Riassunto: Tanino e Tanotto

Dai contadini che si recavano ogni giorno in città con le mule cariche delle provviste della campagna, il barone Mauro Ragona sapeva che la moglie seguitava a star male e che anche il figlio, ora, s’era gravemente ammalato.

All’inizio di Tanino e Tanotto(L. Pirandello) ci viene presentato il barone Mauro Ragona, un proprietario terriero siciliano ed un membro dell’aristocrazia. Il Ragona vive in una sua tenuta nella campagna; come la storia inizia il Ragona impara dai contadini — che portano ogni giorno in città delle provviste da vendere — che sua moglie e suo figlio sono entrambi malati (e il figlio, gravemente malato).

Il matrimonio ha fallito.

Della moglie non gl’importava. Matrimonio sbagliato, contratto per sciocca ambizione giovanile.

Ci viene poi fornito un po’ del retroscena del Ragona. Cioè, è stato figlio d’una famiglia dei contadini; sarebbe giusto aver caratterizzato la famiglia come ‘nuova ricchezza’, e apprendiamo che il padre ha usato la sua ricchezza e le sue connessioni per acquistare un titolo / una proprietà baronale.

Figlio d’un contadino arricchito, il quale, sotto il passato Governo delle due Sicilie, s’era comprata col feudo la baronia,

Da giovane il Ragona ha aspirato alle grandi cose… quindi si è sposato Eugenia Nigrelli, la figlia d’un altro nobile. Tuttavia sembra che il Ragona e la Nigrellinon avrebbero potuto esser più disadattati, cioè, in termini dell’aspetto fisico e del temperamento.

aveva sposato la figlia del marchese Nigrelli, fin da bambina educata a Firenze, e che, a suo dire, non comprendeva più il dialetto siciliano; pallida, bionda e delicata come un fiore di serra. Robusto, tutto d’un pezzo, bruno di carnagione, anzi nero come un africano, faccia dura, occhi duri, grossi baffi e capelli fitti, crespi, nerissimi, egli ora si diceva contadino, e se ne vantava.

[In sostanza, il loro matrimonio ha tentato (e fallito) di superare una ‘spaccatura Nord-Sud’.]

Non ci volle molto perché il Ragona e la Nigrelliarrivassero a riconoscere che le loro differenze erano inconciliabili. La coppia si è separata nonostante la nascita d’un figlio, Tonino (che è rimasto con sua madre).

Avevano capito presto l’uno e l’altra che la loro convivenza era impossibile. Ella piangeva sempre; senza ragione, credeva lui. Dal canto suo, egli s’annoiava e, in risposta a quelle lagrime, sbuffava. Ma dalla loro unione era nato un bambino, biondo, pallido e delicato come la madre, la quale fin dai primi giorni se n’era mostrata gelosissima; tanto che egli non aveva potuto mai toccarlo e nemmeno quasi guardarlo.

Successivamente, apprendiamo che il Ragona è un uomo forte. Una volta che riconosce che qualcosa dev’essere cambiato, cioè, che i suoi migliori interessi si trovano altrove, è capace d’un’azione decisiva.

E allora egli s’era allontanato dalla città senza darne né conto né ragione a nessuno. Per fare il comodo suo.

A questo proposito, una volta che il Ragona riconosce che è fallito il matrimonio, torna in campagna e prende un’altra moglie, la Bàrtola, che, come lui, è una ‘creatura’ della campagna siciliana. Poco dopo il loro matrimonio, la Bàrtola ha dato alla luce un figlio, Tanotto.

Se n’era andato lì nella sua campagna nativa; s’era presa con se Bàrtola, la bella figlia d’un suo fattore morto l’anno avanti, sana e gaja contadina, piena d’umile bontà, che aveva accolto come un grande onore, come una vera degnazione l’amore del giovane padrone; gli era nato un figliuolo anche da lei, ma bruno come lui, solido e paffuto; e finalmente s’era sentito a posto.

La moglie, contentissima.

(Cioè, adesso il Ragona è “a square peg in a square hole!”, come diremmo.)

Sebbene il Ragona ha abbandonato la moglie in città, non ha abbandonato mai Tonino, che ama e continua a visitare in alcune occasioni. Tuttavia queste visite creano una tensione: la Bàrtola mette in discussione il loro vero scopo e le possibili implicazioni.

S’erano guastati del tutto, apertamente, per una stupida bizza: Mauro Ragona adesso lo riconosceva. Vedendosi trattato d’alto in basso dalla moglie aristocratica, nelle rare volte che si recava in città più per rivedere il figlio che per lei, s’era sentito un giorno rimescolare il sangue. Ah davvero ella sentiva tanto disprezzo per lui? davvero non lo riteneva degno d’altra donna, che di quella Bàrtola che teneva in campagna?

La spiegazione del Ragona è brusca e diretta,

— Ti voglio! — le aveva gridato, inasprito dalle sdegnose ripulse di lei. — Sei infine mia moglie!

…tuttavia la Bàrtola rimane non convinta… rimane anche la sua obiezione,

Ma ella s’era ribellata fieramente a quella violenza che egli per puntiglio voleva usarle. Accecato, il Ragona s’era lasciato spingere un po’ troppo oltre dall’amor proprio offeso, e finalmente se n’era andato, rompendo in una sghignazzata.

…e, con riluttante ammirazione, il Ragona smette di visitare Tonino.

— Quella lì, del resto, vale cento volte più di te!

D’allora in poi, non era più ritornato in città.

(Sarebbero passati cinque anni prima che rivedesse Tonino.)

La notizia della malattia di Tonino è abbastanza inquietante, in parte a causa dell’amore che il Ragona prova per il bambino, in parte a causa del suo rimorso e in parte per il suo risentimento verso la Nigrelli.

Non gli importava, dunque, che la moglie stesse male. Ma che ora si fosse ammalato anche il figlio, sì, e molto. Non lo aveva più riveduto, da cinque anni, povero piccino, e ne aveva rimorso: era sangue suo, portava il suo nome, il suo, il nome dei Ragona; sarebbe stato l’erede della sua ricchezza, e cresceva intanto come un Nigrelli, lì, tutto della madre che forse gli parlava male di lui, a tradimento, male del proprio padre, di cui il piccino non poteva più, certo, ricordarsi. Se ne ricordava lui, però: ah era tanto bello, come un angioletto, con quei ricci biondi e quegli occhi limpidi, color di cielo. Chi sa intanto come s’era fatto, ora, dopo cinque anni… – malato, ora, e gravemente… – E se fosse morto, se fosse morto, senza conoscere il padre?

A suo credito, la Bàrtola riconosce e comprende la costernazione del Ragona. Esprime il suo amore… ed, in modi piccoli, cerca d’assisterlo ma senza successo.

Bàrtola quei giorni si teneva con sé, lontano, Tanotto, il figliuolo, vedendo il padrone così aggrondato e in pensiero per quell’altro. Comprendeva, col suo cuore devoto, che la vista di Tanotto, allegro e spensierato, non poteva riuscir gradita in quei momenti al padrone; temeva che questi non facesse anche qualche sgarbo al povero piccino innocente, non lo respingesse, come un cagnolo importuno. Ella stessa s’arrischiava appena di domandargli notizie.

— Non so nulla! Non mi sanno dir nulla! — le rispondeva egli duramente, smaniando.

E Bàrtola non s’offendeva di quella durezza. Pensava che era per il dolore del figlio, e giungeva le mani, alzando gli occhi al cielo. La Vergine Santa doveva farglielo guarire presto, quel bambino! Ella non poteva vedere così angustiato il suo padrone.

Poi, con nostra sorpresa completa, il Ragona accusa alla Bàrtola da un pensiero malizioso — vale a dire, che lei sarebbe contenta se morisse povero Tonino!

— Lasciala stare la Vergine, — le disse egli, un giorno, irritato. — Lo so che a te piacerebbe che mio figlio morisse!

(Le origini dell’accusa del Ragona sono complesse, certo. Pensiamo che siano legati in parte alle complessità d’eredità dopo una separazione / divorzio coniugale seguita da un nuovo matrimonio e dalla nascita d’un altro bambino.)

La Bàrtola è tanto confusa / offesa dall’accusa quanto ferita / male.

Bàrtola aprì le braccia, sbarrò gli occhi, stupita, ferita nel cuore, quasi non sapendo credere che il padrone avesse potuto pensar di lei una tal cosa.

— Che dice, Vossignoria! — balbettò. E non sa che per il signorino darei anche la vita di mio figlio?

Si coprì il volto con le mani e si mise a piangere.

Cosa potrebbe aver suscitato quest’osservazione sconsiderata, tagliente e crudele? Apparentemente il Ragona, poco prima, aveva guardato Tanotto nel cortile fuori casa. Tanotto sembra esser spensierato, sano e felice… in netto contrasto della malattia di Tanino ed il mix (potente e corrosivo) di negative emozioni associate.

Il barone, poco prima, standosi con la fronte appoggiata i vetri del balcone, aveva veduto Tanotto su lo spiazzo davanti la villa scherzare col cane e coi tacchini, e aveva fatto quel cattivo pensiero. Ora si pentiva d’averlo così crudamente manifestato; ma invece di mostrare il suo pentimento a Bàrtola, si stizzì del pianto che le aveva ingiustamente cagionato.

Il Ragona offre la seguente spiegazione.

— Mio figlio non deve morire! — gridò, serrando le pugna e scotendole in aria. — Non deve morire! non voglio, capisci?

La Bàrtola, ancora al suo credito, sembra capire la situazione della sua famiglia. Scorgiamo ancora una volta il suo personaggio, ed arriviamo a credere che adori il Ragona e che sia devota a lui, senza agenda, senza briciolo di desiderio di manipolare la situazione.

Ma sì che lo capiva Bàrtola; capiva che per il padrone il figlio, il figlio vero era quello lì; quest’altro, Tanotto, era figlio di lei, e basta – figlio d’una povera contadina, il quale, morendo, si sarebbe levato di patire, di tante dure fatiche si sarebbe levato, che già lo aspettavano; mentre quello lì, il signorino, morendo (Dio liberi!) avrebbe fatto tanto guasto, perché era ricco e bello e fatto per vivere e per godere, e il Signore avrebbe dovuto sempre guardarglielo!

Il Ragona decide d’andare in città.

Sul tramonto di quello stesso giorno, il barone Ragona fece sellare il cavallo e partì per la città, con la scorta di due campieri.

Al suo arrivo incontriamo il padre della Nigrelli, il marchese Nigrelli, un personaggio assolutamente antipatico / sgradevole: qualcuno moralmente corrotto, un uomo con poca forza d’animo apparente e ancor meno intolleranza. Il Ragona tratta il marchese con grande mancanza di rispetto.

Arrivò ch’era già sera inoltrata, e trovò a casa il marchese Nigrelli, venuto apposta da Roma, dove, da vecchio donnajuolo impenitente, dava fondo alle sue ultime sostanze. Piccolo, asciutto, con la schiena quasi ingommata, i baffetti lunghi ritinti e incerati, egli accolse il genero col solito garbo cerimonioso, come se non sapesse nulla di nulla:

— Oh caro barone… caro barone… — Riverisco, — grufò il Ragona, guardandolo, cupo, negli occhi, e lasciandolo lì, con la mano protesa; poi, vedendo che il marchese alzava quella mano per battergliela amorevolmente la spalla, aggiunse, seccato: — Vi prego di non toccarmi. Dov’è mio figlio?

— Eh, maluccio! — sospirò il marchese, disinvolto, portandosi le mani alle punte dei buffetti incerati. — Maluccio, caro barone… Venite, venite…

– Sta in camera con la madre? – domandò, fermandosi, il Ragona.

— Eh no, — rispose il Nigrelli. — S’è dovuto portar via, in un’altra camera, perché, capite? ha bisogno d’aria, di molta aria, che ad Eugenia farebbe male. Si tratta di tifo, purtroppo, caro barone… Tanto che io ho pensato…

— Ditemi dov’è! — lo interruppe, brusco e smanioso, il barone. — Accompagnatemi!

(Questa non è la prima volta che abbiamo letto d’un medico che ha prescritto il bisogno di ‘aria fresca’. Siamo sempre stati divertiti da questo, dal momento che non esiste una base medica / scientifica per pensare che l’aria fresca possa curare o ripristinare qualcosa! Indubbiamente il Pirandello ha usato ‘l’aria fresca’ qui come un proxy dei benefici del mondo naturale per gli esseri umani — per quanto riguarda il benessere e l’equilibrio dell’uomo.)

Il Ragona entra nella stanza di Tonino. Il marchese ha ingaggiato una suora per prendersi cura del ragazzo. (E forse servire come la sua compagna personale?) Il Ragona fa chiaro che i servizi della suora non sono più necessari.

Dopo cinque anni, si sentiva come un estraneo nella propria casa; non si raccapezzava più tra i cambiamenti che vi aveva apportato la moglie. Nella camera ove giaceva il bambino, vide prima di tutto, accanto al letto, una suora di carità, e se ne turbò profondamente.

— L’ho chiamata io, — spiegò il marchese. — Volevo dirvi questo. Non potendo la madre, qual più amorosa assistenza?

E terminò la frase in un sorriso grazioso rivolto alla giovane suora, che abbassò subito gli occhi sotto le grandi ali bianche della cornetta.

— Ci sono qua io, ora! — disse il barone, accostandosi al letto; poi, vedendo il piccino ischeletrito, giallo come la cera, quasi calvo: — Figlio! — esclamò. — Figlio! Figlio mio! — con tre sospiri, che parve gl’impietrassero il cuore.

Tonino non riconosce il Ragona. Tuttavia la sua devozione per il bambino è chiaro.

Il piccino lo guardava dal letto, smarrito, sgomento, non sapendo chi fosse colui che lo chiamava a quel modo. Egli comprese l’espressione di quello sguardo e ruppe in singhiozzi.

— Sono tuo padre, figlio mio! tuo padre, tuo padre, che ti vuol tanto bene…

E s’inginocchiò accanto al lettuccio e cominciò a carezzare il visino sparuto del figliuolo, a baciargli le manine, teneramente, qua e qua e qua, su tutti i ditini, e poi sul dorso e poi su la palma che scottava di quella manina cara, ischeletrita. Ah Dio, Dio, come scottava!

Dopo un lungo periodo di diligente e inflessibile sacrificio, migliora la condizione di Tonino.

Non si staccò più da quel lettuccio, né giorno né notte, per circa un mese. Licenziò la suora di carità, quel cappellaccio che gli pareva di malaugurio; e volle attender lui a tutte le cure, a tutte, senza darsi un momento di requie, senza più chiuder occhio per notti e notti, rifiutando anche il cibo, rifiutando ogni aiuto. Non domandò affatto notizie della moglie; non volle neppur sapere di che male fosse inferma: non visse, in quei giorni, che per il suo piccino, il quale, a poco a poco, per istintiva gratitudine, al caldo di quell’amore sempre vigile, non seppe più fare a meno di lui, e se lo teneva abbracciato, stretto stretto, e se lo accarezzava, mentre egli sentiva soffocarsi dalla commozione.

Vinto il male,

Inizia un periodo di convalescenza. La decisione è presa per spostare Tonino in campagna.

i medici consigliarono al barone di portarsi il figlio in campagna, per aiutare col cambiamento d’aria la convalescenza.

— Non c’era bisogno che me lo consigliaste voi. Ci avevo pensato io prima, da me — disse ai medici il Ragona.

E diede gli ordini per la partenza, pensando a tutte le minuzie, perché il figliuolo malatuccio avesse in campagna tutti i comodi e non avesse nulla a desiderare.

Prima di partire, il Ragona e la Nigrelli negoziano i termini di custodia. Poi il Ragona organizza anche il trasferimento della Bàrtola e Tanotto in un edificio della tenuta vicino alla casa principale.

Ma quando la moglie inferma seppe di quei preparativi di partenza, temendo che il marito volesse portarsi via il figlio per sempre, montò su le furie, e ci andò di mezzo il povero marchese Nigrelli, che dovette correre per un pezzo dall’uno all’altra, riferendo invettive, domande, risposte, che egli, da gentiluomo compito, si sforzava d’attenuare, di verniciare alla meglio.

Il barone, a un certo punto, tagliò corto.

— Oh insomma! Dite a vostra figlia che io sono il padre e che comando io.

— Sì, ma voi… ecco, lì in campagna avete… — si provò a obbiettare il marchese per conto della figlia. — Sì, dico… la vostra situazione…

— Dite a vostra figlia, — riprese con lo stesso tono il barone, — che io conosco il mio dovere di padre, e tanto basta!

Difatti ai contadini che venivano dalla campagna aveva ordinato di dire a Bàrtola che lasciasse la villa e se ne andasse ad abitare con Tanotto nella casa colonica, lì presso. Prima di partire stabilì con la moglie che il figliuolo, d’ora innanzi, sarebbe stato con lui in campagna nei mesi grandi, com’egli a modo dei contadini chiamava il tempo che corre dal marzo al settembre, e l’inverno, i mesi piccoli, con lei in città.

Prima dell’arrivo di Tonino, la Bàrtola ha lavorato instancabilmente per preparare la casa. Spera di partecipare alla convalescenza di Tonino — sembra accettarlo come se fosse suo figlio. Presto, tuttavia lei sarebbe delusa.

Quell’ordine del padrone era sembrato a Bàrtola giustissimo. Certo, venendo lì il signorino, ella non poteva rimanere nella villa. Ma il padrone – senza pensare a nulla di male doveva farle una grazia: concedere di servir lei il signorino poiché nessun’altra donna prezzolata avrebbe potuto farlo con più amore e con più zelo di lei. Sicura d’ottenere questa grazia lavorò come un facchino per ripulir la villa e preparare la camera ove il padrone avrebbe dormito insieme col padroncino.

Sentì cascarsi le braccia però, il giorno dell’arrivo, allorché dalla carrozza vide scendere una donna di servizio che pareva una signora, alla quale il barone porse il figliuolo tutto avvolto in uno scialle, e nel veder poi scendere da un altro carrozzino il cuoco e un guàttero…

Eh che! La teneva dunque in conto d’una femminuccia davvero? Neppure in cucina, neppure in cucina la avrebbe dunque ammessa, per attendere ai più umili servizii? Le vennero le lagrime agli occhi; ma il barone le rivolse uno sguardo così imperioso, che ella subito si trattenne, chinò il capo e se n’andò a piangere, col cuore spezzato, lassù, nella cameretta in cui s’era allogata col figliuolo.

Pianse e pianse; poi dalla finestra guardò nella poggiata di là Tanotto, che se ne stava per la prima volta a guardia dei tacchini. Povero figliuolo! Lo aveva mandato via lei, perché non désse fastidio al momento dell’arrivo. E già cominciava per lui, così piccino, la fatica… Ma se il padrone, intanto, la trattava a quel modo, se aveva condotto in campagna il signorino, forse era segno che si era riconciliato con la moglie, e dunque ella se ne sarebbe andata via, se ne sarebbe tornata in paese, presso la vecchia madre, o a far la serva altrove. Tanotto poi, cresciuto, ci avrebbe pensato lui a darle un tozzo di pane per la vecchiaia.

La Bàrtola assume il peggio. Perché il Ragona l’avrebbe tenuta separata da Tonino? Forse il Ragona e la Nigrellisi siano riconciliati? Quest’ultima insulto prova d’esser impossibile da accettare. Povera Bàrtola decide di lasciare il Ragona.

Deliberò di licenziarsi subito; ma né quel giorno né i giorni seguenti poté accostarsi al padrone, che era tutto intento al figliuolo. Stanca d’aspettare in quelle condizioni d’animo, si disponeva a partire senza dir nulla, di nascosto, quando il barone venne lui stesso a trovarla, lì nella casa colonica.

Il Ragona arriva inaspettatamente, ed è sbalordito nell’apprendere che la Bàrtola si è preparato a lasciarlo.

— Che fai? — le disse, vedendo il fagotto già preparato in mezzo alla camera.

— Se mi dà licenza, — gli rispose Bàrtola, con gli occhi bassi, — me ne vado.

— Te ne vai? Dove? Che dici?

— Me ne vado da mia madre. Che sto più a farci qua, se Vossignoria non ha più bisogno di me?

Il Ragona spiega che le rimane devoto, ma è preoccupato per la convalescenza di Tonino, che richiede cure particolari. La Bàrtola sostiene che lei è tutto — ma tutto! — che il ragazzo ha bisogno.

Il barone s’adirò; la guardò un pezzo accigliato, severamente; poi socchiuse gli occhi e le disse:

— Sta’ quieta e non mi seccare! Chi t’ha cacciato via? Ho di là mio figlio, e non ho tempo né voglia di pensare ad altro.

Bàrtola diventò di bragia e s’affrettò a rispondergli umilmente:

— Ma se Vossignoria non ci pensa più, neanch’io ci penso, glielo giuro, e n’ho piacere! Non parlo per questo: sarei una svergognata! Dico però che potevo restar la serva di Vossignoria e del bambinello che è venuto qua… L’ho forse scritta in fronte la mia vergogna? O non erano degne le mie mani amorose di servirlo?

Proferì queste parole con tanto accoramento che il barone n’ebbe pietà e le spiegò con buona maniera le ragioni delicate per cui la aveva tenuta lontana. Il ragazzo, poi, aveva bisogno di cure particolari, che ella forse non avrebbe saputo prestargli.

Bàrtola scosse amaramente il capo:

— E che ci vuol arte, — disse, — per servire i bambini? Cuore ci vuole. E chi si sente servito col cuore può farne a meno dell’arte. Non l’ho saputo crescere io il mio figliuolo? E più che come un figliuolo l’avrei servito, il signorino, perché, oltre l’amore, avrei avuto per lui il rispetto e la devozione. Ma se Vossignoria non m’ha creduta degna, non ne parliamo più. Dio che mi legge nel cuore, sa che non mi meritavo questo da Vossignoria. Sia fatta la sua volontà.

(Ciò che ci colpisce ancora e ancora è il fatto che il Ragona e la Bàrtola trovano un modo per conversare, cioè, per spiegare quello che ognuno di loro sente e crede di essere vero. Crediamo a questo punto che la capacità di conversazione sia basata sull’amore, l’ammirazione l’uno l’altra e la fiducia. Come vedremo, la capacità di conversazione forniscerà una base per il loro futuro.)

Il Ragona sente un’impasse nella conversazione; chiede informazioni su Tanotto.

Per cangiar discorso e per farle piacere, il barone le domandò di Tanotto.

— Eccolo là! — rispose Bàrtola, indicandoglielo dalla finestra, su la poggiata, tra i tacchini. — Fa già il guardiano. Tutte le sere, tornando a casa, mi domanda del signorino; si muore dal desiderio di vederlo, magari da lontano, dice; vorrebbe portargli i fiori; ma io gli ho detto che il signorino non si può vedere perché è malato, e che i fiori gli farebbero male. Così s’è quietato.

Vediamo che Tanotto è un bambino curioso e riflessivo, ben adattato, felice. Tanotto si domanda del suo fratellastro e decide di fargli visita, anche se questo è espressamente vietato. Di sicuro, il Tanotto viene catturato.

Quietato? Tanotto, lassù tra i tacchini, si scafava invece intere giornate per capacitarsi come mai i fiori potessero far male a un bambino. Tranne,- pensava, – che non fosse un bambino fatto d’un’altra maniera… Ma fatto… come? Guardava i fiori: ecco, a lui non facevano male, eccetto quelli di cardo, si sa, ch’erano spinosi; ma questi egli certo non li avrebbe offerti; non li toccava nemmeno lui. Come doveva essere, dunque, quel bambino? E meditava, escogitava il modo di vederlo, senza farsi vedere.

Non trovandone, e non sapendo più resistere alla tentazione, un giorno piantò li su la poggiata i tacchini e se ne venne su lo spiazzo davanti la villa a guardar risolutamente ai balconi della camera dove dormiva il padrone. Sarebbero state busse, certo, se la madre lo sorprendeva li col nasetto all’aria e le mani dietro la schiena; ma egli voleva togliersi a ogni costo la curiosità.

Attese un pezzo così, e finalmente ecco dietro la vetrata d’un balcone la testa del bambino misterioso. Tanotto restò allocchito, a mirarlo. Gli pareva fatto davvero d’un’altra maniera, non sapeva dir come, e pensava che veramente, essendo così, i fiori gli potessero far male. Anch’egli il piccino convalescente, tanto pallido ancora e tanto gracile, coi capellucci che gli rispuntavano appena, biondissimi, aerei, lo guardava incuriosito dai vetri del balcone; ma poco dopo, dietro a que’ vetri, apparve la figura del barone, e Tanotto se la diede a gambe, spaventato. Si sentì più volte chiamare dalla voce del padrone, e si fermò col cuore che gli galoppava in petto; si voltò e si vide chiamato ancora, chiamato con le mani. Che fare? Tornò mogio mogio su i proprii passi, e già infilava il portone della villa, quando si vide sopra la madre, che lo afferrò per un orecchio e cominciò a sculacciarlo con l’altra mano.

— M’ha chiamato il padrone! Mi vuole il padrone! — strillava Tanotto, tra le sculacciate.

— Il padrone? Dove? Quando? — gli domandò Bàrtola, sorpresa.

— Or ora, m’ha chiamato dal balcone! — gli rispose Tanotto, acceso di rabbia e piangente più per l’ingiustizia che per il dolore.

— Bene: vieni su; voglio vedere, — riprese la madre, conducendolo con sé.

I bambini si incontrano per la prima volta.

Tanotto entrò, stropicciandosi gli occhi lagrimosi. Il barone gli era venuto incontro, nella saletta d’ingresso, col figliuolo.

— Perché piangi, Tanotto?

— L’ho picchiato io, poverino, — rispose Bàrtola. Non sapevo che lo avesse chiamato Vossignoria.

— Povero Tanotto, — fece il barone, chinandosi a carezzargli i capelli fitti, crespi, nerissimi, ch’erano tali e quali i suoi. — Su, su, basta ora… Vedete di giocare un po’ insieme, bonini eh?

I due ragazzi si guardarono e si sorrisero; poi Tanotto, con gli occhi ancora lagrimosi e il testoncino basso, si cacciò una mano in tasca, ne trasse alcune conchiglie che aveva raccolto su la poggiata e le porse, domandando con un singulto, eco del pianto recente:

— Le vuoi, se non ti fanno male.

Bàrtola rise, ma gli diede subito su la voce:

— Come si dice, impertinente? Vuoi, si dice? E non sai che parli col signorino?

— Lasciali dire, tra loro, — le disse il barone. — Sono ragazzi.

Ma Bàrtola, su questo punto, non ostante la degnazione del padrone, non volle transigere, e poco dopo rimproverò di nuovo Tanotto che domandava al signorino:

— Come ti chiami?

Il Ragona suggerisce che è tempo che Tanino lasci la casa e si avventuri fuori. La Bàrtola porta Tanino giù per alcuni gradini.

Il barone propose di fare uscire per la prima volta il figliuolo all’aperto e di fargli fare due passi per il viale. Bàrtola fu felice di portarlo in braccio giù per la scala.

— Non pesa niente! una piuma, una piuma… — diceva, lo baciava sul petto, amorosamente, come una schiava.

(Per la prima volta vediamo tutti loro funzionando insieme, come una famiglia!)

— Ecco, — disse il barone, a piè della scala, ai due ragazzi. — Prendetevi adesso per le manine e andate pian piano sotto gli alberi. Così…

I bambini camminano insieme. Il lettore ha tutti i motivi per sospettare che la famiglia sarà felice e prosperosa.

Tanotto e il signorino s’avviarono con l’impaccio dei bambini che vanno per la prima volta insieme tenendosi per mano. Tanotto, minore di circa due anni, pareva tuttavia maggiore d’assai; lo guidava e lo proteggeva. Prese, dopo un tratto, con la sua sinistra, la mano del bambino e gli portò la destra a tergo per farlo camminar meglio. Quando si furono così allontanati alquanto e non c’era più pericolo che fossero uditi, Tanotto domandò di nuovo:

— Come ti chiami?

— Tanino, come nonno, — rispose l’altro.

— E allora come me, — riprese Tanotto, ridendo. — Anch’io, Tanino come nonno; me l’ha detto il fattore. A me però mi chiamano Tanotto perché sono grosso, e mamma non vuole che si dica che mi chiamo come nonno.

Perché? — domandò Tanino, impensierito.

Perché nonno io non l’ho conosciuto, — rispose, serio, Tanotto.

— E allora come me! — ripeté Tanino, ridendo a sua volta. — Neanche io l’ho conosciuto nonno.

Si guardarono sorpresi e risero insieme di questa bella trovata, come se fosse un caso molto strano e, sopra tutto, un bel caso, da riderci su, a lungo, allegramente.

 

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