Riassunto: La levata del sole

I

Insomma, il lumetto, lì sul piano della scrivania, non ne poteva più. Riparato da un mantino verde, singhiozzava disperatamente; a ogni singhiozzo faceva sobbalzar l’ombra di tutti gli oggetti della camera, come per mandarli al diavolo; e meglio di così non lo poteva dire.

Inizia così La levata del sole(L. Pirandello), una novella lirica e sofisticata / raffinata sull’esperimento di suicidio d’un giovane disperato (ha 45 anni).

(Il paragrafo di apertura è incredibilmente bello! Non potete, cari lettori, solo immaginare quella stanza, di notte, con la luce difettosa? Siete d’accordi con noi che questa luce sembra essere una metafora? cioè, immaginiamo, di sicuro dopo aver riletto la novella, che la luce difettosa è una ‘presa di posizione’ per la vita fallita del protagonista, Gosto Bombichi.)

Dopo l’intrattenimento serale, il Bombichi torna a casa ed entra nella stanza con la luce difettosa. I suoi movimenti sono accentuati dalle ombre e luci esitanti (farfuglianti / sputacchianti / bisachianti).

Poteva anche parere uno spavento. Perché, nel profondo silenzio della notte, al Bombichi che passeggiava per quella stanza, inghiottito dall’ombra e subito rivomitato alla luce da quel singulto del lumetto,

Apprendiamo quasi immediatamente da una fonte di infelicità del Bombichi… vale a dire sua moglie di sei anni, Aennchen, che diventa consapevole della sua presenza, e lo chiama da un’altra stanza al piano inferiore della loro casa.

giungeva pure di tanto in tanto dalle stanze inferiori della casa la voce rauca, raschiosa della moglie, che lo chiamava come da sottoterra:

— Gosto! Gosto!

Incredibilmente / scandalosamente il Bombichi risponde, con voce sommessa che solo lui può sentire…

Se non che egli, invariabilmente, fermandosi, rispondeva piano a quella voce, con due inchini:

— Crepa! Crepa!

(Questa è un’affermazione notevole a causa della sua ambiguità! Vuole il Bombichi che sua moglie muoia? Invece, desidera lui stesso morire? O forse spera che moriranno tutt’e due?)

Il Bombichi sembra essere benestante (quando lo incontriamo per la prima volta è vestito con abiti formali) e anche ben istruito. In modo minaccioso, veniamo a sapere della presenza d’una pistola, e il Bombichi è descritto come avendo il volto di un ‘uomo morto’.

E intanto, così bianco di cera, così tutto parato di gala, in marsina, con quello sparato lucido, e così tutto guizzi di riso nella faccia da morto, con quei gesti a scatti che gli balzavano anch’essi al soffitto, chi sa che altro poteva parere. Tanto più che, poi, accanto a quel lumetto su la scrivania, una piccola rivoltella dal manico di madreperla guizzava anch’essa… uh, sì, e come!

Il Bombichi mormora tra sé,

— Tanto carina, eh?

…quasi come se ci siano due di lui.

Perché – pareva solo, Gosto Bombichi – ma c’è momenti che uno si mette a parlare con se stesso come se fosse un altro, tal e quale:

(Ci sembra che il Bombichi sia agitato e che stia soffrendo tranquillamente ma intensamente).

Scopriamo che il Bombichi, dopo un dibattito ‘interno’ prima quella sera, aveva deciso d’andare in un club sociale maschile,

quell’altro lui, per esempio, che tre ore fa, prima che andasse al Circolo, glielo diceva così bene di non andarci; e – nossignori – c’era voluto andare per forza. Al Circolo dei buoni Amici.

…dove si era divertito,

E sissignori – che bontà!

…e dove aveva speso l’ultimo dei suoi soldi.

Le ultime migliaja di lire orfanelle,

A questo punto, iniziamo a capire che, oltre ai problemi con il suo matrimonio, il Bombichi sembra aver perso / sperperato una considerevole quantità della sua fortuna. Potrebbe effettivamente esser al verde; sembra anche esser in grave debito con gli usurai.

bisognava vedere con che grazia in quelle facce da rapina gliel’avevano sgranfignate, contentandosi di rimaner creditori su la parola di altre due o tre mila: non ricordava più con precisione.

Poi il Bombichi pronuncia un’altra frase ambigua,

— Entro ventiquattr’ore.

…inquietantemente, iniziamo a percepire che abbia perso ogni speranza e che sia disperato … che abbia deciso di suicidarsi.

La rivoltella. Non gli restava altro. Quando il tempo sbatte a porta in faccia a ogni speranza e dice che non si può, inutile seguitare a picchiare: meglio voltar le spalle e andarsene.

Quello che segue è una meravigliosa descrizione bellissima in cui la vita del Bombichi fino ad ora — i proprii alti e bassi, vittorie e perdite — è descritta, metaforicamente, come un gioco che coinvolge una palla di gomma elastica (cioè, un oggetto che potrebb’esser caratterizzato dalla sua resilienza).

S’era seccato, del resto. Ne aveva la bocca così amara! Bile, no; neanche bile. Nausea. Perché s’era tanto divertito lui, ad averla tra mano come una palla di gomma elastica a vita, a farla rimbalzare con accorti colpetti, giù e sè, sè e giù, battere a terra e rivenire alla mano, trovarsi una compagna e giocare a rimandarsela con certi palpiti e corse avanti e dietro, para di qua, acchiappa di là; sbagliare il colpo e precipitarsele dietro.

Sfortunatamente il Bombichi, in questo momento, sembra aver perso tutta la sua resilienza… cioè, ha perso la voglia di vivere.

Ora gli s’era bucata irrimediabilmente e sgonfiata tra le mani.

— Gosto! Gosto!

— Crepa! crepa!

Il matrimonio del Bombichi è descritto con intensa tristezza come la sua più grande tragedia. Aennchen è tedesca. L’ha incontrata per caso una sera durante un viaggio in Germania. Si sono sposati un anno dopo essersi conosciuti.

La sciagura massima eccola là: piombatagli tra capo e collo, sei anni fa, mentre viaggiava in Germania, nelle amene contrade del Reno, a Colonia, l’ultima notte di carnevale, che la vecchia città cattolica pareva tutta impazzita. Ma questo non valeva a scusarlo.

Era uscito da un caffè su la Höhe Strasse con l’ottima intenzione di rientrare in albergo a dormire. A un tratto, s’era sentito vellicare dietro l’orecchio da una piuma di pavone. Maledetta atavica scimmiesca destrezza! Di primo lancio, aveva ghermito quella piuma tentatrice e, nel voltarsi di scatto, trionfante (stupido!), s’era visto davanti tre donne, tre giovani che ridevano, gridavano, scalpitando come puledre selvagge e agitandogli davanti agli occhi le mani dalle innumerevoli dita inanellate, sfavillanti. A quale delle tre apparteneva la piuma? Nessuna aveva voluto dirlo; e allora egli, invece di prenderle a scapaccioni tutt’e tre, scelta sciaguratamente quella di mezzo, le aveva restituito con bel garbo la piuma, al patto convenuto nella tradizione carnevalesca: un bacio o un buffetto sul naso.

Buffetto sul naso.

Ma quella dannata, nel riceverselo, aveva socchiuso gli occhi in tal maniera, ch’egli s’era sentito rimescolare tutto il sangue. E dopo un anno, sua moglie. Ora, dopo sei:

— Gosto!

— Crepa!

Il Bombichi nota che la coppia non ha figli, per fortuna, ma si chiede, brevemente, come sarebbe stata la loro vita con loro.

Figli, niente, per fortuna. Ma pure, chi sa! se ne avesse avuti, non si sarebbe forse… via, via! inutile pensarci! Quanto a lei, quella strega ritinta, si sarebbe adattata a vivere in qualche modo, se proprio proprio non se la fosse sentita di crepare, come lui amorosamente le suggeriva.

Il Bombichi ha deciso infatti di scrivere una nota di suicidio. Ci informa che intende uccidersi quella sera.

Ora subito, due paroline, di lettera, e basta eh?

— L’alba di domani non la vedrò!

Poi apprendiamo una distrazione interiore, cioè, una ‘esitazione’ o ‘dubbio momentaneo’ che, molto probabilmente, sia il prodotto di tumulto emotivo e costernazione. Il povero Bombichi decide improvvisamente di aspettare fino al mattino per uccidersi in modo da poter vedere l’alba.

Oh! A questo punto Gosto Bombichi rimase come abbagliato da un’idea. L’alba di domani? Ma in quarantacinque anni di vita, non ricordava d’aver mai visto nascere il sole, neppure una volta, mai! Che cos’era l’alba? com’era l’alba? Ne aveva sentito tanto parlare come d’un bellissimo spettacolo che la natura offre gratis a chi si leva per tempo; ne aveva anche letto parecchie descrizioni di poeti e prosatori, e sì, insomma, sapeva più o meno di che poteva trattarsi; ma lui coi propri occhi, no, non l’aveva mai veduta, un’alba, parola d’onore.

— Perbacco! Mi manca… Come esperienza, mi manca. Se l’hanno tanto gonfiata i poeti, sarà magari uno sciocco spettacolo; ma mi manca e vorrei pur vederlo, prima d’andarmene. Sarà tra un paio d’ore… Ma guarda che idea! Bellissima. Vedere nascere il sole, almeno una volta, e poi…

Si fregò le mani, lieto di questa risoluzione improvvisa. Spogliato di tutte le miserie, nudo d’ogni pensiero, lì, fuori, all’aperto, in campagna, come il primo uomo o l’ultimo sulla faccia della terra, ritto su due piedi, o meglio comodamente a sedere su qualche pietra, o con le spalle, meglio ancora, appoggiate a un tronco d’albero, la levata del sole, ma sì, chi sa che piacere! veder cominciare un altro giorno per gli altri e non più per sè! un altro giorno, le solite noie, i soliti affari, le solite facce, le solite parole, e le mosche, Dio mio, e poter dire: non siete più per me.

Una volta che il suo nuovo piano è stato stabilito, il Bombichi siede alla sua scrivania e scrive una nota d’addio ad Aennchen.

Sedette alla scrivania e, tra un singhiozzo e l’altro del lumetto moribondo, scrisse in questi termini alla moglie:

 

Cara Aennchen,

Ti lascio. La vita, le l’ho detto tante volte, m’è parsa sempre un giuoco d’azzardo. Ho perduto: pago. Non piangere, cara. Ti sciuperesti inutilmente gli occhi, e sai che non voglio. Del resto, t’assicuro che non ne vale proprio la pena. Dunque, addio. Prima che spunti il giorno, mi troverò in qualche luogo da cui si possa goder bene la levata del sole. M’è nata in quello momento una vivissima curiosità d’assistere almeno una volta a questo tanto decantato spettacolo di natura. Sai che ai condannati a morte non si suol negare l’esaudimento di qualche desiderio possibile. Io voglio passarmi questo.

Senz’altro da dirti, ti prego di non credermi più

                                    il tuo aff.mo

                                    GOSTO

Decide di lasciare la nota in una cassetta postale; eventualmente Aennchen la riceverà. Con la nota in mano e la sua rivoltella, il Bombichi inizia un viaggio a piedi verso la campagna che circonda la città in cui vive.

E poiché la moglie, giù, era ancora sveglia e da un momento all’altro, se saliva, accorgendosi di quella lettera, addio ogni cosa; decise di portarla via con sè e di buttarla senza francobollo in qualche cassetta postale della città.

— Pagherà la multa e forse sarà questo l’unico suo dispiacere.

Tu qua – disse poi alla piccola rivoltella, facendole posto in un taschino del panciotto di velluto nero, ampiamente aperto su lo sparato della camicia. E così come si trovava, in tuba e frac, usci di casa per salutar la levata del sole e tanti ossequii a chi resta.

Ci viene comunicato che aveva piovuto prima di sera e che, mentre il Bombichi inizia il suo viaggio, le strade sono ancora bagnate. Ciònonostante, il cielo comincia a schiarirsi (“rasserenarsi”).

II

Era piovuto, e per le strade deserte i fanali sonnacchiosi verberavano d’un giallastro lume tremolante l’acqua del lastrico. Ma ora il cielo cominciava a rasserenarsi; sfavillava qua e là di stelle. Meno male! Non gli avrebbe guastato lo spettacolo.

Sono le 2:15. Il Bombichi si chiede cosa farà per passare il tempo fino all’alba, che stima avverrà in 3-4 ore.

Guardò l’orologio; le due e un quarto! Come aspettar così, per le vie, tre ore forse, forse più? Quando spuntava il sole in quella stagione? Anche la natura, come un qualunque teatro, dava i suoi spettacoli a ore fisse. Ma a questo orario egli era impreparato.

Il viaggio del Bombichi inizia… e poi, impariamo una seconda distrazione mentre incontra un povero ciccaiolo.

S’arrestò un momento. Da lontano, terra terra, un lume si moveva lungo il marciapiede, lasciandosi dietro un’ombra traballante, quasi di bestia che non si reggesse bene su le gambe.

Un ciccaiolo col suo lanternino.

Eccolo là! E quell’uomo poteva campare di ciò che gli altri buttavano via; d’una cosettucciaccia amara, velenosa, schifosa.

— Dio, e che schifosa malinconia anche la vita.

Il Bombichi considera la possibilità di unirsi per qualche tempo al ciccaiolo,

Gli venne tuttavia la tentazione di mettersi a cercare un tratto con quel ciccaiolo. Perché no? Poteva permettersi tutto, ormai. Sarebbe stata una distrazione, un’altra esperienza. Perdio, gliene mancavano parecchie, gliene mancavano. Lo chiamò, gli diede il sigaro appena acceso.

…ma presto abbandona l’idea: i due uomini non riescono a stabilire un senso di fiducia / confidenza.

— Ah! Te lo fumi?

Lurido, irsuto, colui aprì la boccaccia sdentata e fetida a un riso da scemo, rispose:

— Prima lo riduco cicca. Poi la metto insieme con le altre. Grazie, signorino.

Gosto Bombichi lo guatò con ribrezzo. Ma anche colui lo guatava con gli occhi scervellati, invetrati di lagrime dal freddo, e con quel laido ghigno rassegato su le labbra, come se…

— Se volesse, signorino — disse infatti, alla fine, strizzando uno di quegli occhi. — Sta qui a due passi.

Il viaggio continua. Arriva al limite della città il Bombichi, con la campagna splendida davanti a lui.

Gosto Bombichi gli voltò le spalle. Ah, via! Uscire al più presto dalla città, da quella cloaca. Via, via! Camminando all’aperto, avrebbe trovato il punto migliore per godere dell’ultimo spettacolo, e addio.

È immediatamente sopraffatto! I suoi sensi (vista, udito, tatto) sembrano essere iperacuti; certo, la natura gli fornisce numerose distrazioni! È come se prima il Bombichi non avesse mai lasciato la città… nota il cielo, si meraviglia del silenzio, della tranquillità!

Andò con passo svelto, finché non oltrepassò le ultime case di quella strada, che sboccava nella campagna. Qui si rifermò e si guardò attorno, smarrito. Poi guardò in alto. Ah, il cielo ampio, libero, fervido di stelle! Che guizzi di luce innumerevoli, che palpito continuo! Trasse un respiro di sollievo: se ne senti refrigerato. Che silenzio! che pace! Com’era diversa, la notte qui, pure a due passi dalla città… Il tempo che lì, per gli uomini, era guerra, intrigo di tristi passioni, noia acre e smaniosa, qui era attonita, smemorata quiete. A due passi, un altro mondo. Chi sa perché, intanto, provava uno strana ritegno, quasi di sgomento, a muovervi i piedi.

…poi nota gli alberi,

Gli alberi, sfrondati dalle prime ventate d’autunno, gli sorgevano attorno come fantasmi dai gesti pieni di mistero. Per la prima volta li vedeva così e se ne sentiva una pena indefinibile. Di nuovo si fermò perplesso, quasi oppresso di pauroso stupore; tornò a guardarsi attorno, nel bujo.

…poi i suoni degli uccelli,

Lo sfavillio delle stelle, che trapungeva e allargava il cielo, non arrivava ad esser lume in terra; ma al lucido tremore di lassù pareva rispondesse lontano lontano, dalla terra tutta, un tremor sonoro, continuo, il fritinnìo dei grilli.

…e poi i suoni delle foglie che frusciano nel vento.

l’orecchio a quel canto, con tuba l’anima sospesa: percepì allora anche il fruscio vago delle ultime foglie, il brulichio confuso della vasta campagna nella notte, e provò un’ansia strana, una costernazione angosciosa di tutto quell’ignoto indistinto, che formicolava nel silenzio. Istintivamente, per sottrarsi a queste minute, sottilissime percezioni, si mosse.

Alla fine il Bombichi incontra una zana pieno d’acqua vicino al bordo della strada. Guarda intensamente l’acqua, che riflette (forse) le stelle nel cielo!

Nella zana a destra di quella via di campagna scorreva un’acqua, silenziosa nell’ombra, la quale, qua e là, s’alluciava un attimo quasi per il riflesso di qualche stella, o forse era una lucciola che vi sprezzava sopra, a tratti, volando, il suo verde lume.

Il terreno vicino alla zana è morbido e fangoso. Dopo un po’ le scarpe ei vestiti diventano sporchi. Poi cade il Bombichi, e una gamba finisce nela zana.

Camminò lungo quella zana fino a un primo passatoio e montò sul ciglio della via per internarsi nella campagna. La terra era ammollata dalla pioggia recente; gli sterpi ne gocciolavano ancora. Mosse, sfangando, alcuni passi e si fermò, scoraggiato. Povero abito nero! povere scarpine di coppale! Ma infine, via, che bel gusto, anche, insudiciar tutto così!

Un cane abbaiò, poco lontano.

— Eh, no… se non è permesso… Morire; sì; ma, con le gambe sane.

Si provò a ridiscendere su la via: patapùnfete! scivolò per il lurido pendio; e una gamba, manco a dirlo, dentro l’acqua della zana.

— Mezzo pediluvio… Be’ be’, pazienza. Non avrò tempo di prendere una costipazione.

Si scosse l’acqua dalla gamba e s’inerpicò a stento dall’altra parte della via. Qua la terra era più soda; la campagna meno alberata. A ogni passo s’aspettava un altro latrato.

A questo punto, camminare diventa piuttosto difficile… i suoi vestiti sono bagnati e le sue scarpe sono fangose. Il Bombichi scende per un periodo di tempo fino a quando si accorge una catena montuosa. Sono quasi le quattro. Si rende conto che dovrebb’essere in grado di vedere il sole appena si alza sulla cima delle montagne.

A poco a poco gli occhi s’erano abituati al bujo; discernevano, anche a distanza, gli alberi. Non appariva alcun segno di prossima abitazione. Tutto intento a superare le difficoltà del cammino, con quel piede zuppo che gli pesava come fosse di piombo, non pensò più al proposito violento che lo aveva cacciato di notte li, per la campagna. Andò a lungo, a lungo, sempre internandosi di traverso. La campagna declinava leggermente. Lontano lontano, in fondo al cielo, si disegnava nera nell’albor siderale una lunga giogaia di monti. L’orizzonte s’allargava; non c’eran più alberi da un pezzo. Oh via, non era meglio fermarsi lì? Forse il sole sarebbe sorto su da quei monti lontani.

Guardò di nuovo l’orologio e gli parve da prima impossibile che fossero già circa le quattro. Accese un fiammifero: sì, proprio le quattro meno sei minuti.

Il Bombichi è sorpreso d’essere stato in grado di camminare per due ore e si rende conto di essere vicino all’esaurimento. Si siede,

Si meravigliò d’aver tanto camminato. Era stanco difatti. Sedette per terra; poi scorse un masso poco discosto e andò a seder, meglio, lì sopra. Dov’era? — Bujo e solitudine!

…e poi, spontaneamente, esprime un dubbio,

— Che pazzia…

…che è descritto come ‘senso comune’ (qualcosa che, forse, è mancato alla sua vita in quanto ha permesso a se stesso di cadere sempre più in uno stato di disperazione).

Spontaneamente, da sè, gli venne alle labbra questa esclamazione, come un sospiro del suo buon senso da lungo tempo soffocato. Ma, riscosso dal momentaneo stordimento, lo spirito bislacco da cui s’era lasciato trascinare a tante pazze avventure riprese subito in lui il dominio sul buon senso, e se n’appropriò l’esclamazione. Pazzia, sì, quella scampagnata notturna poco allegra. Avrebbe fatto meglio a uccidersi in casa, comodamente, senza il pediluvio, senza insudiciarsi così le scarpe, i calzoni, la marsina, e senza stancarsi tanto. È vero che avrebbe avuto tutto il tempo di riposarsi, tra poco. E poi, ormai, giacché fin lì c’era arrivato… Sì: ma chi sa per quanto tempo ancora doveva aspettare questa benedetta levata del sole… Forse più di un’ora: un’eternità… E aprì la bocca a un formidabile sbadiglio.

Il Bombichi si addormenta,

— Ohi ohi… se m’addormentassi… Brrr… fa anche freddo: umidaccio.

Tirò sì il bavero della marsina; si caccio le mani in tasca e, tutto ristretto in sé, chiuse gli occhi. Non stava comodo, no. Mah! per amor dello spettacolo… Si riportò col pensiero alle sale del Circolo illuminato a luce elettrica, tepide, splendidamente arredate… Rivedeva gli amici… e già cedeva al sonno, quando a un tratto…

…solo per svegliarsi al suono d’un gallo che canta.

— Che è stato?

Sbarrò gli occhi, e la notte nera gli si spalancò tutt’intorno nella paurosa solitudine. Il sangue gli strizzava per tutte le vene. Si trovò in preda a una vivissima agitazione. Un gallo, un gallo aveva cantato lontano, in qualche parte… ah ecco, e ora un altro da più lontano gli rispondeva… laggiù, nella fitta oscurità.

— Perbacco, un gallo… che paura!

La costernazione del Bombichi si intensifica. Dovrebbe uccidersi come previsto?

Sorse in piedi: andò per un tratto avanti e dietro, senza allontanarsi da quel posto, ove per un momento s’era accovacciato. Si vide lui stesso come un cane che, prima di riaccovacciarsi, sente il bisogno di rigirarsi due o tre volte. Difatti, tornò a sedere, ma daccapo per terra, accanto al masso, per star più scomodo e non farsi così riprendere dal sonno.

C’è un’ultima distrazione: il povero Bombichi prende nota di una pianta che cresce a lato d’un masso. Si connette con la pianta via il senso di tatto (in un modo che non è mai stato in grado di fare con un altro essere umano).

Eccola lì, la terra: duretta… duretta anzichenò… vecchia, vecchia Terra! la sentiva ancora! per poco tempo ancora… Tese una mano a un cespuglio radicato sotto il masso e l’accarezzò, come si accarezza una femmina passandole una mano su i capelli.

— Aspetti l’aratro che ti squarci; aspetti il seme che ti fecondi…

Ritrasse la mano che gli s’era insaporata d’una fragranza di mentastro acuta.

— Addio, cara! — disse, riconoscente, come se quella femmina con quella fragranza lo avesse compensato della carezza che le aveva fatto.

I pensieri del Bombichi si scuriscono. Si chiede se dovrebbe uccidere se stesso.

Triste, cupo, si raffondò di nuovo col pensiero nella sua vita tumultuosa; tutta l’uggia, tutta la nausea di essa gli si raffigurò a poco a poco in sua moglie: se la immaginò nell’atto di leggere la sua lettera, fra quattro o cinque ore… Che avrebbe fatto?

— Io qui… — disse; e si vide, morto, lì, steso scomposto in mezzo alla campagna, sotto il sole, con le mosche attorno alle labbra e gli occhi chiusi.

Il sole comincia a salire sopra la cima della catena montuosa. Inizialmente la luce è bianca, poi rosa. Finalmente appare il sole.

Poco dopo, dietro i monti lontani, la tenebra cominciò a diradarsi appena appena a un indizio d’albore. Ah, com’era triste, affliggente, quella primissima luce del cielo, mentre sulla terra era ancor notte, sicché pareva che quel cielo sentisse pena a ridestarla alla vita. Ma a poco a poco s’inalbò tutto, su i monti, il cielo, d’una tenera freschissima luce verdina, che a mano a mano, crescendo, s’indorava e vibrava della sua stessa intensità. Lievi, quasi fragili, rosei ora, in quella luce, pareva respirassero i monti laggiù. E sorse alla fine, flammeo e come vagellante nel suo ardore trionfale, il disco del sole.

Il Bombichi è a terra, profondamente addormentato!

Per terra, sporco, infagottato, Gosto Bombichi, col capo appoggiato al masso, dormiva profondissimamente, facendo, con tutto il petto, strepitoso mantice al sonno.

***

Nella novella, un giovane suicida esita mentre il tempo di uccidersi si avvicina. Oggi, tutti i medici hanno imparato a riconoscere la presenza di ‘ferite da esitazione’ in coloro che pensano di suicidarsi:

“Esitazione, o tentativo, le ferite sono definite come: qualsiasi taglio o ferita che si autoinfligge dopo che è stata presa la decisione di non commettere suicidio, o qualsiasi taglio o ferita provvisoria che viene fatta prima del taglio finale che causa la morte. Tali ferite sono di solito tagli superficiali, affilati, forzati sulla pelle delle vittime. Questi segni di taglio meno severi sono spesso causati dai tentativi di aumentare il coraggio prima di tentare la ferita finale, fatale. Anche ferite di esitazione non fatali possono accompagnare le incisioni più profonde, a volte fatali. Sebbene i tagli di esitazione non siano sempre presenti nei casi di suicidio, sono tipici delle lesioni suicide. Tuttavia, la presenza di segni di esitazione accanto o vicino al segno finale fatale indica di solito una diagnosi forense di suicidio rispetto ad altre possibili cause di morte.”

***

Citazione del giorno:

“Un discepolo una volta si lamentava con il maestro:”Ci racconti delle storie, ma non ci sveli mai il loro significato”. Il maestro disse: “Che diresti se qualcuno ti offrisse un frutto e lo masticasse prima di dartelo?”.
Nessuno può sostituirsi a te per trovare il tuo significato. Neppure il maestro.” (Anthony De Mello)

 

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