Riassunto: Da sé

Un carro di prima classe, con cavalli bardati e impennacchiati, cocchiere e staffieri in parrucca, i suoi parenti non lo avrebbero preso di certo, per lui. Ma uno di seconda, sì; almeno per gli occhi del mondo.

Duecentocinquanta lire: prezzo di tariffa.

Comincia così Da sé (da maestro L Pirandello), una novella che, secondo noi, descrive in modo eloquente la storia d’un uomo che ha deciso che è giunto il momento di morire. In un breve testo profondamente commovente ed ironico, arriviamo a capire cos’era successo a quest’uomo e com’è arrivato alla decisione di uccidersi.

All’inizio della storia, apprendiamo che si è preoccupato il protagonista, Matteo Sinagra, dei potenziali costi del suo funerale: ha immaginato, ad esempio, i costi relativi d’una carrozza, che sarebbe usata per trasportar il suo corpo ad un cimitero…. la questione è, ‘Una carrozza di prima classe contro una di seconda?’

Quasi immediatamente, iniziamo a sospettare che il Sinagra credeva che i suoi parenti non avrebbero pagato per un funerale lussuoso. Credeva invece che le loro scelte avrebbero guidato dalla convenienza e l’utilità: cioè, che loro avrebbero voluto pagar il minimo necessario per soddisfare uno standard sociale accettabile per il lutto e una sepoltura corretta.

Alla fine, è giunto il Sinagra alla conclusione che i suoi parenti avrebbero ordinato una carrozza di seconda classe; costo – 250 lire.

Poi, avendo considerato la carrozza, il Sinagra rivolge la sua attenzione alla sua bara: ancora una volta, ha immaginato che la scelta dei suoi parenti avrebbe basato sulle loro interessi personali; costo – 400 lire.

La cassa, poi, se pure d’abete e non di noce o di faggio, nuda nuda non l’avrebbero certo lasciata (sempre per gli occhi del mondo).

Coperta di velluto rosso, anche d’infima qualità, con borchie e maniglie dorate: a dir poco, quattrocento lire.

E poi, noi impariamo d’alcune delle altre probabili spese che i parenti del Sinagra dovranno sostenere (es.) una mancia per i servizi di “chi lo avrebbe lavato e vestito da morto (bel servizio!)” …..così come il costo di: l’abbigliamento per il suo cadavere, le quattro “torce da accendere ai quattro angoli del letto”, i fiori, le candele e gli orfani (quelli che, com’è usanza, accompagneranno il corpo al cimitero).

Poi: una buona mancia a chi lo avrebbe lavato e vestito da morto (bel servizio!); spesa per la papalina di seta e per le pantofole di panno; spesa per le quattro torce da accendere ai quattro angoli del letto; mancia ai becchini che avrebbero portato a spalla il feretro fino al carro, e poi dal carro alla fossa; spesa per una corona di fiori, almeno una, santo Dio: poi lasciamo la banda municipale, che se ne poteva far di meno; ma un pajo di dozzine di ceri per l’accompagnamento delle orfanelle del Boccone del povero che vivevano di questo, cioè delle cinquanta lire che si davano loro per accompagnare tutti i morti della città; e chi sa quant’altre piccole spese imprevedibili.

E poi…. (incredibilmente! inaspettatamente!) apprendiamo che il Sinagra ha deciso di salvare i suoi parenti da tutta questa spesa e fastidio! Invece, ha deciso di camminare al cimitero e poi far suicidarsi dopo l’arrivo. Ha supponato che una volta il suo corpo fosse scoperto, sarebbe sepolto senza cerimonia nella tomba della sua famiglia.

Tutto questo Matteo Sinagra avrebbe fatto risparmiare ai parenti, andando co’ suoi piedi a uccidersi, economicamente, al cimitero, davanti al cancelletto della sua gentilizia. Dimodoché, con pochissima spesa, lì stesso, dopo l’accesso del pretore, avrebbero potuto cacciarlo dentro a quattro assi nude senza neanche dargli una spazzolata, e calarlo giù, dove riposavano da un pezzo il padre, la madre, la prima moglie e i due figliuoli che n’aveva avuti.

(Adesso, capiamo che la famiglia del Sinagra è benestante.)

A questo punto, il narratore, che non incontriamo mai, offre una serie di prospettive sulla morte e sulle sue conseguenze. Innanzitutto, il narratore spiega il punto di vista dei morti (veri), cioè, che i morti non presteranno sicuramente attenzione alle complessità ed agli oneri d’una sepoltura corretta…. sono morti, dopo tutto! Ovviamente, queste complessità e gli oneri dovranno essere gestiti da coloro che sopravvivono.

I morti hanno l’aria di credere che il forte sia perdere la vita e che tutto sia finito con essa. Per loro, senza dubbio. Ma non pensano all’orribile ingombro del corpo che resta lì duro sul letto uno o due giorni e ai fastidi e alle spese dei vivi che, pur piangendogli attorno, debbono liberarsene. 

Al contrario, apprendiamo il punto di vista del Sinagra: dato che era ancora vivo lui, aveva l’opportunità insolita di pianificare cosa sarebbe successo dopo la sua morte. Come qualcuno che era un ‘vivo morto’ rispetto a qualcuno che era ‘morto vero’ (nelle parole di Pirandello, il Sinagra era un “morto volontario”), ha deciso di risparmiare i suoi parenti tutti i problemi e le spese associati con un suo funerale.

Sapendo quanto costa questa liberazione, in un caso come il suo, cioè di morte in buona salute, i signori morti volontarii potrebbero far due passi fino al cimitero e andare a riporsi tranquillamente da sé.

Impariamo che, da qualche tempo, Matteo Sinagra è stato consumato dai pensieri del suicidio e le sue conseguenze. Noi immaginiamo che questi pensieri dovessero esser stati accompagnati da notevole costernazione e tumulto interiore…. così tanto che il Sinagra non è stato in grado di ricordare gran parte dei dettagli della sua vita precedente.

Ecco: non aveva ormai da pensare ad altro, Matteo Sinagra. La vita gli s’era tutt’a un tratto come votata d’ogni senso. Quasi non ricordava più con precisione ciò che vi avesse fatto. Ma sì, di certo, anche lui tutte le sciocchezze che si fanno di solito. Senz’accorgersene.

(Sembra esser stata una vita ‘normale’ per il figlio d’un aristocratico, non è vero? ….cioè, una vita d’entrambi successi e rimpianti.)

Poi, apprendiamo che il Sinagra ha posseduto l’intelletto per risolvere la confusione / il tumulto associati alla sua decisione di porre fine alla sua vita. In effetti, apprendiamo che fino a tre anni prima lui era stato un uomo d’affari di successo…. qualcuno aggressivo e fiducioso, uno che era stato capace di ‘multitasking’, cioè di gestire molte imprese contemporaneamente.

Con molta leggerezza e grande facilità. Sì, perché era stato anche abbastanza fortunato, lui, fino a tre anni fa. Non gli era mai riuscito nulla difficile; né mai s’era fermato un momento perplesso, se fare o non fare una tal cosa, se prendere questa o quella via. S’era gettato con gaja fiducia a tutte le imprese; s’era incamminato per tutte le vie, ed era andato sempre avanti; superando ostacoli che forse per gli altri sarebbero stati insormontabili.

Fino a tre anni fa.

Ma poi, è cambiato tutto! Il Sinagra sembrava aver perso la sua strada. Di conseguenza, durante un periodo di tre anni, erano fallite le imprese che stava gestendo…. insieme con la sua autostima e la sua visione e prospettiva di vita. Sebbene non comprendiamo precisamente sia successo, apprendiamo che il declino / collasso del Sinagra era totale ed irrimediabile: aveva perso tutto; era rovinato.

Tutt’a un tratto, chi sa come, chi sa perché, quella specie d’estro che per tanti anni lo aveva assistito e spinto innanzi, alacre e sicuro, gli s’era spento; quella gaja fiducia gli era crollata, e insieme eran crollate le imprese finora sostenute con mezzi e arti di cui ora, improvvisamente e quasi con sgomento, non si sapeva più render conto egli stesso.

La trasformazione era così totale che Matteo Sinagra non era più in grado di riconoscersi, e non riusciva a spiegare cosa gli era successo. In un senso molto reale, aveva perso la sua identità.

Tutto così, da un giorno all’altro, gli s’era cangiato, oscurato; anche l’aspetto delle cose e degli uomini. S’era trovato all’improvviso a tu per tu con un altro se stesso, ch’egli non conosceva affatto, in un altro mondo che gli si scopriva adesso per la prima volta attorno: duro, ottuso, opaco, inerte.

Il nostro senso è che il declino / collasso del Singra fosse stato rapido e precipitoso…. qualcosa forse come la prima ‘drop’ d’un giro sulle montagne russe. Noi presumiamo che debba esser stato terrificante / sconcertante quest’esperienza…. e anche frustrante, dato che il Sinagra sembra esser stato impotente nel mitigare o fermare ciò che gli stava accadendo. Scopriamo che lo shock del suo declino / collasso ha causato lui di ‘congelare’, cioè, di ritirarsi dalla società.

In prima era rimasto quasi con quello stordimento che il silenzio cagiona a coloro che vivono in mezzo a un fracasso di macchine, allorché d’un subito vengono fermate. 

Poi apprendiamo che gli altri erano stati coinvolti in questa tragedia: la sua seconda moglie, ad esempio, e suo padre e fratello, che avevano investito una considerevole somma di denaro nelle imprese del Sinagra.

Poi aveva considerato la rovina, non sua solamente, ma anche del padre e del fratello della seconda moglie, che gli avevano affidato grossi capitali. Ma forse il suocero e il cognato, pur soffrendo gravi danni, si sarebbero rialzati. La sua rovina, invece, era totale.

Ma sì, il Sinagra era ‘congelato’ da un declino / collasso rapido e totale ed irremediabile…. e come impariamo, dopo tre anni Matteo Sinagra aveva perso ogni speranza del futuro.

S’era chiuso in casa, schiacciato non tanto dal peso della sciagura, quanto dalla coscienza dell’irrimediabilità del guasto misterioso avvenuto così fulmineamente nel congegno della sua vita.

Muoversi? E perché? Perché uscire di casa? Inutile ogni atto, ogni passo; inutile anche parlare.

Scopriamo che il suo collasso emotivo era diventato motivo di grande preoccupazione: sua moglie, ad esempio, era terrorizzata da sua perdita di speranza e suo ritiro dalla società.

Zitto, rincantucciato in un angolo, era rimasto a guardar le smanie e le lacrime della moglie disperata, come un insensato. Tutto barba e tutto capelli.

Ad un certo punto il suo suocero e congnato sono venuti a casa per spingerlo in azione. Impariamo che era stato trovato un lavoro, qualcosa di modesto per esser sicuro, ma qualcosa che almeno lo avrebbe costretto a lasciare la casa e partecipare alla società.

Finché non era venuto sulle furie il cognato a cacciarlo fuori a spintoni, dopo averlo fatto tosare a viva forza.

C’era da fare qualche cosa, da guadagnare dieci lirette al giorno, mettendosi per galoppino a servizio d’una piccola banca agraria, che s’era aperta or ora. Che stava a covare lì su quella sedia? Fuori! Fuori! Non bastava il danno arrecato finora? Voleva anche vivere, con la moglie e le due piccine, alle spalle delle sue vittime? Fuori!

Senza un’alternativa, il Sinagra è acconsetito a lavorare. Sfortunatamente, i suoi abiti erano vecchi e ben indossati — un fatto innegabile che servito solo a rafforzare l’idea del suo declino / collasso.

Fuori, ecco qua. Era uscito di casa, da alcuni giorni. S’era messo a fare il galoppino per conto di quella piccola banca agraria. Il cappello spelato, l’abito stinto, le scarpe sdrucite, e un’aria d’allocco che consolava.

Sfortunatamente, ci erano altre prove…. prove derivate sugli incontri casuali per strada con gli ex amici ei collaboratori, che erano sbalorditi e perplessi dal suo declino / collasso.

Nessuno lo riconosceva più.

– Matteo Sinagra, quello lì?

Ciònonostante, il momento decisivo per il povero Sinagra — cioè, la ‘goccia che fa traboccare il vaso’ — era stato basato su un incontro casuale con un vecchio amico, qualcuno che l’ha conosciuto prima…. cioè, qualcuno che aveva lasciato la città prima del declino / collasso e poi era tornato…. qualcuno, in altre parole, che era completamente ignaro della tragedia.

Non si riconosceva più neanche lui stesso, per dire la verità. E quella mattina, finalmente…

Era stato un amico, un caro amico del buon tempo, a chiarirgli la situazione.

Quest’amico, passandolo per strada, ha chiesto se lui fosse in effetti Matteo Sinagra. Questa era una domanda difficile perché il Sinagra non poteva più esser sicuro della sua identità…. in altre parole, di chi era prima e, dopo la tragedia, quello che era diventato.

Chi era più, lui? Nessuno. Non solo perché aveva perduto tutto il suo; non solo perché s’era ridotto in quella misera, avvilente condizione di galoppino, con l’abito stinto, il cappello spelato, le scarpe sdrucite. No, no. Non era più, veramente, nessuno, perché non c’era più niente in lui, fuorché l’aspetto (e pur esso tanto cangiato, irriconoscibile!) di quel Matteo Sinagra ch’egli era stato fino a tre anni fa. In questo galoppino uscito or ora di casa né lui si sentiva né gli altri lo riconoscevano. E dunque? Chi era lui? Un altro, che ancora non viveva: che bisognava imparasse a vivere, se mai, una nuova vita, meschina, affliggente, da dieci lirette al giorno. E ne valeva la pena? Matteo Sinagra, il vero Matteo Sinagra era morto, morto assolutamente, tre anni fa.

Ci è spiegato che gli occhi del vecchio amico (la sua espressione, pensiamo) avevano l’effetto più potente sui sentimenti del Sinagra.

Questo gli avevano detto con la più ingenua crudeltà gli occhi di quell’amico incontrato per caso quella mattina.

(Il nostro senso è che il vecchio amico fosse semplicemente incapace di nascondere il suo stupore e la sua pietà. Partiamo noi dal presupposto che non intendeva ferire il Sinagra.)

Il vecchio amico era senza parole….. cosa c’era da dire?

Ritornato in paese dopo circa sei anni d’assenza, questo amico non sapeva nulla della sciagura di lui. Passando per via, non lo aveva riconosciuto.

– Matteo? Ma come? Sei tu Matteo Sinagra?

– Dicono…

– Ma come?

Tuttavia, gli occhi del suo amico hanno detto al Sinagra quello che aveva bisogno di sapere: cioè, che tutte le speranze fossero svanite, che il suo declino / collasso fosse irrimediabile, che la sua vita fosse finita. In effetti, dopo questo incontro, il Sinagra ha assumato che non ci fosse più bisogno di disperazione…. che era aldilà disperazione! Matteo Sinagra, a tutti gli effetti, era un uomo morto. Un ‘uomo morto volontario’.

E gli occhi, quegli occhi, erano rimasti a mirarlo con tale espressione di smarrimento e insieme di pietà e di ribrezzo, ch’egli tutt’a un tratto s’era veduto in essi morto, assolutamente morto, senza più neanche un briciolo in sé di quella vita che Matteo Sinagra aveva avuto.

E allora, appena quell’amico, non sapendo più trovare una parola, uno sguardo, un sorriso da rivolgere a quest’ombra, gli aveva voltato le spalle, aveva avuto l’impressione strana che tutte le cose, a un tratto, proprio gli si fossero votate d’ogni senso, tutta la vita gli si fosse fatta vana.

Adesso ci diventa chiaro a noi che Matteo Sinagra era pronto ad accettare il suo destino — era pronto a morire. Ha deciso di suicidarsi, cioè di uccidersi dopo essere arrivato a piedi al cimitero. In questo modo, risparmiarebbe ai suoi parenti le spese egli oneri d’un funerale.

Ma da ora soltanto? – No… Perdio! Da tre anni così… Da tre anni era morto, da ben tre anni… E ancora stava lì, in piedi?… camminava… respirava… guardava?… Ma come?… Se non era più niente! se non era più nessuno! Con quell’abito addosso, di tre anni fa… con quelle scarpe di tre anni fa, ancora ai piedi.

Via, via, via: non si vergognava? Un morto, ancora in piedi? A cuccia, là, al cimitero!

Il Sinagra ha anche deciso il modo / la maniera della sua morte: intendeva spararsi con una rivoltella di sua proprietà.

Tolto di mezzo l’ingombro di questo morto, alla vedova, alle due orfanelle avrebbero pensato i parenti. Matteo Sinagra s’era tastata nel taschino del panciotto la rivoltella, sua fida compagna di tant’anni. E senz’altro, eccolo per la via che conduce al cimitero.

L’opportunità per l’ironia qua è impressionante, potente.

È una cosa davvero divertente, Un godimento inaudito.

Un morto, che se ne va da sé, co’ suoi piedi, piano piano, con tutto il comodo, al suo destino.

Inizia il suo viaggio verso il cimitero. Dato che il Sinagra ha avuto un sacco di tempo per far fronte ai suoi rimpianti ed al suo destino, vediamo che è arrivato ad accettare il fatto che è un ‘morto in buona salute’, un ‘uomo morto volontario’. Anzi si rende conto, adesso per la prima volta, di essere così da tre anni.

Matteo Sinagra lo sa perfettamente, che è un morto: un morto vecchio, anche; un morto di tre anni, che ha avuto tutto il tempo di votarsi d’ogni rimpianto della vita perduta.

Di conseguenza, i suoi pesi dei tre anni precedenti sono stati revocati! Matteo Sinagra ha adesso sviluppato un piano per la sua vita (cioe, il suo suicidio). Non era più ‘congelato’, disperato, sbalordito…. ha deciso di togliersi la vita.

Ora è leggero leggero: una piuma! Ha ritrovato se stesso; è entrato nella sua qualità, d’ombra di se stesso. Libero d’ogni ostacolo, scevro d’ogni afflizione, esente d’ogni peso, va a riposarsi comodamente.

Ed ecco: quella via che conduce al cimitero, a farla così da morto, per l’ultima volta, senza ritorno, gli si rappresenta in un modo nuovo, che lo riempie d’una gioja di liberazione, che è veramente già fuori della vita, oltre la vita.

A questo punto la storia cambia al presente per descrivere il viaggio verso il cimitero. Il punto è fatto che i ‘morti veri’, durante un tale viaggio, non sarebbe in grado di provare nulla (sono morti!). Il Sinagra, tuttavia, un ‘uomo morto volontario’, sarebbe in grado di percepire tutto, di sperimentare tutto, quasi come per la prima volta.

I morti la fanno in carrozza, chiusi e saldati in una doppia cassa, di zinco e di noce. Egli cammina, respira, può volgere il collo di qua e di là, a guardare ancora.

E guarda con occhi nuovi le cose che non sono più per lui, che per lui non hanno più senso.

Gli alberi… oh guarda! erano così gli alberi? erano questi? E quei monti laggiù… perché? quei monti azzurri, con quella nuvola bianca sopra… Le nuvole… che cose strane!… E là, in fondo, il mare… Era così? Quello, il mare?

E un sapore nuovo ha l’aria, che gli entra nei polmoni, una soavità di refrigerio su le labbra, nelle narici… L’aria… ah, l’aria… Che delizia! La respira… ah, la beve ora, come non l’ha mai bevuta di là, nella vita; come nessuno che stia nella vita, può berla! E aria come aria; non respiro per vivere. Tutta questa infinita, avvolgente delizia mica la possono avere gli altri morti, che se ne vanno per quella via in carrozza, tesi, stirati, attufati nel bujo d’una cassa. Neanche i vivi la possono avere, i vivi che non sanno che cosa voglia dire goderladopo,così, una volta e per sempre: eternità viva, presente, fremente!

Ancora è lunga, la via. Ma egli già potrebbe fermarsi qui; è nell’eternità; vi cammina, vi respira, in un’ebrezza divina, ignota ai vivi.

Il tempo passa. Lungo la strada, il Sinagra raccoglie una roccia e se lo mette in tasca. La roccia lo accompagnerà al cimitero.

– Mi vuoi? Portami con te…

Un sasso. Un sasso della via. E perché no?

Matteo Sinagra si china, lo raccatta, lo pesa nella mano. Un sasso… Erano così i sassi? erano questi? Sì, eccolo: un piccolo frantume di roccia, un pezzo di terra viva, di tutta questa terra viva, un frantume dell’universo… Eccolo qua: in tasca; verrà con lui.

Poi raccoglie un fiore, che inserisce in un’asola.

E quel fiorellino?

Ma sì, anch’esso, qua qua, all’occhiello di questo morto, che se ne va da sé, così alieno e sereno e felice, coi suoi piedi, alla sua fossa, come a una festa, col fiorellino all’occhiello.

Il tempo passa. Il Sinagra arriva al cimitero. Fa una pausa, prima d’entrare, per prender nota della bellezza naturale dell’ingresso.

Ecco l’entrata del cimitero. Un’altra ventina di passi, e il morto sarà a casa sua. Niente lagrime. Ci viene da sé, con passo svelto, e con quel fiorellino all’occhiello.

Fanno un bel vedere questi cipressi di guardia al cancello. Oh, è una casa modesta, in vetta a un poggio, tra gli olivi. Ci saranno, sì e no, un centinaio di gentilizie, senz’alcuna pretesa d’arte: cappellette con un altarino, il cancelletto e un po’ di fiori attorno.

E proprio, per i morti, una dimora invidiabile, questo cimitero. Lontano dal paese, i vivi ci vengono di raro.

Poi, entrando, prende nota del custode, un Pignocco, vecchio, che sta dormendo.

Matteo Sinagra entra e saluta il vecchio custode che sta seduto davanti all’uscio della sua casetta, a destra dell’entrata, con lo scialle bigio di lana su le spalle ed il berretto gallonato sul naso.

– Ehi, Pignocco! Pignocco dorme.

Matteo Sinagra si irrita alla vista del vecchio. Si chiede, come un cliente eventuale del cimitero, ‘Non dovrebbe fare Pignocco un lavoro migliore prendendosi cura dei morti?’

E Matteo Sinagra resta a contemplar quel sonno dell’unico vivo fra tanti morti, e – in qualità di morto – ne prova dispiacere, una certa irritazione.

S’ha un bel dire. Fa bene ai morti pensare che un vivo vegli sul loro sonno e stia in faccende sopra la terra che li ricopre. Sonno sopra, sonno sotto: troppo sonno. Bisognerebbe svegliare Pignocco; dirgli:

– Eccomi qua; sono dei tuoi. Sono venuto da me, co’ miei piedi, per far risparmiare un po’ di soldi ai miei parenti. Ma è questa la cura che tu ti prendi di noi?

Si rende conto presto, tuttavia, che va bene se dorme ….che probabilmente non c’è molto da fare. (Sono morti!)

Oh via, che cura, povero Pignocco! Che bisogno di custodia hanno i morti? Quando ha annaffiato qua e là qualche ajuola; quando ha acceso in questa e in quella gentilizia qualche lampadino che non fa lume a nessuno; quando ha spazzato le foglie morte dai vialetti; che altro gli resta da fare? Non fiata nessuno lì dentro. Il ronzio delle mosche allora e il lento stormire degli smemorati olivi sul poggio lo persuadono a dormire. Sta in attesa anche lui della morte, povero Pignocco; e in quest’attesa, ecco qua, provvisoriamente dorme sopra i tanti morti che dormono per sempre sotto.

(Mamma mia! Un ‘uomo morto volontario’, qualcuno che si ucciderà presto, valuta la scena al cimitero e giunge alla conclusione che è accettabile che Pignocco dorma sopra terra mentre i veri morti del cimitero sono ‘addormentati’ sotto terra.)

Adesso, il Sinagra si chiede se il suono del suo rivoltella (al momento del suo suicidio) risveglierà il vecchio. Probabilmente no, conclude, perché l’arma è piccola e Pignocco sta dormendo profondamente.

Forse si sveglierà tra poco, allo scoppio secco della rivoltella. Ma forse, neppure. E così piccola la rivoltella, e lui dorme così profondamente… Più tardi, verso sera, allorché prima di chiudere il cancello, si recherà in giro a fare un’ultima ispezione, troverà un ingombro nero in quel vialetto, là in fondo.

Quindi, Matteo Sinagra immagina cosa accadrà quando verrà trovato il suo corpo.

– Oh! E che roba è questa?

Niente, Pignocco. Uno che deve andar sotto. Chiama, chiama che gli apparecchino il letto, giù, alla meglio, senza tanti riguardi. Per risparmio di spese ai parenti è venuto da sé, e anche per il piacere di vedersi così, prima, morto tra i morti, a casa sua, arrivato a destino in buona salute, con gli occhi aperti, in perfetta coscienza. Lasciagli in tasca il sasso che si è seccato anch’esso di stare al sole su la strada. E lasciagli anche il fiorellino all’occhiello, che è la sua civetteria di morto in questo momento. Se l’è colto e se l’è offerto da sé, per tutte le corone che i parenti e gli amici non gli offriranno. E qua ancora sopra la terra; ma è proprio come se fosse venuto da sotto, dopo tre anni, per curiosità di vedere che effetto fanno sul poggio queste tombe gentilizie, queste ajuole, questi vialetti inghiajati, queste croci nere e queste corone di latta nel campo dei poveri.

Un bell’effetto, veramente.

Il tempo passa. Il Sinagra vaga per tutto il cimitero, aspettando la notte e la luna.

E zitto zitto, in punta di piedi, Matteo Sinagra, senza svegliare Pignocco, s’introduce.

È ancora presto per andare a dormire. Vagherà per i vialetti fino a sera, curiosando (da morto, s’intende); aspetterà che sorga la luna, e buona notte.

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