Sarebbe una cosa, ovviamente, se il pazzo descritto dal narratore potesse semplicemente essere ignorato (come un senzatetto), ma questo non è vero per il Cimino, che è uno dei leader del paese: è un professionista, un avvocato, e uno dei primi uomini della regione a stabilire uno studio legale. Il Cimino ha raggiunto successo… servono bene i suoi servizi. Inoltre il Cimino è ammirato: ha una meritata reputazione di abile avvocato.

Come tale, il Cimino non può essere ignorato. L’importanza è derivata dal suo lavoro, e il suo comportamento negativo incomprensibile, bizzarro e imprevedibile deve essere adattato.

Il Cimino sembra essere un misogino. Il suo matrimonio è turbato perché sua moglie, una giovanotta, ha avuto il coraggio di dare alla luce quattro figlie, tutte femmine.

Qualche amico, di quelli che gli volevano bene veramente, aveva più volte tentato di fargli notare che non stava, per un uomo come lui, far certi atti, dir certe cose, dare in pascolo senza ritegno ai maligni certe segrete afflizioni della sua vita famigliare. Ma sì! A far le spese della maldicenza generale pareva provasse un’oscena voluttà; come per esempio quando si metteva con gesti sguajati e sconce parole a gridar vendetta al cielo perché la moglie gli aveva messo al mondo una dopo l’altra quattro figlie femmine; quasi gliel’avesse fatto apposta per dimostrare che lui – perdio, lui! – non era capace di generare un maschio.

(È davvero pazzesco che un uomo incolpi la moglie per questo risultato!)

Il Cimino è in uno stato continuo di rabbia. Argomentazioni feroci, minacce di violenza, violenze reali… la casa è spesso in subbuglio. Gli amici sono spesso chiamati a casa per sedare la rabbia e ristabilire l’ordine.

Escandescenze che trattenevano dal fargli altri richiami per l’afflizione che davano. Pareva incredibile che potesse affogare in tali meschinità volgari un uomo di tanto valore, che commoveva e sbalordiva tutti quando l’estro, parlando, gli s’accendeva, o quando, nei ragionamenti sui casi della vita, sapeva trovar certe considerazioni che subito, i più oscuri e confusi, diventavano chiari e perspicui agli occhi di chi stava ad ascoltarlo.

Il Camino sembra incapace di controllare la sua rabbia. (A questo punto, ovviamente, ci chiediamo come mai possibile che lui sia d’essere così disciplinato e controllato sul lavoro e così sconvolto e fuori controllo a casa.) Le crisi in casa vengono ripetute più e più volte. Il Cimino sembra non preoccuparsi della possibilità di distruggere la sua famiglia.

La sua casa, intanto, era un inferno per le continue scenate con la moglie, che rischiavano ogni volta di buttare all’aria la famiglia.

Un amico che a poco a poco viene invocato per sedare la rabbia e ristabilire l’ordine è Carlo Papìa — un giovanotto, più giovane della moglie del Cimino, e un recente laureato in giurisprudenza, che ora lavora per il Cimino.

Ora l’uno ora l’altro degli amici doveva accorrere, chiamato, a rimetter pace; uno segnatamente, a cui egli per quelle sue solite improvvise simpatie aveva subito accordato la più cieca fiducia; questa volta però, a giudizio di tutti, non mal collocata. Il giovane avvocato Carlo Papìa.

Nel corso del tempo, Carlo Papìa si ingrazia con la famiglia.

Lo aveva accolto nel suo studio, appena laureato. Le quattro figliuole, allora bambine, vedendolo accorrere, gli andavano incontro festanti, perché sapevano che di lì a poco, con la sua venuta, il sorriso sarebbe ritornato sulle labbra della madre e anche del padre; e, appena rimessa la pace, volevano andare a spasso con lui; ed era ogni volta una zuffa per accaparrarsi una sua mano: ne volevano una per ciascuna, e lui a disperarsi ridendo e mostrando che ne aveva due sole e che non poteva accontentarle tutt’e quattro. In paese, vedendolo in mezzo a quelle quattro bambine chiacchierine e affettuose, gli amici gli facevano festa e gli predicevano che presto, così ben protetto ed entrato nelle grazie della famiglia, avrebbe avuto il premio dei lunghi sacrifizi che la sua laurea doveva esser costata ai suoi poveri parenti da un pezzo decaduti.

Come si può ben immaginare, una cosa tira l’altra e Carlo Papìa diventa romanticamente coinvolto con la moglie del Cimino. Il tradimento viene scoperto, prima dal Cimino e infine dagli altri in paese.

Ma può un marito impunemente chiamar di mezzo tra sé e la moglie più giovane di lui un altr’uomo anche più giovane della moglie, di piacevole aspetto e di modi graziosi, esercitati a persuadere l’amore e l’accordo? Scoperto il tradimento, l’avvocato Lino Cimino si comportò naturalmente da quello strambo che era. Incongruenze su incongruenze, una più pazza dell’altra. Non si vuol negare che è inutile studiarsi di tener segrete certe cose perché non trapelino a nessuno: ad onta d’ogni diligenza ci s’accorge poi per tanti segni che tutti invece sanno e che solo per pietà han finto d’ignorare. Ma certamente peggio è fare lo scandalo e poi, di fronte alle ultime conseguenze di esso, arrestarsi e rimanere così a mezzo nella vergogna di cui abbiamo voluto da pubblico spettacolo, deludendo col non concluder nulla l’attesa degli spettatori.

Questa è una situazione intollerabile. Il Cimino evalua le sue opzioni, ma ben presto si rende conto che ce n’è solo una — deve difendere l’onore. Il Cimino dice una cosa — elogia il lavoro di Carlo Papìa — mentre la sua rabbia cresce.

Prima scacciò la moglie, senza pensare di vendicarsi anche sopra l’amante, dichiarando anzi davanti a tutti che gli era grato del servizio che gli aveva reso;

Un giorno, il Camino sequestra sua moglie e le sue figlie a casa; presume che non possa mai più vederli. Se ne va di casa, incontra Carlo Papìa in strada e gli spara,

poi si riprese in casa la moglie, per pietà delle bambine, a patto che non si facesse mai più rivedere da lui; ma la prima volta che incontrò il Papìa per istrada, cavò di tasca la rivoltella e pim! pam! all’impazzata; chi scappò di qua, chi di là;

…Carlo Papìa viene ferito, ed il Cimino viene arrestato dalla polizia e portato in giudizio,

e alla fine il Papìa si ritrovò con una feritina a un braccio, e lui tra due guardie che gli attanagliavano i polsi.

…dopo di che è stato perdonato! Il Cimino costruisce una villa a due piani. Vive al primo piano, sotto una forma di arresti domiciliari, mentre sua moglie e le figlie vivono sopra. Il Cimino si comporta male.

Assolto, si fece costruire un villino a due piani che pareva una carcere; relegò la moglie nel piano di sopra con le bambine; e lui, sotto, per sfregio si portò di notte a dormire anche donnacce da conio: e tant’altre pazzie e vergogne commise che gli avrebbero alienato, oltre la considerazione degli amici, anche tutti i clienti, se il timore d’averlo avversario non li avesse trattenuti dal rivolgersi ad altri.

‘Incomprensibile’:

Apprendiamo dalle emozioni del Cimino e dalla sua incapacità di controllarsi, per sedarsi la sua rabbia. Il Cimino soffre, certo, ma fa soffrire anche gli altri.

Sapete quando una smania si mette allo stomaco, di quelle che levano il respiro; per cui non si sa più né come né dove rivoltarsi; e si graffia il letto; si graffierebbero i muri; si urlerebbe se se n’avesse la forza; e tutto, la vista stessa delle cose dà un fastidio intollerabile, e sopra tutto ogni proposta di rimedio che ci venga da coloro che stanno attorno a guardarci, irritati per contagio della nostra esasperazione; e questo è l’unico sollievo, come per uno sfogo che riusciamo a prenderci senza che ci sia stato offerto? Per fortuna dura poco una tale smania. Ma all’avvocato Lino Cimino, gli si mise allo stomaco, e non gli passò più, per anni e anni.

‘Incomprensibile’:

I suoi amici e vicini non possono dare un senso al Cimino. La distruttività delle sue azioni è reale e il loro effetto sulla sua famiglia è giudicato inutile, insensato… uno spreco grosso.

Con la moglie riammessa in casa e l’amante andato via dal paese tranquillamente dopo l’assoluzione di lui, vana, a parere di tutti, era stata la vendetta, come stolido lo scandalo. Che la moglie fosse ora tenuta come in prigione, senza poter neanche guardare dai vetri delle finestre sempre chiuse, non bastava. Non bastava perché, intanto, aveva la compagnia delle bambine (e neanche questo, se vogliamo, era da approvare, non potendo esser buona guida per le figliuole chi s’era dimenticata d’esser madre diventando una cattiva moglie); e poi, in compenso della condanna d’esser privata d’ogni libertà di comparire davanti agli altri, aveva ottenuto almeno d’essersi liberata di lui, pur seguitando a pesargli addosso. Dal piano di sotto egli se la sentiva camminare sul capo; e tante volte la sentiva anche ridere e cantare.

Ecco… anche Carlo Papìa è influenzato. Soffre non solo l’abuso / la vendetta del Cimino, ma anche il disprezzo e l’ostracismo dei cittadini.

Aveva, sì, finito di rovinare la famiglia già decaduta dei Papìa e teneva segretamente sotto una persecuzione implacabile il giovine; ma neppur questo gli poteva bastare, perché sapeva che il Papìa s’era allontanato dal paese, non tanto per la sua persecuzione, quanto per non sentirsi sbattere in faccia da tutti continuamente il male che aveva fatto, non già a lui suo benefattore, ma a se stesso e ai suoi, lasciandosi pigliare come un imbecille in quella tresca.

Il Cimino non è mai sazio. È incapace di abbandonare il rancore… cioè, di perdonare, dimenticare, andare avanti.

Ora, così essendo (e il Cimino sentiva bene ch’era proprio così), seguitare a pestarlo, gli pareva desse più soddisfazione agli altri che a sé; e quasi quasi avrebbe desiderato che qualcuno, reagendo, si fosse attentato a risollevar quell’imbecille dalla condanna di tutti per rimetterglielo di fronte, a provocare di nuovo, e più acerbo, il suo sdegno, a risuscitare più tremende le sue furie.

Nessuno si mosse; e a poco a poco svaporarono del tutto le furie e lo sdegno. Del Papìa non s’intese più parlare. Passarono gli anni; e quando le figliuole, già cresciute, trovarono marito tra i clienti dello studio che se le portarono via, senza festa e mortificate, in questo e in quel paesello della provincia; nessuno pensò più a ciò che dovesse ormai esser la vita per il Cimino, nella casa vuota, con la moglie su, sola; e lui sotto, solo. Allontanandosi sempre più nel tempo, lo scompiglio cagionatogli da quanto gli era avvenuto, parve si fosse così freddato nello squallore dell’abitudine, che il ricordo stesso, forse, vi stava già come seppellito.

Qui, vediamo che il Cimino sembra essere sepolto dalla rabbia, da un bisogno di vendetta, dai suoi demoni, dal suo carattere e personalità.

Carlo Papìa lascia il paese, la sua promettente vita distrutta. Qualche tempo dopo lui ritorna e la trasformazione è dura. È a malapena riconoscibile… sia il suo aspetto fisico che lo stato mentale sono cambiati in peggio. C’è un’ombra del suo io precedente… irrevocabilmente diminuito, impoverito.

Risaltò, quel ricordo, all’improvviso e inaspettatamente, come uno spettro pauroso agli occhi di tutti, e parve un’atroce punizione che una giustizia oscura avesse per tanti anni covata di nascosto, allorché si vide da un canto ricomparire per le vie della città (e non si seppe mai donde) il Papìa che chiedeva l’elemosina, tutto lacero e disfatto, irriconoscibile, con una barbaccia scoposa, già grigia, e mezzo cieco;

Il Cimino non è molto meglio a questo punto. Anche il suo aspetto fisico è molto diminuito… forse dalla malattia, forse dall’età, ma forse anche dall’effetto psicosomatico.

e, dall’altro, ridotto un’ombra dopo un pajo di mesi che se n’era stato in casa per una segreta infermità, il Cimino: oh Dio, con la nuca che pareva gli fosse cresciuta un palmo su dal solino, liscia e così indurita, che la testa era costretta a star giù, immobile, quasi sotto un giogo; il mento rattratto sulla fossetta del collo, e gli occhi in una fissità continua, spasimosa e spaventevole, nel pallore del volto emaciato e pur gonfio, sparso qua e là di chiazze, come di quel nero che vajola la pietra dura di certe case antiche. Dichiarandosi dopo tanti anni, il male insidioso ch’era frutto dello scompiglio e delle follie vergognose in cui s’era avvoltolato per vendicarsi dell’infedeltà della moglie, lo aveva acchiappato e attanagliato in quel modo orribile alla nuca, la quale difatti aveva, così dura e scoperta, un che d’osceno.

Impariamo che con il passare del tempo le figlie del Cimino si sposano e lasciano il paese.

Gli occhi, pur fissi in quel loro spasimo acuto, avevano ancora tanta luce, che nessuno poteva pensare che l’intelligenza in lui si fosse spenta. Ma facevano paura, quegli occhi. E i clienti uno dopo l’altro, abbandonarono lo studio, dov’egli, puntuale ogni mattina, seguitò tuttavia ad aspettarli, seduto alla scrivania ormai sgombra di carte, guardando la bussola di panno verde ingiallito, che non s’apriva più. All’ora solita, chiuso lo studio, si recava a passeggiare nel viale solitario, all’uscita della città, da cui si godeva una gran veduta di poggi e di vallate.

Il Camino ha sviluppato l’abitudine di camminare fino ai margini della città, dove c’è un vecchio cipresso con una panchina. Si siede sulla panchina per ore, perso nei suoi pensieri, consumato e imprigionato dal suo personaggio e dalla sua personalità.

Dove quel viale svoltava per proseguire sulla costa un po’ più sporgente della collina accanto, c’era una panchina a ridosso d’un cipresso. Il viale era tutto d’alberelli nuovi e freschi. Quel cipresso vi era come estraneo e solo. Perdute le scaglie, era divenuto per la vecchiaja una gigantesca pertica, liscia e morta, con un pennacchio appena in cima, come una spazzola da lumi. Nessuno mai andava a sedere sulla piccola panchina a ridosso di quel vecchio cipresso malauguroso. Vi andava a sedere il Cimino, per ore e ore, immobile, come un lugubre fantoccio che qualcuno per burla avesse posato lì.

Una sera il Cimino nota Carlo Papìa. lo chiama e i due uomini si siedono sulla panchina.

Fu un poco prima di sera, ma già quasi a bujo. Stando egli a sedere su quella panchina, si vide passar davanti per il viale deserto il Papìa con una mano protesa come a parar l’ombra e l’altra che cercava col bastone la via.

Lo chiamò.

Il povero Carlo Papìa comincia a piangere. Questo (esasperante, incomprensibile per il lettore) non suscita alcuna risposta in il Cimino.

La panchina, pur con tanto aperto davanti, aveva quel che di racchiuso fa l’ombra della sera attorno a ogni cosa che ancora si riesca a vedere.

Quegli, mezzo cieco, sentendosi chiamare, s’accostò e si protese a guardare: lo riconobbe e, come se un brivido gli passasse per le carni, stolzò e subito si mise a piangere con lo stomaco, sussultando; si abbatté sulla panchina, e i singhiozzi che non riuscivano ad arrivargli alla gola, s’appalesarono soltanto in un fiottar fitto del naso.

Non si dissero nulla.

Sentendolo piangere, l’altro che non poteva voltare la testa, allungò una mano e gliela batté pian piano più volte su una gamba.

E rimasero così, appajati nell’atroce miseria da tutto il male che s’erano fatto e da cui nasceva, forse per un solo momento, quella disperata pietà che non li poteva più in nessun modo consolare.

***

Penso che il Pirandello abbia descritto qualcuno che ha bisogno di uno psichiatra. Il Cimino potrebbe essere una forza positiva nella comunità ma invece rovina la sua vita e la vita degli altri a causa di un difetto rigido e prepotente nel suo carattere e nella sua personalità. È letteralmente consumato dai suoi demoni.

La mia domanda è: “Come poteva saperlo il Pirandello?” Com’è mai possibile anticipare la situazione in cui ci troviamo oggi?

Cari lettori, siete d’accordo con me sul fatto che il protagonista descritto dal Pirandello sia una descrizione quasi perfetta del presidente degli Stati Uniti, Donald J. Trump, il leader del mondo libero?

Il Cimino è narcisista, misogino, rabbioso, imprevedibile, bifronte, offensivo, infantile, impulsivo, arrogante, prepotente, incurante, auto-assorbito, incomprensibile, distruttivo.

Non è una descrizione quasi perfetta di Trump?

Come mai possibile??

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“We must learn to live together or perish together as fools”. Dr. ML King

(Auguri, Dr. King, in anticipazione della tua commemorazione!)

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