Riassunto: La giara

Voremmo iniziare con due aneddoti: 

Prima di tutto, notiamo che ognuno di noi, separatamente, aveva finito di leggere la novella pochi giorni fa e che siamo rimasti sorpresi e felici d’apprender che avevamo condiviso l’esperienza di una risatina — ridacchiavamo quasi continuamente per giorni — a causa sia del modo in cui la trama è stata assemblata e per via dell’umorismo incredibile!

Secondo, tre anni fa uno di noi era a Roma ed è successo veder una meravigliosa prestazione / rendimento di La giara. Leggere la novella adesso mi ha aiutato a capire che l’esperienza di ‘vedere’ uno dei drammi del Maestro differisce, in molti modi, dall’esperienza di ‘leggere’ la novella… non meglio o peggio, ovviamente, solo diversa.

***

Piena anche per gli olivi quell’annata. Piante massaje, cariche l’anno avanti, avevano raffermato tutte, a dispetto della nebbia che le aveva oppresse sul fiorire.

Inizia così La giara (L. Pirandello), una novella esilarante che descrive un periodo di due giorni nella campagna siciliana, durante la quale si svolge due negoziati che coinvolge un paio d’uomini con personalità complesse e interessanti.

All’inizio della novella impariamo che è l’autunno, e la nebbia ha reso nota la sua presenza. È il momento in cui le olive sono pronte per la raccolta. Quest’anno, la stagione di crescita sembra aver progredito bene, e c’è veramente un’abbondanza della frutta da scuotere dagli alberi, raccogliere e poi trasformare in olio d’oliva.

Incontriamo primo don Lollò Zirafa, uno dei protagonisti dela novella. Don Lollò è un proprietario… cioè, un padrone in ogni senso della parola. Come vedremo, don Lollò si aspetta che la sua vita proceda esattamentecome desidera e lavora moltoduramente per raggiungere quest’obiettivo. Inoltre don Lollò è circondato da impiegati (contadini) che lo rimandano — questa società, dopotutto, opera sulla base d’un sistema di caste, dove il padrone è il capo — e mentre la novella progredisce, immaginiamo che questo trattamento deferente abbia incoraggiato don Lollò a sviluppare alcuni tratti ‘distintivi’ della personalità: è un bullo… aggressivo, esigente, attento, concentrato, prepotente, conflittuale.

Don Lollò si rende conto che il raccolto quest’anno sarà così abbondante che avrà bisogno d’un altro barattolo / un’altra giara per conservare il suo olio. Ha infatti ordinato una giara nuovo da fabbricare, un giara di terracotta magnifica, alto come un uomo, che sarà il più grande che possieda.

Lo Zirafa, che ne aveva un bel giro nel suo podere delle Quote a Primosole, prevedendo che le cinque giare vecchie di coccio smaltato che aveva in cantina non sarebbero bastate a contener tutto l’olio della nuova raccolta, ne aveva ordinata a tempo una sesta più capace a Santo Stefano di Camastra, dove si fabbricavano: alta a petto d’uomo, bella panciuta e maestosa, che fosse delle altre cinque la badessa.

Intendiamo che Don Lollò è un uomo d’affari: ad esempio, nulla sulla proprietà è sprecato e nulla viene dato via. Sembra anche trattare la vita come una negoziazione continua verso il suo successo finale. Equità (a lui!) in tutte le transazione di vita sembra esser un proprio principio fondamentale, come vediamo per la prima volta quando viene descritto l’acquisto della giara.

Neanche a dirlo, aveva litigato anche col fornaciajo di là per questa giara.

Poi impariamo un altro dei tratti distintivi di don Lollò: sembra non fidarsi di nessuno, incluso se stesso. Pare che don Lollò non abbia la fiducia / confidenza necessaria per negoziare da solo con gli altri: al minimo segno d’uno scontro, don Lollò si reca in città per consultare il proprio avvocato — cioè, per avere una chiara comprensione dei suoi diritti e doveri.

Il bisogno d’un avvocato sembra essersi trasformato in vero un’ossession… le spese legali di don Lollò minacciano di rovinarlo!

E con chi non l’attaccava Don Lollò Zirafa? Per ogni nonnulla, anche per una pietruzza caduta dal murello di cinta, anche per una festuca di paglia, gridava che gli sellassero la mula per correre in città a fare gli atti. Così, a furia di carta bollata e d’onorarii agli avvocati, citando questo, citando quello e pagando sempre le spese per tutti, s’era mezzo rovinato.

(Allora… un bullo? che si manca fiducia / confidenza?? Scusateci, per favore, ma questo sfortunatamente sembra molto simile all’attuale Presidente degli Stati Uniti!! Tranne, ovviamente, per il fatto che don Lollò non è né pazzo, né è disinnescato dalla realtà, e nemmeno è un mostro vizioso.)

Impariamo infatti che si è stancato l’avvocato di don Lollò; ha cercato di staccarsi da don Lollò, regalandolo una copia del codice legale… in modo che don Lollò potrebbe determinare i suoi diritti legali per conto suo!

Dicevano che il suo consulente legale, stanco di vederselo comparire davanti due o tre volte la settimana, per levarselo di torno, gli aveva regalato un libricino come quelli da messa: il codice, perché ci si scapasse a cercare da sé il fondamento giuridico alle liti che voleva intentare.

Successivamente apprendiamo che l’attenzione di don Lollò sulla consulenza legale è considerata una specie di scherzo,

Prima, tutti coloro con cui aveva da dire, per prenderlo in giro gli gridavano: — Sellate la mula! — Ora, invece: “Consultate il calepino!”

…a cui risponde con caratteristica aggressività e rabbia!

E Don Lollò rispondeva:

— Sicuro, e vi fulmino tutti, figli d’un cane!

Subito dopo l’inizio della storia apprendiamo che la giara, che era piuttosto costosa, è arrivata. È stato installato temporaneamente nel palmento (cioè, un mulino dove vengono frantumate le olive).

Quella bella giara nuova, pagata quattr’onze ballanti e sonanti, in attesa del posto da trovarle in cantina, fu allogata provvisoriamente nel palmento. Una giara così non s’era mai veduta. Allogata in quell’antro intanfato di mosto e di quell’odore acre e crudo che cova nei luoghi senz’aria e senza luce, faceva pena.

La raccolta delle olive è appena iniziata. Don Lollò sembra essere ovunque al tempo stesso. Con furia (costantemente, eccessivamente) rimprovera i contadini per evitar di perdere un solo pezzo di frutta! Impariamo anche che al momento della vendemmia, gli alberi vengono concimati in preparazione per la prossima stagione: don Lollò chiede ossessivamente che ogni albero riceva esattamente lastessaquantità di fertilizzante!

Da due giorni era cominciata l’abbacchiatura delle olive, e Don Lollò era su tutte le furie perché, tra gli abbacchiatori e i mulattieri venuti con le mule cariche di concime da depositare a mucchi su la costa per la favata della nuova stagione, non sapeva più come spartirsi, a chi badar prima. E bestemmiava come un turco e minacciava di fulminare questi e quelli, se un’oliva, che fosse un’oliva, gli fosse mancata, quasi le avesse prima contate tutte a una a una sugli alberi; o se non fosse ogni mucchio di concime della stessa misura degli altri.

A questo punto il lettore si chiede se abbia ‘perso la testa’ don Lollò…

Col cappellaccio bianco, in maniche di camicia, spettorato, affocato in volto e tutto sgocciolante di sudore, correva di qua e di là, girando gli occhi lupigni e stropicciandosi con rabbia le guance rase, su cui la barba prepotente rispuntava quasi sotto la raschiatura del rasojo.

(Anche se don Lollò sia una caricatura, ci meravigliamo del modo in cui il Pirandello è in grado di esprimer la complessità della sua personalità in solo poche parole. Abbiamo anche il senso del sincero affetto di Pirandello per i suoi personaggi, che, per tutte le loro colpe, rimangono ‘suo popolo’.)

Adesso, è vicino alla fine del terzo giorno del raccolto, e tre dei contadini ritornano dai campi al palmento. Incredibilmente, scoprono che, non per colpa loro, la giara si è spaccata ordinatamente in due parti!

Ora, alla fine della terza giornata, tre dei contadini che avevano abbacchiato, entrando nel palmento per deporvi le scale e le canne, restarono alla vista della bella giara nuova, spaccata in due, come se qualcuno, con un taglio netto, prendendo tutta l’ampiezza della pancia, ne avesse staccato tutto il lembo davanti.

I contadini discutono cosa dovrebbero fare,

— Guardate! guardate!

— Chi sarà stato?

— Oh, mamma mia! E chi lo sente ora Don Lollò? La giara nuova, peccato!

…e uno di loro propone a svignarsela immediatamente, per evitare d’esser accusato,

Il primo, più spaurito di tutti, propose di raccostar subito la porta e andare via zitti zitti, lasciando fuori, appoggiate al muro, le scale e le canne.

…ma prevalgono ‘le teste più fredde’, e viene presa la decisione di chiamare don Lollò per mostrargli la giara rotta.

Ma il secondo:

– Siete pazzi? Con don Lollò? Sarebbe capace di credere che gliel’abbiamo rotta noi. Fermi qua tutti!

Uscì davanti al palmento e, facendosi portavoce delle mani, chiamò:

– Don Lollò! Ah, Don Lollòoo!

A quanto pare, don Lollò è con i contadini che stanno fertilizzando gli alberi: è fuori di sé, furioso e frenetico. Don Lollò è così intento a quello che sta facendo che non riesce a sentire gli uomini che lo chiamano.

Eccolo là sotto la costa con gli scaricatori del concime: gesticolava al solito furiosamente, dandosi di tratto in tratto con ambo le mani una rincalcata al cappellaccio bianco. Arrivava talvolta, a forza di quelle rincalcate, a non poterselo più strappare dalla nuca e dalla fronte. Già nel cielo si spegnevano gli ultimi fuochi del crepuscolo, e tra la pace che scendeva su la campagna con le ombre della sera e la dolce frescura, avventavano i gesti di quell’uomo sempre infuriato.

Gli uomini persistono,

— Don Lollò! Ah, Don Lollòoo!

…e, alla fine, arriva al palmento don Lollò: stordito / stupefatto dalla vista della giara, don Lollò soprareagisce violentemente, afferrando uno degli uomini per la gola e insistendo che sarà rimborsato per la giara rotta.

Quando venne su e vide lo scempio, parve volesse impazzire. Si scagliò prima contro quei tre; ne afferrò uno per la gola e lo impiccò al muro gridando:

— Sangue della Madonna, me la pagherete!

Don Lollò viene rapidamente separato dal povero contadino. Rimane sopraffatto dalla rabbia… cerca d’elaborare ciò che può esser successo alla sua magnifica giara. (Cosa potrebb’essere successo? O un evento spontaneo? o un atto di vandalismo? O forse la colpa sta invece nel modo in cui la giara è stata fabbricata? Di sicuro la giara sembrava perfetta in ogni modo al momento della consegna!)

Afferrato a sua volta dagli altri due, stravolti nelle facce terrigne e bestiali, rivolse contro se stesso la rabbia furibonda, sbatacchiò a terra il cappellaccio, si percosse le guance, pestando i piedi e sbraitando a modo di quelli che piangono un parente morto:

– La giara nuova! Quattr’onze di giara! Non incignata ancora!

Voleva sapere chi gliel’avesse rotta! Possibile che si fosse rotta da sé? Qualcuno per forza doveva averla rotta, per infamità o per invidia! Ma quando? Ma come? Non gli si vedeva segno di violenza! Che fosse arrivata rotta dalla fabbrica? Ma che! Sonava come una campana!

Dopo passa il tempo, e si calma in qualche modo, i contadini suggeriscono che potrebb’esser riparata la giara a causa del modo in cui si è spaccata. Suggeriscono anche che il lavoro sarebbe ideale per Zi’ Dima Licasi, un “bravo conciabrocche”che ha inventato un mastice meraviglioso… la cui ricetta è un segreto strettamente custodito. I contadini offrono di contattare Zi’ Dima; stimano che la riparazione potrebb’esser completato entro poche ore.

Appena i contadini videro che la prima furia gli era caduta, cominciarono ad esortarlo a calmarsi. La giara si poteva sanare. Non era poi rotta malamente. Un pezzo solo. Un bravo conciabrocche l’avrebbe rimessa su, nuova. C’era giusto Zi’ Dima Licasi, che aveva scoperto un mastice miracoloso, di cui serbava gelosamente il segreto: un mastice, che neanche il martello ci poteva, quando aveva fatto presa. Ecco, se don Lollò voleva, domani, alla punta dell’alba, Zi’ Dima Licasi sarebbe venuto lì e, in quattro e quattr’otto, la giara, meglio di prima.

Don Lollò inizialmente dice “No” all’offerta dei contadini,

Don Lollò diceva di no, a quelle esortazioni: ch’era tutto inutile;

…ma, alla fine, accetta don Lollò l’idea di riparare la giara. Quindi il giorno dopo, di prima mattina, arriva Zi’ Dima. (È il secondo protagonista della novella.)

che non c’era più rimedio; ma alla fine si lasciò persuadere, e il giorno appresso, all’alba, puntuale, si presentò a Primosole Zi’ Dima Licasi con la cesta degli attrezzi dietro le spalle.

Impariamo che zi’ Dima è un vecchio, piegato in una certa misura (probabilmente dall’artrite), e

Era un vecchio sbilenco, dalle giunture storpie e nodose, come un ceppo antico di olivo saraceno.

…ha anche il proprio tratti distintivi di personalità: è taciturno, cupo e triste.

Per cavargli una parola di bocca ci voleva l’uncino. Mutria o tristezza radicate in quel suo corpo deforme;

Zi’ Dima ha anche un ‘chip on his shoulder’ (come direbbero gli Americani). Si crede in, ed è tremendamente orgoglioso di, il suo mastice, ma sente che la invenzione non ha ricevuto il riconoscimento che merita.

o anche sconfidenza che nessuno potesse capire e apprezzare giustamente il suo merito d’inventore non ancora patentato.

Forse, tuttavia, secondo noi il tratto di personalità più caratterizzante di Zi Dima è la testardaggine: pare che lui è ostinatamente capace di persisterà ogni volta crede d’aver ragione, non importa l’avversità che che potrebb’affrontare.

(Questa, poi, è la premessa di base della novella: da questo punto in avanti, la trama parlerà del confrontazione fra un ‘oggetto immobile’ (Zi’ Dima) e una ‘forza inarrestabile’ (don Lollò). Come vedremo presto, il Pirandello sembra assaporare il confronto dei due protagonisti, mentre gli sviluppi girano e girano.)

I due protagonisti iniziano, ovviamente, da negoziando il processo / prezzo della riparazione. Zi’ Dima chiede prima di ispezionare la giara (che è stata spostata dal palmento al campo). Al contrario, don Lollò vuole saperne di più sul mastice.

Voleva che parlassero i fatti, Zi’ Dima Licasi. Doveva poi guardarsi davanti e dietro, perché non gli rubassero il segreto.

— Fatemi vedere codesto mastice — gli disse per prima cosa Don Lollò, dopo averlo squadrato a lungo con diffidenza.

Zi’ Dima si rifiuta di rispondere al richiesto, dicendo che don Lollò capirà le proprietà / l’efficacia del mastice dopo è stato applicato.

Zi’ Dima negò col capo, pieno di dignità.

— All’opera si vede.

Poi Don Lollò chiede a Zi’ Dima se, in effetti, possa riparare la giara.

— Ma verrà bene?

A questo punto, siamo trattati a una descrizione della personalità in pienodi Zi’ Dima. (Sono venuti a conoscenza gli attori americani imperturbabili John Wayne e Gary Cooper.)

Zi’ Dima posò a terra la cesta; ne cavò un grosso fazzoletto di cotone rosso, logoro e tutto avvoltolato; prese a svolgerlo pian piano, tra l’attenzione e la curiosità di tutti, e quando alla fine venne fuori un pajo d’occhiali col sellino e le stanghette rotte e legate con lo spago, lui sospirò e gli altri risero. Zi’ Dima non se ne curò; si pulì le dita prima di pigliare gli occhiali; se li inforcò; poi si mise a esaminare con molta gravità la giara tratta sull’aja. Disse:

— Verrà bene.

Poi i protagonisti discutono i dettagli della riparazione: Zi’ Dima vuole usare solo il mastice, ma don Lollò vuole che la riparazione coinvolgono il mastice ei fili metallici che saranno saldati attraverso il difetto.

— Col mastice solo però – mise per patto lo Zirafa — non mi fido. Ci voglio anche i punti.

Comprendiamo a questo punto che i dubbi di don Lollò hanno toccato la sensibilità di Zi’ Dima; il suo orgoglio ferito. Zi’ Dima tenta di andarsene di là, ma don Lollò gli afferra il braccio per fermarlo.

— Me ne vado — rispose senz’altro Zi’ Dima, rizzandosi e rimettendosi la cesta dietro le spalle.

Don Lollò lo acchiappò per un braccio.

Don Lollò spiega che la giara verrà utilizzata per conservare l’olio d’oliva quindi la riparazione dev’esser perfetta… non una sola goccia d’olio deve fuoriuscire dalla giara!

— Dove? Messere e porco, così trattate? Ma guarda un po’ che arie da Carlomagno! Scannato miserabile e pezzo d’asino, ci devo metter olio, io, là dentro, e l’olio trasuda! Un miglio di spaccatura, col mastice solo? Ci voglio i punti. Mastice e punti. Comando io.

A malincuore, Zi’ Dima sembra accettare le condizioni di don Lollò,

Zi’ Dima chiuse gli occhi, strinse le labbra e scosse il capo. Tutti così! Gli era negato il piacere di fare un lavoro pulito, filato coscienziosamente a regola d’arte, e di dare una prova della virtù del suo mastice.

…ma poi il vecchio persiste, affermando che il lavoro potrebb’esser fatto alle specifiche don Lollò usando solo il mastice. Alla fine di questo primo incontro prevale don Lollò… i fili metallici saranno saldati in posizione attraverso il difetto.

— Se la giara — disse — non suona di nuovo come una campana…

— Non sento niente, — lo interruppe Don Lollò. — I punti! Pago mastice e punti. Quanto vi debbo dare?

— Se col mastice solo…

— Càzzica che testa! — esclamò lo Zirafa. — Come parlo? V’ho detto che ci voglio i punti. C’intenderemo a lavoro finito: non ho tempo da perdere con voi.

E se ne andò a badare ai suoi uomini.

Fuma Zi’ Dima! È incazzato! Un altro ‘Tommaso dubbioso’! La sua rabbia è facile da vedere, e il contadino che lo assisterà nella riparazione tenta di consolarlo. Zi’ DIma inizia a lavorare, dapprima perforando i fori per i fili metallici. L’accuratezza del posizionamento dei fori è stata provata e confermata attentamente.

Zi’ Dima si mise all’opera gonfio d’ira e di dispetto. E l’ira e il dispetto gli crebbero ad ogni foro che praticava col trapano nella giara e nel lembo spaccato per farvi passare il fil di ferro della cucitura. Accompagnava il frullo della saettella con grugniti a mano a mano più frequenti e più forti; e il viso gli diventava più verde dalla bile e gli occhi più aguzzi e accesi di stizza. Finita quella prima operazione, scagliò con rabbia il trapano nella cesta; applicò il lembo staccato alla giara per provare se i fori erano a egual distanza e in corrispondenza tra loro, poi con le tenaglie fece del fil di ferro tanti pezzetti quanti erano i punti che doveva dare, e chiamò per ajuto uno dei contadini che abbacchiavano.

— Coraggio, Zi’ Dima! – gli disse quello, vedendogli la faccia alterata.

Zi’ Dima ‘si scrolla di dosso le spalle’ la consolazione dal contadino. Poi, lui recupera il mastice, cerimoniosamente e surrettiziamente, e lo applica a mano alla giara.

Zi’ Dima alzò la mano a un gesto rabbioso. Aprì la scatola di latta che conteneva il mastice, e lo levò al cielo, scotendolo, come per offrirlo a Dio, visto che gli uomini non volevano riconoscerne le virtù: poi col dito cominciò a spalmarlo tutt’in giro al lembo staccato e lungo la spaccatura;

Quindi Zi’ Dima entra nella giara per saldare i fili metallici. Inizialmente, ordina al suo assitant di riunire i due pezzi rotti. Vede che il mastice è tutto necessario per riparare la giara!

prese le tenaglie e i pezzetti di fil di ferro preparati avanti, e si cacciò dentro la pancia aperta della giara, ordinando al contadino di applicare il lembo alla giara, così come aveva fatto lui poc’anzi. Prima di cominciare a dare i punti:

— Tira! — disse dall’interno della giara al contadino. — Tira con tutta la tua forza! Vedi se si stacca più? Malanno a chi non ci crede! Picchia, picchia! Suona, si o no, come una campana anche con me qua dentro? Va’, va’ a dirlo al tuo padrone!

— Chi è sopra comanda, Zi’ Dima, — sospirò il contadino — e chi è sotto si danna!

E poi, i fili metallici sono saldati sul posto.

Date i punti, date i punti.

E Zi’ Dima si mise a far passare ogni pezzetto di fil di ferro attraverso i due fori accanto, l’uno di qua e l’altro di là della saldatura; e con le tanaglie ne attorceva i due capi. Ci volle un’ora a passarli tutti. I sudori, giù a fontana, dentro la giara. Lavorando, si lagnava della sua mala sorte. E il contadino, di fuori, a confortarlo.

E poi… e poi…

Zi’ Dima tenta di uscire la giara ma non riesce… l’apertura della giara è troppo stretta!!!!

— Ora ajutami a uscirne, – disse alla fine Zi’ Dima.

Ma quanto larga di pancia, tanto quella giara era stretta di collo. Zi’ Dima, nella rabbia, non ci aveva fatto caso. Ora, prova e riprova, non trovava più il modo di uscirne.

Zi’ Dima urla per aiuto! (È descritto lui come un animale selvatico in gabbia!) Ciònonostante il suo assistente è ‘piegato in due’ dalle risate.

E il contadino invece di dargli ajuto, eccolo là, si torceva dalle risa. Imprigionato, imprigionato lì, nella giara da lui stesso sanata e che ora — non c’era via di mezzo — per farlo uscire, doveva essere rotta daccapo e per sempre.

Il fracasso creato dai due uomini attira l’attenzione degli altri, incluso don Lollò, che, non sorprendentemente, è stupito / infuiato da cos’è successo!

Alle risa, alle grida, sopravvenne Don Lollò. Zi’ Dima, dento la giara, era come un gatto inferocito.

Fatemi uscire! — urlava. — Corpo di Dio, voglio uscire! Subito! Datemi ajuto!

Don Lollò si avvicina la giara e urla, chiedendo Zi’ Dima di provar di nuovo ad uscire la giara: suggerisce che primo infilare un braccio nella parte superiore della giara e poi la testa. Questo secondo tentativo fallisce, e, a questo punto, don Lollò non è sicuro di cosa fare.

Don Lollò rimase dapprima come stordito. Non sapeva crederci.

— Ma come? là dentro? s’è cucito là dentro?

Fedele alla forma, don Lollò decide di consultare l’avvocato.

S’accostò alla giara e gridò al vecchio:

— Ajuto? E che ajuto posso darvi io? Vecchiaccio stolido, ma come? non dovevate prender prima le misure? Su, provate: fuori un braccio… così! e la testa… su… no, piano! Che! giù… aspettate! così no! giù, giù… Ma come avete fatto? E la giara, adesso? Calma! Calma! Calma! — si mise a raccomandare tutt’intorno, come se la calma stessero per perderla gli altri e non lui. — Mi fuma la testa! Calma! Questo è caso nuovo… La mula!

Prima che parta, tuttavia, don Lollò mette alla prova la giara. È come nuovo (migliore di nuovo!) — tranne la presenza dell’uomo all’interno!

Picchiò con le nocche delle dita su la giara. Sonava davvero come una campana.

— Bella! Rimessa a nuovo… Aspettate! – disse al prigioniero. – Va’ a sellarmi la mula! – ordinò al contadino; e, grattandosi con tutte le dita la fronte, seguitò a dire tra sé: «Ma vedete un po’ che mi capita! Questa non è giara! quest’è ordigno del diavolo! Fermo! Fermo lì!»

La giara aziona dai tentativi disperati di Zi’ Dima di liberarsi. Don Lollò si avvicina la giara ancora una volta per sostenerla in modo che non cada.

E accorse a regger la giara, in cui Zi’ Dima, furibondo, si dibatteva come una bestia in trappola.

Poi, inspiegabilmente — borbottando tra sé, completamente sopraffatto dalle sue emozioni — don Lollò decide di pagare il conto per il lavoro!

— Caso nuovo, caro mio, che deve risolvere l’avvocato! Io non mi fido. La mula! La mula! Vado e torno, abbiate pazienza! Nell’interesse vostro… Intanto, piano! calma! Io mi guardo i miei. E prima di tutto, per salvare il mio diritto, faccio il mio dovere. Ecco: vi pago il lavoro, vi pago la giornata. Cinque lire. Vi bastano?

— Non voglio nulla! – gridò Zi’ Dima. – Voglio uscire.

— Uscirete. Ma io, intanto, vi pago. Qua, cinque lire.

Poi offre la colazione a Zi’ Dima! Alla fine don Lollò parte per la città, borbottando tra sé e gesticolando come un pazzo!

Le cavò dal taschino del panciotto e le buttò nella giara. Poi domandò, premuroso:

— Avete fatto colazione? Pane e companatico, subito! Non ne volete? Buttatelo ai cani! A me basta che ve l’abbia dato.

Ordinò che gli si désse; montò in sella, e via di galoppo per la città. Chi lo vide, credette che andasse a chiudersi da sé in manicomio, tanto e in così strano modo gesticolava.

Don Lollò arriva nello studio dell’avvocato e spiega cos’è successo. L’avvocato riesce a malapena a contenere se stesso — ride in modo incontrollabile all’assurdità della situazione. Don Lollò non riesce a vedere l’umorismo.

Per fortuna, non gli toccò di fare anticamera nello studio dell’avvocato; ma gli toccò d’attendere un bel po’, prima che questo finisse di ridere, quando gli ebbe esposto il caso. Delle risa si stizzì.

— Che c’è da ridere, scusi? A vossignoria non brucia! La giara è mia!

Ma quello seguitava a ridere e voleva che gli rinarrasse il caso com’era stato, per farci su altre risate. “Dentro, eh? S’era cucito dentro? E lui, don Lollò che pretendeva? Te… tene… tenerlo là dentro… ah ah ah… ohi ohi ohi… tenerlo là dentro per non perderci la giara?”

Don Lollò chiede se dovrebbe semplicemente distruggere la giara per liberare Zi’ Dima.

— Ce la devo perdere? — domandò lo Zirafa con le pugna serrate. — Il danno e lo scorno?

Mentre ridendo, l’avvocato spiega che esiste una legge contro il ‘sequestro di una persona’, cioè, zi’ Dima dev’esser liberato subito dalla giara, altrimenti don Lollò potrebb’esser oggetto d’un procedimento giudiziario. Don Lollò risponde, dicendo che non ha sequestrato nessuno! Ricorda all’avvocato che zi’ Dima si è sequestrato!

— Ma sapete come si chiama questo? — gli disse infine l’avvocato. — Si chiama sequestro di persona!

— Sequestro? E chi l’ha sequestrato? — esclamò lo Zirafa. — Si è sequestrato lui da sé! Che colpa ne ho io?

L’avvocato continua… spiegando che Zi’ DIma non può essere lasciato all’interno del giara per un certo periodo di tempo. Spiega anche che, una volta la giara è rotta, Zi’ Dima deve assumersi una certa responsabilità per il costo. Don Lollò interpreta questo per indicare che Zi’ Dima deve pagare il prezzo originale.

L’avvocato allora gli spiegò che erano due casi. Da un canto, lui, Don Lollò, doveva subito liberare il prigioniero per non rispondere di sequestro di persona; dall’altro il conciabrocche doveva rispondere del danno che veniva a cagionare con la sua imperizia o con la sua storditaggine.

— Ah! – rifiatò lo Zirafa. Pagandomi la giara!

‘Non così in fretta’, dice l’avvocato. La giara non è nuova e non è perfetta.

— Piano! — osservò l’avvocato. — Non come se fosse nuova, badiamo!

— E perché?

— Ma perché era rotta, oh bella!

Ma don Lollò contrasta, affermando che la giara è in realtà meglio che nuova!

— Rotta? Nossignore. Ora è sana. Meglio che sana, lo dice lui stesso! E se ora torno a romperla, non potrò più farla risanare. Giara perduta, signor avvocato!

L’avvocato assicura a don Lollò che tutti i fatti del caso saranno presi in considerazione… che alla fine un prezzo equo per la giara sarà determinato. L’avvocato mette in guardia don Lollò della necessità di spiegare tutto a zi’ Dima prima che la giara è rotta.

L’avvocato gli assicurò che se ne sarebbe tenuto conto, facendogliela pagare per quanto valeva nello stato in cui era adesso.

— Anzi – gli consigliò – fatela stimare avanti da lui stesso.

Soddisfatto, don Lollò torna a casa.

— Bacio le mani – disse Don Lollò, andando via di corsa.

Al suo ritorno, don Lollò scopre che una festa si sta svolgendo vicino alla giara. Zi’ Dima, ahem… diremmo, ha abituato al suo nuovo ambiente.

Di ritorno, verso sera, trovò tutti i contadini in festa attorno alla giara abitata. Partecipava alla festa anche il cane di guardia, saltando e abbajando. Zi’ Dima s’era calmato, non solo, ma aveva preso gusto anche lui alla sua bizzarra avventura e ne rideva con la gajezza mala dei tristi.

Don Lollò si avvicina alla giara e parla a zi’ Dima.

Lo Zirafa scostò tutti e si sporse a guardare dentro la giara.

— Ah! Ci stai bene?

— Benone. Al fresco – rispose quello. – Meglio che a casa mia.

Poi inizia una seconda negoziazione. Don Lollò chiede a zi’ Dima quanto crede che valga la giara. Zi’ Dima risponde, chiedendo se don Lollò significhi con lui dentro!! I contadini (ei lettori) scoppiano a ridere.

— Piacere. Intanto ti avverto che questa giara mi costò quattr’onze nuova. Quanto credi che possa costare adesso?

— Come me qua dentro? – domandò Zi’ Dima.

I villani risero.

Don Lollò ordina silenzio! Propone quindi quanto segue: o il mastice ha funzionato come aspettato / pubblicizzato (nel qual caso il giara è come nuovo) o il mastice non ha funzionato bene e zi’ Dima è un bugiardo. Don Lollò chiede ancora una volta a zi’ Dima: ‘Cosa vale la giara?’

— Silenzio! – gridò lo Zirafa. – Delle due l’una: o il tuo mastice serve a qualche cosa, o non serve a nulla: se non serve a nulla tu sei un imbroglione; se serve a qualche cosa, la giara, così com’è, deve avere il suo prezzo. Che prezzo? Stimala tu.

Zi’ Dima risponde, dicendo che è colpa di don Lollò che lui è bloccato nella giara! Se la riparazione fosse stata fatta come ha proposto, zi’ Dima, usando solo il mastice, non sarebbe mai stato intrappolato nella giara! La giara, conclude zi’ Dima, vale un terzo del prezzo originale.

Zi’ Dima rimase un pezzo a riflettere, poi disse:

— Rispondo. Se lei me l’avesse fatta conciare col mastice solo, com’io volevo, io, prima di tutto, non mi troverei qua dentro, e la giara avrebbe su per giù lo stesso prezzo di prima. Così conciata con questi puntacci, che ho dovuto darle per forza di qua dentro, che prezzo potrà avere? Un terzo di quanto valeva, sì e no.

Don Lollò verifica l’ammontare poi annuncia che zi’ Dima gli deve 1 lira e 33 centesimi.

— Un terzo? – domandò lo Zirafa. – Un’onza e trentatré?

— Meno sì, più no.

— Ebbene, – disse Don Lollò. – Passi la tua parola, e dammi un’onza e trentatré.

Zi’ Dima non può credere a ciò che ha appena sentito. Don Lollò ripete: la giara sarà rotto, zi’ Dima sarà liberato e poi pagherà 1 lira e 33 centesimi.

— Che? – fece Zi’ Dima, come se non avesse inteso.

— Rompo la giara per farti uscire, – rispose Don Lollò – e tu, dice l’avvocato, me la paghi per quanto l’hai stimata: un’onza e trentatré.

Zi’ Dima non avrà nulla di tutto ciò. Dice che preferirebbe rimanere nella giara fino alla morte! (Ha detto prima che la giara è migliore di casa sua!)

— Io pagare? – sghignazzò Zi’ Dima. – Vossignoria scherza! Qua dentro ci faccio i vermi.

E, tratta di tasca con qualche stento la pipetta intartarita, l’accese e si mise a fumare, cacciando il fumo per il collo della giara.

Don Lollò è stato annullato ancora una volta. Non ha previsto questa risposta. Brevemente, si chiede se sarebbe meglio tornare all’avvocato per discutere il nuovo sviluppo, ma decide di non farlo… è troppo tardi.

Don Lollò ci restò brutto. Quest’altro caso, che Zi’ Dima ora non volesse più uscire dalla giara, nè lui nè l’avvocato l’avevano previsto. E come si risolveva adesso? Fu lì lì per ordinare di nuovo: «La mula», ma pensò che era già sera.

Don Lollò recupera, in qualche modo, la sua equanimità e conferma, per tutti a sentire, ciò che zi’ Dima gli ha detto. (Questo lo rende ’fuori dai guai’ per quanto riguarda la legge sul ‘sequestro’.) Poi minaccia di presentare un reclamo contro zi’ Dima per un soggiorno abusivo!

— Ah, sì – disse. – Tu vuoi domiciliare nella mia giara? Testimonii tutti qua! Non vuole uscirne lui, per non pagarla; io sono pronto a romperla! Intanto, poiché vuole stare lì, domani io lo cito per alloggio abusivo e perché mi impedisce l’uso della giara.

Zi’ Dima, tuttavia, sconta questa minaccia. Risponde lui, dicendo che ha tentato di uscire dalla giara — che ha voluto uscire dalla giara — ma che non ha potuto.

Zi’ Dima cacciò prima fuori un’altra boccata di fumo, poi rispose placido:

— Nossignore. Non voglio impedirle niente, io. Sto forse qua per piacere? Mi faccia uscire, e me ne vado volentieri. Pagare… neanche per ischerzo, vossignoria!

Frustrato, Don Lollò pensa di dar alla giara un calcio ‘veloce’; esita, e invece afferra la giara e la scuote. Di sicuro, la riparazione tiene… zi Dima si assicura che don Lollò lo capisca!!

Don Lollò, in un impeto di rabbia, alzò un piede per avventare un calcio alla giara; ma si trattenne; la abbrancò invece con ambo le mani e la scrollò tutta, fremendo.

— Vede che mastice? – gli disse Zi’ Dima.

Don Lollò si ritira a casa sua. La festa continua… fortissimamente e raucamente. C’è molto da bere.

— Pezzo da galera! – ruggì allora lo Zirafa. – Chi l’ha fatto il male, io o tu? E devo pagarlo io? Muori di fame là dentro! Vediamo chi la vince!

E se ne andò, non pensando alle cinque lire che gli aveva buttate la mattina dentro la giara. Con esse, per cominciare, Zi’ Dima pensò di far festa quella sera coi contadini che, avendo fatto tardi per quello strano accidente, rimanevano a passare la notte in campagna, all’aperto, su l’aja. Uno andò a far le spese in una taverna lì presso. A farlo apposta, c’era una luna che pareva fosse raggiornato.

Qualche tempo dopo, nel cuore della notte, don Lollò viene svegliato dalla baldoria.

A una cert’ora don Lollò, andato a dormire, fu svegliato da un baccano d’inferno. S’affacciò a un balcone della cascina, e vide su l’aja, sotto la luna, tanti diavoli; i contadini ubriachi che, presisi per mano, ballavano attorno alla giara. Zi’ Dima, là dentro, cantava a squarciagola.

Don Lollò non riesce più a contenere se stesso, va in campo e accosta la giara, dandogli uno spintone; a quel punto la giara si rovescia e rotola verso il mare, finché, alla fine, si scontra con un ulivo e si frantuma in un milione di pezzi! Zi Dima è liberato e non deve nulla a don Lollò!!!!!!!!!!!!!

Questa volta non poté più reggere, Don Lollò: si precipitò come un toro infuriato e, prima che quelli avessero tempo di pararlo, con uno spintone mandò a rotolare la giara giù per la costa. Rotolando, accompagnata dalle risa degli ubriachi, la giara andò a spaccarsi contro un olivo.

E la vinse Zi’ Dima.

 

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