Riassunto: Spunta un giorno

Stupenda! La novella Spunta un giorno(L. Pirandello) è semplicemente fantastica, cioè, la scrittura — il modo in cui viene raccontata la storia — è al tempo stesso lirica e coinvolgente.

Allora… la novella racconta la storia della rottura / separazione di due giovani, che, negli ultimi cinque mesi, sembrano aver vissuto insieme, condividendo una stanza in affitto in una città senza nome. (Ci chiediamo però se una di loro, la giovanotta, si è traslocata alla città senza nome, e l’ha affitata la stanza per unirsi con il giovanotto.) Inoltre non impariamo mai i nomi dei giovani, e vediamo che la novella concentra sul periodo immediatamente dopo la rottura… anzi, il centro dell’attenzione è sulle conseguenze della rottura, specialmente per la giovanotta.

A noi, Spunta un giornosia una lettura difficile, in parte perché ci sono molte ‘lacune’ nei dettagli della storia. Ne abbiamo già visto prima nella nostra ‘Pirandelliana’, e siamo arrivati a sospettare che le lacune possano esser ‘dal disegno’, vale a dire che il Pirandello abbia compreso chiaramente che una novella è un ‘storia breve’, una forma di letteratura che di solito abbia appena abbastanza spazio per presentare un punto di vista unico e onnicomprensivo. Nella nostra esperienza, le lacune siano interessanti perché possono esser riempite dall’immaginazione del lettore.

Preferiamo non pensare a queste lacune come una ‘scrittura disattenta’; crediamo invece che le lacune mostrino un profondo rispetto per il lettore, tale che al lettore sia affidato il compito di compilare i dettagli della storia. Anzi, veniamo a sospettare che i dettagli che Pirandello abbia omesso da una novella ci aiutino capire il suo punto di vista tanto quanto i dettagli che lui abbia incluso.

***

Lo squallore dell’alba s’è fermato, spettrale, ai vetri della finestra rimasta con gli scuri aperti, e pare non abbia più forza d’alitare da lì nel bujo della camera.

All’inizio della novella capiamo che un’alba nuova è appena arrivata, portando così i primi raggi di luce ad un nuovo giorno. All’inizio, la luce è appena visibile: è descritta come un fantasma, quasi indiscernibile. Ci viene detto che la luce è debole, cioè, così debole che non possa nemmeno cominciare a sostituire l’oscurità della stanza in affitto (che è l’ambientazione della novella).

Il tempo passa, e la luce ‘raccoglie progressivamente la forza’… adesso ne comincia a penetrare la stanza ed illuminare i dettagli all’interno.

A poco a poco comincia a effondersi come un brulichio nell’ombra.

Inizialmente, la luce colpisce le tende che incorniciano una finestra, e prendiamo nota del lavoro di ricamo. Impariamo che le persiane della finestra sono rimaste aperte.

E prima s’impiglia nel trapunto lieve delle tendine;

(Pensiamo che il fatto che le persiane non fossero chiuse prefigura il tumulto e la violenza in questa stanza la notte precedente.)

Più tempo passa. Adesso, la luce è ‘quasi vaporosa’, mentre continua a penetrare ed illuminare la stanza in affitto. Possiamo notare la presenza d’una gabbia per uccelli che pende da una piccola mensola sopra la finestra. Un canarino è nella gabbia, addormentato.

poi, quasi vaporando, traspare di tra le gretole rarefatte d’una gabbiola che pende dal palchetto in capo alla finestra, nel mezzo, senza destare tuttavia il canarino accoccolato sul ballatojo.

Più tempo passa. Ora siamo in grado di discernere la presenza d’un tavolo davanti alla finestra. Primo notiamo le gambe e poi il bordo del tavolo.

Poi, ecco, inoltrandosi, lambisce appena le gambe, l’orlo d’un tavolino nero davanti la finestra;

Passa ancora più tempo, ed adesso discerniamo la presenza di diversi oggetti che sembrano esser disseminati casualmente (caoticamente?) sul tavolo: carte, libri, una “bugia di ferro smaltato col bocciuolo d’ottone”, una candela che è bruciata (completamente esausta), un “cannello di ceralacca”, una lettera “suggellata”, un’altra lettera, e una fotografia… cioè, un “ritratto fotografico”.

e, grado grado, si soffonde sul piano di esso, avvistandone quasi a tentoni gli oggetti: alcune carte sparse, alcuni libri, una bugia di ferro smaltato col bocciuolo d’ottone, in cui la candela s’è consumata tutta; una lettera suggellata; un’altra lettera; un cannello di ceralacca; un ritratto fotografico…

(Ci chiediamo se le lettere fossero le note di suicidio oppure d’addio? Forse alla mamma della giovanotta? Forse al giovanotto?)

E l’immagine nella fotografia? È l’immagine d’un giovanotto, probabilmente detagliato / attento / a poca distanza… uno che sta ridendo, con quello che si dica esser un comportamento arrogante / noncurante. C’è anche una spilla da cappello che è stata spinta (con forza, immaginiamo) nel collo del giovanotto.

Oh! e che ha quel ritratto? Uno spillone da cappello confitto nel collo. E ride? Sì, si può discernere bene: il giovine effigiato in quel ritratto ride con aria spavalda, senza punto curarsi di quello spillone confitto nel collo.

(Ci chiediamo perché stiava ridendo il giovanotto? Fosse questo, infatti, un momento di levità condiviso o forse un momento d’intimità condivisa? Oppure, invece, fosse derisoria la risata del giovanotto?)

Passa più tempo, e ora discerniamo una giovanotta, con capelli arruffati e un capo rovesciato, siedendo al tavolo. Lei non si muove. In modo minaccioso, discerniamo anche la presenza d’una rivoltella accanto a lei.

E poi? Una rivoltella. Un braccio? Sì; e un altro braccio; e il capo scarmigliato d’una donna.

(Non possiamo fare a meno di chiederci se la giovanotta sia morta? Ci chiediamo anche se la sua morte violenta spieghi perché le persiane sono state lasciate aperte la notte scorsa?)

Il narratore si chiede anche se la giovanotta sia morta… ma la luce, ovviamente, non presta attenzione alle domande come questa.

Morta?

La squallida luce passa oltre, senza un brivido, a quella scoperta. Il capo rovesciato di quella donna non le importa più del trapunto di quelle tendine, più del legno del tavolino o del manico d’osso della rivoltella.

(Il narratore è qualcuna che non incontriamo mai, sfortunatamente; pensiamo che la sua voce sia quella d’una donna.)

Passa più tempo, ed adesso la luce raggiunge la parete sul lato opposto della stanza (di fronte alla finestra). Siamo in grado di distinguere la presenza d’un lavandino, uno specchio ovale e un letto — che ovviamente non è stato usato la scorsa notte. Sul letto, ci sono un cappello, una vecchia borsa di cuoio, un ombrello ed un altro libro.

Seguita a penetrare lentamente nella camera; arriva alla parete di contro alla finestra e vi scopre un piccolo lavabo con lo specchio ovale a pie del letto; il letto intatto, su cui sono buttati un cappellino, una vecchia borsetta di cuojo rosso, un ombrello, un libro.

Successivamente, il narratore rivolge la sua attenzione al canarino come si sveglia. A noi, i movimenti e il comportamento dell’uccello siano descritti con grande precisione ed attenzione ai dettagli.

A un tratto, il canarino si desta nella gabbiola; guarda verso il cielo piegando da un lato il capino giallo; si rigira sul saltatojo con un breve squittio.

Buon giorno!

La giovanotta, tuttavia, rimane sul posto, e siamo ancora incerti se lei sia morta o viva.

Le braccia, la testa della donna rimangono abbandonate sul piano del tavolino. Tra i neri capelli scomposti s’intravede un orecchio che pare di cera.

Il narratore si rivolge al giovanotto nella foto; il ‘tono’ della sua voce sembra esser derisorio, sarcastico e sprezzante.

Bravo, sì. Puoi ridere.

Il narratore chiede al giovanotto, “Che cosa hai fatto per indurre / costringere / obbligare la giovanotta a spingere violentemente lo spillone nel collo?”

Che t’ha fatto in fine questa donna, configgendoti nel collo lo spillone del cappello?

Il narratore sembra rispondere a questa domanda così, “Niente”.

Niente.

(Ma è possibile, pensiamo, che questa sia la risposta che il narratore immaginache il giovanotto avrebbe dato se lui fosse di fronte a lei.)

Il narratore poi deride ancora una volta il giovanotto nella foto: si chiede se abbia ‘sentito’ la spilla sul collo, ieri sera, mentre dormiva.

Forse, questa notte, mentre dormivi placidamente, ti sarai sentito pinzare come da un insetto costì nel collo, e avrai alzato una mano a grattarti, seguitando a dormire e a sorridere nel sonno.

E poi, il narratore continua a prendere in giro l’atteggiamento del giovanotto, cioè la sua noncuranza / indifferenza, il suo egocentrismo, la sua mancanza d’empatia. Il narratore afferma che il giovanotto, ieri sera, abbia omesso di considerare le conseguenze delle sue azioni… che non abbia considerato, cioè, la possibilità che le sue azioni avrebbero potuto spingere la giovanotta a togliersi la vita.

Perché si vede: tu hai l’aria di non credere alla minaccia d’un suicidio.

Il narratore continua, inesorabilmente! lo sguardo del giovanotto, lei dice, è altrove.

Hai, costì presso, il capo abbandonato di lei e, ridendo, guardi altrove, come se ancora tu non creda che ella possa essersi uccisa veramente.

Guardi lontano, tu.

(Ci chiediamo se il testo qua significa dire che il giovanotto nella foto abbia deciso d’abbandonare la giovanotta al momento in cui è stata scattata la foto, che il suo sguardo ei suoi pensieri fossero preoccupati con la sua prossima avventura, la sua prossima conquista, da qualche parte lontano.)

A questo punto della storia sembra vero che il narratore consideri il giovanotto come arrogante, egocentrico, ignaro, non affetto, indifferente, senza preoccupazioni, antipatico.

Quindi, il narratore suggerisce che il giovanotto sappia bene che se lasci questa giovanotta ‘qui ed ora’, sarà sempre in grado di trovarne un’altra.

Sai che il mondo è vasto e che puoi facilmente trovare posto ovunque: non hai nulla dentro che ti possa trattenere, qua o altrove.

Il narratore continua, tentando di delineare chiaramente le differenze — nelle emozioni, negli atteggiamenti e nell’umanità — che esistano tra i due giovanotti. Da una parte, suggerisce che la giovanotta sia piena d’affetto, che lei sia innamorata, premurosa, leale, impegnata;

Chi ha molta vita in sé, vita d’affetti e di pensieri, e la dispensa con amore anche fra le quattro pareti d’una cameretta, può anche non avvertirne più l’angustia materiale, perché quella cameretta diviene idealmente tutto il suo mondo; e non saprebbe più distaccarsene.

…mentre, d’altra parte, il giovanotto sia il contrario,

Ma uno come te, senza ingombro d’affetti e di pensieri, dico di quelli che non si lasciano mettere da un momento all’altro nelle valige per essere trasportati altrove, può viaggiare facilmente e trovare posto ovunque.

…e che la sua attenzione si sia spostata altrove.

Per te la vita è fuori.

Successivamente, il narratore osserva che la candela bruciata ha riempito la stanza d’un puzzo terribile, che né il giovanotto (ovviamente) né la giovanotta (che possa esser morta o addormentata o incosciente) hanno notato.

Questa camera è troppo impregnata ora dal lezzo nauseante del sego della candela bruciata fino in fondo. Tu non lo senti e te ne ridi, perché sei qua soltanto in effigie. Non lo sente più neanche lei. Forse lo sentirà il canarino.

(Allora… c’è qui un indizio? Il narratore suggerisce che la giovanotta sia viva, non è vero, quando dice, “Forse lo sentirà il canarino”?)

Adesso, l’attenzione del narratore ritorna al canarino. Scopriamo che la giovanotta, ieri sera, ha lasciato la porta della gabbia aperta quando leiha preso il ritratto del giovanotto.

Guarda! Lo sportello della gabbiola è aperto. Lo avrà lasciato lei così aperto jersera, legato con un nastrino a una gretola per tenere lo scatto.

(Ci chiediamo cosa stiavano facendo loro quando è stata scattata la foto? cioè, fossero felici o tristi? …abbia scattata la foto lei prima o dopo il giovanotto abbia rivelato la sua intenzione d’abbandonare la giovanotta?)

All’inizio il canarino sembra non riconoscere che la porta della gabbia sia aperta,

Il canarino seguita a guardare, scotendo il capino giallo e saltando irrequieto da un regoletto all’altro. Non s’è ancora accorto che lo sportellino è aperto.

…ma alla fine sì, e poi il canarino sembra esser perplesso, insicuro su cosa fare.

Se n’è accorto; ecco che vi s’affaccia; allunga e ritira il capino. Pare che faccia le riverenze. O aspetta un invito per spiccarsi di là?

L’invito non viene e, perplesso, di tratto in tratto seguita a tentare, quasi a bezzicar l’aria, con brevi acuti squittii.

Alla fine il canarino vola dalla gabbia nella stanza, atterrando sul letto. Il canarino sembra esser perso. (Allora… ci chiediamo se aspetti qualcosa o qualcuna sul letto?) Alla fine, il canarino ritorna nella gabbia.

Ah ecco, è volato verso il letto.

Sul punto di posarvisi si trattiene sulle ali, come sgomento; cade sulla rimboccatura del lenzuolo intatta e composta sul guanciale; saltella, cercando, gemendo; scende sul piano del letto, molleggiando; s’accosta alla borsetta di cuojo rosso; spia due e tre volte e poi le allunga una beccatina; un altro salto ed è sull’ombrello; guarda di là più a lungo, smarrito; e via di nuovo alla gabbia.

Ancora una volta, l’attenzione del narratore ritorna al giovanotto, che, naturalmente, continua a ridere. Acerbicamente, lei chiede se si ricordi l’abitudine della giovanotta di lasciare la porta della gabbia aperta di notte, in modo che il canarino potrebbe trovarla, presto la mattina, ancora a letto.

Tu, dal ritratto, seguiti a ridere.

Forse sai che ella aveva la gentile abitudine di lasciare aperto così, ogni sera, lo sportellino della gabbia, perché poi la mattina quella cara bestiolina volasse a lei sul letto, a un richiamo, e le saltasse tra le dita o le cercasse il tepore del seno o le bezzicasse le labbra o il lobo dell’orecchio?

(Sembra a questo punto che il narratore ammiri la gentile umanità della giovanotta al tavolo, vero?)

Il tempo continua a passare, e il narratore nota alcuni rumori in strada (il giorno sembra aver stato lanciato) così come la luce, che è radiosa.

Giù per la strada si sente già lo struscio delle granate degli spazzini; poi il rotolio di qualche carretto di lattajo.

La luce è già cresciuta e vibra ilarandosi a mano a mano.

E poi, il narratore osserva una mosca mentre si muove dalla finestra alle tende fino alla spalla della giovanotta… e, dopo un po’, da lì all’immagine del giovanotto… e in particolare, su un neo sulla sua guancia. Di nuovo, e con apparente sarcasmo, il narratore descriva il giovanotto con neo come ‘accattivante’.

Una mosca, dalla vetrata della finestra, vola su la tenda e poi dalla tenda sulla spalla di lei. In due tratti scorre sull’orlo del bavero del giacchettino, incerta se saltare a posarsi sulla nuca che si scorge un po’, tra i riccioli neri, anch’essa come di cera. Rivola; è sullo spillone che tu hai confitto nel collo; scende lunghesso e ti viene in faccia; ti lascia un piccolo neo sulla guancia, e via.

Oh, così, con codesto neo sulla guancia, ora tu sembri più carino.

Tuttavia, il narratore sembra concludere che lui sia, infatti, l’opposto di accattivante.

Seguita a ridere, caro.

A questo punto della storia, il narratore sembra mettere una pausa per riassumere ciò che eravamo in grado di discernere finora, cioè, una stanza in affitto all’inizio d’un giorno nuovo, un canarino, una mosca, un letto, gli oggetti assortiti (tra cui un ritratto fotografico d’un giovanotto che ride), e una giovanotta che rimane immobile al tavolo.

Curiosa quella mosca che vola, curioso quel canarino che saltella tornato nella gabbia, e quella gabbia che ne traballa, in questa cameretta che si rischiara sempre più accogliendo la luce d’un giorno che qua, per il corpo di questa donna rovesciato sul tavolino, non è più nulla.

Questo potrebb’esser, naturalmente, una scena di notevole orrore, dato che la giovanotta potrebbe aver subito una morte violenta.Ma no! Apprendiamo che lei è stata addormentata: è viva, non morta!

Quasi abbia preso una risoluzione, il canarino trilla forte come per chiamare ajuto. Allora, la testa di quella donna abbandonata tra le braccia sul tavolino, si scuote.

Non sappiamo per quanto tempo è stata addormentata al tavolo.

Chi sa da quante ore lì curva, la giovine stira la schiena; ritira le braccia coi pugni serrati verso il seno e contrae tutto il volto sbattuto e scomposto con una specie di ruglio nella gola e nel naso.

La giovanotta, adesso, nota il fetore della candela bruciata; nota anche che è affamata. Come la sua coscienza continua ad emergere, la giovanotta ricorda il suo tentativo di suicidio fallito ieri sera.

Ma subito, forse per il lezzo nauseante di cui la camera è impregnata, insieme con l’orribile sconcerto dello stomaco digiuno, le si desta, non meno orribile, la coscienza dell’atto non compiuto.

Non si è uccisa!

È stanchissima la giovanotta e anche sopraffatta dalla disperazione. Prende nota degli oggetti sul tavolo. Le sue emozioni cambiano… è adesso furiosa. Lei tenta di alzarsi, e fa venire uno crampo a una gamba,

Vinta dalla stanchezza, nella disperazione, dopo avere scritto le due lettere, chinata la fronte sulle braccia prima di risolversi all’atto, s’è addormentata. Ora sbarra gli occhi, alla vista delle due lettere suggellate e della rivoltella lì accanto. La commozione si cangia subito in affanno di rabbia, che la sospinge in piedi.

Uno crampo a una gamba.

…e si accorge che un dito sulla sua mano destra è gonfio.

Un intorpidimento alle dita della mano destra.

(Ci chiediamo se fosse il dito che lei ha usato per accarezzare la rivoltella.)

La giovanotta si occupa, brevemente, sia della sua gamba che del suo dito. Ancora una volta lei è sopraffatta dalla sua rabbia: furiosa, usa lo spillo per colpire ripetutamente la foto finché viene distrutto il viso del giovanotto, e poi strappa la fotografia in piccoli pezzi che sparge sul pavimento.

Ma nel mentre si stringe con l’altra mano quelle dita intorpidite e si prova col peso di tutto il corpo a premere sulla gamba che le spasima tesa per sciogliere il crampo, gli occhi le vanno al ritratto sul tavolino, con lo spillone confitto nel collo. Non sente più né il crampo né l’intorpidimento delle dita: brandisce lo spillone e prende a tempestare di colpi furibondi la faccia del giovine lì effigiato, finché non la trafigge tutta, da non lasciarne più scorgere nulla; e alla fine, non ancora soddisfatta, fa in pezzi il cartoncino sfigurato e scaraventa quei pezzi a terra.

Le sue azioni sono descritto dal narratore come ‘omicidio con disposizione del corpo’.

Omicidio e dispersione del cadavere.

(Adesso ci chiediamo se il giovanotto ha sedotta la giovanotta? Se ci siano state fatte promesse su una vita insieme?Un tradimento, in altre parole.)

La giovanotta (poverina) rimane sopraffatta dalla rabbia, ‘oltre a se stessa’. Si sposta dal tavolo alla finestra, che apre; lei respira la aria fresca per la prima volta, ma questo non la calma.

È davvero stravolta dal furore, con occhi da pazza. Va a spalancare la finestra. Reclina indietro il capo e socchiude gli occhi per la pena che l’aria nuova le fa, entrando a slargarle il petto oppresso, in cui ancora il cuore le batte e le duole.

Si rende conto la giovanotta che deve lasciare la stanza… il suo dolore è troppo acuto, e forse ha paura che lei possa fare un altro tentativo di suicidio se si trova lì. Afferra in fretta alcuni ma non tutti degli oggetti nella stanza in affitto, compresa la sua borsa di pelle, le lettere e la rivoltella. (Ci chiediamo se gli oggetti che lasci alle spalle appartengono al giovanotto.) Lei parte,

Comprende che non può restare più lì, sola con se stessa, neanche un minuto, con quelle due lettere suggellate e quella rivoltella sotto gli occhi; corre al letto, prende il cappellino e se lo caccia sui capelli scarmigliati; la borsetta di cuojo, e vi ficca dentro le lettere e la rivoltella.

Esce dalla camera sul corridojo ancora bujo, come una ladra.

…quando sente la voce della proprietà della stanza.

Sta per aprire la porta e precipitarsi giù per le scale, allorché una vociacela grida da un uscio in fondo al corridojo:

– Ehi! ehi! Signorina!

La giovanotta si ferma, perplessa, al suono della voce della proprietà, ma poi continua la sua fuga,

Resta un momento perplessa, in agguato; poi, con uno scrollo iroso, apre la porta, se la tira dietro, scende a precipizio la prima rampa. Arrivata al pianerottolo, deve fermarsi,

…quando la proprietà arriva in fretta ad una ringhiera dal quale può vedere e parlare direttamente alla giovanotta (cioe, affrontarla / minacciarla).

perché una donnaccia adiposa, mezzo ignuda, affannata dall’adipe, dal sonno improvvisamente interrotto e dalla corsa, riaperta la porta, prende a gridare dall’alto della ringhiera:

– Ah se ne scappa? Io mi vesto, sa? corro in questura! Le pare che possano bastarmi quattro libracci e tre straccetti a garantirmi di cinque mesi di pigione? Corro in questura! Si dovrebbe vergognare! Scapparsene via così!

La donnaccia adiposa è aggressiva,

Come un cane che abbai fuor della botola, a ogni domanda, a ogni minaccia che avventa, si butta avanti e si tira indietro, e con le tozze mani sanguigne afferra, non potendo altro, la ringhiera, mentre la vociacela rimbomba dall’alto nel vuoto della scala ancora invasa dall’ombra e dal silenzio della notte.

…ed è vero che la giovanotta è terrorizzata; alla fine obbedisce alla proprietà e ammette che intende visitare un vecchio.

Benché fiera d’aspetto, la giovine ne rimane come schiacciata, atterrita.

Non sa più né fuggire né trovare la voce per darle una qualche risposta e farla tacere. Alla fine, come costretta, fa alcuni cenni per significare che sì, andrà…

– …dal vecchio? – domanda, da su, la voce.

(Non siamo sicuri di chi potrebb’esser il vecchio).

Come resulto del comportamento sottomesso della giovanotta, la proprietà si calma.

Col capo fa di sì, più volte. E fatto questo segno, come se ormai ne abbia diritto, riprende a scendere la scala comodamente, anzi cava dalla borsetta i guanti logori per calzarseli; mentre quell’altra, subito ammansita, si ritira dal pianerottolo borbottando:

– Meno male che s’è persuasa!

E mentre la giovanotta avanza con la vita e il suo futuro incerto, speriamo per il meglio.

***

“E’ nei nostri momenti più bui che dobbiamo concentrarci per vedere la luce.”

Un tramonto è un’alba dall’altra parte del mondo.

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