Riassunto: Quand’ero matto (capitoli III & IV)

Quand’ero matto (L. Pirandello)

Capitoli III e IV

Continuiamo, nel capitolo III, con le reminiscenze del signor Fausto Bandini, il protagonista — un uomo un tempo ricco che ha, di recente, perso la maggior parte della sua fortuna.

Capitolo III. Mirina

Il cero benedetto, il cero « della buona morte », che quella santa donna s’era portato dalla chiesa madre del paesello natale, faceva ora il suo ufficio.

Lo aveva custodito tant’anni per sé in fondo all’armadio; e ora esso ardeva su un lungo candeliere di piombo e quasi vegliava coi ricordi umili e cari del lontano paese, struggendosi in lacrime sul fusto, dietro il capo della morta già stesa sul pavimento dentro la bara ancora scoperta, nel posto occupato prima dal letto.

Ogni qual volta mi viene in mente la mia prima moglie, mi s’affaccia con straordinaria lucidità questa funebre visione. La santa donna stesa in quella bara è Amalia Sanni, la sorella maggiore e vorrei dire la madre di Mirina. Rivedo la camera modestissima e, oltre al cero benedetto, due altri ceri più piccoli che si consumano più presto a piè della bara, crepitando di tratto in tratto.

Qui, le reminiscenze si concentrano sugli eventi che hanno avuto luogo molti anni fa, quando il Bandini era sposato con Mirina, la sua prima moglie. Il Bandini comincia dicendo che ogni volta che ha pensato a Mirina, la sua mente è inevitabilmente ‘inondato’ dai ricordi d’un incidente che coinvolge la morte di Amalia Sanni, la sorella maggiore di Mirina. Impariamo che la Sanni è appena morta (inaspettatamente, la causa è sconosciuta), e lei giace a lutto, nella sua camera da letto.

Il Bandini era seduto in veglia. Sfortunatamente, impariamo che è stato apertamente evitato e deriso da amici / parenti riuniti per piangere la morte della Sanni. La causa? Il suo punto di vista: il Bandini è ‘matto’, loro sono ‘savii’.

Io me ne sto seduto presso la finestra, e, come se la sciagura inattesa mi avesse più stordito che addolorato, guardo i parenti e gli amici convenuti per quella morte: gente savia e dabbene, mi guarderei dal negarlo, ma che peccava di troppo zelo nel farmi accorgere dell’antipatia che sentivano per me.

Nella prima nota a margine al lettore, il Bandini confessa che questi altri avevano probabilmente ragione per opporsi a lui, cioè, a causa delle sue opinioni estreme ed il suo desiderio di fare proselitismo. Ancora e tutto, il Bandini ci dice che ha provato solo pietà per loro.

Certo ne avevano ragione, ma non m’aiutavano così a rinsavire, ché io anzi da quei loro sguardi traevo argomento di compatirli sinceramente.

Il Bandini continua, parlando della Sanni in termini reverenzialissimi… è ovvio che il suo dolore è sincero, profondo, sentito. Ci informa che amava la Sanni, che tutt’e due erano spiriti affini. (Non erano spiriti identici, tuttavia… il Bandini ci spiega che le opinioni della Sanni erano più moderate rispetto alle sue.)

Io amavo Amalia Sanni come una sorella. Riconosco ora in lei un solo torto: questo: che la sua anima s’accordava in tutto e per tutto con la mia nel concepir la vita. Non direi però ch’ella era matta; direi tutt’al più che Amalia Sanni non fu savia, come San Francesco. Perché non c’è via di mezzo: o si è santi o si è matti.

Successivamente, il Bandini ci fornisce alcune informazioni aggiuntive sul suo matrimonio. Abbiamo l’impressione che Mirina, in confronto al Bandini, fosse più giovane e meno esperta. Come il Bandiniracconta la storia, abbiamo l’impressione che lui e la Sanni si siano uniti per istruire Mirina nei modi del mondo.

Con cura tutt’e due ci sforzavamo di ridestare l’anima in Mirina, senza pertanto sciupar la freschezza della sua sconnessa e quasi violenta vitalità, senza mortificare per nulla quel suo minuscolo corpicino da bambola, pieno di vivacissime grazie. Volevamo insegnare a una farfalla, non a chiuder le ali e non voler più, ma a non andare a posarsi su certi fiori velenosi. Senza intendere che per la farfalla quel che a noi pareva veleno era il proprio cibo.

A questo punto possiamo facilmente immaginare quanto difficile sia stato per Mirina aver il marito comportarsi così con la sorella maggiore. Non sorprendiamo, quindi, quando il Bandini ci informa che il matrimonio è stato turbato, pieno di potenti emozioni negative.

Basta: non voglio qui dilungarmi a narrare la mia infelice esistenza coniugale con Mirina. Dirò solo che ella detestava in me quel che ammirava in sua sorella. E questo ora mi sembra naturalissimo.

Il Bandini prosegue, raccontando la storia d’una cugina che ha raccolto fiori dalla terra, che lei ha inteso distribuire intorno alla bara. Questo era chiaramente un gesto di amore / rispetto; ciònonostante, la Sanni, con tutta probabilità, avrebbe disapprovato il gesto — date le sue opinioni sul mondo naturale e sul rapporto tra gli esseri unmani e la natura.

A un tratto, nella camera mortuaria entrò sbuffante una delle cugine di mia moglie, di cui non ricordo più il nome: pingue, nana, con un grosso pajo d’occhiali rotondi che le ingrandivano mostruosamente gli occhi, poverina. Si era recata all’aperto a raccoglier qua e là quanti più fiori aveva potuto, nelle vicinanze della villetta, e ora veniva a spargerli sulla morta. Aveva nei capelli scompigliati il vento che urlava fuori.

Gentile e pietoso quel pensiero: ora lo riconosco; ma allora… Ricordavo che, pochi giorni addietro, Amalia, nel veder Mirina ritornare alla villetta con un gran fascio di fiori, aveva esclamato, tutt’afflitta:

— Peccato! Perché?

Nella sua santità, difatti, ella riteneva che quei fiori di campo non nascono per gli uomini, ma sono come il riso della terra che esprime gratitudine al sole per il calore che esso le dà. Strappare quei fiori era per lei una profanazione. Io matto, confesso che non seppi resistere alla vista della morta coperta di quei fiori.

Inestricabilmente legato all’immagine della Sanni nella bara era il ricordo d’una violenta tempesta avvenuta quella sera (poco dopo la morte).

Non dissi nulla. Me ne andai.

Ricordo ancora l’impressione che mi fece, quella notte, l’improvviso spettacolo della natura quasi tutta in fuga, nell’urlante veemenza del vento. Fuggivano squarciate pel cielo, con disperata furia, le nuvole, a schiera infinita, e pareva si trascinassero seco la luna pallida dallo sgomento; gli alberi si scontorcevano stormendo, cigolando, spasimando senza requie, come per sradicarsi e fuggire pur là, pur là, dove il vento portava le nuvole, a un tempestoso convegno.

Anche se la tempesta è stata intensa / minacciosa / potente, il Bandini ci dice che ha sollevato il morale / lo spirito… cioè, ha immaginato di condividere il suo dolore con un altro immenso dolore, apparente quella sera nel cielo.

L’anima mia, che nell’uscir dalla villetta era tutta chiusa nel cordoglio della morte, a un tratto si aprì, come se il cordoglio stesso si fosse spalancato al cospetto di quella notte: altro dolore immenso mi parve che fosse nel cielo misterioso, in quelle nuvole squarciate e trascinate; altra pena arcana nell’aria infuriata e urlante in quella fuga, e, se così gli alberi muti si agitavano, anche uno spasimo ignoto doveva certo essere in loro. A un tratto, un singhiozzo, quasi un bollo di paurosa luce in quel mare di tenebre: un chiurlo d’assiolo nella valle giù; e, lontano, gridi di terrore: i grilli che scampanellavano di là, verso la collina.

A questo punto della storia, era buio; il Bandini è stato investito e sballottato / buttato dal vento. Dopo un po’ ha raggiunto l’altro lato della villa, e per caso, ha percepito la presenza d’un’ombra strana, vicino alla stanza di Mirina. Il Bandini ha faticato / lottato a capire quella che ha visto: era o l’ombra d’un essere umano? …o forse d’un albero?

Investito dal vento, andai tra gli alberi. A un certo punto, non so perché, mi voltai a guardare verso la villetta, che mi presentava l’altro lato. Dopo aver guardato un pezzo, improvvisamente mi protesi per discernere tra il bujo se quel che mi sembrava di vedere fosse vero: presso la finestra bassa della camera in cui Mirina s’era ritirata a piangere la sorella, stava e s’agitava come un’ombra. Poteva essere negli occhi miei quell’ombra? Me li stropicciai così forte, che, per un attimo, dopo, non riuscii a discernere più nulla, quasi che una tenebra più fitta fosse caduta attorno per impedirmi, non di vedere, ma di credere a ciò che m’era parso di vedere. Un’ombra che gestiva? L’ombra d’un albero agitato dal vento?

Successivamente, apprendiamo che l’ombra era in realtà un uomo venuto a visitar Mirina! Dapprima, il Bandini ha immaginato che Marina lo avesse tradito (in effetti aveva sospettato un tradimento da un po’ di tempo). Ma ha anche considerato un’altra possibilità: che l’ombra sia stata creata da un ladro… e con quest’ultima in mente, il Bandini ha affrettato ed afferrato uno schioppo.

Tanto era lontano da me il sospetto che mia moglie mi tradisse.

Veramente mi sembra di non presumer troppo pensando che, in una notte come quella, sarebbe stato lontano da tutti un tal sospetto, e che forse tutti, come me, quando mi accorsi che quell’ombra era proprio un uomo in carne e ossa avrebbero ritenuto che fosse un ladro notturno e come me sarebbero corsi di soppiatto a prendere uno schioppo, per intimorirlo, anche sparando in aria.

Dal suo posto di vista, il Bandini (nascosto) ha tentato d’ascoltare la loro conversazione… era difficile, soprattutto a causa di vento / distanza. Ciònonostante, dopo un po’ era evidente che Mirina era terrorizzata dalla visita audace dell’uomo… ha cercato di costringerlo andarsene via!

Se non che io, quando scoprii che genere di ladro fosse colui, non gli sparai, né sparai in aria.

Appostato lì, chino, all’angolo della cascina, vicinissimo alla prima finestra donde essi parlavano tra loro, in preda a continui brividi taglienti come rasoiate alla schiena, mi sforzavo di udire ciò che dicevano. Udivo soltanto mia moglie atterrita dall’incredibile audacia di colui. Lo spingeva ad andarsene. Parlava anche lui, ma così basso e affrettatamente che, non solo non riuscivo a intendere le sue parole, ma dal suono della voce non potevo ancora riconoscerlo.

È stato spiegato che l’uomo era venuto per chiedere notizie della Sanni. Mirina l’ha informato che sua sorella era defunta; ha anche detto che loro (cioè, Mirina e quest’uomo) erano responsabili per la morte!

— Vattene, vattene, — insisteva lei. E tra le lagrime aggiunse altre parole che m’impietrarono di più. Intravidi tutto! Egli era venuto in quella notte tempestosa per chiedere notizie dell’inferma. Ed ella gli disse: « L’abbiamo uccisa noi ». Ah, dunque Amalia aveva saputo, aveva scoperto prima di me il tradimento?

L’uomo, stupito, le ha chiesto che cosa avrebbe potuto significare per quello,

— Che colpa? che colpa? No! – diss’egli forte, smanioso, a un tratto.

…e a questo punto il Bandini ha finalmente riconosciuto la voce: era quella di Cesare Vardi, il suo vicino.

Vardi! lui, Cesare Vardi, il mio vicino! Lo riconobbi, lo vidi nella sua voce: tozzo e solido, quasi nutrito di terra, di sole e d’aria sana.

A quel punto Mirina, esasperata / paurosa, ha sbattuto con forza le persiane; poi CesareVardi si è avviato verso casa sua.

Udii, subito dopo, le persiane raccostarsi con violenza, come se il vento avesse aiutato le mani li lei; udii che egli si allontanava.

Il Bandini era in grado di percepire la presenza di Vardi,

E io non mi mossi dalla positura in cui m’ero messo; seguii con l’udito rattenendo il fiato, i suoi passi, più lenti assai dei battiti dei mio cuore. Poi mi rialzai in preda al primo sbalordimento, e allora quel che avevo veduto e inteso quasi non mi parve più vero.

…e poi descrive l’incredulità, l’angoscia che ha provato una volta che il tradimento è stato verificato.

« Possibile? possibile? » dicevo a me stesso, errando di nuovo per la campagna, tra gli alberi, com’ebbro. M’usciva dalla gola un mugolìo sordo, continuo, che si confondeva col violento stormire delle foglie, come se il mio corpo, ferito, si dolesse per suo conto, mentre l’anima, sconvolta, stupita, non gli badava.

— Possibile?

Intesi alla fine quel mugolo che partiva da me, e m’arrestai arrangolato e m’afferrai forte con l’una mano e con l’altra gli omeri, incrociando le braccia sul petto, quasi per trattenermi, e sedetti a terra. Ruppi allora in singhiozzi disperati; Piansi e piansi;

Il Bandini ammette che a questo punto lo era fisicamente ed emotivamente esausto. Col tempo, tuttavia, ha cominciato a riprendersi,

poi, spossato, alleggerito, cominciai a esortar me stesso.

…ed, nella seconda nota a margine al lettore, dice che ha pensato molte volte a quello che è successo dopo e la sua opinione che ha agito più ‘matto’ che ‘savio’.

Ma dirò solo quello che feci, dopo aver pensato a lungo. Sarà meglio. Ormai sono passati tanti anni; commuovermi ancora di questa mia vecchia sciagura temo che non sia degno di un uomo savio; tanto più che, pare, anzi è certo, mi diportai malissimo.

Primo, il Bandini ha avuto un’opportunità d’uccidere Cesare Vardi, come sarebbe stato il suo diritto dato il tradimento.

Levatomi dunque da terra, mi misi a errar di nuovo. A un tratto mi sentii quasi forzato a nascondermi ancora una volta, e mi accoccolai dietro la siepe che limitava il mio campo la quello di lui. Il Vardi ritornava lentamente alla sua villa. Nel passare davanti a me, nascosto dalla siepe, lo sentii sospirare profondamente nella notte. Quel sospiro me lo avvicinò tanto, che quasi ne provai ribrezzo. Ah, per quel sospiro fui proprio sul punto d’ucciderlo. Potevo, solo che avessi alzato un po’ il fucile, anche senza darmi la pena di prendere la mira; tanto vicino mi passava. Lo lasciai passare.

(Un savio l’avrebbe fatto! Ma il Bandini ha scelto di non commettere un omicidio.)

Poi il Bandini è tornato alla villa. Si è rimasto per un po’ nella stanza della Sanni,

Ritornato di corsa alla villetta trovai che i parenti s’erano ritirati dalla camera della morta e che soltanto due servi erano rimasti a vegliare. Li dispensai dal triste ufficio, dicendo che avrei vegliato io. Mi trattenni un po’ a contemplare mia cognata, che mi sembrò più tranquilla, più serena, come se, morta dentro l’ombra della colpa di cui aveva voluto serbare l’orrendo segreto, ora ne fosse uscita, poiché io sapevo tutto.

(Non sappiamo ancora la causa della sua morte. È morta di crepacuore?)

…e poi ha trovato Mirina; ha chiesto che lei venisse con lui.

Entrai quindi nella camera di Mirina.

La trovai che piangeva. Appena mi vide, si cangiò in volto.

— Non temere, — le dissi. — Vieni con me.

— Dove?

— Con me. Non avrai più rimorsi.

— Che intendi dire?

— Io voglio fare, non dire. E quello che vuoi tu. Vieni intanto. Ti farò vedere.

Ci spiega che l’intenzione del Bandini era di perdonare Mirina, cioè, di permetterle d’andare con Cesare Vardi, cioè, di liberarla. Tuttavia Mirina non poteva pensare a nient’altro che la possibilità che il Bandini la uccidesse. Ha implorato il perdono.

La presi per mano; la attirai. Tremante, fremente, ella si lasciò trascinare fino alla camera della morta. Le additai la sorella.

— Vedi? — le dissi. — Ora ella ti perdona. E tu puoi ripetere a me che l’hai uccisa tu.

— Io?

— Sì, come hai detto poc’anzi dalla finestra a lui. Zitta non gridare! Non ti fo nulla. Andrai ora stesso via da questa casa. Non piangere! È la tua prigione. Voglio liberarti.

(A questo punto, Mirina potrebbe aver pensato che il Bandini stesse cercando vendetta non solo per la morte della Sanni ma anche per il tradimento!)

Ancora una volta Mirina ha chiesto perdono.

Cadde in ginocchio, con la faccia per terra, supplicando perdono, pietà. La aiutai subito a rialzarsi, imponendole di far silenzio; la tirai fuori della stanza.

— Dove? dove? — chiedeva lei angosciosamente.

— Dove tu vuoi; non temere. E se vuoi esser punita, sarà punizione; e se puoi ancora godere, godrai liberamente. Ti libero! ti libero!

Il Bandini si rese conto che aveva ancora lo schioppo e che lo potrebbe aver terrorizzato Mirina. Quindi l’ha messo da parte,

Avevo ancora lo schioppo in ispalla. Ah come ella me lo guardò, sospettando ragionevolmente che con le buone volessi attirarla fuori! Me ne accorsi: sorrisi amaramente. E corsi a posar l’arma in un angolo della saletta.

…e l’ha rassicurata.

— Non voglio farti male, no. Che dovere hai tu d’amarmi per forza?

— Dove mi conduci?

— Da lui che t’aspetta.

Nella terza nota a margine al lettore, il Bandini parla dell’infelicità di Mirina e del bisogno di vivere a parte da lui. Ci ricorda che è incapace di uccidere.

Entrando in una casa, pensavo io allora, dobbiamo contentarci della sedia che l’ospite può offrirci, senza stare a pensare se dall’albero, donde quella sedia fu tratta, altra sedia di miglior foggia e di maggior dimensione avremmo tratta noi per il nostro gusto e per la nostra statura. Per Mirina erano troppo alte le sedie di casa mia. Sedendo, restava con le gambe spenzolate, ed ella voleva sentire sotto i piedi la terra.

Ma avevo promesso di riferire soltanto quello che feci. Bene: passi questo breve saggio di pazzia. Quanto sarebbe stato più spiccio tirare una fucilata… Mah!

(Propio così… matto!)

Poi il Bandini ha afferrato il polso di Mirina e l’ha condotta verso la casa di Cesare Vardi. Ma Mirina si è liberata dalla sua presa, e ha fuggito nella notte. (Il Bandini ci informa che lei ha probabilmente fuggito a casa di Vardi).

La tenevo per mano, all’aperto, e le parlavo, andando. Non so bene quel che le dicessi; so che, a un certo punto, ella svincolò il polso dalla mia mano e scappò via di corsa, di corsa, tra gli alberi, come portata dal vento. Io rimasi perplesso, sorpreso da quella fuga improvvisa: pareva che ella mi seguisse così docile… Chiamai come un cieco:

— Mirina! Mirina!

Era sparita nella tenebra, tra gli alberi. Errai in cerca, a lungo, invano. Ruppe l’alba, cercai ancora, finché ogni dubbio non fu vinto dalla certezza che ella era andata da sola a rifugiarsi là, dove io senza alcuna violenza volevo condurla.

A questo punto la serata era trascorsa, l’alba era arrivata. Il Bandini è tornato alla villa. Ben presto si rese conto che le altre persone in lutto dovevano aver iniziato a preoccuparsi della sua assenza e dell’assenza di Mirina. Ha immaginato come lo avrebbero castigato.

Guardai il cielo velato da strisce rade, che erano come la traccia superstite della gran fuga delle nuvole nella notte, e mi sentii stordito in mezzo a un silenzio nuovo, inatteso, con l’impressione vaga che qualcosa fosse venuta a mancare tutt’intorno, alla terra. Ah sì, ecco: il vento. Il vento era abbattuto. Gli alberi erano immobili nell’umida squallida luce di quell’alba.

Quanta stanchezza in quella stupefatta immobilità! Ero sfinito anch’io, e mi posi a sedere per terra. Guardai le foglie degli alberi più vicini, e sentii che, se un soffio d’aria in quel momento fosse venuto a smuoverle, esse avrebbero forse provato lo stesso senso di dolore che avrei provato io se qualcuno fosse venuto a scuotermi una mano.

Mi sovvenne a un tratto che la morta era sola nella villetta; che c’erano i parenti, i quali forse a quell’ora s’erano svegliati e domandavano di me e di mia moglie. Balzai in piedi, e via di corsa.

Stimo inutile rappresentare a gente savia quel che seguì. Quei bravi parenti insorsero tutti alle parole mie, alle mie spiegazioni; mi proclamarono pazzo, e anzi quella cugina pingue nana, dagli occhiali rotondi, mentre tutti vociavano, trasse dalla concitazione generale il coraggio di strillarmi in faccia con le pugna serrate:

— Imbecille!

Aveva ragione, poverina.

Il Bandini era da solo alla fine del Capitolo III. Per la sepoltura, il corpo della Sanni è stato trasportato nella chiesa del paese vicino.

Affrettarono il trasporto della defunta alla chiesa del prossimo villaggio, e mi lasciarono solo.

Ci racconta che è stata tragica la fine della vita di Marina: Cesare Vardi l’ha lasciata e lei ha sofferto una malattia grave. Mirina non è stata mai riuscita a perdonare il Bandini per le angosce e le delusioni del passato.

Dopo due anni, mi rivedo in viaggio. Il Vardi ha abbandonato Mirina, la quale, sottratta alla miseria, al vizio, alla disperazione, vive in casa d’una parente. Ella è però in potere d’un male orribile, e sta per morirne. Col mio perdono, con la pace, io ho sperato, sognato di allegrarle gli ultimi giorni di vita, riconducendola alla nostra campagna. Mi presento a lei in quella camera squallida; le dico:

— Mi comprendi, ora?

— No! — mi risponde lei, ritirando la mano che voglio carezzarle e guardandomi odiosamente.

E anche lei, poveretta, aveva ragione.

Capitolo IV. Scuola di saggezza

Il capitolo IV racconta il modo in cui il Bandini ha perso la sua fortuna.

All’inizio, il Bandini descrive l’ingrediente chiave per una carriera di successo — le risorse!

Per esercitar bene qualunque professione c’è bisogno, come ognun sa, anche di una certa larghezza di mezzi, la quale renda possibile aspettare le opportunità migliori, senza buttarsi alle prime, come cani all’osso, che è la sorte di chi si trovi in ristrettezze e per l’oggi debba ammiserire il proprio domani e se stesso e la professione sua.

Questa linea di ragionamento si estende a tutte le professioni, ci viene detto, includendo la professione del ladro.

Ora questo vale anche per la professione del ladro.

Un povero ladro, che debba vivere alla giornata, suol finir sempre male. Un ladro invece, che non sia in tali angustie e possa e sappia aspettar tempo e preparare i modi, arriva ad alti e onoratissimi posti, con plauso e soddisfazione di tutti.

Siamo dunque parchi, per carità, nell’accordare il merito della saggezza ai ladri di casa mia.

(Quest’ultima frase prefigura la fine della novella.)

Ci viene detto che tutti i ladri sono decisamente savii. Con grande ironia, ci viene spiegato che alcuni ladri sono piuttosto sofisticati e davvero di successo; di conseguenza possono esser lodati, cioè, considerati tra i membri più rispettati, più importanti e più di successo della società.

Tutti quelli che esercitarono sulla mia cospicua ricchezza la loro professione, non meritano l’encomio della gente savia. Potevano rubare con garbo, comodamente, e con prudenza e avvedutezza, e crearsi un’onorevole e rispettabilissima posizione. Invece, proprio senz’alcun bisogno, s’affollarono a rubare, e rubarono male, naturalmente. Riducendomi in pochi anni alla miseria, si tolsero il modo di vivere tranquillamente alle mie spalle. E cominciarono presto, infatti, per loro, tanti grattacapi che prima non avevano; e so, e me ne dispiace, che qualcuno andò anche a finir male.

(Qui, il Pirandello sembra riferirsi non solo a ladri comuni ma anche ai padroni, nobili, politici, criminali.)

Impareremo di più sul punto di vista di Marta (es.) lei capisce bene che in questo mondo ci sono molte persone che agiscono male. In effetti siamo circondati da tali persone. Per Marta ciò che conta di più non sarebbe la sofisticazione del ladro, ma piuttosto la sofisticazione dell’obiettivo del ladro. Per Marta, in altre parole, la persona in colpa (la persona che è un pazzo / imbecille / cretino) sarebbe la persona che si lascia rapinare.

Marta, mia moglie, è d’accordo con me in questo giudizio, soltanto ella osserva che allorquando un pover’uomo discretamente onesto si trova insieme con tanti ladri ingordi nell’amministrazione dei beni d’un ricco imbecille o matto (che sarei io) la tattica della parsimonia nel furto non è più saggia; il furto discreto, pacifico, giornaliero, non è più segno allora d’avvedutezza, ma di stupidaggine e di povero cuore.

Arriva il giorno in cui il Bandini capisce che la sua fortuna è persa. Impariamo che il suo segretario, Santi Bensai, il primo marito di Marta, ha iniziato a sottrarre piccole quantità di soldi dal Bandini. Questo furto era discreto, difficile da rilevare.

E questo sarebbe appunto il caso di Santi Bensai, mio segretario e primo marito della mia cara Marta.

Il povero Santi (a cui devo se ora non son ridotto all’elemosina) conosceva la mia ricchezza e stimava saggiamente ch’essa avrebbe potuto servire con larghezza per me e per quanti, come lui, si fossero contentati di raschiarla discretamente, comodamente, senza cagionar danni troppo evidenti.

Tuttavia il Bensai ha rivelato agli altri (ignoti) quello che stava facendo. Presto hanno deciso di unirsi a lui nel furto e non è riuscito il Bensai a fermarli. In breve tempo gli altri hanno rubato i soldi del Bandini finché non ha rimasto nulla.

Forse non tralasciò di consigliare, per comune interesse, moderazione ai suoi colleghi; non fu certo ascoltato; si creò nemici; e sofferse non poco, poverino. Gli altri seguitarono a portar via a balle e a carra; lui, come una sobria formichetta. E quando io alla fine rimasi povero come santo Giobbe, bisognava vedere il buon Santi molto, ma molto più afflitto di me. Egli aveva raggranellato di che vivere modestamente, e non si sapeva dar pace che quegli altri non si fossero degnati neppure di lasciarmi nella sua condizione.

Il Bensai si è lamentato dell’avidità dei suoi colleghi,

— Carnefici! — esclamava: lui che mi aveva tratto sangue, a mala pena, zitto zitto, con uno spillo.

…e, in un atto di pentimento, porta il Bandini di tanto in tanto a casa sua per cenare!

E più d’una volta, vedendomi un po’ troppo pallido, volle trascinarmi per forza in casa sua a desinare; e lui non mangiava, dalla bile che lo rendeva furibondo contro quegli altri.

Ancora una volta, impariamo dal punto di vista di Marta: era in disaccordo con il lamento del Bensai per quanto riguarda l’avarizia degli altri ladri,

Io stavo zitto e ascoltavo Marta che, fin d’allora, cominciò a darmi scuola di saggezza. Ella difendeva contro il marito i miei carnefici.

e si riferiva al Bandini come un imbecille!

— Siamo giusti! — diceva. — Con qual diritto possiamo pretendere che gli altri si curino di noi, quando noi continuamente dimostriamo di non aver nessuna cura di noi stessi? La roba del signor Fausto era roba di tutti, e ciascuno se l’è presa. Non è tanto ladro il ladro, quanto, — scusi signor Bandini, — quanto è imbecille chi si lascia rubare.

Ad un altro punto si è arrabbiata con suo marito:

— E zitto, via, Santi! Imita il signor Bandini che almeno se ne sta zitto, perché sa bene, ora, che non può lagnarsi di nessuno. Se egli infatti, senza che gli spettasse, pensò sempre agli altri, che meraviglia, che questi altri abbiano pensato a sé? Ha dato lui l’esempio, e gli altri lo hanno seguito.

…e ha continuato a parlare francamente (e con grande ironia) al Bandini!

Per me, il signor Bandini è stato il più gran ladro di se stesso.

— E dunque, in prigione? — le domandavo io, sorridendo.

— In prigione, no. Ma in qualche altro ospizio, sì.

(Boom! Pow! Segna uno per Marta! A questo punto, cari lettori, siete d’accordo con noi sul fatto che Marta sia una delle migliori creazioni del Pirandello?)

Continua la conversazione. Il punto che veniva discusso era una sorpresa, per non dire altro. Innanzitutto, il Bandini ha tentato di razionalizzare la perdita della sua fortuna (in altre parole ha sottolineato che le sue perdite non erano poi così male), dicendo che molto probabilmente, sarebbe finito in povertà comunque, visto il suo debole /inclinazione / propensione per la carità.

Santi si ribellava. Il diverbio s’accendeva, e invano io tentavo di metter pace dichiarando che, alla fin fine, quei tali il più gran male non lo avevano fatto a me che sapevo adattarmi a vivere comunque, ma alla povera gente che aveva bisogno del mio aiuto.

Marta gli rispose sottolineando che da lasciandosi derubare, ha perso l’opportunità d’aiutar gli altri

— E lei dunque, — ribatteva Marta, — non ha fatto male soltanto a sé, ma anche agli altri. Ne conviene? Non pensando a sè, non ha pensato neanche agli altri. Doppio male! E non ne segue che tutti coloro che pensano soltanto a sè e fanno in modo di non aver mai bisogno d’alcuno, per questo soltanto dimostrano di pensare anche agli altri? Che farà lei adesso? Ha bisogno degli altri, ora. E crede che sarà per tutti un beneficio il dover mostrarsi grati?

(Boom! Pow! Segna due per Marta!)

Santi Bensai ha interrotto,

— O che ti scappa di bocca, pettegola? — scattava Santi a queste parole, temendo non mi paressero un raffaccio di quel po’ d’aiuto ch’egli con tutto il cuore mi prestava.

…ma Marta ha mantenuto la sua posizione.

Marta, placida e commiserandolo con lo sguardo, gli rispondeva:

— Non dico per te. Che c’entri tu, Santi mio, che sei un pover’uomo da bene?

Allora il Bandini ha espresso il desiderio di trovare un lavoro, forse il lavoro manuale.

E veramente! Se lo avessi lasciato fare secondo il suo affetto e la considerazione sua, mi sarei ridotto a vivere giorno e notte con lui. Non mi soleva lasciare un sol momento, e mi chiedeva per grazia ch’io fossi contento di accettare i suoi servizii doverosi. Povero Santi! Ma, con la povertà, i fumi della follia non m’erano per anche svaporati. Non volevo esser di peso a nessuno de’ miei antichi beneficati, e con garbo compassionevole mi portavo a spasso i miei cenci e la mia miseria e intanto cercavo di procacciarmi un lavoro qual si fosse, anche manuale, che mi desse modo di soddisfare ai miei pochi bisogni.

…ma Marta l’ha sfidato… avrebbe potenzialmente potuto ritirare un lavoro da un altro che ha vissuto una vita di povertà.

Ma neppur questo garbava alla mia saggia maestra:

Lavorare? — mi diceva. — Bell’espediente! Lei non era nato per questo, e ora toglierà, senza volerlo, il posto a un poveretto che forse si sarà incamminato per la via di quell’impiego che lei va cercando.

(Brava, Marta… bravissima!!!)

Il Bandini si chiedeva se volesse che morisse? (hahahahaha)

Mi voleva dunque morto, la buona amica?

Poi abbiamo imparato della morte di Santi Bensai,

Quel suo ragionamento mi colpì e, non volendo togliere il posto a nessuno, me ne andai lontano, a chieder ricetto a una famiglia di contadini, già miei dipendenti, ai quali di notte, in cambio, guardavo nel bosco la carbonaia, con la scusa che non riuscivo mai a prender sonno. Là, dopo alcuni mesi, mi giunse la notizia che il povero Santi Bensai era morto di un colpo. Lo piansi come un fratello!

…e più di un anno dopo la sua morte, Marta ha cercato il Bandini.

Dopo circa un anno, la vedova mandò a cercare di me. M’ero ridotto così male, che non volevo assolutamente presentarmi a lei.

Alla fine dela novella, il Bandini commenta che la sua transizione da ‘matto’ a ‘savio’ è in corso…

Ora Marta non vuol dare a sé il merito di avermi salvato; ma, se è vero che il buon Santi lasciò nel testamento una calda raccomandazione per me alla moglie, è anche vero che ella poteva non tenerne conto.

— No, no, — mi ripete lei — ringrazia Santi, buon’anima, che ebbe almeno l’accortezza di metter da parte questo poco denaro ch’era tuo, per la nostra vecchiaia. Vedi? quello che tu non sapesti fare, lo fece lui per te. Peccato che gli mancasse il coraggio, poverino!

E così io ora, savio, godo il frutto, scarso, della più savia tra le virtù: la previdenza d’un mio povero ladro riconoscente e da bene.

(Diremmo grazie all’inestimabile Marta!)

***

Cari lettori, vorremmo affermare chiaramente che non siamo savii! In modo particolare ed incondizionato non siamo d’accordo con la violenza contro le donne intrappolate in un rapporto che causa dolore.

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