Riassunto: Quand’ero matto (capitoli I, II)

Quand’ero matto (L. Pirandello)

Capitoli I e II.

Capitolo I. Il soldino

Prima di tutto chiedo licenza di premettere che ora sono savio. Oh, per questo, anche povero. Anche calvo. Quand’ero ancora io, voglio dire, il riverito signor Fausto Bandini, ricco, e in capo avevo tutti i miei bellissimi capelli, è però provato provatissimo ch’ero matto. E un po’ più magro, s’intende. Ma pur con questi occhi che mi sono rimasti da allora spauriti, nella faccia così tutta scritta dagli atteggiamenti che prendeva per le croniche pietà da cui ero afflitto.

All’inizio ci viene presentato Fausto Bandini, il meravigliosoed intelligente protagonista della novella ed il narratore della storia. Comprendiamo presto che il Bandini è, in questo momento, un uomo vecchio e che intende portarci in una sorta di viaggio autobiografico.

Il Bandini inizia dicendoci, in modo istruito e raffinato, che adesso lui è di buon umore (“Prima di tutto chiedo licenza di premettere che ora sono savio.”) …anche se da giovane era matto.

Nel corso degli anni, il Bandini ha guadagnato peso, ha perso la maggior parte dei suoi capelli e ha anche perso una notevole quantità di soldi. (Da giovane era conosciuto come “il riverito signor Fausto Bandini, ricco”, ma non è più così.)

Abbiamo l’impressione che il Bandini sia un uomo premuroso, forse per colpa sua. Così, siamo informati che quand’era matto il suo comportamento era guidato da varie ‘preoccupazioni’ e ‘pietà’ (in altre parole, ‘compulsioni’, ‘ossessioni’) che ci dice l’hanno torturato e, alla fine, hanno lasciato i segni: “Ma pur con questi occhi che mi sono rimasti da allora spauriti, nella faccia così tutta scritta dagli atteggiamenti che prendeva per le croniche pieta da cui ero aflitto.”

Allora il Bandini ci spiega che, in questo periodo di vita sua, quando è annoiato, ha una tendenza a ritornare /ripristinare / ricascare alla sua follia. Impariamo che quando ciò accade, sua moglie Marta lo ferma… lei lo riporta, per così dire, da uno stato di follia a uno stato di ragionevolezza.

Per distrazione, ogni tanto, ci ricasco. Ma sono lampi che Marta, saggia moglie, spegne subito in me con certe sue terribili paroline.

(Noioso? Un ritorno? Ci chiediamo, a questo punto, se il Bandini potrebbe solo preferireesser pazzo piuttosto che essere sano di mente!)

Poi il Bandini ci dà un esempio, un piccolo assaggio, di una delle sue ‘reversioni’.

Per esempio, l’altra sera.

Parentalmente, ci aiuta prima a capire che una reversione non è un grosso problema …assai non sono del tutto inaspettata. Dopotutto, il passaggio dal matto al savio è profondo… è molto probabilmente che ci vorrà del tempo, che sarà difficile da completare!

Cose di poco momento, badiamo. Che può mai accadere a un povero savio e savio povero, ridotto a vivere più ordinatamente d’una formica?

Quanto più tenne la tela, tanto più delicato il ricamo, ho letto una volta, non so dove. Ma prima di tutto bisognerebbe saper ricamare.

Allora… l’esempio: un giorno il Bandini, camminando verso casa sua, viene avvicinato da una sfortunata, un mendicante, che gli chiederà dei soldi. Ci viene presto chiaro che questa giovanotta è un artigiano… cioè, esperta e bravissima in quello che fa.

Rincasavo. Non si può dare, credo, maggior fastidio di quello che l’insistenza d’un mendicante cagiona quando non s’abbia il soldo in tasca e quegli ci veda all’aria dispostissimi a darglielo. Era, nel caso mio, una ragazza. Senza interruzione, con voce piagnucolosa da un quarto d’ora m’andava ripetendo dietro le stesse frasi, due o tre.

Il Bandini fa finta che lei non esista,

Io, sordo; senza guardarla.

…ma lei persiste, imperterrita / spudorata. Lei sembra aggrapparsi al Bandini, quasi come se loro fossero una coppia, cioè, come se fossero gli sposi, con tutti i diritti ei doveri associati!

A un certo punto, mi lascia: investe e s’appiccica, come una mosca tavana, a una coppia di sposi novelli.

La giovanotta gli chiede soldi.

— Glielo daranno il saldino? — dico tra me.

È interessante notare che il Bandini ci suggerisce che la giovanotta ha invocato una metafora inappropriata: infatti, se in realtà fossero sposati, l’ultima cosa per cui avrebbero avuto tempo sarebbe la carità… per gli sposi, in altre parole, l’ultima cosa sarebbe fermarsi a considerare chiunque altro oltre a se stessi).

Ah, tu non sai, ragazza! La prima volta che gli sposi novelli van per via a braccetto, vedono d’aver tutti gli occhi del mondo appuntati addosso; sentono l’impaccio delle cose nuove che tutti quegli occhi veggono e suppongono in loro, e non sanno né possono fermarsi a far l’elemosina al povero.

La giovanotta persiste; il Bandini rifiuta.

Sento poco dopo, difatti, qualcuno che mi corre dietro gridando;

— Signorino, signorino.

E rièccola, col piagnisteo monotono di prima. Non ne posso più; le grido esasperato:

— No!

La giovanotta è implacabile, determinatissima; il Bandini smette di camminare, ma si deteriora la situazione.

Peggio. Come se con quel no avessi dato la stura a un altro pajo di frasi tenute in serbo in previsione del caso. Sbuffo una prima volta, sbuffo una seconda, finalmente: auff! — alzo il bastone. Così. Quella si tira da un canto, levando istintivamente il braccio a riparo della testa, e di sotto il gomito mi geme:

— Anche due centesimi!

Momentaneamente, il Bandini esprime un rammarico per ‘losing his cool’, ma poi si rende conto che la giovanotta sa esattamentequello che sta facendo… vede una spietatezza nei suoi occhi, una determinazione per avere successo.

Dio, che occhi apriva quel volto smunto, citrino, sotto i capelli rossastri abbatuffolati. Tutti i vizii della strada vermicavano in quegli occhi; e la precocità li rendeva spaventevoli. (Non metto alcun punto esclamativo perché, ora che son savio, nessuna cosa deve più farmi meraviglia.)

Già prima di vederle quegli occhi ero pentito dell’atto di minaccia.

Poi il Bandini chiede alla giovanotta una domanda,

— Quant’anni hai?

…ma lei non risponde,

La ragazza mi guarda di traverso, senza abbassare il braccio, e non risponde.

…il Bandini persiste… le chiede perché non ha lavoro,

— Perché non lavori?

…la giovanotta dice che non riesce a trovarne uno,

— Magari, a trovarne. Non trovo.

…il Bandini la sfida, respinge la sua risposta, e comincia ad avviarsi,

— Non cerchi, — le dico io, riavviandomi. — Perché hai preso gusto a codesto bel mestiere.

…ma la giovanotta, per la sorpresa di nessuno a questo punto, persiste!! (Il Bandini ci dice che come un giovanotto, avrebbe potuto darle il suo cappotto, ma che non può più permettersi di farlo.)

Manco a dirlo; colei mi seguì ripigliando l’affliggente cantilena: che aveva fame, le déssi qualcosa per amor di Dio.

Potevo cavarmi la giacca e dirle: « Tieni »? Chi sa: in altri tempi, forse l’avrei fatto. Ma già, in altri tempi, avrei avuto in tasca il soldino.

E poi… in un lampo d’ispirazione il Bandini immagina un modo per aiutar la giovanotta e anche ‘aiutarsi’, cioè, le offrenderà un’opportunità, a casa sua, di lavorare per Marta.

Mi nacque improvvisamente un’idea, della quale sento il dovere di scusarmi al cospetto della gente savia. Lavorare è senza dubbio un buon consiglio; ma si fa così presto a darlo. Mi sovvenne che Marta cercava una seghetta.

Il Bandini ci spiega alcune delle implicazioni di quest’idea. Da una parte, una tale offerta a qualcuna meno fortunata sembra esser una sorta di reversione, cioè, il modo in cui si è comportato da giovanotto, da matto…

E si badi: qualifico pazzia quest’idea improvvisa, non tanto per la trepida gioia che mi suscitò e che riconobbi in prima benissimo, per averla altre volte provata tal quale, quand’ero matto: specie d’ebbrezza abbarbagliante che dura un attimo, un lampo, nel quale il mondo sembra dia un gran palpito e sussulti tutto dentro di noi;

(e il Bandini trova quest’offerta esaltante, molto piacevole… è vivo ancora una volta!!)

D’altra parte il Bandini si rende conto che la sua offerta raggiunge una sorta di ‘via di mezzo’: non sia semplicemente un atto caritatevole (cioè, ‘matto’ o concepito solo per aiutar una sfortunata). L’offerta sembra anche esser ‘savio’ o ‘self-serving’, nel senso che sarà vantaggioso per Marta.

quanto per le riflessioni da povero savio con cui cercai subito di puntellare quell’ebbrezza in me. Pensai: « Purché a questa ragazza si dia da mangiare, da dormire e qualche veste smessa, ci servirà, senza pretendere altro. Sarà pure un risparmio per Marta ». Così.

Alla fine il Bandini fa l’offerta e la giovanotta n’accetta. Poi i due camminano insieme a casa sua.

— Senti: — dissi alla ragazza, — soldi, non te ne do. Vuoi davvero lavorare?

Si fermò a guardarmi un tratto con quegli occhi scontrosi, sotto le ciglia odiosamente aggrottate; poi chinò più volte il capo.

— Sì? ebbene, vieni allora con me. Ti darò io da lavorare a casa mia.

La ragazza si fermò di nuovo, perplessa.

— E mamma?

— Andrai a dirglielo dopo. Adesso vieni.

Inizialmente il brivido d’aiutarla sembra trasportar il Bandini in un altro stato di coscienza,

Mi pareva di camminare per un altro viale e che… mi vergogno a dirlo, case e alberetti fossero in preda all’agitazione che provavo io.

…tuttavia sorge, quasi al tempo stesso, la domanda: “Cosa pensarà / dirà Marta dell’offerta?”, e vediamo crescere nel Bandini un vero senso di presagio e d’agitazione.

E l’agitazione crebbe, crebbe di punto in punto, appressandomi a casa.

Che avrebbe detto mia moglie?

In un modo più balordo non avrei potuto presentarle la proposta (balbettavo). E certo, certissimo questo modo balordo dovette contribuire non solo a fargliela respingere, com’era giusto, ma anche a farla arrabbiare, povera Marta. Ma se io, ora che sono divenuto savio, col timore continuo che ni scappi qualche stramberia, non so più dire due parole, una dopo l’altra? Basta; mia moglie non si lasciò sfuggire l’occasione di ripetermi quel suo terribile: « Ancora? Ancora? » che per me è peggio d’una doccia a sorpresa;

Il Bandini continua ad immaginare il peggio, “Cosa potrebbe dire Marta mentre rifiuta l’offerta?”

poi mandò via la ragazza senza neanche volerle dare qualcosina, perché disse – per quel giorno l’elemosina era fatta.

Poi però apprendiamo che Marta è fondamentalmente una signora pratica: qualcuna savia per la maggior parte, ma qualcuna che è anche capace di ‘hedge her bets’ nella vita.

(E realmente Marta l’elemosina la fa ogni giorno; badiamo: dà un soldino al primo povero che capita, e quando ha dato quel soldino e ha detto: « Raccomandami alle anime sante del Purgatorio » s’è messa in pace con la coscienza, e non vuol sentire altro.)

Alla fine del Capitolo I, vediamo chiaramente il conflitto tra ‘matto’ e ‘savio’ nella vita del Bandini.

Intanto io penso e dico: quella ragazza, se non è già perduta, certo sarà tra breve. Sì, ma che deve importarmene? Io, ora, sono divenuto savio, e a queste cose non debbo più pensare né punto, né poco. — « Pensare a me! » – questa, la mia nuova divisa. Ce n’è voluto per persuadermi a intestarne tutti gli atti di questa mia nuova vita, chiamiamola così. Ma come Dio vuole, non facendo nulla… Basta. Se io ora, per modo d’esempio, mi fermo sotto la finestra d’una casa ove sappia c’è gente che piange, debbo subito vedere a quella finestra la mia smarrita, sparuta immagine, la quale, affacciandosi, ha l’obbligo espresso di gridarmi di lassù, crollando un po’ il capo e appuntandosi l’indice d’una mano sul petto: — E io? — Così.

Sempre: —E io? — in ogni occasione. Che è qui la base della vera saggezza.

Poi impariamo che nel Capitolo II, avremo una descrizione più dettagliata della vita del Bandini come un giovanotto, un uomo d’affari ricco.

Quand’ero matto invece…

Capitolo II. Fondamento della morale

Allora… quando il Bandini era matto (secondo il giudizio degli altri), era una persona completamente altruista.

Quand’ero matto, non mi sentivo in me stesso; che e come dire: non stavo di casa in me.

Ero infatti divenuto un albergo aperto a tutti. E se mi picchiavo un po’ sulla fronte, sentivo che vi stava sempre gente alloggiata: poveretti che avevan bisogno del mio aiuto; e tanti e tanti altri inquilini avevo parimenti nel cuore; né si può dir che gambe e mani avessi tanto al servizio mio, quanto a quello degli infelici che stavano in me e mi mandavano di qua e di là, in continua briga per loro.

 

Non potevo dir: io, nella mia coscienza, che subito un’eco non mi ripetesse: io, io, io… da parte di tanti altri, come se avessi dentro un passeraio. E questo significava che se, poniamo, avevo fame e lo dicevo dentro di me, tanti e tanti mi ripetevano dentro per conto loro: ho fame, ho fame, ho fame, a cui bisognava provvedere, e sempre mi restava il rammarico di non potere per tutti.

Credeva in una società caratterizzata dall’assistenza reciproca universale. Il Bandini era un caso estremo: era ricco e non aveva bisogno di nulla… per lui ‘l’assistenza’ scorreva sempre in una sola direzione — agli altri!

Mi concepivo insomma in società di mutuo soccorso con l’universo; ma siccome io allora non avevo bisogno di nessuno, quel « mutuo » aveva soltanto valore per gli altri.

Il Bandino arriveva al punto di preparare un trattato che ha cercato di spiegare in dettaglio le sue convinzioni. Mai pubblicato, il trattato era intitolato “Fondamento della morale”.

Il bello intanto era questo, che credevo di ragionare la mia pazzia; anzi, se debbo dir tutta la verità senza vergognarmi, ero finanche arrivato a tracciare lo schema d’un trattato sui generis, che intendevo scrivere col titolo: Fondamento della morale.

Apprendiamo che il Bandini era piuttosto orgoglioso di questo sforzo. Di nascosto, solitamente di notte, rileggeva i suoi appunti e la bozza di testo.

Ho qui nel cassetto gli appunti per questo trattato, e ogni tanto, di sera (mentre Marta si fa di là il solito pisolino dopo cena), li cavo fuori e me li rileggo pian piano, di nascosto, con un certo godimento e anche una certa meraviglia, lo confesso, perché è innegabile che io ragionavo pur bene, quand’ero matto.

Poi apprendiamo che la principale motivazione del trattato era il desiderio di convincere Mirina, sua prima moglie, delle sue idee, del suo punto di vista.

Dovrei veramente riderne; ma forse non ci riesco per il motivo artefatto particolare che quei ragionamenti erano per la maggior parte diretti a convertire quella disgraziata, che fu la mia prima moglie, della quale parlerò appresso, per dare la più lampante prova delle segnalate pazzie di quei tempi.

Infatti Mirina sembra esser l’esatto opposto del Bandini, cioè puramente savia. Potrebb’esser crudele con gli altri. Vediamo un esempio di questo nella storia del figlio d’un socio in affari, che lei invita a desinare. (Il Bandini concluderà la sua narrazione di questa storia da rimproverando Mirina, scrivendo che non capisce il dolore che infligge agli altri.)

Da questi appunti argomento che il trattato del Fondamento della morale dovesse nel mio concetto consistere di dialoghi tra me e quella mia prima moglie, o forse d’apologhi. Un quadernetto, ad esempio, è intitolato: Il giovine timido, e certo in esso alludevo a quel buon ragazzo, figlio d’un mercante di campagna in relazione d’affari con me, il quale, mandato dal padre, veniva a trovarmi in città, e quella disgraziata lo invitava a desinare con noi per divertirsi un po’ alle spalle di lui.

Trascrivo dal quadernetto:

« Dimmi, o Mirina. O che occhi sono i tuoi? Non vedi che codesto povero giovine s’è accorto che tu intendi prenderti giuoco di lui? Lo stimi sciocco; e invece è soltanto timido; così timido che non sa ritrarsi dalla berlina a cui lo metti, quantunque ne soffra dentro. Se la sofferenza di questo giovine, o Mirina, non rimanesse per te allo stato di segno apparente che ti fa ridere, se tu non avessi soltanto coscienza del tuo tristo piacere, ma anche, nello stesso tempo del dolore di lui, non ti par chiaro che cesseresti di farlo sorbire, perché il piacere ti sarebbe turbato e distrutto dalla coscienza dell’altrui dolore? Tu agisci dunque, Mirina, senza l’intero sentimento della tua azione, della quale provi l’effetto soltanto in te medesima. »

Il Bandini ammette quindi d’aver una sorta di ‘tunnel vision’, dato che era ad un estremo (puramente matto, una persona completamente altruista), mentre Mirina era all’estremo opposto (puramente savia, una persona completamenta egoista).

Così. E per un matto, via, non c’è male. Il male era che non comprendevo che altro è ragionare, altro è vivere. E la metà, o quasi, di quei disgraziati che si tengon chiusi negli ospizii, non sono forse gente che voleva vivere secondo comunemente in astratto si ragiona? Quante prove, quanti esempii potrei qui citare, se ogni savio oggi non riconoscesse tante cose che si fanno nella vita, o che si dicono, e certi usi e certe abitudini esser proprio irragionevoli, dimodochè è matto chi li ragioni.

Tale in fondo ero io, tale nel mio trattato mi dimostravo.

Per inciso, il Bandini ammette che Marta, la sua seconda moglie, l’ha aiutato a vedere una visione più sfumata e meno rigida del mondo.

Non me ne sarei accorto, se Marta non mi avesse prestato i suoi occhiali.

Poi, il Bandini continua… confronta il suo trattato con un catechismo (o dogma), cioè, un sistema di credenze che è basato unicamente sulla fede! In netto contrasto con un catechismo o un dogma, afferma lui con orgoglio che la logica e il ragionamento dietro le sue opinioni sono chiaramente indicati per tutti da vedere.

Per curiosità, intanto, coloro che non si vogliono tener paghi di Dio, perché lo dicono fondato in un sentimento che non ammette ragione, potrebbero vedere in questo mio trattato come io però lo ragionassi.

Quindi la logica del sistema di credenze del Bandini dovrebbe fare appello ai savii. Allo stesso tempo, tuttavia, Bandini ammette che alcune delle sue opinioni sono almeno simili a quelle d’un catechismo,

Se non che, convengo adesso che questo sarebbe un Dio difficile per la gente savia e anzi addirittura impraticabile, perché, chi volesse riconoscerlo dovrebbe agire verso gli altri come agivo io una volta, cioè da matto: con eguale coscienza di sé e degli altri, perché sono coscienze come la nostra. Chi facesse veramente così e alle altre coscienze attribuisse l’identica realtà che alla propria, avrebbe per necessità l’idea d’una realtà comune a tutti, d’una verità e anche di un’esistenza che ci sorpassa: Dio.

…e dunque, per un savio, molto probabile sarebbero difficili da accettare!

Ma non per la gente savia, ripeto.

A questo punto, ci viene fornito un’altr’occhiata della natura pratica di Marta. Una sera, mentre il Bandini legge alcune delle osservazioni di San Francesco — alla sua sorpresa — Marta esprime la sua ammirazione.

È curioso intanto che Marta, mentre io (seguendo la nostra vecchia abitudine di leggere qualche buon libro prima d’andare a letto) leggo, per esempio, I fioretti di San Francesco, m’interrompa di tratto in tratto, esclamando con riverenza e piena d’ammirazione:

— Che santo! che santo!

Così.

Sarà tentazione del demonio, ma io abbasso il libro sulle ginocchia e sto a guardarla, se lo dica proprio sul serio davanti a me. Per esser logici, via, San Francesco per lei non dovrebbe esser savio, o io ora…

Ma già, mi persuado che i savii debbono esser logici fino a un certo punto.

Poi apprendiamo che il Bandini ha esteso le sue opinioni per includere tutte le cose nel mondo, animate e inanimate,

Torniamo a quand’ero matto.

Sul cadere della sera, in villa, mentre da lontano mi giungeva il suono delle cornamuse che aprivano la marcia delle frotte dei falciatori di ritorno al villaggio con le carrette cariche del raccolto, mi pareva che l’aria tra me e le cose intorno divenisse a mano a mano più intima; e che io vedessi oltre la vista naturale. L’anima, intenta e affascinata da quella sacra intimità con le cose, discendeva al limitare dei sensi e percepiva ogni più lieve moto, ogni più lieve rumore. E un gran silenzio attonito era dentro di me, sicché un frullo d’ali vicino mi faceva sussultare e un trillo lontano mi dava quasi un singulto di gioia, perché mi sentivo felice per gli uccelletti che in quella stagione non pativano il freddo e trovavano per la campagna da cibarsi in abbondanza felice, come se il mio alito li scaldasse e li cibassi di me.

Penetravo anche nella vita delle piante e, man mano, dal sassolino, dal fil d’erba assorgevo, accogliendo e sentendo in me la vita d’ogni cosa, finché mi pareva di divenir quasi il mondo, che gli alberi fossero mie membra, la terra fosse il mio corpo, e i fiumi le mie vene, e l’aria la mia anima; e andavo un tratto così, estatico e compenetrato in questa divina visione.

…e che ha sentito il desiderio di fare proselitismo.

Svanita, restavo anelante, come se davvero nel gracile petto avessi accolto la vita del mondo.

Mi mettevo a sedere a piè d’un albero, e allora il genio della mia follia cominciava a suggerirmi le più strambe idee: che l’umanità avesse bisogno di me, della mia parola esortatrice: voce d’esempio, parola di fatto. A un certo punto m’accorgevo io stesso che deliravo, e allora mi dicevo: — Rientriamo, rientriamo nella nostra coscienza… — Ma ci rientravo, non per veder me, ma per veder gli altri in me com’essi si vedevano, per sentirli in me com’essi in loro si sentivano e volerli com’essi si volevano.

(Qui, il Bandini sembra a noi d’aver perso controllo… non è vero che sia andato troppo lontano, sia diventato troppo estremo, con il suo sistema? Ci chiediamo se non possa più considerare nessun altro punto di vista oltre al suo?)

Alla fine del Capitolo II, il Bandini sembra capire quanto sia diventato estremo e il prezzo che abbia pagato, per il suo punto di vista.

Ora, concependo e riflettendo così nello specchio interiore della coscienza gli altri esseri con una realtà uguale alla mia e per tal mezzo anche l’Essere nella sua unità, un’azione egoistica, un’azione cioè nella quale la parte si erige al posto del tutto e lo subordina, non era naturale che mi apparisse irragionevole?

Ahimè, sì. Ma mentre io per le mie terre camminavo in punta di piedi e curvo per vedere di non calpestare qualche fiorellino o qualche insetto, dei quali vivevo in me la tenue vita d’un giorno, gli altri mi rubavano la campagna, mi rubavano le case, mi spogliavano addirittura.

E ora, eccomi qua: ecce homo!

***

Pensiamo che Capitoli I e II di Quand’ero mattocontengano una lista delle idee molto potenti / provocanti da considerare per i lettori. Per esempio:

1). Non è sorprendente vedere il desiderio / bisogno umano di spiegare, organizzare, razionalizzare, giustificare come funziona il mondo? Lo facciamo, ci sembra, per religione e per filosofia, giusto?

Gentili lettori, siate d’accordi con noi sull’idea che questo desiderio di spiegare sia una delle cose che distingua gli esseri umani da tutti gli altri esseri viventi?

 

2). La novella sembra voler spronarci a considerare come dovremmo comportarci meglio mentre siamo vivi, giusto? Da una parte, quando pensiamo al Brandini, vengano in mente le parole ‘religione’, ‘pazzo’, ‘socialismo’, ‘carità’, ‘vegetarinismo’, ‘ambientalismo’ e ‘altruismo’. D’altra parte, quando pensiamo a Mirina vengano in mente le parole ‘logica’, ‘scienza’, ‘prove’, ‘capitalismo’, ‘avidità’, ‘ogni uomo per se stesso’, ‘opportunità di riuscire’.

Gentili lettori, quale di questi termini caratterizzano al meglio il vostro approccio alla vita?

 

3). La novella, in parte, sembra occuparsi di domande sul ruolo dell’etica e della moralità nella vita quotidiana. Mentre leggevamo la novella, ci siamo trovati a chiederci se l’etica e la moralità fossero situazionali, cioè, se ciò che è considerato etico e morale dipenderebbe dalle circostanze d’una determinata situazione?

Ad un certo punto della storia, ad esempio, il Brandini è abbastanza intelligente nell’offrire al mendicante l’opportunità di lavorare … questo è un bene per lei (supponiamo che la sua vita migliorerà con un impiego stabile) e buona per lui (il mendicante essere economico da impiegare).

Tuttavia, sorge la domanda: “Cosa succede se non ci sono posti da offrire?” Dobbiamo noi, quando l’economia è sofferenza e non abbiamo molto da dare, essere ancora altruisti, essere generosi con gli altri meno fortunati? Dove disegna la linea??

Gentili lettori, avete un’opinione? Sei d’accordo sull’idea che l’etica e la moralità sono situazionali?

 

4). Pensiamo che la novella sia abbastanza moderna, nel senso che, a tutt’oggi, riflettiamo / discutiamo / discutiamo su come dovremmo comportarci! Ad esempio, nel 1969-70, George Harrison ha composto, e i Beatles hanno registrato, la canzone “I Me Mine” che secondo noi tratta molti dei temi sollevati dalla novella. Ecco i testi della canzone, che parla di egoismo:

All through’ the day

I me mine, I me mine, I me mine.

All through’ the night

I me mine, I me mine, I me mine.

Now they’re frightened of leaving it

Ev’ryone’s weaving it,

Coming on strong all the time,

All through’ the day I me mine.

I-I-me-me mine, I-I-me-me mine,

I-I-me-me mine, I-I-me-me mine.

 

All I can hear

I me mine, I me mine, I me mine.

Even those tears

I me mine, I me mine, I me mine.

No-one’s frightened of playing it

Ev’ryone’s saying it,

Flowing more freely than wine,

All through’ the day I me mine.

I-I-me-me mine, I-I-me-me mine,

I-I-me-me mine, I-I-me-me mine.

 

All I can hear

I me mine, I me mine, I me mine.

Even those tears

I me mine, I me mine, I me mine.

No-one’s frightened of playing it

Ev’ryone’s saying it,

Flowing more freely than wine,

All through’ your life I me mine.

George Harrison

 

Questo è ciò che Harrison ha scritto sulla canzone:

“I Me Mine” is the ego problem. There are two “I”s: the little “i” when people say “I am this”; and the big “I” – is duality and ego. There is nothing that isn’t part of the complete whole. When the little “i” merges into the big “I” then you are really smiling!

– George Harrison, The Beatles Anthology

 

Siamo trovati un’altra spiegazionedel significato di ‘I Me My’:

The set of pronouns which forms the song’s title is a conventional way of referring to the ego in a Hindu context.For example, theBhagavad Gita2:71-72 can be translated as “They are forever free who renounce all selfish desires and break away from the ego-cage of ‘I’, ‘me’ and ‘mine’ to be united with the Lord. This is the supreme state. Attain to this, and pass from death to immortality.”

 

Cari lettori, capite una somiglianza tra le idee contenute nella novella e quelle contenute nella canzone di Harrison?

 

5. A un certo punto, il Pirandello ha scritto:

Penetravo anche nella vita delle piante e, man mano, dal sassolino, dal fil d’erba assorgevo, accogliendo e sentendo in me la vita d’ogni cosa, finché mi pareva di divenir quasi il mondo, che gli alberi fossero mie membra, la terra fosse il mio corpo, e i fiumi le mie vene, e l’aria la mia anima; e andavo un tratto così, estatico e compenetrato in questa divina visione.

La riconosciamo come una vecchia idea, almeno dal momento del Rinascimento, e soprattutto un’idea abbracciata dai pittori… (es.) Leonardo.

Vedi sotto come Leonardo ha incluso l’idea della nostra connessione con il mondo naturale nella seguente discussione sul significato della ‘Mona Lisa’.

Mona Lisa' also called 'La Gioconda' or 'La Joconde', c1503-1506. Oil on wood. Leonardo da Vinci (1452-1519). Portrait of Lisa Gheradini, the wife of Francesco del Gioconda a Florentine silk merchant.

“The portrayal of the landscape behind Lisa contains other tricks of the eye. We see it from high above, as if from a bird’s-eye view. The geological formations and misty mountains incorporate a mix, as did much of what Leonardo produced, of science and fantasy. The barren jaggedness evokes prehistoric eons, but it is connected to the present by a faint arched bridge (perhaps a depiction of the thirteenth-century Ponte Buriano over the Arno River near Arezzo) spanning the river just above Lisa’s left shoulder.

The horizon on the right side seems higher and more distant than the one on the left, a disjuncture that gives the painting a sense of dynamism. The earth seems to twist like Lisa’s torso does, and her head seems to cock slightly when you shift from focusing on the left horizon to the right horizon.

The flow of the landscape into the image of Lisa is the ultimate expression of Leonardo’s embrace of the analogy between the macrocosm of the world and the microcosm of the human body. The landscape shows the living and breathing and pulsing body of the earth: its veins as rivers, its roads as tendons, its rocks as bones. More than being merely the backdrop for Lisa, the earth flows into her and becomes a part of her.

Follow with your eye the winding path of the river on the right as it passes under the bridge; it seems to flow into the silky scarf draped over her left shoulder. The scarf’s folds are straight until they reach her breast, where they start gently twisting and twirling in a way that looks almost exactly like Leonardo’s drawings of water flows. On the left side of the picture, the winding road coils as if it will connect to her heart. Her dress just below the neckline ripples and flows down her torso like a waterfall. The background and her garments have the same streaked highlights, reinforcing what has progressed from being an analogy into a union. This is the heart of Leonardo’s philosophy: the replication and relationships of the patterns of nature, from the cosmic to the human.

More than that, the painting conveys this unity not only across nature but across time. The landscape shows how the earth and its offspring have been shaped and carved and replenished by flows, from the distant mountains and valleys created eons ago, through the bridges and roads created during human history, to the pulsing throat and inner currents of a young Florentine mother. And thus she is transported into an icon that is eternal. As Walter Pater wrote in his famous effusion of praise of the Mona Lisa in 1893, “Hers is the head upon which all the ends of the world are come… a perpetual life, sweeping together ten thousand experiences.”

Excerpt From: Walter Isaacson. “Leonardo da Vinci.” iBooks. https://itunes.apple.com/us/book/leonardo-da-vinci/id1227602466?mt=11

Bellissimo, no?!

 

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