Riassunto: L’illustre estinto

I.

Messo a sedere sul letto, perché l’asma non lo soffocasse, abbandonato su i guanciali ammontati, l’on. Costanzo Ramberti guardava, attraverso le gonfie palpebre semichiuse, il raggio di sole che, entrando dalla finestra, gli si stendeva su le gambe e indorava la calugine di uno scialle grigio, di lana, a quadri neri.

Si sentiva morire; sapeva che per lui non c’era più rimedio, e se ne stava ormai tutto ristretto in sé, vietandosi anche d’allungare lo sguardo oltre le sponde del letto, nella camera, non già per raccogliersi nel pensiero della fine imminente, ma, al contrario, per timore che, allargando anche d’un po’ l’orizzonte al suo sguardo, la vista degli oggetti attorno lo richiamasse con qualche rimpianto alle relazioni che poteva avere ancora con la vita, e che la morte tra poco avrebbe spezzate.

Inizia così, L’illustre estinto  (L. Pirandello), una novella che lascia il lettore senza fiato… stupito, meravigliato e ammirato. Lo scopo della storia è maestoso: tenta d’esaminare ciò che sentiamo al momento della morte. Secondo noi l’esame è da due punti di vista, cioè, personale e sociale. La prospettiva personale, espressa nel capitolo 1, descrive il processo di morte dal punto di vista di qualcuno, in questo caso l’on. Costanzo Ramberti, il protagonista, poco prima della morte. La prospettiva sociale, espressa nel capitolo 2, descrive le convenzioni e le macchinazioni del lutto… vale a dire dal punti di visto dei colleghi, amici e conoscenti della persona morta.

All’inizio della narrazione ci troviamo all’interno della camera da letto del Ramberti. Si mette a sedere sul letto, nel tentativo di respirare più efficacemente. La nostra impressione iniziale è che il Ramberti sia molto malato.

In effetti, il Ramberti sa che la morte è vicina e che non c’è più nulla che possa essere fatto per impedirla. Di conseguenza, inizia a volgersi verso l’interno, rifiutando di lasciare che il suo sguardo si allontanasse oltre i confini del suo letto. Non limita il suo campo visivo per concentrarsi sul sua morte imminente. Piuttosto, vuole evitare di veder i numerosi oggetti nella sua camera da letto, che, a suo parere, susciterebbero rimpianti… cioè, su quale sarebbe stata la sua vita se fosse avuto vissuto più a lungo.

Il ristretto campo visivo di Ramberti è, in qualche modo, confortante, protettivo, riparatore; nota tutto lui, fin nei minimi dettagli, ad es. la luce del sole che illumina i dettagli superficiali del suo scialle.

Raccolto, rimpiccolito entro quel limite angustissimo, si sentiva più sicuro, più riparato, quasi protetto. E, tutt’intento ad avvistar le minime cose, gli esilissimi fili arricciolati e indorati dal sole della calugine di quello scialle,

Il Ramberti tenta d’indovinare quanto tempo rimane. Forse qualche ora? Un giorno invece? O due o tre giorni? O una settimana? Ironia della sorte, mentre il processo del morire sembra precipitare in avanti, per Ramberti, fintanto che la sua visione rimane focalizzata sulle minuzie dei suoi immediati dintorni, il tempo sembra passare lentamente, quasi bloccato. Commenta, in modo malinconico, che se dovesse vivere per un’altra settimana, avrebbe il lusso di sentirsi ‘esausto’.

assaporava la lunghezza del tempo, di tutto il suo tempo, che poteva essere di ore; o forse di qualche altro giorno; di due o di tre giorni; fors’anche – al più – d’una settimana. Ma se un minuto, tra quelle minuzie là, passava così lento, così lento, eh! avrebbe avuto anche il tempo di stancarsi – sì, proprio di stancarsi – in una settimana. Non avrebbe avuto mai fine, così, una settimana!

Perché esausto? Dal suo sforzo di smettere di pensare,

La stanchezza però, che già egli avvertiva, non era a cagione di quell’eternarsi del tempo tra la peluria del suo scialle di lana: era effetto dello sforzo che faceva su se stesso per impedirsi di pensare.

…pensando a cosa, allora? Veniamo a sapere che il Ramberti preferirebbe non concentrarsi sulla sua morte. Invece, la sua stanchezza deriva dal concentrarsi su ciò che accadrà dopola sua morte.

Ma a che voleva pensare, ormai? Alla sua morte? Piuttosto… ecco: poteva darsi a immaginare tutto ciò che sarebbe avvenuto dopo.

L’attenzione del Ramberti è pratica, cioè, si occupa della sequenza di eventi nel periodo immediatamente successivo alla sua morte. Ci sono due vantaggi. Il primo è che un vuoto è riempito, nel senso che il Ramberti ha qualcosa che occuperà / distrarrà la sua mente durante il processo di morte. (Impariamo che il Ramberti non è un uomo religioso e pertanto non può attingere alla sua fede per offrire conforto.) Il secondo è che questo modo di pensare lo tiene ‘vivo’ o ‘presente’ o ‘ancora parte del suo mondo’… l’on. Ramberti ha deciso di ‘tenere a bada’ la sua morte per tutto il più a lungo possibile!

Sì: sarebbe stato un modo anche questo d’impedire che, almeno al suo pensiero smarrito, privo d’ogni conforto di religione, la vita diventasse d’un tratto – fra breve – come niente; un modo di rimanere di qua ancora, per poco, innanzi a gli occhi degli altri, se non più innanzi ai suoi proprii.

Impariamo che il Ramberti considera ciò che accadrà dopo che morirà dal punto di vista d’uno in lutto, cioè, i suoi pensieri sono basati sulle sueprecedenti esperienze… quando era il suo turno di piangere la morte degli altri.

E – coraggiosamente – l’on. Costanzo Ramberti si vide morto, come gli altri lo avrebbero veduto; com’egli aveva veduto tanti altri:

Il Ramberti descrive in modo dettagliato le caratteristiche d’una persona morta: il corpo è rigide e fredde e le loro mani sono come rocce. Lui osserva che il corpo d’una persona morta sembra spesso essere ‘ritirato’ o ‘ridotto a sè’… specificamente, nella sua esperienza, i piedi d’uno morto sembrano spesso troppo piccoli per le scarpe che in precedenza si adattavano bene. Nota anche che, sulla veglia, il corpo d’una persona morta viene spesso ‘composto’, proprio così, quasi come se fosse in preparazione per un ritratto.

morto e duro, lì, su quel letto; coi piedi rattratti nelle scarpine di coppale; cereo in volto e gelido, le mani quasi sassificate; composto e… ma sì, elegante anche, nell’abito nero, tra tanti fiori sparsi lungo la persona e sul guanciale.

 

Il Ramberti si chiede dove sia stata conservata la sua marsina, il vestito che indosserà durante la veglia. Poi si ricorda che si trovano gli abiti in un baule vicino, che anche contiene altri oggetti associati al suo lavoro di ministro del governo.

La marsina doveva esser di là, nel baule; insieme con l’uniforme nuova, lo spadino e la feluca di ministro.

Umoristicamente, il Ramberti si prende tempo di controllare i suoi stessi piedi, che non mostrano alcuna prova d’essersi ridotto! C’è, infatti, altre prove che è vivo… un solletico nello stomaco, la sensazione dei suoi capelli.

Intanto, per far la prova, rattrasse i piedi e se li guatò. Sentì come una vellicazione al ventre; levò una mano e si lisciò sul capo i capelli; poi si strinse la barba rossiccia, spartita sul mento.

L’on. Ramberti immagina come vorrebbe che i suoi capelli guardassero… e questa, spiega, sarà la responsabilità del suo segretario personale, il cavaliere Spigula-Nonnis, che è dalla parte del Ramberti e che è completamente devotoa lui.

Pensò che, morto, gli avrebbe pettinato quella barba e raffilato sul cranio quei pochi peli il suo segretario particolare, cav. Spigula-Nonnis, che da tanti giorni e tante notti lo assisteva, pover’uomo, con devoto affetto, senza lasciarlo solo neanche un momento, struggendosi, a pie del letto, di non potere in alcun modo alleviargli le sofferenze.

Infatti, come notato, a questo punto c’è poco altro chein realtà il Spigula-Nonnis può fare, ma il Ramberti è comunque riconoscente: semplicemente in virtù della sua presenza, il Spigula-Nonnis gli impedisce di cadere nell’aggettivo disperazione e anche conserva la sua dignità.

Ma pure lo ajutava quel cav. Spigula-Nonnis, senza saperlo; lo ajutava a morire con dignità, filosoficamente. Forse, se fosse stato solo, si sarebbe messo a smaniare, a piangere, a gridare con disperata rabbia; col cav. Spigula-Nonnis lì a pie del letto, che lo chiamava «Eccellenza», non fiatava nemmeno: guardava fisso, attento, quasi meravigliato, innanzi a sé, con le labbra sfiorate da un leggero sorriso.

Il Ramberti ammette che la sua morte imminente ha creato un profondo senso di ansia e paura, anche se la sua anima sembra aggrapparsi disperatamente a qualunque tempo ci sia rimasto.

Sì, la presenza di quell’uomo squallido, allampanato, miope, lo teneva per un filo, esilissimo ormai, su la scena, investito della sua parte, fino all’ultimo. L’esilità di questo filo gli esasperava internamente di punto in punto l’angoscia e il terrore, poich’egli non poteva non sentir vano, vano e disperato lo sforzo con cui tutta l’anima sua si aggrappava ad esso,

Poi, inaspettatamente, Ramberti compares one who observes a dead person (ie, at the wake) con qualcuno (un raggazo, forse) che crudelemente osserva la morte d’un insetto.

simile in tutto a quello, cui tante volte aveva assistito con curiosità crudele, di qualche bestiolina agonizzante, d’un insetto caduto nell’acqua, appeso a un bioccolo, a un peluzzo natante.

Quest’osservazione è, allo stesso tempo, affascinante e provocatorio. Ci viene in mente la nostra preoccupazione per la morte, che sembra esser onnipresente, sempre ‘al nostro fianco’… appena al di sotto della nostra coscienza o in prima linea. Qui, il Pirandello sembra voler chiederci: “Perché siamo così ossessionati dalla morte?” e “Cosa rende la morte così avvincente?”

Potrebbe anche voler chiedersi, “Cosa fissa la nostra attenzione quando uccidiamo un insetto?” A volte, di sicuro, potremmo uccidere un insetto perché non ci lascerà in pace oppure abbiamo paura di ciò che potrebbe fare. Ma ad altre volte, forse, potremmo uccidere un insetto perché siamo curiosi, vuol dire perché vogliamo osservare il processo della morte… una ‘practice run’ o un’opportunità per vedere e immaginare cosa deve sentirsi morire.

Ancora una volta, il Ramberti si prende il tempo per onorare il servizio del Spigula-Nonnis, che, con la sua presenza e le sue cure, aiuta a preservare la sua autorità e il suo prestigio, entrambi saranno presto persi per sempre.

Tutte quelle cose, con le quali aveva riempito il vuoto, in cui davanti a gli occhi gli vaneggiava ora la vita, erano impersonate nel cav. Spigula-Nonnis: la sua autorità, il suo prestigio, cose vane che gli venivano meno, che non avevano più pregio, ma che tuttavia sul vuoto che tra poco lo avrebbe inghiottito campeggiavano come larve di sogno, parvenze di vita, che per poco ancora, dopo la sua morte, egli poteva prevedere si sarebbero agitate attorno a lui, attorno al suo letto, attorno alla sua bara.

A questo punto, l’umiltà e la devozione del Spigula-Nonnis ci vengono chiarite. Impariamo anche che, oltre all’assenza di fede, il Ramberti è solo al mondo, senza famiglia: ha solo il suo lavoro, la sua carriera. Finalmente arriviamo a capire che la sua morte è prematura: il Ramberti ha solo 45 anni.

Quel cav. Spigula-Nonnis, dunque, lo avrebbe lavato, vestito e pettinato, amorosamente, ma pur con un certo ribrezzo. Ribrezzo provava anche lui, del resto, pensando che le sue carni, il suo corpo nudo sarebbe stato toccato dalle grosse mani ossute e visto da quell’uomo lì. Ma non aveva altri accanto: nessun parente, né prossimo, né lontano: moriva solo, com’era sempre vissuto; solo, in quell’amena villetta di Castel Gandolfo presa in affitto con la speranza che, dopo due o tre mesi di riposo, si sarebbe rimesso in salute. Aveva appena quarantacinque anni!

Il Spigula-Nonnis spiega che il Ramberti si è quasi letteralmente ucciso in virtù della sua devozione alla sua carriera di politico e ministro del governo. La nostra sensazione è che ci sia riuscito perché è ferocemente competitivo.

Ma s’era ucciso lui, bestialmente, con le sue mani; se l’era troncata lui l’esistenza, a furia di lavoro e di lotta testarda, accanita.

Apprendiamo che il Ramberti soffre d’una malattia cronica (inspiegabile) che era ‘nascosta’ per un certo periodo di tempo (potremmo descrivere questo come un periodo in cui la malattia era ‘subclinica’), ma poi si è espressa. Il Spigula-Nonnis ricorda diversi eventi nella vita di Ramberti quando la malattia doveva essere presente anche se nessuno lo sapesse. Il senso qui è una delle ‘opportunità mancate’: il Spigula-Nonnis sembra chiedersi se la morte di Ramberti avrebbe potuto essere prevenuta se la malattia fosse stata riconosciuta prima.

E quando alla fine era riuscito a strappar la vittoria, aveva la morte dentro, la morte, la morte che gli s’era insinuata da un pezzo nel corpo, di soppiatto. Quand’era andato dal Rea prestare il giuramento; quando, con un’aria di afflitta rassegnazione, ma in cuore tutto ridente, aveva ricevuto le congratulazioni dei colleghi e degli amici, aveva la morte dentro e non lo sapeva.

Veniamo a sapere che la malattia si è manifestata improvvisamente, inaspettatamente e violentemente, come una forma di sincope, mentre il Ramberti stava lavorando.

Due mesi addietro, di sera, essa gli aveva allungato all’improvviso una strizzatina al cuore e lo aveva lasciato boccheggiante, col capo riverso su la sua scrivania di ministro al palazzo dei lavori pubblici.

Impareremo che dopo un episodio di sincope, il Ramberti si ritirò dal servizio pubblico e che affittò una piccola villa in campagna, a Castel Gandolfo, per riprendersi.

Scopriamo che in passato, i giornali italiani avevano messo in scena l’on. Ramberti rispetto alla sua partecipazione agli argomenti politici partigiani del giorno. Era, immaginiamo, una ‘stella’ nascente della politica: giovane, scapolo, aggressivo, animato / motivato… qualcuno che è stato facilmente rieletto come deputato e poi promosso (alcuni avevano detto per favoritismo) al suo attuale posizione di ministro,

Tutti i giornali d’opposizione, che avevano tanto malignato su la sua nomina, qualificandola favoritismo sfacciato del presidente del Consiglio,

…poi, il Ramberti coglie l’occasione per immaginare il suo necrologio… primo, sui giornali che si oppongono a lui: mentre tracciando l’arco della sua carriera, i necrologi sono nonstante elogiativi, e si lamentano di quello che avrebbe potuto esser in grado di realizzare per l’Italia, se avesse vissuto più a lungo; poi nei giornali che sostengono le sue politiche — qui i necrologi considerano la sua morte una tragedia nazionale, cioè, la morte d’uno illustre la cui vita è stata spezzata dalla malattia.

ora, nel dare l’annunzio della sua morte immatura, avrebbero forse tenuto conto de’ suoi meriti, de’ suoi studii lunghi e pazienti, della sua passione costante, unica, assorbente, per la vita pubblica, dello zelo che aveva posto sempre nell’adempimento de’ suoi doveri di deputato prima, di ministro poi, per poco. Eh, sì! Si possono dare di queste consolazioni a uno che se n’è andato: e tanto più poi, in quanto che l’amicizia, la famosa protezione del presidente del Consiglio non erano arrivate fino al punto di concedergli quell’altra di morire almeno da ministro. Subito dopo quella sincope gli s’era lasciato intendere con bella maniera che sarebbe stato opportuno – oh, soltanto per riguardo alla sua salute, non per altro – lasciare il portafoglio.

Cosicché, neanche per i giornali amici del Ministero la sua morte sarebbe stata «un vero lutto nazionale». Ma sarebbe stato a ogni modo per tutti «un illustre estinto»: questo sì, senza dubbio. E tutti avrebbero rimpianto la sua «esistenza innanzi tempo spezzata», che «certamente altri nobili servigi avrebbe potuto rendere ancora alla patria», ecc., ecc.

Quindi, il Ramberti immagina chi verrà a piangerlo. È una lunga e distinta lista di colleghi e amici,

Forse, data la vicinanza e dato il breve tempo trascorso dalla sua uscita dal Ministero, S.E. il presidente del Consiglio e i ministri già suoi colleghi e i sotto-segretarii di Stato e i molti deputati amici sarebbero venuti da Roma a vederlo morto, lì, in quella camera, che il sindaco del paese, per farsi onore, con l’ajuto del cav. Spigula-Nonnis, avrebbe trasformato in cappella ardente, con cassoni di lauro e altre piante e fiori e candelabri.

…ed il Ramberti immagina persino come i dolenti si comporteranno.

Sarebbero entrati tutti a capo scoperto, col presidente del Consiglio in testa; lo avrebbero contemplato un pezzo, muti, costernati, pallidi, con quella curiosità trattenuta dall’orrore istintivo, che tante volte egli stesso aveva provato davanti ad altri morti. Momento solenne e commovente.

– «Povero Ramberti!»

E tutti si sarebbero quindi ritirati di là ad aspettare ch’egli fosse chiuso nella cassa già pronta.

Successivamente, apprendiamo che il Ramberti è nato a Valdana, una piccola città che ha servito per anni come deputato. Immagina che Valdana vorrà ricevere la sua salma in modo che possa essere celebrato e seppellito lì.

Valdana, la sua città natale, Valdana che da quindici anni lo rieleggeva deputato, Valdana per cui aveva fatto tanto, avrebbe certamente voluto le sue spoglie mortali; e il sindaco di Valdana sarebbe accorso con due o tre consiglieri comunali per accompagnare la salma.

Poi il Ramberti passa il tempo a pensare alla sua anima. Crede che l’anima rappresenti il suo carattere, la sua essenza, il suo spirito. Considera che cosa accadrà alla sua anima quando morirà.

L’anima… eh, l’anima, partita da un pezzo, e chi sa dove arrivata…

L’on. Costanzo Ramberti strizzò gli occhi. Volle ricordarsi d’una vecchia definizione dell’anima, che lo aveva molto soddisfatto, quand’era ancora studente di filosofia all’Università: «l’anima è quell’essenza che si rende in noi cosciente di se stessa e delle cose poste fuori di noi». Già! Così… Era la definizione d’un filosofo tedesco.

L’assunto qui è che l’anima ‘esista’, che abbia una funzione. Il Ramberti chiede se l’anima sia un’entità indipendente che occupi il suo corpo mentre è vivo, ma poi, alla sua morte, ‘si muova’. L’alternativa sarebbe che la sua anima sia inestricabilmente legata al suo corpo e la morirà quando morirà lui.

«Quell’essenza?» pensò adesso. «Che vuol dire? Quella certa cosa “che è”, innegabilmente, per la quale io, mentre sono vivo, differisco da me quando sarò morto. È chiaro! Ma questa essenza dentro di me è per se stessa o in quanto io sono? Due casi. Se è per sé, e soltanto dentro di me si rende cosciente di se stessa, fuori di me non avrà più coscienza? E che sarà dunque? Qualche cosa che io non sono, che essa medesima non è, finché mi rimane dentro. Andata fuori, sarà quel che sarà… seppure sarà! Perché c’è l’altro caso: che essa cioè sia in quanto io sono; sicché, dunque, non essendo più io…»

La sua linea di pensiero è interrotta (forse in parte perché non sia in grado di rispondere alla sua domanda!) quando il Ramberti chiede dell’acqua.

– Cavaliere, per favore, un sorso d’acqua…

Il cav. Spigula-Nonnis balzò in piedi quant’era lungo, riscotendosi dal torpore; gli porse l’acqua; gli chiese premuroso:

– Eccellenza, come si sente?

L’on. Costanzo Ramberti bevve due sorsi: poi, restituendo il bicchiere, sorrise pallidamente al suo segretario, richiuse gli occhi, sospirò:

– Così…

Il Ramberti torna quindi alla sua domanda senza risposta, ma rapidamente la abbandona per qualcosa di più pratico, cioè, la disposizione della sua salma. Immagina, con dettagli intricati, che inizialmente il suo corpo verrà spostato dalla sua camera da letto a una bara.

Dov’era arrivato? Doveva partire per Valdana. La salma… Sì, meglio tenersi alla salma soltanto. Ecco: la prendevano per la testa e per i piedi. Nella cassa era già deposto un lenzuolo zuppo d’acqua sublimata, nel quale la salma sarebbe stata avvolta. Poi lo stagnajo… Come si chiamava quello strumento rombante con una livida lingua di fuoco? Ecco la lastra di zinco da saldare su la cassa; ecco il coperchio da avvitare…

È interessante notare che, adesso, la prospettiva di Ramberti cambia. Si immagina d’essere fuori dalla bara… si vede come se fosse un lutto.

A questo punto, l’on. Costanzo Ramberti non vide più se stesso dentro la cassa: rimase fuori e vide la cassa, come gli altri la avrebbero veduta: una bella cassa di castagno, in forma d’urna, levigata, con borchie dorate. I funerali e il trasporto sarebbero stati certamente a spese dello Stato.

Il Ramberti continua ad immaginare che la bara verrà spostata dalla camera da letto a un carro del Municipio in attesa fuori dalla villa,

E la cassa, ecco, era sollevata: attraversava le camere, scendeva stentatamente le scale della villetta, attraversava il giardino, seguita da tutti i colleghi di nuovo a capo scoperto col presidente del Consiglio innanzi a tutti; era introdotta nel carro del Municipio tra la curiosità timorosa e rispettosa di tutta la popolazione accorsa allo spettacolo insolito.

…che la trasporterà alla stazione ferroviaria di Roma; da Roma, la bara sarà trasportata a Valdana,

Qui ancora l’on. Ramberti lasciò cacciar dentro del carro la cassa e rimase fuori a vedere il carro che, accompagnato da tanto popolo, scendeva lentamente, con solennità, dal borgo alla stazione ferroviaria. Un vagone di quelli con la scrittaCavalli 8, Uomini 40,era bell’e pronto, con le assi inchiodate per chiudervi il feretro. L’on. Costanzo Ramberti rivide la propria cassa tratta fuori del carro e la seguì entro il vagone nudo e polveroso, che certamente a Roma sarebbe stato addobbato e parato con tutte le corone che il Re e il Consiglio dei ministri, il Municipio di Valdana e gli amici avrebbero inviato. Partenza!

…dove la salma sarà accordato onori, rispetto, e una scarica di emozioni.

E l’on. Costanzo Ramberti seguì il treno, col suo carro-feretro in coda, per tanta e tanta via, fino alla stazione di Valdana, gremita anch’essa di popolo.

Dal suo punto d’osservazione fuori dalla bara, il Ramberti è in grado di veder il comportamento di alcuni dei suoi amici e collaboratori in Valdana… tra cui il Robertelli, il Tonni e il colonello,

Ecco, a uno a uno, i suoi più fedeli e affezionati amici, consiglieri provinciali e comunali, alcuni un po’ goffi nell’insolito abito nero o col cappello a stajo. Il Robertelli… eh, sì!… lui sì… caro Robertelli… piangeva, si faceva largo…

– Dov’è? dov’è?

Dove poteva essere? Là, nella cassa, caro Robertelli. Eh, uno alla volta…

Ma l’on. Costanzo Ramberti vedeva quella scena, come se egli veramente non fosse dentro la cassa, che pur pesava, sì, sì, pesava e lo dimostravano chiaramente gli uscieri del Municipio in guanti bianchi e livrea, che stentavano a caricarsela sulle spalle.

Vedeva… uh, il Tonni, che ogni volta, poveretto, usciva di casa coi minuti contati dalla moglie ferocemente gelosa – eccolo lì, irrequieto, sbuffava, cavava fuori ogni momento l’orologio, maledicendo al ritardo di un’ora con cui il treno era arrivato, e a cui certo la moglie non avrebbe creduto. Eh, pazienza, caro Tonni, pazienza! Avrai dalla moglie una scenata; ma poi ti rappacificherai. Rimani vivo, tu. All’altro mondo, invece, non si riva due volte. Vorresti per l’amico tuo, che pur ti fece tanti favori, un funerale spiccio spiccio? Lasciaglielo fare con pompa e solennità… Vedi? ecco il signor prefetto… Largo, largo! Uh, c’è anche il colonnello… Ma già! gli toccava anche l’accompagnamento militare.

…così come alcuni scolari.

E c’è anche tutta la scolaresca, con le bandiere dei varii istituti; e quant’altre bandiere di sodalizii! Sì, perché egli veramente pur tutto inteso ai problemi più alti della politica, alle questioni più ardue dell’economia sociale, non aveva mai trascurato gl’interessi particolari del collegio, che di molti beneficii doveva essergli grato a lungo.

Infine, il Ramberti immagina come la città di Valdana commemorerà e celebrerà la sua vita.

E Valdana forse gli avrebbe dimostrato questa gratitudine con qualche ricordo marmoreo nella villa comunale o intitolando dal nome di lui qualche via o qualche piazza; e, intanto, con quelle esequie solenni… Rivide col pensiero la via principale della città tutta imbandierata a mezz’asta:

VIA COSTANZO RAMBERTI

E le finestre gremite di gente in attesa del carro tirato da otto cavalli bardati, coperto di corone; e tanti per via che si mostravano a dito quella del Re, bellissima fra tutte. Il cimitero era laggiù, dietro il colle, fosco e solitario. I cavalli andavano a passo lento, quasi per dargli il tempo di godere di quegli estremi onori che gli si rendevano e che gli prolungavano d’un breve tratto ancora la vita oltre la fine…

A questo punto la narrazione, così come il suo tono, cambia… dalla sequenza idealizzata degli eventi immaginati da Ramberti a ciò che è realmente successo… a dir poco, siamo trattati per una commedia di errori e contrattempi!

II.

Tutto questo l’on. Costanzo Ramberti immaginò alla vigilia della morte. Un po’ per colpa sua, un po’ per colpa d’altri, la realtà non corrispose interamente a quanto egli aveva immaginato.

In primo posto, veniamo a sapere che il Ramberti è morto, nel sonno, durante la notte, cioè, è morto poche ore dopo che gli siamo stati presentati. Il momento preciso della sua morte è sconosciuto. A quanto pare, il Spigula-Nonnis, esausto, si era addormentato inaspettatamente, solo per essere svegliato, alle 4 del mattino; era a questo momento che si rese conto che il Ramberti era morto.

Già morì di notte, non si sa se durante il sonno; certo senza farsi sentire dal cav. Spigula-Nonnis che, vinto dalla stanchezza, s’era profondamente addormentato sulla poltrona a pie del letto. Questo sarebbe stato poco male, in fondo, se il cav. Spigula-Nonnis, svegliandosi di soprassalto verso le quattro del mattino e trovandolo già freddo e duro,

Impariamo che il Spigula-Nonnis era svegliato dal ronzio d’una grande mosca. Dopo aver capito cos’era successo, le sue emozioni erano completamente capovolte… naturalmente, a causa della perdita del Ramberti, ma anche a causa della suo senso che non aveva compiuto il suo dovere: ha lasciato la stanza impreparato per dormire — le finestre non erano coperte adeguatamente — ed era assente al momento della morte (poverino!).

non fosse rimasto straordinariamente impressionato, prima da uno strano ronzio nella camera, poi dalla luna piena, che, nel declinare, pareva si fosse arrestata in cielo a mirare quel morto sul letto, attraverso i vetri della finestra rimasta per inavvertenza con gli scuri aperti. Il ronzio era d’un moscone, a cui egli col suo destarsi improvviso aveva rotto il sonno.

Ora, è l’alba e il sindaco di Castel Gandolfo è convocato. Quello che segue è una conversazione tra il sindaco e il Spigula-Nonnis (sconvoltissimo, poverino!), mentre loro pianificano ciò che dev’essere fatto, il più rapidamente possibile, prima che il rigor mortis diventi stabilito e diventi impossibile vestire la salma.

Quando, all’alba, accorse il sindaco Agostino Migneco, chiamato in fretta in furia dal cameriere, il cav. Spigula-Nonnis:

– C’era la luna… c’era la luna… Non sapeva dir altro.

– La luna? che luna?

– Una luna!… una luna!…

– Va bene, c’era la luna… ma, caro signore, qua bisogna spedire un telegramma d’urgenza a S.E. il presidente della Camera; un altro a S.E. il presidente del Consiglio; un altro al sindaco di… di dov’era deputato Sua Eccellenza?

– Valdana… (Che luna!)

– Lasci stare la luna! Dunque al sindaco di Valdana, si dice: e tre, tutti d’urgenza: per dar l’infausto annunzio alla cittadinanza, mi spiego? a gli elettori… Avrà da fare quel sindaco! Si sbrighi, per carità! Bisognerà fare aprire l’ufficio telegrafico: si faccia accompagnare da una guardia, a nome mio. E poi subito qua! Bisognerà vestirlo al più presto. Vede? il cadavere è già irrigidito.

Per miracolo il cav. Spigula-Nonnis non mise in tutti quei telegrammi, che c’era la luna.

Il sindaco capisce la statura e la reputazione dell’on. Ramberti; intende creare una sala per la veglia spettacolare, ma non è in grado di trovare un artigiano che possa fare il lavoro. Così, prende semplicemente in prestito alcuni oggetti dalla chiesa.

Davvero, per farsi onore, il sindaco Migneco avrebbe voluto metter su una camera ardente da far restare tutti a bocca aperta, col catafalco e ogni cosa. Ma… paesetti; non si trovava nulla; mancavano i bravi operai. Era corso in chiesa per qualche paramento. Tutti damaschi rossi a strisce d’oro. Fossero stati neri! Prese quattro candelabri dorati, roba del mille e uno… Fiori, sì, e piante: fiori per terra, fiori sul Ietto: tutta la camera piena.

Poi la marsina del Ramberti: il Spigula-Nonnis, ancora visibilmente turbato, non riesce a trovarla nel baule, come previsto, e va a Roma per cercarla. Il viaggio non è necessario: la marsina era nel baule per tutto il tempo.

La marsina intanto non si trovò, nel baule, e il cav. Spigula-Nonnis fu costretto a correre a Roma, nel quartierino in via Ludovisi; ma non la trovò neanche là: era nel baule, era, giù in fondo. Se aveva proprio perduto la testa quel pover’uomo! Oh, affezionatissimo… Lagrime a fontana.

Poi, mentre la salma viene vestito, la marsina è strappata,

Ma la marsina si dovette spaccare in due, di dietro (peccato, nuova nuova!) perché le braccia del cadavere non si movevano più.

…e poi la salma dev’essere spogliato: il viaggio a Valdana è confermato e il cadavere dovrebb’esser imbalsamato prima di viaggiare,

E, appena vestito, sissignori, si dovette rispogliare e poi rivestire daccapo, perché dal Municipio di Valdana (questo sì, come l’on. Costanzo Ramberti aveva immaginato) giunse un telegramma d’urgenza, nel quale si annunziava che la cittadinanza addoloratissima con voto unanime reclamava la salma del suo illustre rappresentante per onorarla con esequie solenni: monumento… anche un monumento! cose grandi, e sì, proprio una piazza, quella della Posta, ribattezzata col nome di lui –

…ma la procedura di imbalsamazione è orribilmente pasticciata, tale che la faccia del Ramberti ora dev’essere coperta (nascosta alla vista).

e un medico arrivò a Roma per praticare al cadavere alcune iniezioni di formalina, diceva; «sformalina» avrebbe detto invece il sindaco Migneco, col dovuto rispetto, perché, dopo quelle iniezioni… – oh, il volto cereo, l’eleganza con cui si era rappresentato da morto l’on. Costanzo Ramberti! – Un faccione così gli fecero, senza più né naso, né guance, né collo, né nulla; una palla di sego, ecco. Tanto che si pensò di nascondergli il volto con un fazzoletto.

Adesso, è il giorno dopo. Un gruppo di politici, che sono stati informati dal telegramma della morte del Ramberti, viaggiano da Roma a Castel Gandolfo.

Molti più deputati amici, di quanto l’on. Costanzo Ramberti sapesse d’averne, accorsero la mattina seguente a Castel Gandolfo, insieme coi presidenti della Camera e del Consiglio e i ministri e i sotto-segretarii di Stato. Vennero anche alcuni senatori, tra i meno vecchi, e una frotta di giornalisti e anche due fotografi.

È una bellissima giornata, ei politici sembrano comprendere rapidamente che il viaggio è un’opportunità per sfuggire agli ‘orrori’ provocati dall’uomo del loro lavoro — cioe, gli ostacoli, la competizione, i compromessi, le sfide etiche, la tenuità, le ambiguità morali associate con la politica. Immergersi loro nella semplicità, nell’ordine e nella meraviglia della natura! Gli uomini non possono aiutare se stessi… sono liberi! sono frastornati / intontiti / frivoli! Sono festivi! e l’ultima cosa che hanno in mente è la veglia del Ramberti.

Era una splendida giornata.

A gente oppressa da tanti gravi problemi sociali, intristita da tante brighe quotidiane, doveva certo far l’effetto d’una festa quel tuffo nell’azzurro, la vista deliziosa della campagna rinverdita, dei Castelli romani solatìi, del lago e dei boschi in quell’aria ancora un po’ frizzante, ma nella quale si presentiva già l’alito della primavera. Non lo dicevano; si mostravano anzi compunti, ed erano forse; ma per il segreto rammarico d’aver consumato e di consumare tuttavia in lotte vane e meschine l’esistenza così breve, così poco sicura, e che pur sentivano cara, lì, in quella fresca, ariosa apparizione incantevole.

A questo punto, simile al ragazzino che tortura un insetto perché sia curioso, i politici sembrano volgersi verso l’interno e provino un’emozione profondamente ambigua: un collega è morto prematuramente, e invece di piangere semplicemente la perdita, dicano a se stessi: “There but for the grace of God go I.”

Un certo conforto veniva loro dal pensiero che essi ne potevano godere ancora, pur fuggevolmente, mentre quel loro compagno, no.

Ancora una volta, il Pirandello sembra voler incitarci ad esaminare i nostri atteggiamenti nei confronti della morte. I politici, simili a ciò che il Ramberti ci ha detto all’inizio della novella, sembrano voler considerare la veglia come una ‘test run’ per dopo, cioè, il giorno in cui, inevitabilmente, sperimentano la morte.

E così confortati, in fatti, a poco a poco, durante il breve tragitto cominciarono a conversare lietamente, a ridere, grati a quei cinque o sei più sinceri, che per i primi avevano rotto l’aria di compunzione con qualche frizzo e ora seguitavano a far da buffoni.

È interessante notare che, dopo l’auto riflessione, i politici si permettono d’esser un po’ più calcolatori. Per la maggior parte di loro, il viaggio diventa una cosa ‘politica’, un ‘career move’… anzi, molti di loro hanno considerato il Ramberti come il loro avversario. Alla fine, il calcolo sembra condurre a una ‘ricalibrazione’ delle loro emozioni.

Pure, di tratto in tratto, come se dagli usciolini delle vetture intercomunicanti si affacciasse la testa di Costanzo Ramberti, le conversazioni gaje e le risate cadevano; e avvertivano tutti quasi uno smarrimento, un disagio impiccioso, segnatamente coloro che non avevano proprio alcuna ragione di trovarsi lì, tranne quella di fare una gita in larga compagnia, notoriamente avversarii del Ramberti o denigratori di lui in segreto. Avvertivano costoro che la loro presenza violentava qualche cosa. Che cosa? l’aspettazione del morto, l’aspettazione d’uno che non poteva più protestare e cacciarli via, svergognandoli?

Ma era, sì o no, una visita funebre, quella?

Se era, via! un morto non si va a visitarlo così, chiacchierando allegramente e ridendo.

Tutti quei colleghi là, amici e non amici, ignoravano la rappresentazione che il povero Ramberti si era fatta, alla vigilia della morte, di quella loro visita, naturalmente secondo il carattere che essa avrebbe dovuto avere, di tristezza, di rimpianto, di commiserazione per lui. La ignoravano; e tuttavia, per il solo fatto che essa ora si effettuava, non potevano non avvertire di tratto in tratto, che era sconveniente il modo con cui si effettuava; e i non amici non potevano non avvertire che essi vi erano di più, e che commettevano una violenza.

È interessante notare che l’umore dei politici cambia quando arrivano a Castel Gandolfo… la gravità della situazione sembra dare un’impressione, ma si rendono anche conto che ora devono ‘esibirsi’ in maniera accettabile.

Appena scesi alla stazione di Castel Gandolfo tutti però si ricomposero, riassunsero l’aria grave e compunta, si vestirono della solennità del momento luttuoso, dell’importanza che dava loro la folla rispettosa, accorsa per assistere all’arrivo.

Una processione si dirige verso la villa dov’è il Ramberti,

Guidati dal sindaco Migneco e dai consiglieri comunali, affocati in volto, tutti in sudore, coi polsini che scappavan fuori dalle maniche e il giro delle cravatte dai colletti, ministri e deputati si recarono a piedi, in colonna, coi due presidenti in testa, fra due ali e un codazzo enorme di popolo, alla villa del Ramberti.

Il fasto e le circostanze della veglia sono in realtà molto più grandi di quanto Ramberti avesse immaginato!

Quest’arrivo, questa entrata nel paese imbandierato a lutto, questo corteo, furono realmente di gran lunga superiori a quanto il Ramberti aveva immaginato.

E poi… e poi…

Il silenzio e la solennità sono frantumati da un rombo proveniente dal cadavere!

Se non che, proprio nel momento più solenne, allorché il presidente della Camera e quello del Consiglio con tutti i ministri e i sotto-segretarii e i deputati e la folla dei curiosi entrarono nella camera ardente, a capo scoperto, accadde una cosa che l’on. Ramberti non si sarebbe potuto mai immaginare: una cosa orribile, nel silenzio quasi sacro di quella scena: un improvviso borboglio lugubre, squacquerato, nel ventre del cadavere, che intronò e atterrì tutti gli astanti. Che era stato?

Digestio post mortem,– sospirò, dignitosamente in latino, uno di essi, ch’era medico, appena potè rimettersi un po’ di fiato in corpo.

…che risulta esser più che un po’ sconvolgente.

E tutti gli altri guatarono sconcertati il cadavere, che pareva si fosse coperto il volto col fazzoletto, per fare, senza vergogna, una tal cosa in faccia alle supreme autorità della nazione. E uscirono, gravemente accigliati, dalla camera ardente.

Passano tre ore. I dolenti, insieme con il Spigula-Nonnis e la salma del Ramberti, arrivano alla stazione ferroviaria di Roma. Il Spigula-Nonnis è perplesso, deluso e rattristato dalla noncuranza / indifferenza dei politici mentre partono dal treno. È importante riconoscere, tuttavia, che loro sono a Roma! L’imperativo di concentrarsi sul proprio lavoro è tornato!

Quando, tre ore dopo, alla stazione di Roma, il cav. Spigula-Nonnis, vide con infinita tristezza allontanarsi tutti coloro che erano venuti a Castel Gandolfo, senza volgere nemmeno uno sguardo, un ultimo sguardo d’addio al carro, ove S.E. l’on. Ramberti era chiuso, ebbe l’impressione d’un tradimento. Era tutto finito così?

Il Spigula-Nonnis, poverino, rimane con il carro-feretro del Ramberti mentre viene spostato sul posto per il viaggio verso la Valdana.

E restò, lui solo, nell’incerto, afflitto lume del giorno morente, sotto l’alto, immenso lucernario affumicato, a seguire con gli occhi le manovre del treno, che si scomponeva. Dopo molte evoluzioni su per le linee intricate, vide alla fine quel carro lasciato in capo a un binario, in fondo, accanto a un altro, su cui già era incollato un cartellino con la scritta Feretro.

Il carro con il cadavere di Ramberti è segnato come un carro-feretro.

Un vecchio facchino della stazione, mezzo sciancato e asmatico, venne col pentolino della colla ad attaccare anche sul carro dell’on. Ramberti lo stesso cartellino, e se ne andò. Il cav. Spigula-Nonnis si accostò per leggerlo con gli occhi miopi: lesse più su: «Cavalli 8, Uomini 40» e scrollò il capo e sospirò. Stette ancora un pezzo, un lungo pezzo a contemplare quei due carriferetro lì accanto.

A quanto pare, c’è anche un altro carro-feretro, che porta la salma d’un prete che viaggerà in Abruzzo. Il Spigula-Nonnis prende conforto dal fatto che i due morti sono vicini l’uno all’altro. Immagina loro di essere in grado di ‘condividere la notte’, prima dei loro rispettivi viaggi, il giorno dopo.

Due morti, due già andati, che dovevano ancora viaggiare!

E sarebbero rimasti lì, soli, quella notte, tra il frastuono dei treni in arrivo e in partenza, tra l’andar frettoloso dei viaggiatori notturni; lì stesi, immobili, nel bujo delle loro casse, fra il tramenio incessante d’una stazione ferroviaria. Addio! addio!

Il Spigula-Nonnis lascia la stazione ferroviaria. Sulla strada di casa acquista diversi giornali serali, ed è abbastanza contento di vedere che la morte di Ramberti ha catturato l’attenzione dell’Italia.

E anche lui, il cav. Spigula-Nonnis, se ne andò. Se ne andò angosciato. Per via però, comperati i giornali della sera, si riconfortò nel vedere le lunghe necrologie, che tutti recavano in prima pagina, col ritratto dell’illustre estinto in mezzo.

A casa, il Spigula-Nonnis legge attentamente gli necrologi, ed è sorpreso e felice di trovare menzione del suo nome, anche se è scritto male. Copie di questi documenti saranno inviate ai membri della sua famiglia, con l’errore ortografico corretto a mano.

A casa, s’immerse nella lettura di esse, e si commosse molto al cenno, che uno di quei giornali faceva, delle cure, dell’amorosa assistenza, della devozione, di cui egli, il cav. Spigula-Nonnis, aveva circondato in quegli ultimi mesi l’on. Costanzo Ramberti.

Peccato che il Nonnis del suo cognome fosse stampato con un’«enne» sola!

Ma si capiva ch’era lui.

Rilesse quel cenno, a dir poco, una ventina di volte; e, ridisceso su la via, per recarsi a cenare alla solita pensione, volle prima di tutto comperare in un’edicola altre dieci copie di quel giornale, per mandarle a Novara, il giorno appresso, ai parenti, a gli amici, con l’«enne» aggiunta, s’intende, e il passo segnato con un tratto di lapis turchino.

Nei giornali l’elogio per il Ramberti è effusivo! così come i telegrammi di Valdana, che indicano lo scopo della commemorazione che è in programma!

Grandi elogi, grandi elogi facevano tutti dell’on. Costanzo Ramberti: il compianto era unanime, e debitamente erano messi in rilievo i meriti, lo zelo, l’onestà. Tutto, come l’on. Costanzo Ramberti s’era figurato. c’era «l’esistenza innanzi tempo spezzata» e c’erano «i grandi servigi che certamente egli avrebbe potuto rendere ancora alla patria». E i telegrammi di Valdana parlavano della profonda costernazione della cittadinanza al ferale annunzio, delle straordinarie, indimenticabili onoranze che la città natale avrebbe fatto al suo Grande Figlio, e annunziavano che già il sindaco, una rappresentanza del Consiglio comunale e altri egregi cittadini, devoti amici dell’illustre estinto, erano partiti alla volta di Roma per scortare il cadavere.

Prima di addormentarsi, i pensieri di Spigula-Nonnis si rivolgono nuovamente alle due salme alla stazione…

Rincasando verso la mezzanotte, nel silenzio delle vie deserte, vegliate lugubremente dai lampioni, il cav. Spigula-Nonnis ripensò ai due carri-feretro là in capo a un binario della stazione, in attesa. Se quei due morti avessero potuto farsi compagnia, conversando tra loro, per ingannare il tempo! Sorrise mestamente, a questo pensiero, il cav. Spigula-Nonnis. Chi sa chi era quell’altro, e dove sarebbe andato a finire… Stava lì, quella notte, senza alcun sospetto dell’onore che gli toccava, d’avere accanto uno che riempiva di sé, in quel momento, tutti i giornali d’Italia, e che il giorno appresso avrebbe avuto accoglienze trionfali da tutta una città che lo piangeva.

…ma, cos’altro potrebbe andare male, eh?

Ebbene i carri-feretri vengono cambiati… la salma del Ramberti viene inviato all’Abruzzo, quella del prete viene inviato a Valdana!

Poteva mai passare per il capo al cav. Spigula-Nonnis, che il carro-feretro dell’on. Costanzo Ramberti, verso le due, da alcuni ferrovieri cascanti a pezzi dal sonno dovesse essere agganciato al treno che partiva in quell’ora per l’Abruzzo, e che l’illustre estinto dovesse così essere sottratto alle accoglienze trionfali, alle onoranze solenni della sua città natale?

In una digressione mozzafiata, il Pirandello osserva che un errore del genere non è così sorprendente… soprattutto per l’on. Ramberti, che era ben consapevole della propensione all’errore da parte del sistema ferroviario!

Ma l’on. Costanzo Ramberti, uomo politico, già salito al potere, addentro perciò «nelle segrete cose», l’on. Costanzo Ramberti che conosceva tutte le magagne del servizio ferroviario, avrebbe potuto prevedere facilmente un simile tradimento. Dati due carri-feretro in attesa in una stazione di tanto traffico, niente di più facile e di più ovvio, che uno fosse spedito al destino dell’altro, e viceversa.

Il carro-feretro che porta il cadavere del Ramberti è tutt’altroche elegante.

Chiuso, inchiodato lì nel suo carro, ora, egli non potè protestare contro quello scambio indegno, allo strappo che sei facchini bestiali facevano in quel momento di tutte le gramaglie, di cui la sua Valdana si parava quella notte, per accoglierlo solennemente il giorno appresso. E in coda a quel treno che partiva per l’Abruzzo, quasi vuoto, e che, coi freni logori, finiva di sconquassare le povere, vecchie, sporche vetture di cui era composto, gli toccò a viaggiare per tutto il resto della notte, via lentamente, via lugubremente, verso la destinazione di quell’altro morto, ch’era un giovine seminarista di Avezzano, per nome Feliciangiolo Scanalino.

Naturalmente, il carro-feretro di questo, la mattina dopo, fu adornato con magnificenza, sotto la vigilanza dello stesso capo della casa di pompe funebri, che si era assunto l’incarico del funerale a spese dello Stato. Paramenti ricchissimi di velluto con frange d’argento, a padiglione, e veli e nastri e palme! Sul feretro, coperto da una splendida coltre, la sola corona del Re; ai due lati, quelle dei presidenti della Camera e del Consiglio dei ministri. Circa una settantina di altre corone furono allogate nel carro appresso.

Sono le 8:30 della mattina. I treni partono prima che qualcuno realizzi l’errore.

E alle ore otto e mezzo precise innanzi a gli occhi ammirati d’una vera folla d’amici dell’on. Costanzo Ramberti, Feliciangiolo Scanalino partì verso le onoranze solenni di Valdana.

Sono le 3 del pomeriggio. Il treno con la salma del prete arriva a Valdana a un’enormissime effusione di emozioni. Tuttavia, il sindaco è allertato da un telegramma urgente da Roma, che spiega l’errore. Il sindaco è senza parole, perso.

Quando, verso le tre del pomeriggio, il treno arrivò alla stazione di Valdana, rigurgitante di popolo commosso, il sindaco, che aveva accompagnato la salma con la rappresentanza comunale, fu chiamato misteriosamente in disparte, nella sala del telegrafo, dal capo-stazione, che tremava tutto, pallidissimo. Era arrivato dalla stazione di Roma un telegramma, che avvertiva in gran segreto dello scambio dei vagoni mortuarii. La salma dell’on. Ramberti si trovava alla stazione d’Avezzano.

Il sindaco di Valdana restò come basito.

Viene offerta una soluzione… perché non semplicemente fingere che l’urna in Valdana porti la salma del Ramberti?

E come si faceva adesso con tutto il popolo lì in attesa? con la città parata?

– Commendatore, – suggerì sottovoce il capostazione, ponendosi una mano sul petto, – lo so io solo e il telegrafista, qua; anche a Roma e ad Avezzano, il capo-stazione e il telegrafista. Commendatore, è interesse nostro, dell’Amministrazione ferroviaria, tener segreta la cosa. Si affidi!

Non essendoci altra scelta, questa soluzione è stata accolta,

Che altro si poteva fare in un frangente come quello? E l’innocente seminarista Feliciangiolo Scanalino ebbe le accoglienze trionfali della città di Valdana, nel carro funebre che pareva una montagna di fiori, tirato da otto cavalli; ebbe la corona del Re; ebbe l’elogio funebre del sindaco, ebbe l’accompagnamento di tutto un popolo fino al cimitero.

…e qualche giorno dopo, nel buio della notte, l’errore è stato corretto!

L’on. Costanzo Ramberti viaggiava frattanto, da Avezzano, nel carro nudo e polveroso Cavalli 8, Uomini 40, senza un fiore, senza un nastro: povera spoglia rimandata via, sballottata fuori di strada, per luoghi così lontani dal suo destino.

Arrivò di notte alla stazione di Valdana. Il solo sindaco e quattro fidati beccamorti erano ad aspettarla alla stazione, e zitti zitti, col passo dei ladri che sottraggono alla vista dei doganieri un contrabbando, su e giù per viottoli di campagna stenebrati a malapena da un lanternino, se la portarono al camposanto e la seppellirono, traendo un gran sospiro di sollievo.

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