Riassunto: Gioventù

 

Gioventù (L. Pirandello) è una storia lirica su un ricordo di amore e di tragedia. Gli eventi in questo caso hanno avuto luogo decenni e decenni prima dell’inizio della novella, ma questo non sembra importare.. come vedremo, i ricordi degli eventi hanno ancora rimasti freschi, vividi e potenti.

È una cosa curiosa, non siete d’accordo, la nostra capacità di ricordare gli eventi precedenti delle nostre vite? Sembra ragionevole pensare che la memoria, in contrasto con l’istinto, sia una delle cose che ci rende straordinariamente umani. Incredibilmente, ci sono prove che in realtà registriamo e archiviamo ognievento nelle nostre vite. Se questo è vero, ‘memoria’ sembra coinvolgere la nostra capacità di recuperare parti dei dati che sono stati memorizzati nell’archivio. Allora… concordereste anche con noi che la capacità di ‘assaporare’ i ricordi degli eventi passati nelle nostre vite — sia positivi che negativi — arricchisce la nostra esistenza?

***

Abbandonata tra i guanciali dentro quell’antico seggiolone di cuojo, che don Buti, il parroco, aveva voluto per forza mandarle dalla casa parrocchiale –(«c’a preuva, la signora, e a vëdràs’a farà nen‘lmiracöld’fela guarì»)– la linda vecchina inferma, ancora tanto bella con quei candidi capelli ondulati sotto la cuffia di merletti fini, guardava i prati verdi che si stendevano davanti alla villa, limitati qua e là da alte file di esili pioppi.

All’inizio di Gioventu, ci viene presentato la signora Velia, la protagonista: scopriamo che lei è una vecchia e in cattive condizioni di salute. Nella scena d’apertura, la signora Velia è nella sua chiesa parrocchiale (dove potrebbe effettivamente vivere), e lei ha appena subito un episodio acuto d’insufficienza cardiaca. (Non conosciamo la causa della cardiopatia, anche se è sottinteso che il suo cuore si sia semplicemente consumato a causa della vecchiaia.) Il parroco, don Buti, le ha fornito uno spazio in modo che possa riposare, cioè, in una stanza con una finestra che si affaccia sulla campagna circostante.

La storia si svolge a Cargiore, un paese in piemonte situato a nord di Torino.Ci viene spiegato che la signora Velia è molto amata ed ammirata a Cargiore e che l’intera città è preoccupata perché di recente la sua salute sembra aver preso una svolta per il peggio. Veniamo a sapere che la signora Velia è nata e cresciuta a Cargiore… scopriamo anche che anni fa, durante la sua giovinezza, la vita della signora era interrotta inaspettatamente da un signor Mascetti, uomo ricco di Torino e più vecchio di lei, che era in villeggiatura a Cargiore. Ci viene spiegato che il signor Mascetti si è innamorato di lei, e l’ha costretta a sposarlo ea lasciare Cargiore e vivere con lui a Torino. Poi, tuttavia, è morto il signor Mascetti dopo soli quattro anni di matrimonio, e, poco dopo la sua morte, la signora Velia ha lasciato Torino ed è ritornata a Cargiore — adesso come una vedova con una fortuna considerevole. Al suo ritorno, ha iniziato la signora Velia una vita di filantropia che si è concentrata quasi esclusivamente sui progetti legati alle persone / istituzioni di Cargiore. Scopriamo che la sua generosità ha continuato senza sosta fino al presente.

Tutta Cargiore era in ansia e in pena per la malattia di lei. I ragazzi raccolti nell’Asilo d’Infanzia,fatto costruire e mantenuto a sue spese, recitavano, poveri piccini, mattina e sera, una elaborata preghiera composta da don Buti per la sua guarigione. Nella farmacia (che era insieme droghiera e ufficio postale) dell’arcignomonsüGrattarola, tutti ricordavano che la signoraMascetti, nata a Cargiore, maritata per forza a un ricco signore di Torino che se n’era innamorato durante una villeggiatura estiva lassù, dopo quattro anni, rimasta vedova, aveva lasciato il bel palazzo della Capitale e se n’era tornata a Cargiore, per beneficare i suoi compaesani con le vistose sostanze ereditate dal marito.

Successivamente, apprendiamo due teorie per spiegare la ragione per cui la signora Velia abbia scelto di lasciare una vita a Torino, che immaginamo fosse raffinata / opulenta, e di tornare a Cargiore. La prima teoria, che nessuno sembra prendere sul serio, è che la signora Velia sia fuggita dai parenti del Mascetti che erano crudeli con lei… (es.) veniamo a sapere che essenzialmente loro hanno ‘rapito’ suo figlio in modo che sarebbe cresciuto in modo coerente con gli standard dei Mascetti. In contrasto, la seconda teoria è che la signora Velia sia stata attratta da Cargiore dai ricordi degli eventi che circondano il suo matrimonio. Ci viene spiegato che all’epoca dell’arrivo a Cargiore il signor Mascetti, la signora Velia era innamorata d’un altro — il Martino Prever — e che, dopo il matrimonio forzato, lui si e suicidato. Veniamo a sapere che Martino Prever era sepolto a Cargiore.

Solo monsü Grattarola faceva da contrabasso a quelle sviolinate patetiche con certi duri e profondi grugniti; ma nessuno gli badava. Sosteneva egli solo che la ragione del ritorno della Mascetti a Cargiore doveva cercarsi nell’ostilità implacabile dei parenti del marito, i quali le avevano finanche tolto il figliuolo, per educarlo a modo loro: il figliuolo che ora, nientemeno, era addetto d’ambasciata a Vienna. I più vecchi gli opponevano che la ragione era un’altra, più antica: l’avversione di Velia per Torino(Velia:la chiamavano così, loro, senz’altro) dopo le nozze contratte per forza, che erano state cagione della morte violenta di Martino Prever che s’era ucciso per lei, povero figliuolo; o piuttosto, per la crudeltà dei parenti di lei; ed era sepolto a Cargiore.

(Possiamo solo immaginare quanto siano stati complicati i ricordi della signora Velia… pensiamo che lei debba avere diverse emozioni contrastanti come amore, tenerezza, rabbia, risentimento, rimpianto e tristezza.)

Anche se non capiamo in modo molto dettagliato gli eventi che circondano il matrimonio, è chiaro che nessuno a Cargiore crede che la signora Velia fosse responsabile del suicidio di Martino Prever. Si è detto infatti che i parenti del Prever l’abbia protettadopoil suo ritorno a Cargiore.

E così si spiegava la protezione della Mascetti per la famiglia Prever

In particolare, i bisogni della signora Velia sono stati serviti da un giovanotto, anche lui chiamato Martino Prever… lui è il pronipote dell’uomo che si è suicidato, e andando avanti, ci riferiremo a questo come ‘il Prever’.

e specialmente per il giovane Martino, pronipote di quell’altro. Era in mano dei Prever, ora, quella cara Velia. E il giovane Martino, mentr’ella se ne stava sul seggiolone del parroco a guardare i prati attraverso i vetri della finestra, era di là, nella stanza attigua, a rifarsi un po’ delle veglie durate.

La stanza della signora Velia è scarsamente arredata. Adesso è la sera e c’è una luna piena che illumina brillantemente la campagna. La signora Velia rimane seduta, mentre un’infermiera, Marietta, sta alla finestra, pietrificata / folgorata dalla bellezza della campagna illuminata.

Tranne un lampadino votivo su una mensoletta davanti a un antico Crocifisso d’avorio, nessun lume ardeva nella camera dell’inferma arredata con squisita semplicità e rara gentilezza. Ma il plenilunio la inalbava dolcemente.

Dietro la tenda della finestra, con la fronte appoggiata ai vetri, anche la infermiera guardava fuori.

– Che luna! – sospirò, a un tratto, nel silenzio. – Pare che raggiorni!

Anche se è seduta, la signora Velia esprime un desiderio di sperimentare il più possibile la campagna sotto la luna piena, ed implora Marietta d’aprire la finestra. Marietta esita a causa d’una preoccupazione che la signora Velia non tolleri l’aria notturna. (Arriviamo a capire che poche ore prima, dopo l’episodio acuto, la signora Velia è stata visitata dal medico locale, il dottor Allais, che ha somministrato un farmaco per sostenere il suo cuore fallito. Impariamo che dopo l’iniezione, si sentiva meglio, e adesso la signora Velia usa il suo trattamento per sostenere che sarà in grado di tollerare l’aria notturna.)

– Se aprissi un tantino, Marietta? Un tantino! – pregò la signora Velia, con voce carezzevole. – Non mi potrà far male.

– E il signor dottore? – domandò Marietta. – Che dirà il signor dottore? Sa lei che abbiamo già la neve su Roccia Vré?

– Un tantino! – insistè la padrona. – Vedi? respiro così calma.

Alla fine Marietta ha acconsentito, e la finestra si è aperta a metà strada.

Marietta aprì uno spiraglio, dapprima: poi, a poco a poco, per le insistenze dell’inferma, la mezza imposta.

Sebbene sia descritta la bellezza inebriante della campagna illuminata,

Ah che incanto! che pace! Pareva che la luna inondasse di luminoso silenzio quei prati: d’un silenzio attonito e pur tutto pieno di fremiti. Erano sottili, acuti fritinnii di grilli, risi di rivoli giù per le zane.

…ma la signora Velia sembra sperimentare un misto di emozioni… forse, da una parte, perché lei ‘sa’, in qualche modo, che la morte sia vicina o forse, d’altro canto, perché la campagna illuminata l’ha spinta a ricordare una serata prima, molti anni fa, condivisa con Martino Prever.

Per Marietta, l’incanto di quella notte era tutto lì, presente; ma alla vecchina, guardando assorta, pareva che quel silenzio sprofondasse nel tempo, e altre notti pensava, remote, simili a questa, vegliate dalla luna; e tutta quella pace fascinosa assumeva a gli occhi di lei quasi un senso arcano, che la forzava al pianto.

Adesso che è aperto, la finestra aperta sembra rivelare molti dei suoni della campagna, alcuni dei quali non sono familiari,

Veniva da lontano, continuo, profondo, come un cupo ammonimento, il borboglio del Sangone nella valle, e di qua presso un rumore, di tratto in tratto, che la inferma non riusciva a spiegarsi.

– Che stride così, Marietta?

– Un contadino, – rispose questa lietamente, affacciata alla finestra, nell’aria chiara. – Falcia il suo fieno, sotto la luna. Sta a raffilare la falce.

…ed altri sì, compreso un coro delle donne che cantano in un paese vicino.

Poco dopo, da un lontano ceppo di case del villaggio tutto sparso a gruppi su quel pianoro tra le prealpi, giunse dolcissimo un coro di donne.

– Cantano a Rufinera, – annunziò Marietta.

Marietta, che continua a meravigliarsi per le immagini ei suoni della serata, non riesce a notare come, inaspettatamente, la condizione della signora prende una svolta in peggio. Quando la gravità della situazione diventa evidente, Marietta chiude subito la finestra — si incolpa per quello che è successo — e chiama il Prever per chiedere aiuto.

Ma la inferma aveva reclinato il capo, soffocata dall’interna commozione. Marietta non se ne accorse: rimase a contemplare estatica lo spettacolo del plenilunio e ad ascoltare il canto lontano. A un tratto si scosse, di soprassalto. La padrona rantolava. Spaventata, richiuse subito l’imposta; si chinò su l’inferma, le sollevò il capo, la chiamò più volte, invano; si smarrì, corse a chiamare ajuto nella stanza accanto.

– Signor Martino, signor Martino!

E Marietta scosse violentemente il giovanotto che stava a dormire sul canapè troppo piccolo per lui.

– Ah che stupida sono stata! Venga! Venga! Le avrà fatto male l’aria della notte! – smaniava Marietta, mentre il giovanotto stentava a riprendere coscienza.

Marietta è costretta a svegliare il Prever dal sonno, poi i due rientrano nella stanza della signora Velia; in questo momento lei è incosciente ma ancora viva. I due riescono a far tornare la signora nella sua camera da letto, e poi il Prever viene mandato a chiamare il dottor Allais.

Afferrò il lume che ardeva in quella stanza e rientrò nella camera dell’inferma, seguita dal signor Martino.

– M’ajuti! M’ajuti! Bisogna rimetterla a letto. Non c’è voluta stare, ed ecco le conseguenze!

– Zia Velia! zia Velia! – chiamava intanto il giovanotto con voce grossa, ancora insonnolito.

– Che chiama? non vede che non sente? – gli gridò Marietta, spazientita. –

M’ajuti a rimetterla a letto, e corra per il medico. Ma si svegli, eh? se no, di qui a che lei va e torna col medico, la povera signora… ah Dio, non sia mai!

– Muore? – domandò il signor Martino, avvertendo finalmente il rantolo. Ajutò l’infermiera a rimettere a letto quell’esile corpo abbandonato e scappò per il medico, che abitava nella frazione di Ruadamonte.

Mentre il Prever si precipita a casa del dottor Allais, apprendiamo che il suo rapporto con la signora Velia è inquieto: sembra che lei non apprezzi il suo aiuto né lo rispetti come una persona. La fonte dell’antipatia della signora è un mistero: non è chiaro, per esempio, se il Prever sia inetto o semplicemente non sia interessato.

– Che luna! – esclamò anche lui, appena fuori.

Meno male; con tutto quel lume, avrebbe potuto correre più speditamente per i difficili sentieri tra i prati. Ma non se l’aspettava, Dio santo, d’essere svegliato così, sul più bello. Povera zia Velia! Tutta la giornata era stata meglio, proprio meglio. Con le malattie di cuore, però, e a quell’età, da un momento all’altro… eh, non si sa mai! Se n’affliggeva tanto, lui, il signor Martino, ma tuttavia non poteva fare a meno di pensare che da troppo tempo ormai si studiava di non dar mai causa a quella vecchina, che avesse a lamentarsi di lui, e gli veniva di tirare dal fondo dei polmoni un respiro di sollievo. Non lo tirava perché, subito dopo, avrebbe sentito la puntura d’un rimorso.

(Notiamo che il Prever si riferisce alla signora Velia come sua ‘zia’. Ci chediamo se il Prever potrebb’esser stato effettivamente assegnato questo compito dai suoi genitori, in parte nel tentativo d’ottenere il favore della signora e che il suo uso d’una tenerezza fa parte di questo sforzo.)

A questo punto i pensieri di Prever si rivolgono al dottor Allais, anche se lui continua a preoccuparsi della salute della signora Velia.

Intanto pensava al medico che si sarebbe certo seccato di quella chiamata notturna. Ma che poteva farci lui? Non poteva certo assumersi la responsabilità di sospendere quelle iniezioni che tenevano artificialmente in vita l’inferma, ora che il figlio da Vienna aveva telegrafato l’annunzio della sua partenza. Chi sa se avrebbe fatto a tempo, però… Meglio, forse… eh sì, meglio non…

– Auff! – sbuffò, a questo punto, il signor Martino, combattuto, interrompendo le amare riflessioni.

Mentre andava a casa del dottore, il Prever passa davanti al cimitero dove è piazzata la tomba dei Prever. Il suo prozio è sepolto lì, e apprendiamo che la signora Velia ha un terreno sepolcrale nelle vicinanze.

Passava davanti al camposanto. Intravide, per una delle finestre ferrate, aperte lungo il muro di cinta, la tomba gentilizia della sua famiglia e, accanto, quella della Mascetti. Correre, correre, affannarsi per sé e per gli altri, penare, per poi andare a finir lì, e saper dove… Meglio non saperlo! Meglio non costruirle avanti, quelle tombe… Bah! Era giovine, lui, e robusto…

– Che bella luna!

E mise un gran sospiro, come per cacciar via tutti i pensieri.

Dopo due ore, arrivano il Prever e il dottor Allais nella camera da letto della signora Velia. Marietta fornisce un aggiornamento: ha subito la signora un episodio di delirio in cui lei sembrava di farneticare (una parte di quest’episodio sembra aver diretata al povero Prever. Esprime Marietta una preoccupazione che la morte debba essere vicina.

Tornò alla villa dopo circa due ore, col medico. Marietta annunziò loro che la malata, appena rimessa a letto, aveva dato in violente smanie, poi – coi segni – le aveva fatto comprendere che voleva scrivere qualche cosa.

– Come come? – domandò sorpreso, impuntandosi, il signor Martino.

– Sì, – riprese Marietta, – e ha scritto, e la lettera sta lì, sotto il guanciale, come ha voluto; poi s’è messa a delirare… Diceva, non so, che c’era la luna… che voleva scendere in giardino… che a Pian del Viermo cantavano, non a Rufinera… Stramberie! Poi s’è messa a chiamar lei, signor Martino…

– Me? – domandò arrossendo, poi impallidendo, il giovanotto. – Ero andato per il medico io, non gliel’hai detto?

– Gliel’ho detto; ma non ha capito! – seguitò Marietta. – Strillava:«No, Martino! No! No!»tutta spaventata… Ora, da un pezzo, sta tranquilla; ma così… Dio! pare morta…

Il dottore Allais esamina la signora Velia e decide di somministrare nuovamente la medicina del cuore. Il dottore crede che lei sia abbastanza forte per sopravvivere la notte.

Il dottor Allais, alto, asciutto, coi baffetti ancora biondi e i capelli già canuti, tagliati a spazzola, non si scompose affatto a quella narrazione dell’infermiera: alzò un piede a una traversa del seggiolone del parroco e si chinò per affibbiare una stringa del gambale di cuojo rimasta slacciata nella fretta del vestirsi. Teneva a dimostrare quella sua rigidezza impassibile. Possedeva anche lui una villa con un vasto giardino, aveva una simpatica moglietta che gli aveva recata una buona dote e continuava ad esercitare la professione, tanto per fare qualche cosa. Tastò il polso dell’inferma; poi, senza dare a veder nulla a quei due che lo spiavano intentamente, preparò la siringhetta per una nuova iniezione.

– Potrà tirare fino all’alba, – disse, licenziandosi. – Verso le cinque, tornerò.

Poi veniamo a sapere che il figlio della signora Velia è stato avvisato della situazione e che che dovrebbe arrivare il giorno seguente. Il dottor Allais conferma che la morte è vicina, ma non è in grado di dire con certezza se la signora sopravviverà fino all’arrivo del figlio.

– Ma il figlio dovrebbe arrivare nella mattinata di domani, – pregò, afflitto, il signor Martino. – Potesse almeno tirare fino all’arrivo di lui!

Il dottor Allais si strinse nelle spalle.

– Non dipende da me, caro signor Prever. E andò via.

Poco prima della sua partenza, Marietta ha anche rivelato che, all’improviso, la signora Velia era presa dal desiderio di scrivere una lettera (“- e ha scritto, e la lettera sta lì, sotto il guanciale, come ha voluto”) proprio prima che diventasse delirante. Marietta ha spiegato che adesso la lettera è sotto il suo guanciale. Poi (cioè, dopo che il dottor Allais se ne va), il Prever ‘attaca’ Marietta con domande… cerca informazioni dettagliate sul contenuto della lettera. Marietta spiega quello che sa (anzi, lo spiegarà più d’una volta) e rivela che le istruzioni della signora erano che la nota non doveva esser letta fino a dopo la sua morte.

Subito il signor Martino assalì di domande Marietta intorno a quella lettera misteriosa. Ma la infermiera non sapeva leggere, e potè dirgli soltanto che la signora aveva scritto col lapis dietro una vecchia ricetta del medico, poiché lei non aveva potuto trovarle altra carta lì nella camera; e che aveva scritto con stento e che infine aveva chiuso quel pezzo di carta in una busta del farmacista, da cui lei aveva tratto alcune ostie e una cartina di medicinale. Messa la lettera sotto il guanciale, la padrona aveva balbettato:

Dopo morta.

Il Prever è stupito e sbalordito da questa notizia. Fa più domande ma senza risultati… rimane preoccupatissimo. Si precipita ad informare i suoi genitori,

Il signor Martino restò assorto, stupito, costernato. Era ben sicuro che il testamento della vecchia conteneva qualche disposizione in suo favore e in favore della sua famiglia. Ora questa lettera lo inquietava. Domandò:

– Ha scritto molto?

– Poco, – rispose Marietta. – Un pezzettino di carta, così… E la mano le tremava tanto!

– Sai la nuova, Marietta? – riprese, dopo aver pensato un po’, il giovanotto. – Corro a chiamare i miei. Hai sentito che ha detto il medico?

…e sospettiamo, sebbene non comprendiamo ancora tutto, che la sua preoccupazione sia che la lettera potrebbe modificare in qualche modo il testamento della signora Velia.

– Sì, – aggiunse Marietta. – E il signor parroco anche, se non le dispiace. Vada, vada.

Marietta, che era e si sentiva «una brava figliuola», rimasta sola, tentennò amaramente il capo. Non che stimasse cattivo quel bamboccione del signor Martino e interessato l’affetto della famiglia Prever per la sua padrona; ma… – eh, i dindi, i dindi piacciono a tutti; e la sua padrona ne aveva di molti e quell’aver pensato a scrivere qualche cosa in quegli ultimi momenti doveva per forza suscitar timori o accendere speranze.

Certamente viaggia velocissima la notizia, e sembrano essere profonde le preoccupazioni dei Prever e di don Buti. Una gran parte della colpa di ciò che è successo sembra essere diretta al povero Prever, in modo retto o sbagliato. Impariamo che a questo punto, purtroppo, la signora Velia ha perso conoscenza.

N’ebbe la prova, non appena giunsero, tutti ansanti dalla corsa, i parenti del signor Martino e don Buti. Più e più volte fu costretta a ripetere tutto ciò che poteva dire intorno a quella lettera. Pareva che ci volessero leggere attraverso le sue parole. E che facce da spiritati! Don Buti pareva incerto se vederci una minaccia per l’Asilo d’Infanzia o una promessa: forse l’erezione d’un Asilo pei vecchi, o d’un ospedaletto, chi sa? o di una cappella: qualche disposizione, insomma, di beneficenza o in favore della santa religione. I Prever erano addirittura scombussolati, e se la prendevano con Martino che non s’era trovato presente, giusto in quel momento!

– Ma se ero corso per il medico! – si scusava il giovanotto col padre che pareva il più contrariato.

La madre sapeva dominarsi meglio: grassa pallida placida, dal parlare lento e dal gesto molle, rivolgeva a Marietta sciocche e inutili domande.

L’inferma accennava di tratto in tratto di riscotersi dallo stato comatoso. Tutti allora, per un momento, zitti e intenti, intorno al letto di lei.

La signora Velia sopravvive la notte, e la mattina dopo, all’alba, il dottor Allais torna a somministrare più del farmaco per il cuore. Spiega che la medicina avrà piccolo beneficio… che morirà presto.

Ruppe l’alba, alla fine. Cielo aggrondato, piovoso. Su per i greppi delle scabre montagne, veli di nebbia stracciati. Ritornò il medico, che non volle rispondere nulla, al solito, alle tante interrogazioni dei Prever e di don Buti, protestando:

– Mi lascino ascoltare.

Fece ancora un’iniezione, ma dichiarò ch’era proprio inutile: la morte sarebbe avvenuta da un momento all’altro per paralisi cardiaca.

Tuttavia, a questo punto la signora Velia sembra recuperare, almeno momentaneamente, la coscienza che porta ad una ‘esplosione’ di preoccupazione dagli altri. Purtroppo la signora Velia non sembra riconoscere nessuno.

Poco dopo la partenza del medico, la signora Velia però si riscosse con un lungo sospiro dal profondo letargo in cui pareva inabissata, e schiuse gli occhi.

Subito i Prever spinsero al letto il giovine Martino, suggerendogli sottovoce:

– Chiamala! chiamala!

– Zia Velia! – chiamò il giovanotto.

La signora Velia! – chiamò contemporaneamente, dall’altro lato del letto, don Buti.

Ma la morente non mostrò di riconoscere né l’uno né l’altro.

Proprio in questo momento arriva il Mascetti, il figlio della signora Velia. Si avvicina al letto e chiama sua madre, ma sfortunatamente lei lo scambia per il Prever e lo licenzia sgarbatamente.

Entrò in quel momento nella camera, inavvertito, un signore su i cinquantanni, bassotto, azzimato, profumato, con le fedine già brizzolate e la calvizie nascosta appena da pochissimi capelli raffilati con meschina cura a sommo del capo. Si avanzò fino al letto, con le scarpe sgrigiolanti, scostò piano con la mano inguantata il signor Martino, si chinò verso la morente:

– Mamma!

I Prever, don Buti, Marietta si guardarono negli occhi, scostandosi; poi presero tutti a osservarlo, con un’aria mista di suggezione e di diffidenza.

La morente fissò gli occhi velati sul figlio e aggrottò le ciglia; agitò un braccio e nascose il volto, balbettando con espressione di terrore:

Ch’ a vada via chiel!

La mancanza di riconoscimento è angosciante ma comprensibile… dopotutto sua madre è gravemente malata.

– Mamma, sono io, sai! sono io! – disse piano, sorridendo, il Mascetti, e si chinò di nuovo verso la morente.

Ma questa raffondò vie più il capo, come se volesse cacciarlo sotto il guanciale. Allora la busta, che vi stava nascosta, scivolò sul tappeto. I cinque Prever e don Buti la puntarono rattenendo il fiato, come tanti cani da caccia. Il figlio non se ne accorse, e si volse, dolente, per dire:

– Non mi riconosce.

Ad un certo punto durante l’incontro iniziale, ha scivolato dal letto la lettera della signora Velia… cadde sul pavimento. Tutti nella stanza, tranne madre e figlio, hanno notato la lettera sul pavimento (“come tanti cani da caccia”),

Vedendo tutti gli occhi fissi lì presso i suoi piedi, si chinò anche lui a guardare, e vide la busta.

…e dopo che il Mascetti ha finalmente deviato la sua attenzione da sua madre, Marietta indica la lettera e spiega che l’era probabile per lui e che non doveva essere letto finché fosse morta.

– Sarà per lei, – gli disse piano Marietta, indicandola. – La signora però ha detto: «Dopo morta».

Di conseguenza, il Mascetti prende la lettera e si ritira in una stanza adiacente,

II Mascetti la raccolse, e poiché la madre continuava a dire, soffocata: –Ch’a vada via! eh’a vada via! –si recò, angustiato, nella camera attigua,

…seguito da don Buti, che tenta d’ingraziarsi spiegando la storia della madre a Cargiore ei suoi piani per la distribuzione della sua richezza.

seguito poco dopo da don Buti.

– Povera, poveraLa signora.

E il parroco cominciò a tessere al figliuolo l’elogio della madre.

– Grande benefattrice!

Poi, impariamo una parte della retroscena del Mascetti. A quanto pare, non sa quasi nulla della vita di sua madre, e la loro relazione era sempre stata lontana e superficiale.

Sopraggiunse, con aria smarrita, Prever padre; poi venne anche Prever figlio, rosso come un gambero, spinto evidentemente dalla madre e dalle sorelle.

Il Mascetti se ne stava compunto e taciturno; chinava di tanto in tanto il capo alle parole melate del parroco, ma pensava intanto tra sé all’accoglienza che gli aveva fatto la madre dopo un così lungo e precipitoso viaggio intrapreso per rivederla. – Sì, senza dubbio: nell’incoscienza, povera vecchina. Era chiaro che lo aveva scambiato per qualche persona a lei odiosa, lì, del paese. Ma era pur naturale! Che ricordi aveva egli della madre? Quasi quasi aveva più notizie del padre, morto quand’egli aveva appena tre anni, che della madre, vissuta fino adesso. Del padre gli avevano parlato tanto i parenti, fin dalla infanzia; mentre la madre era venuta a ritirarsi lassù, ed era vissuta sempre lontana da lui. Egli era solito scriverle due, tre volte l’anno, nelle feste principali, per farle gli augurii; e lei gli aveva risposto, sì e no, ma sempre con frasi comuni e brevemente e senz’alcuna effusione di cuore, mai. La notizia della grave malattia di lei gli era arrivata di colpo. Mah! doveva avere settantatré o settantaquattro anni sua madre: il suo tempo, dunque, lo aveva fatto. Ne aveva già quasi cinquanta, lui, purtroppo.

All’improvviso, le voci vengono sollevate dalla camera della signora Velia, mentre muore.

Giunsero a un tratto, dalla camera, parole concitate, poi uno strillo di la signora Prever e due altri strilli simili delle zitellone. Il Mascetti balzò in piedi:

– Morta?

–  Venga, signore! – chiamò Marietta, facendosi all’uscio, con gli occhi lagrimosi.

Morta, e in quell’atteggiamento di rivolta e di paura preso all’apparire del figlio. Marietta le aveva pian piano rimesso sul letto il braccio, che ella aveva levato per nascondere la faccia; ma nessuno ardiva di toccarle la testa.

A questo punto il Mascetti inizia a capire la natura del rapporto dei Perver con sua madre, mentre don Buti guida gli altri in preghiera al capezzale del letto. A Marietta viene chiesto di preparare il corpo per il funerale, e al Prever d’acquistare le candele.

Il Mascetti contemplò un pezzo sua madre, poi si pose una mano sugli occhi. Non riusciva a piangere, irritato sordamente dal pianto di quegli altri, per lui affatto estranei (ne ignorava finanche i nomi!), ma che pure mostravano d’avere una ragione per piangere sua madre, più di lui che era il figlio e che non pertanto, alla loro presenza, era stato accolto in quel modo.

Don Buti s’era inginocchiato davanti al letto e recitava la preghiera dei defunti. Anche i Prever e Marietta si erano inginocchiati e pregavano con lui, tra i singhiozzi. Il Mascetti tornò a ritirarsi nell’altra stanza.

La signora Velia aveva ricevuto i sacramenti tre giorni avanti. Finita la preghiera, don Buti scappò in chiesa per far sonare le campane e dar le prime disposizioni per i solenni funerali del giorno appresso: le signore Prever si misero a disposizione di Marietta per accudire al cadavere; il signor Martino fu spedito per i ceri da accendere attorno al letto funebre, e Prever padre, non sapendo che fare, si recò di nuovo a raggiungere nell’altra stanza il Mascetti.

In modo esliarante / comico, mentre tutti si affrettano a completare i preparativi funebri, non riescono a pensare ad altro che i contenuti e le implicazioni della lettera. Per il momento, loro sembrano sicuri che la lettera non li costringerà a condividere con il Mascetti la loro eredità anticipata.

Quella lettera misteriosa gli stava fissa in mente come un chiodo.«Dopo morta.»Forse il figlio, per curiosità, l’aveva già aperta. Che stupida, quella Marietta! Che c’entrava dire al figlio:«Sarà per lei?».Dall’accoglienza che la moribonda gli aveva fatto, si poteva capir chiaramente chela signoraVelia non si aspettava di rivedere il figlio; dunque, nello scrivere quella lettera, non aveva nient’affatto pensato a lui.

Le stesse riflessioni facevano nella camera della morta le Prever, e la signora anzi non seppe tenersi dal rimproverare, con garbo, Marietta. E a quella lettera pensava pure, tra le smanie, il signor Martino, andando per i ceri, e don Buti correndo dalla chiesa parrocchiale all’Asilo per far chiudere il portone in segno di lutto e dare anche lì disposizioni per il funerale del giorno seguente.

Anzi, il Mascetti sembra essere l’unica persona che ha dimenticato l’esistenza della lettera. Col passare del tempo, sembra capire di più sulla relazione tra sua madre, don Buti e i Prever.

Solo il Mascetti pareva se ne fosse dimenticato. Interrogava il Prever su la vita della madre, su Cargiore, per venire indirettamente a sapere tra che gente si trovasse. Gli era nato finanche il dubbio che quelli fossero lontani parenti materni, di cui egli ignorasse l’esistenza.

Dopo la morte, il Mascetti e il padre di Prever si intrattengono in chiacchiere, ma ben presto il padre di Prever afferma che ci sono diversi progetti a Cargiore, sia in corso che proposti, che contano sul finanziamento continuato dalla tenuta della signora Velia.

Il Prever si struggeva dentro. Gli diede ragguaglio di sé, della sua famiglia; gli parlò dell’antica amicizia di essa perla signora,tacendo però dell’amore e del suicidio dello zio Martino, ed entrò in fine a parlargli anche lui delle grandi benemerenze della defunta, delle opere di carità, parte compiute, parte promesse da lei, per concludere che tutta Cargiore era profondamente addolorata e, nello stesso tempo, in legittima ansia di conoscere se…

Senza esitazioni, il Mascetti afferma chiaramente che intende aderire a tutte le promesse fatte da sua madre prima della sua morte, in conformità, ovviamente, con il suo testamento. (hahahahaha)

Oh! il Mascetti s’affrettò a rassicurarlo: con tutto il cuore egli avrebbe adempiuto alle generose promesse della madre, anche se nessuna disposizione si fosse trovata nel testamento.

È ovvio che il Mascetti ha dimenticato la lettera, e che i Prever e don Buti rimarranno in uno stato d’agitazione fino a quando il contenuto della lettera sarà rivelato.

Ma non mostrò affatto di ricordarsi di quella lettera scivolata di sotto il guanciale. E tutto quel giorno e fino alla metà del giorno appresso tenne sulla corda quella povera gente.

Abilmente / astutamente, don Buti prende in mano la situazione: chiede al Mascetti se, nella lettera, la signora Velia avesse dichiarato le sue preferenze per il funerale.

Don Buti, alla fine, quando già la cassa mortuaria era arrivata, non seppe tenersi più. Gli si presentò, seguito dai Prever, tutto cerimonioso e impacciato, con la scusa di non voler mancare a qualche volontà, a qualche disposizione della defunta intorno ai funerali o al seppellimento, espresse probabilmente in quella tal lettera.

– Se Vostra Signoria si ricorda…

Il Mascetti trova la lettera e tenta di leggerla. È brevissima e difficile da leggere: è scritto in una miscela d’italiano e dialetto e da una mano tremante.

– Ah già! – esclamò il Mascetti, cercandosi nelle tasche.

Se n’era proprio dimenticato! Tutti gli si fecero attorno, sospesi in un’ansia trepidante. La busta, dopo lunga ricerca, fu trovata in fondo ad una tasca dei calzoni. Il Mascetti l’aprì, ne trasse la ricetta di cui aveva fatto cenno l’infermiera. La scrittura a lapis era quasi indecifrabile. Ci fu bisogno del concorso di tutti per l’interpretazione di certe parole smezzate o scrìtte scorrettamente in dialetto tra altre italiane. Il biglietto diceva così:

Chi trova questa carta a l’è prega d’aprire l secound tiroir del comò di faccia al mio letto, prendere con le sue man nfagottin che vi si trova in fondo all’angolo a destra e d butelo d’ souta mia testa nt la cassa.

Le istruzioni sono solo per andare alla camera da letto della signora e recuperare un sacco di stoffa.

I Prever, don Buti restarono delusi, storditi, non sapendo che pensare.

– Un fagottin? – domandòla signoraPrever. – Che sarà?

– Andremo a vedere, – propose, timido, don Buti. – Intanto sono proprio contento che una disposizione ci sia, come avevo preveduto.

Si recarono tutti nella camera della morta. La vecchina, parata amorosamente da Marietta, era già deposta nella bara non ancora chiusa. Il figlio, seguendo le indicazioni del biglietto, aprì il secondo cassetto del canterano e cercò nell’angolo a destra.

Il sacco viene trovata e contiene diversi oggetti… ricordi / cimelli davvero, di Martino Prever.

Non c’era propriamente alcun fagottino: c’era soltanto l’involto di un pezzo di panno turchino, forato e bruciacchiato in una parte, come da una palla: c’era un guscio di noce, alcuni fiori secchi, una ciocchetta di capelli castani

C’è, inoltre, una nota:

e un pezzettino di carta, su cui erano scritte queste parole già sbiadite dal tempo:«Notte di luna! 22 ottobre 1849»,e sotto, due nomi, congiunti da una lineetta:«Velia-Martino».

…che dichiara chiaramente e fermamente il suo amore imperituro per Martino Prever. (La nota può anche spiegare perché la luna piena sembrava aver un effetto così potente su di lei.)

I Prever sembra capire il significato della nota,

– S’è ricordata di lui! – scappò, nella sorpresa, al Prever.

…e anche così, a modo suo, il Mascetti, nonostante abbia informazioni limitate.

II Mascetti nel volgersi a guardarlo si accorse che don Buti faceva cenno a colui di tacere, e volle sapere allora di chi si fosse ricordata la madre e che significasse quel ritaglio di stoffa così forato.

Quando glielo dissero, non seppe più toccare quegli oggetti, che appartenevano alla remota gioventù di sua madre, prima ch’egli nascesse. Si scostò dicendo:

– Facciano loro la sua volontà.

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