Riassunto: In corpore vili

In corpore vili (L. Pirandello) si occupa due dei nostri argomenti preferiti: la medicina e la fede / spiritualità!

Dall’inizio alla fine, la novella è e si la ran te. Perlomeno, il lettore ha un sorriso sulla faccia; nel migliore dei casi, sta ridendo ad alta voce, scuotendo la testa, borbottando (a nessuno in particolare), “Riesci a credere che l’abbia detto?” e “Buono per te!” e “Darei molto per essere una mosca sul muro quando il maestro ha scritto quello!”

Allora…

I

Cosimino, il sagrestano di Santa Maria Nuova, teneva di guardia i suoi tre marmocchi ai tre mercati della città, che corressero subito subito a chiamarlo, scorgendo da lontano quella zoppaccia della Sgriscia, la vecchia serva di don Ravanà.

Dal mercato del pesce accorse quella mattina il terzo figliuolo, tutto trafelato:

— La Sgriscia, papà! la Sgriscia! la Sgriscia!

Dal primo, ci viene presentato Cosimino, un sagrestano di Santa Maria Nuova, una chiesa parrocchiale. Cosimino ha portato i suoi tre bambini in un ‘tour’ dei tre mercati della città (Agrigento?), ei bambini si sono allontanati da soli — ma presto tornano tutt’e tre, cioè, tornano di corsa al loro papa perché hanno visto la Sgriscia, la vecchia serva / domestica di padre Ravanà. Il più giovane dei bambini informa suo papa che la Sgriscia è al mercato del pesce.

(Il significato di tutto questo, ovviamente, non è chiaro a questo punto, ma ci meravigliamo dello sforzo che Cosimino dovrebbe aver fatto per creare una ‘brigata di spie’ come questa! Possiamo solo immaginare le storie sulla Sgriscia che Cosimino ha raccontato prima alla sua famiglia!)

Cosimino corre ad un ritmo ‘a rotta di collo’ per intercettare la Sgriscia, che, a questo momento, sta negoziando il prezzo d’una piccola quantità di gamberetti. Urla lui ad alta voce, sorprendendo la Sgriscia… le richiede (esige / rivendica / invoca) di lasciare immediatamente il mercato, senza gamberetti!

E Cosimino, via di volo.

Sorprese la vecchia che stava a contrattare con un pescivendolo per una manciata di gamberi.

— Via di qua, subito! Demonio tentatore!

E volgendosi al pescivendolo:

— Non le date retta! Di codesta roba lei non ne compra! non deve comprarne!

La Sgriscia viene descritta come una “vecchia” e “zoppaccia” e “demonio”; quindi possiamo facilmente immaginare una vecchia donna curva, strascicata, fragile e rattrappita, forse con i denti mancanti (cioè, una Wicked Witch of the West). Per la maggior parte, tuttavia, ci sbagliammo! Infatti la Sgriscia sembra capire bene di cosa si tratta;cosa c’è di più, è una vecchia donna dura, pronta a combattere!

La Sgriscia arrovesciò le mani sui franchi, appuntò le gomita davanti, in atto di sfida;

Cosimino e la Sgriscia vengono subito alle mani!

ma Cosimino non le diede tempo di rimbeccare; uno spintone, e le fu sopra di nuovo, con le braccia levate, incalzando:

— Via! all’inferno, vi dico!

I combattenti sono presto separati dagli altri al mercato. Cosimino è furioso / infuriato / furibondo. Il suo punto di vista è chiaro: la Sgriscia assolutamente non deve invogliare / lusingare / ritentare padre Ravanà con un piatto di gamberetti. In nessun circostanza dovrebb’essere autorizzato lui a mangiare i gamberetti, quali certamente rovinerà il suo stomaco!

Il pescivendolo allora prese le parti della cliente che sbraitava: accorse gente da tutto il mercato a trattenere i due rissanti che già venivano alle mani. Cosimino urlava furibondo:

— No, no: gamberi no, non voglio che padre Ravanà ne mandi! non può, né deve mangiarne! E costei vada pure a dirglielo a nome mio; costei che lo tenta come il demonio e fa di tutto per rovinargli lo stomaco.

(Cari lettori, state ridendo a questo punto?)

Per caso / per fortuna, padre Ravanà se stesso è sul mercato! Cosimino lo vede e gli ordina di spiegare cosa le ha ordinato d’acquistare la Sgriscia.

Per fortuna, si trovò a passare, in quella, dal mercato, proprio lui: don Ravanà.

— Eccolo! Venga! venga! — gridò Cosimino, scorgendolo. — Dica se lei ha ordinato alla serva di comprarle questi gamberi qua!

Don Ravanà nega d’averle ordinato i gamberetti.

Il faccione di don Ravanà tremò, impallidendo, in un sorriso nervoso. Balbettò:

— No, io, veramente…

(“…tremò, impallidendo, in un sorriso nervoso”… una meravigliosa descrizione, non è vero, delle manifestazioni esterne-fisiche di tumulto e senso di colpa interno?)

La Sgriscia sfida padre Ravanà,

— Come no? — esclamò la Sgriscia, dandosi un pugno sul petto ossuto, stupita, trasecolata. — Me lo negherebbe in faccia?

…ma, a sua volta, lui tenta di tranquillizzarla,

Don Ravanà le diede su la voce, arrabbiatissimo.

— Zitta voi, pettegola! Gamberi v’ho detto? v’ho detto pesce.

…ma la Sgriscia si rifiuta di essere vittima di bullismo / costrizione… non sarà messa a tacere!

— Nossignore, gamberi, gamberi: m’ha detto gamberi!

(brava! bravissima, signora!)

Cosimino ne ha abbastanza di questo! Apprendiamo che padre Ravanà è sotto la cura d’un medico e che dovrebbe mantener rigorosamente una dieta blandissima.

— O gamberi o pesce, non è tutt’uno? — gridò allora Cosimino, tra la serva e il padrone, mentre tutta la gente rideva. — Lesso, brodo e latte; latte, brodo e lesso e niente altro! Così le ha prescritto il medico. Vuol capirlo? Non mi faccia parlare, santo Dio!

Padre Ravanà tenta di metter ordine alla situazione. Esorta tutti a calmarsi, ordina anche alla Sgriscia di tornare a casa senza i gamberetti.

— Càlmati, sì, bravo: hai ragione, figliuolo, — s’affrettò a dirgli don Ravanà, tutto confuso, mortificato; e, volgendosi alla serva: — Andate pure a casa! Lesso, al solito!

(L’ordine di padre Ravanà sarà descritta come una “ordinazione”, una scelta intelligente / interessante dato che la parola ha un significato sia laico che religioso).

Padre Ravanà si congeda dal mercato. Sembra agitato… parla a se stesso mentre cammina, sembra esser imbarazzato. Abbiamo il senso che è stato “caught red-handed”, come diciamo (o come direbbero gli italiani, “Con le mani nel sacco”).

Gli astanti accolsero quest’ordinazione con un nuovo e più alto scoppio di risa, e don Ravanà si fece largo tra la ressa sorridendo male, come una lumaca nel fuoco, e dicendo a questo e a quello:

— Bravo figliuolo, Cosimino… Eh, bisogna compatire questo caro Cosimino… Lo fa per il mio bene… Sì sì… Largo, figliuoli, largo… Tanta bella grazia di Dio, qua; e io… io, lesso, brodo e latte, purtroppo! È la prescrizione del medico… Sì. Non debbo mangiar altro… Cosimino ha ragione.

Fugge dal mercato, in modo molto molto memorabile, cioè, “…come un lumaca nel fuoco”!

(Qui, forse per la prima volta, vediamo l’abbinamento di medicina / fede: “Tanta bella grazia di Dio, qua; e io … io, lesso, brodo e latte, purtroppo! È la prescrizione del medico… Sì. Non debbo mangiar altro… Cosimino ha ragione.”!)

II

Il giorno dopo, verso la fine della messa, mentre Cosimino e padre Ravanà si preparano per la Comunione, padre Ravanà sussurra a Cosimino che stamattina è venuto in chiesa il dottor Liborio Nicastro.

— Pss, guarda… — disse piano, davanti all’altare, don Ravanà, con gli occhi bassi, al sagrestano che gli mesceva acqua e vino nel calice. — C’è in chiesa il dottor Nicastro… qua davanti, presso la balaustra…

Cosimino è ordinato a segnalare al Nicastro di visitare padre Ravanà dopo la messa. La reazione di Cosimino è immediata e intensa!

Sta’ fermo! non ti voltare, asino… a destra. Quando puoi, fagli cenno che rimanga dopo messa e che entri in sagrestia.

Cosimino s’accigliò, impallidì, strinse i denti per frenare un impeto d’ira.

(Sembra capire perfettamente bene lui quello che stia per accadere.)

Cosimino sfida padre Ravanà, ricordandogli il suo impegno a seguire la dieta,

– Jer sera lei… Dica la verità!

…a cui padre Ravanà erutta!

— Ti vuoi star zitto, malcreato? Davanti al Santissimo Sacramento! — lo rimproverò don Ravanà non tanto piano, voltandosi a guardarlo severamente.

L’argomento, di fronte al tabernacolo, per tutti da vedere ed ascoltare, crea una sensazione tra i parrocchiani. Cosimino è imbarazzato, frustrato ed arrabbiato. Ancora una volta, ci sembra chiaro che capisca il suo destino.

Dalla prima pancata s’intese il rimprovero del sacerdote al sagrestano, e un sussurrio si propagò per un momento nella chiesa, di protesta contro il povero Cosimino che diventò di bragia, tremando tutto dalla rabbia e dalla vergogna. Non sapeva più dove posare le ampolline della bile e dell’aceto.

La messa è finita, e Cosimino e padre Ravanà incontrano il dottor Nicastro in sagrestia: il Nicastro fa brutta figura — è antico, letteralmente una persona d’un altro tempo e luogo!

Finita la messa, seguì don Ravanà in sagrestia, aggrondato ingrugnato. Poco dopo entrò il dottor Liborio Nicastro, piccino piccino, vecchissimo, tutto rattrappito dall’età. La falda della tuba gli posava quasi su la gobba. Vestiva all’antica e portava la barba a collana.

(Il Pirandello sembra segnalarci che il dottor Nicastro, con ogni probabilità, violerà il suo giuramento di “Non nuocere”!)

Il Nicastro chiede al suo paziente cosa c’è che non va? cioè, sembra notare qualcosa di sbagliato nel volto di padre Ravanà. (È molto probabilmente, invece, un’espressione di connivenza / colpa piuttosto che di malattia!)

— Che abbiamo, padre Ravanà? — domandò, parlando col naso e socchiudendo al solito gli occhietti calvi. — Avete una faccia, che Dio vi benedica.

— Sì?

Padre Ravanà fa una pausa per considerare l’implicazioni della domanda, ma subito spinge avanti… continuando ad esprimere le sue preoccupazioni (in corso / continuante) riguardo al suo stomaco.

Don Ravanà guardò un tantino, perplesso, il medico, se credergli o no; poi con voce irritata, come se si lagnasse d’un’ingiustizia di lui, rispose:

— Ma lo stomaco, dottor Liborio mio, lo stomaco, lo stomaco non mi vuole più star bene, volete intenderlo?

(Padre Ravanà sembra lamentarsi, chiedendo perché il suo stomaco continua a dargli fastidio… l’implicazione è chiaro: ha seguito tutti i consigli del dottore e sembra suggerire che non merita il dolore che sperimenta!)

Insolentemente-ironicamente, Cosimino ‘fuma’ a questo punto!

— Eh sfido! — sbuffò Cosimino, voltandosi a guardare da un’altra parte.

Non possiamo esser sicuri se questa di Cosimino sia diretta a padre Ravanà o al dottor Nicastro. Tuttavia, vediamo la reazione di padre Ravanà… un tentativo di metter a tacere l’insolente sagrestano.

Don Ravanà lo fulminò con un’occhiata.

Allora… il dottor Nicastro inizia, con un esame… della lingua!

— Sedete, sedete, padre Ravanà, — riprese il dottor Liborio. — Visitiamo la lingua.

Cosimino, con gli occhi bassi, porse una seggiola a don Ravanà. Il dottor Nicastro trasse flemmaticamente gli occhiali dall’astuccio, se li aggiustò sul naso e guardò la lingua.

Viene fatta la diagnosi,

— Sporca…

…e padre Ravanà è scioccato!

— Sporca? — ripeté don Ravanà, cacciandosela subito dentro, come se la voce del dottore gliel’avesse scottata.

Cosimino sembra essersi aspettato la diagnosi,

Cosimino soffiò, questa volta col naso, un altro sbuffo. La bile gli ribolliva nello stomaco. E teneva le pugna strette e le labbra serrate.

…e poi viene offerto il trattamento.

Ma, alla fine, proruppe:

— E allora che? quel tartaro… come dicono loro?

— Sì, ematico, figliuolo, — confermò placidamente il dottor Nicastro, porgendo la ricetta a don Ravanà e rimettendosi in tasca occhiali e taccuino.

A questo punto, il dottor Nicastro risponde abilmente alla precedente lamentela del paziente.

— Si applicata juvant, continuata sanant!

(Questo, a noi sembra, è l’osservazione fiduciosa di un medico al suo paziente che sarà guarito dalla continua applicazione della medicina che ha prescritto.)

A questo punto Cosimino sembra rassegnato a ciò che accadrà.

Non c’entrava: ma, tanto, era latino, e tappò la bocca al povero sagrestano.

— Dobbiamo fare al solito? — domandò questi, pallido, accigliato, appena andato via il medico.

Don Ravanà aprì le braccia, senza guardarlo, e disse:

— Non hai sentito?

— Allora, — riprese Cosimino, funebre, — vado a dirlo a mia moglie… Mi dia i soldi per la medicina e se ne vada a casa. Vengo subito.

(Qui, forse per la prima volta, abbiamo la sensazione che gli sforzi di Cosimino, ad esempio sul mercato, fossero un tentativo di evitareciò che accadrà ora che la medicina è stata prescritta).

III

Poco dopo arriva nei suoi alloggi padre Ravanà. La Sgriscia è lì per salutarlo.

— Ah… — a ogni scalino, — ah… ah…

La Sgriscia intese quel lamento per le scale, e corse ad aprire a don Ravanà.

— Sta male?

Padre Ravanà soffre. Ordina alla Sgriscia di nascondersi in cucina: Cosimino arriverà presto con la medicina, e padre Ravanà vuole evitar un’altro scontro.

— Malissimo! Malissimo! Andate via! andate a chiudervi in cucina! A momenti arriverà Cosimino. Non vi fate vedere, se non vi chiamo io. In cucina! — La Sgriscia andò a rintanarsi mogia mogia.

Padre Ravanà toglie le sue vesti, poi comincia a camminare avanti – indietro. Veniamo a sapere che la sua coscienza lo infastidisce. Impariamo che è stato dato le opportunità (da Dio!) di dimostrare la sua forza di carattere… ma ha sempre fallito la prova.

Don Ravanà entrò in camera; si tolse la zimarra, restò con le brache scinte e un panciottone lungo lungo e largo, in maniche di camicia, e si mise a passeggiare e a rimettere amaramente.

La coscienza gli rimordeva. Non c’era dubbio! Dio misericordioso gli concedeva la grazia di metterlo alla prova per mezzo di quel diavolo zoppo travestito da donna, e lui, lui, ingrato non ne sapeva profittare.

— Ah! — esclamava, con intensa esasperazione, fermandosi di tanto in tanto, e scotendo in aria le pugna.

Poi abbiamo il senso che padre Ravanà non è un sacerdote di successo, evidenziato dal fatto che vive in relativa povertà.

La poca e povera masserizia pareva, in quella camera, quasi smarrita su l’ampio e nudo pavimento di vecchi mattoni di Valenza qua e là rotti e sconnessi. In mezzo alla parete a destra era il letticciuolo pulito, dai trespoli di ferro esposti; a capezzale, un antico crocifisso d’avorio, ingiallito dal tempo. (Gli occhi di don Ravanà non osavano, quel giorno, levarsi a guardarlo.) In un angolo, presso il letto, una vecchia carabina e, appese alle pareti, alcune grosse chiavi: quelle della casa di campagna.

Come previsto, Cosimino arriva con la medicina.

Tin tin tin.

— Ecco Cosimino, poveretto! puntuale…

Cosimino continua ad incolpare la Sgriscia poveretta per il suo tentativo fallito di impedire / prevenire quello che sta per accadere.

E andò ad aprirgli lui stesso:

— Mi raccomando, per carità: — premise Cosimino prima d’entrare — non mi faccia vedere quella stortaccia infame! Per causa sua… basta!

Improvvisamente il rapporto tra sacerdote e sagrestano è rovesciato (completamente): Cosimino dà gli ordini, padre Ravanà è ossequioso!

Vada a prendermi un cucchiaio.

— Sì sì… vado, vado, — disse, umile e premuroso, don Ravanà. — Grazie, figliuolo mio. Tu mi ridai la vita! Entra, entra in camera!

Ritornò poco dopo, pallido e tremante, col cucchiaio in mano.

Poi padre Ravanà rivela che infatti ha rotto la sua dieta e che, a causa di questo, adesso lo infastidisce il suo stomaco. E poi vediamo la sua debolezza: sembra incapace d’accettar la responsabilità per ciò che ha fatto; invece incolpa prima la Sgriscia, poveretta, e poi Cosimino.

— L’ho punita, sai? Sta a piangere in cucina. Dici bene, figliuolo mio: tutto per causa sua! Sentisti, ieri, l’ordinazione che le diedi al mercato? Ebbene, mentre sudavo, Dio sa come, Dio sa quanto, a mandar giù quella stoppaccia che il medico mi prescrive, me la vedo entrare, sai? tutta maliziosa, nella saletta da pranzo, nell’atto di riparare con una mano un bel piatto di…

A questo punto padre Ravanà sembra chiedere perdono a Cosimino, ma non ha voglia di perdonare.

Che avresti fatto tu?

— Avrei mangiato i gamberi, — rispose asciutto e serio Cosimino. — Ma poi avrei scontato da me il peccato di gola: non lo avrei fatto scontare a un povero innocente!

Quindi, il narratore, che non incontreremo mai, fornisce una spiegazione di cosa succederà… cioè, una spiegazione incredibile / meravigliosa / inattesa! ‘Scuotere la testa’!!! Impariamo che la medicina è letteralmente una forma di tortura; dunque padre Ravanà si rifiuta di prenderla. Invece, Cosiminoha accettato di prenderla per lui, mentre don Ravanà lo guarda contorcersi dal dolore! Come tale Cosimino è un surrogato, cioè, padre Ravanà sarà ‘trattato’ mentre guarda un’altro soffrire! (In altre parole, padre Ravanà sarà trattato “dall’esempio” di Cosimino!)

Don Ravanà chiuse gli occhi trafitto, e trasse un lungo sospiro.

Parlava bene, sì, Cosimino; era, senza dubbio, una barbarie dare a prendere a lui ogni volta il tartaro ematico ordinato dal dottor Nicastro. Bastava a don Ravanà assistere agli effetti del medicinale nel corpo della vittima, perché ne avesse lo stesso beneficio, per virtù d’esempio.

(Oh_mio_Dio! Hahahahahahahahahaha)

Incredibilmente padre Ravanà piange a causa della sua debolezza,

Barbarie, sì; ma sapeva forse Cosimino quante volte il pensiero di lui tratteneva don Ravanà lì lì per cadere in tentazione? Aveva bisogno li lui, come freno, don Ravanà, aveva bisogno del rimorso che gli cagionava il vederlo soffrire lì, sotto i suoi occhi, ingiustamente, per trionfare in seguito della sua carne vile. Cosimino aveva ricevuto da lui tanti e tanti beneficii; ebbene, in ricambio, che gli chiedeva lui? questo solo sacrifizio per la salute, non tanto del corpo, quanto dell’anima. Ogni volta però la vista di quel supplizio a cui la vittima si sottoponeva senza ribellarsi, lo sconvolgeva talmente; rimorso, stizza, avvilimento gli facevano tale impeto nello spirito, che don Ravanà si sarebbe gettato dalla finestra.

…e Cosimino lo ridicolizza,

— Che fa? piange adesso? — gli disse Cosimino. — Via, la, lagrime di coccodrillo!

…ma poi padre Ravanà protesta la sua sincerità.

— No! — gemette, con sincera afflizione, don Ravanà.

Alla fine, Cosimino prende la medicina,

— Va bene, va bene: si butti sul letto allora e stia a guardare: mi prendo la prima cucchiaiata.

…mentre padre Ravanà si posiziona per veder cosa succederà.

Don Ravanà si buttò sul letto con gli occhi lagrimosi e il volto contratto dalla pena. Cosimino pose il bricco su la spiritiera, per aver pronta al bisogno l’acqua tepida; poi, chiudendo gli occhi, ingollò la prima cucchiaiata del medicinale.

Al fine, per distrarre povero Cosimino, i due discutono diverse sciocchezze.

— Ecco fatto… Non mi compianga, per carità! si stia zitto, o faccio cose da pazzi!

— Zitto, sì, zitto, povero figliuolo mio, hai ragione… Parliamo d’altro… Sai? domani, se il tempo lo permette e mi sento meglio, debbo andare in campagna… Vieni anche tu e porta con te i tuoi figliuoli, tua moglie, a prendere una boccata d’aria senza darvi pensiero di nulla… Mal’annata, Cosimino mio, però… Dio ci castiga dei tanti nostri peccati. La pazienza divina è stanca. Il mondo piange, ma piange e uccide… Hai sentito? guerra in Africa, guerra in Cina… Il povero soffre, ma soffre e ruba. E l’ira del Signore ci sta sopra! La grandine, hai visto? ha flagellato orti e vigne… la nebbia minaccia gli olivi… Di’ un po’… ti senti già? No?

— Nossignore, ancora nulla. Mi prendo l’acqua tepida.

— Bene bene… Discorriamo… Dunque, sì, il raccolto del grano, sì, è stato piuttosto abbondante, e se Dio vuole e Maria Santissima ci fa la grazia mitigheremo con esso in certo qual modo la iattura dell’annata.

La medicina ha effetto.

Cosimino ascoltava con molta attenzione, ma forse senza intender sillaba: di tanto in tanto si faceva in volto di mille colori; poi, d’un tratto, impallidiva, impallidiva vieppiù sudava freddo, si agitava un po’ su la seggiola, l’occhio gli vagellava.

— Ah mamma mia! Padre Ravanà, comincia a muoversi… credo che ci siamo!

Sgriscia! Sgriscia! — gridava allora don Ravanà, impallidendo anche lui e guardando fiso Cosimino per promuovere anche in sè con quella vista gli effetti del medicinale. — Venite subito! Credo che ci siamo!

La Sgriscia accorreva a sorreggere la fronte al padrone, e Cosimino intanto, tra i conati e i contorcimenti, le appoggiava sotto sotto calci di vero cuore.

IV

Cosimino soffre intensamente, mentre padre Ravanà ordina una cena per lui!

— Adesso un buon tazzone di brodo per Cosimino! — ordinò verso sera don Ravanà alla serva. — Ci vuoi fettine di pane, di’, Cosimino?

— Sissignore, come dice lei… Mi lasci stare… — fece il povero sagrestano rifinito, pallidissimo, con la testa cascante appoggiata al muro senza neppur forza di fiatare.

— Con fettine di pane! con fettine di pane! e un torlo d’uovo! — aggiunse forte don Ravanà, tutto premuroso. — Di’, ce lo vuoi, è vero, un bel torlo d’uovo, Cosimino?

Cosimino non riesce nemmeno ad immaginare la possibilità di mangiare: il suo stomaco è in piena rivolta.

— Non voglio niente! Mi lasci stare! — gemette questi al colmo dell’esasperazione. — Lei si fa la chiacchieratina, e io ci ho il veleno in corpo per lei! Prima mi rovina lo stomaco, e poi fettine di pane e torlo d’uovo! Sono azioni degne d’un santo sacerdote, codeste? Mi lasci andar via… Mannaggia, perderei la fede… Ahi, ahi… ahi, ahi… ahi, ahi…

(“Mannaggia, perderei la fede…” Wow!! Hahahahahahaha)

Cosimino si congeda. Padre Ravanà — egocentrico, debole, furbesco; il contrario d’un uomo d’onore — mangerà lui stesso il pasto.

E se n’andò con le mani sul ventre, nicchiando così.

— Che brutto viziaccio! — esclamò stizzito don Ravanà.

Prima, tutto mansueto; poi ci ripensa, e diventa una vespa. E dire che gli ho fatto tanto bene, a quel brutto ingrato!

Allora padre Ravanà decide che uscirà questa sera.

Stette un po’ a tentennare il capo, con gli angoli della bocca contratti in giù; poi chiamò:

— Sgriscia! Dammelo a me, il brodo. Ce l’hai messo il torlo d’uovo? Brava. Ora il cappello e il tabarro…

La Sgriscia può essere dura come un chiodo, ma sappiamo adesso che è anche incapace di fare qualcos’altro che padre Ravanà le chiede di fare.

— Esce?

A quanto pare, padre Ravanà si congeda.

— Eh sì, non lo sai? Mi sento benone, adesso, grazie a Dio.

 

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