Riassunto: Il vecchio Dio

La novella Il vecchio Dio (L. Pirandello) inizia con un’introduzione al protagonista, il signor Aurelio.

Smilzo, un po’ curvo, con un abitino di tela che gli sventolava addosso, l’ombrello aperto sulla spalla e il vecchio panama in mano,

Da questa descrizione sentiamo che l’Aurelio è un po’ ‘worse for the wear’ (come potremmo dire), sia fisicamente che economicamente. Sembra anche un po’ eccentrico… dopotutto è l’estate a Roma, e l’Aurelio usa un ombrello per proteggersi dal sole mentre porta a mano un cappello!

Apprendiamo che l’Aurelio s’avvia ogni mattina per una sorta di vacanza (“speciosa”), cioè, inizia ogni giorno con una passeggiata in città.

il signor Aurelio s’avviava ogni giorno per la sua speciosa villeggiatura.

Non diversamente dal suo aspetto, la vacanza sembra essere particolare per l’Aurelio…

Un posto aveva scoperto, un posto che non sarebbe venuto in mente a nessuno; e se ne beava tra sé e sé, quando ci pensava, stropicciandosi le manine nervose.

Qui, il narratore, che non incontriamo mai, sembra dire che la vacanza è una scelta strana, vale a dire, un anacronismo, cioè, eccentrica, ‘fuori passo’ con i tempi, unusuale… cioè, ogni giorno di vacanza l’Aurelio visita una delle grandi chiese di Roma.

Chi sui monti, chi in riva al mare, chi in campagna: lui, nelle chiese di Roma.

In altre parole, la scelta dell’Aurelio potrebb’essere considerata ‘strana’ dalle altre persone (es. possiamo immaginarli mentre dicono, “Vantaggi? Rispetto alla bellezza della natura? Ma dai… che vantaggi?”), ma, ciònonostante, l’Aurelio ha le sue ragioni!

Perché no? Non ci si sta forse freschi piú che in un bosco? E in santa pace, anche. Nei boschi, gli alberi; qui, le colonne delle navate; lí, all’ombra delle frondi; qui, all’ombra del Signore.

Insomma, l’Aurelio sembra chiedere: “Cosa potrebb’essere più interessante, più piacevole, più rilassante, più bella di un’esperienza d’una grande chiesa a Roma?” …certo specialmente/particolarmente per qualcuno tanto fedele, tanto devoto alla religiosità, come il signor Aurelio!

A questo punto acquisiamo un’importante visione della personalità dell’Aurelio.

— Eh, come si fa? Ci vuol pazienza.

(Avremo più cose da dire di quest-espressione al termine del riassunto.)

Poi ci viene spiegato che c’era un tempo in cui l’Aurelio ha avuto successo… un periodo in cui era impiegato nella tenuta d’una famiglia benestante con una superba collezione privata di arte. Non è chiaro che cosa l’Aurelio sia stato impiegato, ma abbiamo la sensazione che l’arte sia importantissima per lui. L’arte, quindi, sembra essere una sua seconda passione, cioè, una passione secolare.

Aveva anche lui, un tempo, una bella campagna sotto Perugia, ricca da cipressetti densi, e lunghesso il canale quell’eleganza di gracili salci violetti e tanto dolce azzurro d’ombra che dilaga; la magnifica villa, con dentro una preziosa raccolta d’oggetti d’arte: ah, quella poi! invidiato decoro di casa Vetti!

Per ragioni che non ci sono state date, il successo dell’Aurelio in Umbria è passato da molto tempo. Ora, a quanto pare, deve soddisfare il suo desiderio di sperimentare l’arte solo dove rimane liberamente disponibile.

Gli restavano le chiese, ora, per villeggiare.

— Eh, come si fa? Ci vuol pazienza.

Infatti il piano per visitare le grandi chiese di Roma è qualcosa che l’Aurelio ha voluto fare (con anticipazione) da parecchio tempo.

Da parecchi anni a Roma, non gli era ancora riuscito di visitarne tutte le chiese piú famose. L’avrebbe fatto quest’anno per villeggiatura.

Purtroppo apprendiamo fino a che punto l’Aurelio è caduto. Infatti la sua vita è in rovina. Tutta la speranza per il futuro se n’è andata, l’Aurelio è privato d’ogni illusione d’acquisire le ricchezze secolari della vita sulla Terra. L’Aurelio è un uomo distrutto — mancato di rispetto, uomo perso, uomo devastato — e sia il suo aspetto fisico (“smilzo, un po’ curvo”) che il suo atteggiamento (dell’ansietà) riflettono i suoi dispiaceri ed i suoi rimpianti.

Speranze, illusioni, ricchezza e tant’altre belle cose aveva perduto il signor Aurelio lungo il cammino della vita: gli era solo rimasta la fede in Dio ch’era, tra il bujo angoscioso della rovinata esistenza, come un lanternino: un lanternino ch’egli, andando cosí curvo, riparava alla meglio, con trepida cura, dal gelido soffio degli ultimi disinganni. Errava come sperduto in mezzo al rimescolío della vita, e nessuno piú si curava di lui.

Rimane solo la sua fede in Dio. Questa fede serve da baluardo, cioè, qualcosa che sostiene l’Aurelio, permettendogli di guardare avanti (con confianza) verso la sua morte e l’aldilà.

— Non importa: Dio mi vede! — si esortava in cuor suo.

E n’era proprio sicuro, di questo, il signor Aurelio, che Dio lo vedeva per quel suo lanternino. Tanto sicuro, che il pensiero della prossima fine, non che sgomentarlo, lo confortava.

Sfortunatamente apprendiamo che il povero Aurelio è spesso un oggetto di ridicolo.

Le strade, sotto il cocente sole, erano quasi deserte. Tuttavia per lui c’era sempre qualcuno, un monellaccio, un vetturino di stazione, che, vedendolo passare col lucido cranio scoperto, la barbetta lieve tremolante sul mento, e la zazzeretta grigia, tremolante anch’essa su la nuca, gli lanciava qualche lazzo.

— Guarda oh: due barbette! una davanti e l’altra dietro!

Ma il cappello in capo, d’estate, il signor Aurelio non lo poteva sopportare. Sorrideva anche lui al lazzo e affrettava, quasi senza volerlo, quei suoi passettini da pernice, per levar la tentazione d’un altro lazzo a quegli oziosi.

— Eh, come si fa? Ci vuol pazienza.

Alla fine l’Aurelio trova la chiesa preselezionata di quest giorno. Entra, poi si siede, facendo una pausa per prendere il ‘tutto’ dela chiesa. Assorbito, si rende ridicolo ancora una volta, anche se, per fortuna, non capisce cos’ha fatto.

Entrando nella chiesa designata quel giorno per villeggiatura, voleva prima di tutto goder della giunta: sedere. E traeva un gran respiro; s’asciugava il sudore; poi, con diligenza, ripiegava in quattro il fazzoletto e se lo poneva in capo, cosí ripiegato, per riguardarsi dall’umida frescura.

Qualche rara divota che si voltava appena a spiarlo, vedendolo con quel buffo copricapo, sbruffava tra sé una risatina.

Ma il signor Aurelio, in quel momento, si sentiva beato, respirando quell’umido insaporato d’incenso che stagnava nella solenne vacuità silenziosa dell’interno sacro; né gli nasceva il sospetto che qualcuno, pur lí, nella casa di Dio, potesse provar gusto a ridere di lui.

Dopo un po’ l’Aurelio fa un esame più attento della chiesa… è chiaro per noi che ha un certo grado d’esperienza.

Riposatosi un po’, si metteva a esaminare la chiesa, pian pianino, come uno che ci abbia da passar la giornata. E ne studiava con amorosa attenzione l’architettura, le singole parti. Si fermava davanti a ogni pala d’altare, a ogni opera musiva, a ogni cappella, a ogni monumento funerario, e con l’occhio esperto scopriva subito le peculiarità del tempo, della scuola a cui l’opera d’arte doveva ascriversi e se era sincera o deturpata da toppe e rimessi di restauri infelici.

La sua curiosità soddisfatta, l’Aurelio si siede ancora una volta e fa diligentemente gli appunti,

Poi tornava a sedere; e se in chiesa, come spesso avveniva a quell’ora, di quella stagione, non c’era altri che lui, ne approfittava per segnar rapidamente in un modesto taccuino qualche nota, un dubbio da chiarire, le sue impressioni.

…e una volta che questo compito è completato, tira fuori un libro di letture. Abbiamo la sensazione che il libro sia un’altra forma di arte laica di cui gode l’Aurelio. Furtivamente, il libro è ben camuffato… sembra essere un libro di preghiere.

Soddisfatta cosí la prima curiosità e adempiuto per quel giorno il cômpito d’arte che si era prefisso, traeva di tasca qualche libretto d’amena lettura, che per la dimensione poteva parere un libro di preghiere, e si metteva a leggere. Di tanto in tanto levava il capo per riassumere o fingersi davanti agli occhi la scena descritta dal poeta. E con quella lettura di libri profani non temeva d’offendere la casa del Signore. Secondo il suo modo di vedere, Dio non poteva aversi a male delle cose belle create dai poeti per innocente delizia degli uomini.

L’Aurelio razionalizza la sua presa d’un piacere nella casa di Dio. Immaginiamo a questo punto che la sua esperienza della chiesa sia un’arma a doppio taglio ‘emotivo’: da una parte sia una fonte di piacere essere immerso nell’arte; dall’altra l’immersione gli ricorda i suoi fallimenti passati in vita e di quanto ha perso.

Stanco della lettura s’abbandonava, con gli occhi fissi nel vuoto e strofinando a lungo tra loro l’indice e il pollice delle due manine, alle proprie fantasie o ai ricordi degli anni perduti.

Durante una fantasticheria l’Aurelio capita di scorgere il busto d’un uomo sepolto nella chiesa.

Talvolta, mentre fantasticava cosí, tutto assorto, gli s’avvistava da una nicchietta nel pilastro di fronte qualche busto che pareva se ne stesse lí affacciato a guardare in chiesa.

L’Aurelio è curioso. Si alza per saperne di più su quest’uomo, poi inizia una conversazione silenziosa.

— Oh! — faceva allora, tentennando il capo con un sorriso. — Te beato, amico mio. Si sta bene da morti?

E si levava di nuovo per leggere nell’inscrizione funeraria il nome di quel sepolto, poi tornava a sedere e si metteva a conversare con lui mentalmente, guardandolo.

— Siamo qua, caro il mio Hieronymus! Peccato che non sia piú permesso farsi seppellire in chiesa. Mi farei scavare una bella nicchietta nel pilastro di fronte e, tu di là, io di qua, tutti e due affacciati, sentiresti che belle conversazioncine! Ce l’hai di buon uomo, la faccia, poveretto, e certi guaj perciò mi conteresti.

Ancora una volta vediamo il conflitto tra la natura (qui, nella form d’un camposanto) e il concetto di fede (nella form d’una sepoltura in chiesa).

Mah! Come si fa? Ci vuol pazienza. Mi sembra però che in chiesa ci si debba star meglio, da morti. Questo buon odor d’incenso; e messe e preghiere tutti i giorni. Nel camposanto, se vogliamo dirla, ci piove.

A questo punto l’Aurelio rivolge i suoi pensieri al concetto di morte, cioè la morte come una liberazione dai fardelli della vita sulla Terra.

La morte però, anche lí nel camposanto, eh… una liberazione; quando sulla terra, piú che per viver bene, ci si duri per prepararsi a morir senza paura. Premii di là, il signor Aurelio, non se n’attendeva; gli bastava portarsi di qua, fino all’ultimo passo, la coscienza tranquilla, di non aver mai fatto il male per volontà.

Quindi l’Aurelio riconosce la crescente popolarità di, e il fascino con, dei progressi scientifici di questo periodo che potrebbero, in effetti, fornire una spiegazione alternativa per il mito della Creazione… infatti i recenti sviluppi scientifici sembrano esser in conflitto con molti degli insegnamenti fondamentali della Chiesa.

Conosceva i dubbii tenebrosi accumulati dalla scienza come tanti nuvoloni su la luminosa spiegazione che la fede ci dà della morte, sí per averne fatta lettura in qualche libro, e sí per averli quasi respirati nell’aria; e rimpiangeva che il Dio dei suoi giorni, anche per lui, credente, non potesse piú esser quello che in sei dí aveva creato il mondo, e s’era nel settimo riposato.

(Qui, la scienza sembra esser descritta come una sorta di minaccia per i fedeli, cioè, qualcosa che abbia marginalizzato i fedeli nella società italiana.)

***

Cari lettori, ricordate voi il mito della Creazione, giusto? Vi presentiamo la raffigurazione del mito della Creazione di M. Buonarotti, come appare sul soffitto della Cappella Sistina.

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“La separazione tra luce e tenebre”

 

 

 

 

 

 

 

Creation-sun-moon-planets  “La creazione del Sole, della Luna e della Terra”

Separation of the Earth from the Waters Michelangelo  “La separazione tra terra e acqua”

***

A questo punto ci viene presentato il sagrestano, un uomo che era nella chiesa al momento dell’arrivo dell’Aurelio.

Quella mattina, entrando in chiesa, era rimasto meravigliato dell’aspetto del sagrestano, bel vecchio enormemente barbuto e capelluto e orgoglioso di quel barbone lanoso e di quella chioma partita nel mezzo e ondulata su le spalle e nei cernecchi. Bella, la testa soltanto. Il corpo tozzo, curvo, cadente, pareva penasse a sorreggerla, con tutto quel volume di peli.

L’Aurelio si addormenta,

Ora, il signor Aurelio, riflettendo intorno alla vita e alla morte, considerando amaramente ai meschini profitti dell’anima in questo tanto decantato secolo dei lumi, rivolto col pensiero al vecchio Dio dell’intatta fede dei padri, a poco a poco s’addormentò.

…e Dio, che (miraculosamente!) somiglia molto al sagrestano, si presenta all’Aurelio in un sogno!!

E quel vecchio Dio, nel sogno, ecco che gli venne innanzi, curvo, cadente, reggendo a fatica su le spalle la testa enormemente barbuta e chiomata del sagrestano della chiesa;

Dio procede a lamentarsi della minaccia posta dalla scienza… cioè, al Suo appello all’uomo comune, alla Sua popolarità, alla Sua universalità.

gli sedette accanto e cominciò a sfogarsi con lui, come fanno i vecchietti seduti sul murello davanti ai gerontocomii:

— Mali tempi, figlio mio! Vedi come mi son ridotto? Sto qui a guardia delle panche. Di tanto in tanto, qualche forestiere. Ma non entra mica per Me, sai! Viene a visitar gli affreschi antichi e i monumenti; monterebbe anche su gli altari per veder meglio le immagini dipinte in qualche pala! Mali tempi, figlio mio. Hai sentito? hai letto i libri nuovi? Io, Padre Eterno, non ho fatto nulla: tutto s’è fatto da sé, naturalmente, a poco a poco. Non ho creato Io prima la luce, poi il cielo, poi la terra e tutto il resto, come ti avevano insegnato ne’ tuoi gracili anni. Che! che! Non c’entro piú per nulla Io. Le nebulose, capisci? la materia cosmica… E tutto s’è fatto da sé. Ti faccio ridere: uno c’è stato finanche, un certo scienziato, il quale ha avuto il coraggio di proclamare che, avendo studiato in tutti i sensi il cielo, non vi aveva trovato neppur una minima traccia dell’esistenza mia. Di’ un po’: te lo immagini questo pover’uomo che, armato del suo canocchiale, s’affannava sul serio a darmi la caccia per i cieli, quando non mi sentiva dentro il suo misero coricino? Ne riderei di cuore, tanto tanto, figliuolo mio, se non vedessi gli uomini far buon viso a siffatte scempiaggini. Ricordo bene quand’Io li tenevo tutti in un sacro terrore, parlando loro con la voce dei venti, dei tuoni e dei terremoti. Ora hanno inventato il parafulmine, capisci? e non mi temono piú; si sono spiegati il fenomen del vento, della pioggia e ogni altro fenomeno, e non si rivolgono piú a Me per ottenere in grazia qualche cosa. Bisogna, bisogna ch’io mi risolva a lasciare la città e mi restringa a fare il Padreterno nelle campagne: là vivono tuttora, non dico piú molte, ma alquante anime ingenue di contadini, per cui non si muove foglia d’albero se Io non voglia, e sono ancora Io che faccio il nuvolo e il sereno. Sú, sú, andiamo, figliuolo! Anche tu qua ci stai maluccio, lo vedo. Andiamocene, andiamocene in campagna, fra la gente timorata, fra la buona gente che lavora.

Le nostre mascelle si abbassa (in gioia!) quando vediamo che Dio ha deciso di fuggire dalle città d’Italia e dagli urbani ‘sofisticati’ (che Lo hanno abbandonato a favore della scienza), ritirandosi invece in campagna dove la vita è più semplice e la Sua accettazione è migliore. (Signori, nota bene… perché Dio l’ha detto, non usiamo il congiuntivo!!)

Oh Dio!

A questo punto, povero l’Aurelio viene svegliato dal suo sogno da… Dio! …no, aspetta! …dal sagrestano!!

A queste parole, il signor Aurelio, nel sogno, sentiva stringersi il cuore. La campagna! il suo sospiro! La vedeva come se vi fosse; ne respirava l’aria balsamica… – quando, a un tratto, si sentí scuotere e, aprendo gli occhi, stordito, oppresso di stupore, si vide davanti vivo e spirante, il Padre Eterno, proprio lui, che gli ripeteva ancora:

— Andiamo, sú, andiamo…

L’ha chiusa la chiesa per il giorno!!!

— Ma se è tanto che… — barbugliò il signor Aurelio, con gli occhi sbarrati, atterrito dalla realtà del suo sogno.

Il vecchio sagrestano scosse le chiavi:

— Andiamo! La chiesa si chiude.

***

Due cose di più:

1. Cosa vuol dire l’Aurelio quando ripete, “— Eh, come si fa? Ci vuol pazienza.”?

Potremmo chiederci: “È consapevole l’Aurelio d’alcune critiche alla sua scelta di vacanza?” Se sia così, ci chiediamo se tolleri lui questa critica? …di sicuro, tale atteggiamento possa essere pensato come una variante dell’ammonizione a ‘porgere l’altra guancia’, vero?

D’altra parte possiamo chiederci: “Capisce l’Aurelio che sia ‘fuori passo’ con la società italiana, cioè, che sia eccentrico, un anacronismo? Se sia così, ci chiediamo se lui sia meglio inteso come un uomo umile — un persona premurosa e intelligente — cioè, qualcuno che abbia accettato se stesso e il suo destino con semplice rassegnazione?

Allora, cosa vuol dire l’Aurelio?

Tolleranza? Accettazione? Dimissioni? Premuorosità? Eccentricità? Umiltà?

…scegliate voi, cosa ne pensate?

2. Pensiamo che potrebbe esserci un’altra arma a doppio taglio incorporata nella novella:

La vita dell’Aurelio è spezzata. La delusione e le perdite del passato si manifestano nel suo aspetto fisico. Pesano pesantemente su di lui e lo hanno portato a razionalizzare (“— Eh, come si fa? Ci vuol pazienza.”) ed esibire i tic nervosi.

L’Aurelio è solo, stanco, esausto, perso, disilluso. Non ha modo di avanzare nella vita. Ciò che gli è rimasto è la sua fede, e (assumiamo) gli insegnamenti associati di ‘accettazione’ e ‘pazienza’ con le difficoltà intrinseche della vita.

Pertanto, potremmo chiedere: “Gli insegnamenti della fede hanno fatto mancare all’Aurelio ciò che serve per competere nella vita, per vincere?” e “La fede… è un’arma a doppio taglio?”

Infatti il mondo è laico, un luogo di bellezza naturale, un luogo in cui si può essere costretti a competere per sopravvivere. Siamo quindi tenuti a raggiungere un equilibrio tra secolarismo e religiosità? C’è un pericolo associato a troppa dell’una (la fede) o dell’altra (la natura)?

È importante, pensiamo, non essere troppo distanti dal mainstream (cioè, non essere marginalizzati, fuori passo), specialmente quando i tempi cambiano, quando le idee evolvono.

L’immagine che abbiamo dell’Aurelio è quella di un uomo ridotto in macerie. Tutto ciò che gli è rimasto è la sua fede. Da un lato, è una buona cosa che la fede sia presente quando una persona ha perso la strada… può fornire speranza, un baluardo, contro una depressione incontrollabile.

Ma pensiamo che anche l’affidamento dell’Aurelio alla sua fede possa rappresentare una condanna. Ci chiediamo se, “Sia possibile che abbia fatto troppo affidamento sulla sua fede?” e “L’affidarsi alla sua fede gli ha fatto fallire nella vita?”

Il Pirandello sembra dirci che quelli che non hanno possibilità di successo, quelli che la vita è passata (per età o per circostanza) sono gli unici per i quali gli insegnamenti della fede hanno un appello.

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