Riassunto: Zuccarello distinto melodista

Secondo noi, nel corso della transizione verso l’età adulta, siamo spesso obbligati a scoprire i talenti innati che possediamo: ebbene … ‘talento’, ovviamente, si riferisce a qualcosa in cui siamo bravi, ereditata o acquisitata; in altre parole, un’abilità naturale o una predisposizione. (Può anche esser pensato come qualcosa che ci dà piacere quando lo impieghiamo.)

Nella novella Zuccarello distinto melodista (L. Pirandello), il signor Zuccarello è un cantante di caffè di fama modesta. Pensiamo che qua, sia importante la parola ‘modesta’: la novella sembra sottintendere che quando i giovinotti cercano i loro posti nella società, una trappola comune è il desiderio immodesto ‘to swing for the fences’ o ‘reach for the brass ring’ (es.) un giovinotto che ama la scienza ed aspire a supervisionare un laboratorio di ricerca, ma il suo obiettivo immodesto non è altro che ottenere un premio Nobel per il suo lavoro … o un giovanotta che ama le discipline umanistiche ed aspire a cambiare la società in meglio, ma il obiettivo, ancora una volta immodesto, non è altro che esser il leader del suo paese e, nel frattempo, salvare il mondo.

Perché lo facciamo così? Perché, quando siamo giovani, permettiamo ai nostri sogni ed aspirazioni d’esser così grandiosi? Forse la risposta sia complicata, ma ci sosppetiamo che la cultura umana, affascinata com’è con l’idea di celebrità e d’eroismo, è qualcosa che nutre ed informa il nostro desiderio ‘to swing for the fences’.

Qui, presentiamo un esempio … un estratto del romanzo Solo Faces, di James Salter, per illustrare il punto:

“There are men who seem destined to always go first, to lead the way. They are confident in life, they are the first to go beyond it. Whatever there is to know, they learn before others. Their very existence gives strength and drives one onward.”

(Dopo aver letto questo, siamo tutti ispirati ad esser uno che “andare sempre per primo”, vero?)

Secondo noi Zuccarello distinto melodista fosse destinata ad esser una ‘storia di ammonimento’, cioè, sembra esser un avvertimento che la maggior parte di noi non riuscirà a raggiungere lo status di celebrità e che questo va benissimo … che invece i nostri contributi (minori) alla società saranno anche necessari ed utili. In questo modo, la novella sembra voler dirci che il nostro obiettivo dovrebb’esser solamente quello d’identificar ciò in cui siamo bravi / ciò che ci rende felici, e poi d’impiegarlo nel miglior modo possibile … in qualunque modo alla nostra disposizione.

***

All’inizio di Zuccarello distinto melodista il narratore, chi è innominato, ci presenta a Perazzetti, il protagonista … entrambi il narratore e Perazzetti sembrano appartenere ad un piccolo gruppo di conoscenti che, in misura uguale, si rimproverano e si prendono cura l’uno dell’altro.

Ammettiamo che c’è una franchezza qua che, per noi, è ‘un piacere colpevole’, cioè, qualcosa che offenderebbe una sensibilità moderna del discorso accettabile e rispettoso ma che è, al tempo stesso, divertentissimo. Prendete, ad esempio, la prima frase della novella:

Sapevamo che Perazzetti, dopo avere sposato quella donna dal cane, non tanto per ridere, quanto per guardarsi dal pericolo di prender moglie sul serio,

(Ahahaha … ci si sente quasi dispiaciuti per il cane che è stato costretto a far parte di questo confronto, giusto?)

Impariamo anche che si dedica Perazzetti da qualche tempo allo studio della filosofia. Il narratore non è sicuro come lo studio di filosofia possa aver influenzato Perazzetti.

s’era dato da un pezzo, per non so quale connessione, allo studio della filosofia.

Quali effetti un tale studio dovesse produrre in un cervello come il suo, era facile a noi tutti immaginare. Ma ce ne volle lui stesso rappresentare uno, l’altra sera, raccontandoci a suo modo la seguente avventura.

(Come gradualmente arriveremo a renderci conto, lo studio della filosofia ha quasi soprafatto la vita del povero Perazetti!)

Perazzetti ci sembra esser arrogante e supponente ed eccentrico. (Infatti, per noi, è infatti stranamente rassicurante sapere che i suoi conoscenti sembrano esser preoccupati per il suo benessere.) E la sua avventura? Crede d’aver scoperto qualcuno che capisce il significato della vita, cioè, l’assoluto, l’apice, la forma di vita più alta.

– Ero, cominciò a dire, guardandosi al solito le unghie, – ero, amici miei, in uno di quei momenti, purtroppo non rari, in cui la ragione (ne ho, per disgrazia, ancora un poco), sicura d’aver raggiunto alla fine quell’“assoluto”

Con fiducia, Perazzetti osserva che il ‘significato di vita’ è qualcosa che tutti noi cerchiamo, ma, in netto contrasto, i suoi amici negano che si tratterebbe di qualcosa importante.

che tutti affannosamente, senza saperlo, andiamo cercando nella vita…

– Io, no,

– Io, no,

– Io, no,

– Io, no, lo interrompemmo a coro.

Perazzetti ‘gives as good as he gets’: ricorda ai suoi conoscenti che potrebbero non aver capito che questo era qualcosa che volevano sapere.

– Bestie – se vi dico senza saperlo!

… o, può essere il caso che loro siano per natura ‘senza spina dorsale’ … che, in altre parole, i conoscenti, non hanno l’abilità di prenderne audacemente il controllo delle loro vite come … il barone di Munchausen!

La ragione, del resto, s’accorge a un tratto di tenere vittoriosamente stretto in pugno un codino, capite? invece dell’assoluto; un codino di parrucca, quel tal codino di parrucca, a cui s’aggrappava l’ineffabile barone di Münchhausen per tirarsi fuori dello stagno, nel quale era caduto.

[Cari lettori, sapete la storia del barone di Munchausen? Eccola, un estratto e un’immagine da Wikipedia:

“The fictional Baron Munchausen is a braggart soldier, most strongly defined by his comically exaggerated boasts about his own adventures. The Baron’s stories imply him to be a superhuman figure who spends most of his time either getting out of absurd predicaments or indulging in equally absurd moments of gentle mischief. In one of his best-known stories, the Baron saves himself from drowning by pulling on his own hair.”

Il barone di Munchausen

“Intentionally comedic, the stories play on the absurdity and inconsistency of Munchausen’s claims, and contain an undercurrent of social satire. Because the feats the Baron describes are overtly implausible, they are easily recognizable as fiction, with a strong implication that the Baron is a liar. Whether he expects his audience to believe him, he simply narrates his stories without further comment, insistent that he is telling the truth. In any case, the Baron appears to believe every word of his own stories, no matter how internally inconsistent they become, and he usually appears tolerantly indifferent to any disbelief he encounters in others.”

O Dio mio: il barone di Munchausen = il nostro incubo, nostro sociopatico TRUMP!]

Sociopatico

Ma poi, protestano i suoi conoscenti che rifiuteranno d’ascoltar più se Perazzetti non può parlare chiaramente,

Protestammo che, se seguitava a parlare così difficile, non gli avremmo più dato ascolto,

… a cui Perazzetti rispiega, con calma, cosa intende per ‘il significato della vita’. 

e allora Perazzetti ci spiegò, paziente, con gli occhi chiusi e le mani avanti:

– Ecco qua. Prima o poi, il fine che ci siamo proposto, a cui tendono tutti i nostri affetti, tutti i nostri pensieri, e che ha perciò acquistato per noi il valore intrinseco della nostra stessa vita, un valore assoluto, capite?; appena raggiunto, o anche prima d’essere raggiunto, ci si scopre vano.

– Come? perché vano?

Qua, quando Perazzetti usa la parola ‘vano’, sembra suggerire che la ricerca del significato della vita sia lunga, dura e piena di delusione. Anzi, non sia raro per una persona, dopo aver raggiunto ciò che abbia immaginato sarebbe il suo obiettivo di vita, rendersi conto d’aver sbagliato … che la ricerca dev’esser continuata.

– Ma perché ci accorgiamo, santo Dio, che, come questo fine, qualunque altro avremmo potuto proporcene, che sarebbe stato vano lo stesso. Perché l’assoluto, cari miei, quell’assoluto in cui soltanto potrebbe quietarsi il nostro spirito, non si raggiunge mai.

… a cui, i conoscenti di Perazzetti controbattono, Perché perdere tempo alla ricerca dell’irraggiungibile?

– Ragion per cui è da imbecilli andarlo cercando, – osservò uno di noi.

I conoscenti sembrano aver un punto di vista valido… ma poi, stranamente, impariamo che anche Perazzetti è enfaticamente concorda!

– Bravo! Quel che dico io, – approvò Perazzetti.

Perazzetti rispiega che la ricerca del significato delle nostre vite è spesso difficile e disordinata … che non succede in ‘linea retta’ ma piuttosto in ‘fits and starts’. Spesso, sembriamo esser ‘sputtering along’, senza successo, fino a quando incontriamo un ‘vicolo cieco’ e siamo tenuti a ricercare di nuovo.

– Ma lasciatemi dire, per favore. Ogni principio è difficile; poi viene il bello. Ecco: la vita nostra corre protesa tutta verso quel fine, nel quale s’illude di poter toccare e sentire la propria realtà. Crolla o svanisce quel fine, crolla e svanisce all’improvviso con esso la nostra realtà, o, piuttosto, l’illusione della nostra realtà. E allora (che è, che non è) privi d’un tratto della realtà che c’immaginavamo di poter finalmente toccare, ci vediamo vaneggiare nel vuoto e a ogni canto di strada possiamo veder passare la follia e, come niente, metterci a conversare con essa (che potrebbe anche essere l’ombra del nostro stesso corpo) e domandarle, per esempio, con molta buona grazia e delicatezza:

– Chi più ombra, o cara, di noi due?

(Perazzetti sembra credere che, non importa la difficoltà, che valga la pena la ricerca del significato delle nostre vite. A questo punti della novella, ci chiediamo se lui è consumato da quest’idea?)

Perazzetti a malapena può contenere se stesso! Esorta i suoi conoscenti ad ascoltare la storia della sua avventura di recente, una storia di uno che, lui crede, è arrivato a comprendere il significato di vita sua!

State a sentire. Ero dunque in uno di questi deliziosi momenti, con in mano il codino della mia ragione.

Perazzetti racconta agli altri che una notte, per caso gli ha capitato di passar accanto a un caffè quasi nascosto, cioè sottostrada e, basta dire, quasi sconosciuto al di fuori la sua vicinanza romana.

Quasi senza accorgermene, passavo, di sera, per una delle vie più popolose della nostra città. Mi pareva che la gente, tutta quanta impazzita come me, andasse in tumulto, e che i campanelli dei tram, le trombe delle automobili chiamassero ajuto, allorché, per caso, m’avvenne di posare lo sguardo su una tabella tra le due finestre ferrate d’un sotterraneo.

Poi, Perazzetti ha notato un tavolo all’interno d’una finestra a griglia che recava un annuncio illuminato, ‘Il signor Zuccarello distinto melodista’.

Dalle grate di queste finestre s’intravvedevano giù un banco di mescita di lacca verde e luccicante di specchi, una diecina di tavolini di marmo, attorno a cui stavano seduti molti avventori, uomini, donne; poi, un armonium, ecc. Su quella tabella due arrabbiatissime lampade elettriche scaraventavano friggendo un violento sbarbaglio livido su un manifesto rosso, che recava a grossi caratteri la scritta:

IL SIGNOR ZUCCARELLO

DISTINTO MELODISTA

Come un’epifania, Perazzetti ha immediatamente indovinato che lo Zuccarello ha capito il significato della propria vita! La base della sua intuizione era la parola “distinto”, che gli ha suggerito un senso di probità, moderazione ed umiltà.

Ebbene, davanti a questo nome, con tanta rabbia folgorato da quelle due lampade, io mi fermai con la certezza acquistata lì per lì che questo signor Zuccarello, il quale si qualificava da sé con dolce probità distinto melodista,

(Sembra che Perazzetti abbia ipotizzato che lo stesso Zuccarello abbia scritto l’annuncio … che, in altre parole, l’annuncio fosse un’autovalutazione.)

Poi, Perazzetti si riferisce allo Zuccarello come un dio, cioè qualcuno che si è realizzato ciò che è davvero difficile: l’assoluto.

doveva aver raggiunto l’assoluto, e dunque, senza meno, essere un dio.

I conoscenti di Perazzetti non sono in grado di seguire la sua storia. (Ma dai! … come? … un dio?) Ma Perazzetti risponde che, nella sua mente, lo Zuccarello “abbia raggiunto l’assoluto”, e che quello l’ha qualificato.

– Un dio?

Se ci riflettete bene, non può di conseguenza non essere un dio chi abbia raggiunto l’assoluto.

Poi, Perazzetti si sforza di spiegare perché può esser così difficile trovare l’assoluto nella propria vita: non solo è spesso il caso che aspiriamo a ciò che è impossibile, ma anche che seguiamo gli altri, fuori di noi, per identificare ciò che è importante, cioè utile e significativo. Perazzetti sostiene invece che dovremmo guardare dentro di noi, non all’esterno, per identificare i nostri obiettivi.

Un nostro pernicioso errore è questo: immaginarci che, per diventare un dio, bisogni attingere con straordinarii mezzi altezze inaccessibili.

No, amici miei. Niente fuori di noi, nessun’altezza. Coi mezzi più comuni e più semplici, un punto dentro di noi, il punto giusto, preciso, dove s’inserisca quel seme piccolissimo, che a mano a mano da sé sviluppandosi diverrà un mondo.

Quindi, Perazzetti fornisce una sintesi del suo argomento: dobbiamo sforzarci di personalizzare la ricerca dell’assoluto e, quando possibile, fidarci di noi stessi in questo sforzo, cioè, ignorare quello al di fuori di noi che è spesso irrilevante, irraggiungibile, complesso ed artificiale.

Tutto è qui. Saper trovare in noi questo punto giusto per inserirvi il piccolo seme divino che è in tutti e che ci farà padroni d’un mondo.

Nessuno lo trova, perché lo andiamo cercando fuori, in quell’errore che debba essere altissimo e che ci vogliano mezzi straordinarii. Abbagliati da vane illusioni, aberrati da ambiziose e stravaganti speranze, distratti o anche pervertiti da desiderii artificiosi, quel niente, quel puntino infinitesimale, che è la cosa più comune e più semplice del mondo, ci sfugge e non riusciamo mai a scoprirlo.

(Notiamo che Perazzetti sembra usare le lampade elettriche come una metafora dell’artificialità del mondo.)

Al contrario, secondo Perazzetti, lo Zuccarello ha fatto precisamente l’opposto!

Ma ecco qua questo signor Zuccarello.

Allora … cos’era sull’annuncio che ha portato al lampo d’ispirazione di Perazzetti? Spiega lui che la parola ‘distinto’ era modesto ed umile, qualcosa che non esagerava lo status professionale dello Zuccarello.

– La dolcezza stessa del suo nome, io mi diedi a pensare, – l’avrà portato un bel giorno a cantare, così, naturalmente, come fanno gli uccellini. S’è trovata in gola una discreta vocetta, e gli è bastata per distinguersi senza sforzo dagli altri. Un falso dio si sarebbe proclamato senz’altro: celebre melodista. Lui, no. Al signor Zuccarello, dio vero del suo mondo qual è, quale può essere, quale deve essere, basta proclamarsi distinto melodista. Tanto e non più. Cioè, quanto basta per esser lui, e non un altro.

(L’interpretazione di Perazzetti sembra essere pedante ed inflessibile ed affrettato. Perazzetti conclude — da una parola! — che lo Zuccarello non si impone sugli altri, non è pomposo e non esagera il suo talento. In breve, lo Zuccarello è l’esatt’opposto del barone Munchausen.)

Poi, Perazzetti racconta che era quasi sopraffatto dall’intuizione che gli è venuto mentre è stato in piedi al di fuori del caffè. Ha deciso quindi d’assistere il concerto dello Zuccarello e d’incontrarlo.

Assolutamente bisognava ch’io lo vedessi, gli parlassi quella sera stessa. La sua vista, una conversazione con lui, mi avrebbero senza dubbio rimesso a posto lo spirito, ridato la calma e la fiducia nella vita.

Il caffè era modesto e aveva due livelli; Perazetti ha imparato che il concerto sarebbe stato al livello più basso.

Entrai dunque in quel caffè-concerto sotterraneo.

Si doveva andare più giù della sala col banco di mescita, che s’intravedeva dalla via. Più giù, di molto. Ma in fondo non mi dispiacque l’idea che dovessi andare a conoscere sottoterra l’uomo che aveva raggiunto l’assoluto. Mi parve anzi giustissimo, e che non potesse essere altrimenti.

Perazzetti, entrando, ha acquistato un biglietto … ma ha anche lamentato del costo del biglietto, che non sembrava esser degno di qualcuno con il talento di Zuccarello.

– Quanto, il biglietto? – domandai allo sportellino.

– Sedie o poltrone?

– Ci sono anche poltrone?

– Poltrone, sissignore. Tre lire, compreso l’ingresso e, a scelta, anche una consumazione.

Titubante, guardai il bigliettajo, come per domandargli:

– Tutto questo, col signor Zuccarello?

Perazzetti non ha avuto nessun idea di cosa il biglietaio potesse aver pensato di suo commento inane. Qualunque cosa … il biglietaio ha risposto che il prezzo del biglietto era normale.

Dio sa che cosa il bigliettajo arguì dalla mia aria smarrita, perché evidentemente il signor Zuccarello era per lui un numero come un altro del programma, e:

– Prezzi normali, – soggiunse, come per tenersi fermo a un dato di fatto nell’incertezza penosa, in cui quel mio strano modo di guardarlo lo teneva sospeso.

Poi, Perazzetti è sceso al livello più basso del caffè,

– Bene bene, – dissi per tranquillarlo.

Diedi le tre lire, presi il biglietto e scesi due lunghe rampe di scala.

… e ciò che segue è una disquisizione relativamente lunga sull’artificialità d’una società moderna.

Scendendo, avvertii subito che la terra si vendicava della violazione del suo grembo.

Che questo grembo fosse squarciato per il riposo cieco e muto dei morti, la terra lo poteva tollerare; ma che fosse aperto, e così oscenamente, ad archi scosciati, e la cecità fosse rischiarata con tanta sfacciataggine da due grosse lampade, e il silenzio così profanamente offeso da canti sguajati, strimpellii di strumenti, acciottolio di stoviglie, risa sconce e applausi, questo no, questo non lo poteva tollerare.

Ed ecco la sua vendetta: non ostanti gli sforzi del proprietario, la luce elettrica e la musica e gli specchi, quel caffè-concerto aveva il rigido squallore, d’una tomba.

Poi, impariamo che Perazetti è stato relativamente soddisfatto di com’è stato sistemata la stanza del concerto. Ma, d’altra parte, ha denigrato senza mezzi termini gli altri membri del pubblico.

Confesso che mi sarebbe piaciuto molto trovar laggiù, nelle poltrone e nelle sedie, serii e composti, con la loro brava consumazione davanti, intatta, velata di polvere e con qualche ragnetto natante, una moltitudine di morti, venuti per vie sotterranee a quel loro caffè-concerto, con gli abiti neri, lustri d’umido, spiegazzati e chiazzati qua e là da bianche gromme di muffa.

Trovai di peggio. Morti in anticamera, aspiranti morti, pochissimi e oppressi d’una disperata tristezza. Ogni stato incerto è peggiore d’ogni cattivo stato certo. Si recavano alle labbra la tazza di caffè, lo sciop di birra, il bicchiere di menta, col gesto di chi pensa:

– Poiché è ancora necessario ch’io lo beva…

(Nulla sembra soddisfare pienamente Perazzetti.)

E poi, Perazzetti ha preso nota dell’atto d’apertura di quella sera … cioè, una cantante terribile, senza valore, ignorabile, scoraggiante.

E nessuno guardava verso il piccolo palcoscenico, dove una scheletrica stella italiana miagolava, prima levando le braccia come per tentare d’aggrapparsi a un acuto che non riusciva a prendere, poi abbassando le mani con grazia squacqueratai.

La voce di questa canzonettista e il rombo dell’orchestrina facevano una violenza orribile, d’indegno stordimento, alla tragica, sconsolante solitudine di quelle poche mummie di avventori.

Poco dopo, Perazetti ha consegnato il suo biglietto a un cameriere, aspettandosi d’esser scortato al suo posto a sedere; il cameriere ha spiegato però che i posti a sedere erano ‘primo arrivato, primo servito’. Poi, Perazetti ha chiesto perché il caffè era così vuoto … perplesso, il cameriere (poverino) non è stato in grado di rispondere.

Zitto zitto, in punta di piedi m’appressai a un cameriere e gli presentai il biglietto per avere indicato il mio posto.

– Ma segga dove vuole, – mi rispose il cameriere – Vede che non c’è nessuno?

– Già, possibile? E così ogni sera?

– Su per giù…

– Dunque il signor Zuccarello non richiama gente?

– Chi?

– Il signor Zuccarello.

Il cameriere guardò nel programma.

– Ah, già, – disse. – Nossignore, chi vuole che richiami?

Perazzetti ha preso il suo posto a sedere, e quando ha terminato la cantante, il pubblico non sembrava aver preso nota.

Avvilito, presi posto in una poltrona.

La stella italiana, inchinandosi a vuoto tre o quattro volte, si ritirò tra le quinte; l’orchestrina tacque; un silenzio sepolcrale si fece nel caffè sotterraneo.

Perazzetti era super infastidito dall’indifferenza del pubblico. (Ci chiediamo se le sue emozioni stiavano spiralando fouri controllo in anticipo del concerto di Zuccarello?) Anzi, Perazzetti afferma d’esser tentato di dare a questa cantante una standing ovazione, se non altro per ‘energizzare’ gli altri clienti.

Mi sorse allora come in un lampo di follia la tentazione di mettermi a battere fragorosamente le mani, per rompere, per fracassare quel silenzio, per far balzare in piedi atterriti quei pochi, taciturni, oppressi avventori, aspiranti morti. Mi avrebbero preso per pazzo? Ma che ero io? A restare lì ancora per poco, in quel vuoto sotterraneo, in quel silenzio di morte, non sarei impazzito davvero?

Ancora una volta, il cameriere si è avvicinato Perazzetti per prendere il suo ordine da bere. Frustrato, e con rabbia crescente, Perazzetti ha urlato che non voleva bere nulla.

Soffocato, m’alzai rumorosamente, con una smania esasperata di parlar forte, di gridare, di pigliarmela con qualcuno. E, come il cameriere mi s’appressò per domandarmi:

– Che cosa ordina il signore?

– Niente, – gli risposi ad alta voce. – Non ordino niente! Lei ha detto che il signor Zuccarello non richiama nessuno? Sappia intanto, che ha richiamato me!

I membri dell’orchestra del caffè hanno notato questo sfogo,

Avvenne quel che avevo immaginato. Tutti, anche i sonatori dell’orchestrina, si voltarono sbalorditi a guardarmi; parecchi si levarono da sedere;

… e il cameriere, senza parole e sbalordito (poverino), si è chiesto scusa.

il cameriere, quasi basito, mormorò:

– Ma io non ho mica inteso d’offenderla, signore…

Poi, Perazzetti ha urlato con rabbia le molte impressioni negative che aveva accumulato finora, e ha chiesto di parlare con il proprietario del caffè.

– No, no, – seguitai con sdegno e con ira. – Tanto perché lei lo sappia! E lo dica al suo direttore o al signor proprietario del caffè, che fa di queste belle speculazioni, impiantare qua, in un sotterraneo, un caffè per fare impazzire i suoi avventori!

(Tutto ciò che possiamo immaginare è che Perazzetti stiava cercando di garantire il successo del concerto dello Zuccarello.)

Poco dopo, il proprietario si è unito a lui.

Un signore, a questo punto, mi si fece incontro, turbato, pallidissimo. Lo fissai, per fermarlo a una certa distanza, e lo interpellai altezzosamente:

– Lei è il proprietario?

– Il proprietario, a servirla.

Inspiegabilmente però invece di lamentarsi di ciò che l’ha infastidito, Perazzetti ha chiesto, Chi aveva scritto l’annuncio? Il proprietario, sbalordito, ha spiegato che ‘distinto melodista’ era il linguaggio standard del club … in altre parole, lo Zuccarello non ha scritto l’annuncio!

– Ah, bravo! La prego di dirmi, se lei, scritturando il signor Zuccarello, gli aveva detto che il suo nome sarebbe apparso su, nella via, in quella tabella folgorata da due lampade elettriche!

Il proprietario mi guardò inebetito, balbettò:

– Io… nella tabella… il signor Zuccarello?… sissignore… è l’uso…

– Ah, è l’uso? – dissi, con un sorriso di trionfo. – E il signor Zuccarello dunque lo sapeva? Lo sapeva e s’è qualificato da sé distinto melodista!

– Sissignore, da sé. Ma io non capisco…

Allora … nonostante che la base della sua ipotesi era crollate, Perazzetti, imperturbato, è rimasto fisso sul suo desiderio di garantire il successo del concerto: ha chiesto dello status d’un riflettore, utilizzato per illuminare il palco, che il quel momento era spento.

– Lo vedo bene, – gridai, – lo vedo bene che lei non capisce nulla! Scusi, che cosa c’è lassù?

Indicai, così dicendo, in alto, nella parete di fronte al palcoscenico, un riflettore per illuminare gli artisti alla ribalta.

Adesso, lo sfogo di Perazzetti è stato notato dagli altri del pubblico.

All’improvvisa diversione, tutti nella sala scoppiarono a ridere e alzarono il capo a guardare dove io indicavo con fiero cipiglio. Più che mai sconcertato, il proprietario, guardò anche lui, rispose:

– Un riflettore…

– Ah, è un riflettore? E lei non pensa d’accenderlo per illuminare alla ribalta un artista come il signor Zuccarello? un artista che si qualifica da sé distinto melodista, pur sapendo che il suo nome sarà esposto su, nella via, in quella tabella sfolgorante di luce?

A questo punto,  il proprietario aveva sentito abbastanza: ha cominciato sospettare le motivazioni di Perazzetti, chiedendosi se lui avesse creato una scena per il beneficio dello Zuccarello?

Un nuovo scoppio di risa accolse queste mie parole. Il proprietario ne fu scosso; il primo sbalordimento si cangiò in irritazione; forse gli balenò il sospetto ch’io fossi pagato dal signor Zuccarello per fare quella parte; si scrollò irosamente e disse:

– Ma io non debbo dar conto a lei, se accendo o non accendo…

Poi, Perazzetti ha tentato di scusarsi,

– No no, scusi, scusi, – lo interruppi subito, facendomi manieroso, – lei deve rispettare in me un avventore attirato come una farfalletta dal lume di quella sua tabella nella via, un avventore che ha avuto fiducia nel signor Zuccarello e se ne promette una gioja, che lei non può neanche immaginarsi!

… e poi, ha suggerito un modo in cui il proprietario potesse riempire la stanza di clienti.

– Ma questo… – si provò a interrompermi a sua volta il proprietario. 

Non gli diedi tempo:

– Questo anche per suo tornaconto! Caro signore, qua siamo in un sotterraneo, lei lo sa bene; anzi in una catacomba! Dia ordine, via, che s’accenda il riflettore, e faccia un’altra cosa, sempre per suo tornaconto: inviti tutti gli avventori, che stanno a sbadigliare nella sala di sopra, a scendere qua, a sentire il signor Zuccarello! Gratis, non importa per una sera! E una vera indegnità che un distinto melodista come lui debba cantare alle sedie!

Contro logica, sia i membri del pubblico che il proprietario erano a favore di questo piano!

Tutte quelle mummie d’avventori, già richiamate alla vita, a questa mia inattesa proposta batterono festosamente le mani, approvando a coro; il proprietario mi guardò ancora per un momento accigliato e perplesso, poi sorrise anche lui, aprì le braccia, s’inchinò e corse su a dare gli ordini.

Alla fine, è arrivato lo Zuccarello sul palco illuminato; gli ha accolto con entusiasmo da una ‘full house’.

Poco dopo, la sala era quasi piena, rumorosa, ansiosa per la promessa d’un godimento insperato. Il riflettore di contro al palcoscenico cominciò a sfriggere, sbarbagliando, s’accese; l’orchestrina attaccò il preludio della prima romanza, e il signor Zuccarello in marsina, cravatta bianca, guanti bianchi, si fece avanti, raggiante, accolto da uno strepitoso applauso.

Perazzetti fornisce agli altri una descrizione dello Zuccarello,

Ah, miei cari amici, se l’aveste veduto! Piuttosto piccolino, con una faccia che pareva intagliata in un saponetto da barbiere, color di rosa, con un che di caprigno nei capelli fitti, ricci e neri, e anche nella voce, quando cominciò a belare, appassionatamente.

… che, come come avremmo potuto immaginare, ha fatto del suo meglio.

Per me, la maggior prova, la prova più lampante che non m’ero affatto ingannato sul suo conto, fu questa: che non si sforzò per nulla. Tanto e non più, così nella voce come nei gesti e nei sorrisi. Dava quel che poteva, e perfettamente sapeva quanto poteva dare. Nelle pause, cacciava fuori la lingua, sorridendo, per umettarsi le labbra, e graziosamente, con due dita, si tirava i polsini di sotto le maniche.

Perfetto!

Perazzetti racconta agli altri che il concerto, per la maggior parte, non è stato così ben accolto. È finito bene, tuttavia, e alla fine il pubblico ha dimostrato il suo apprezzamento.

Ma naturalmente nessuno degli spettatori riusciva a rendersi conto di quella perfezione. Sentivo che tutti tenevano la loro disillusione sospesa in una aspettativa, che si volgeva dubbiosa da me a lui, da lui a me. Per fortuna, un buon acuto finale, smorzato con arte, rialzò, sostenne le sorti; io mi affrettai ad applaudire con entusiasmo, tutti applaudirono con me, e il signor Zuccarello venne fuori due o tre volte a ringraziare, inchinandosi con una mano sul petto.

Dopo il concerto, Perazzetti ha incontrato lo Zuccarello che era furioso a causa del comportamento bizzarro ed inappropriato del Perazzetti.

Ma voi capite, amici miei, che a me non importava tanto, quella sera, di salvare il signor Zuccarello, quanto di salvare «l’assoluto». Ne avevo proprio bisogno! E lo salvai, non ostante tutto; voglio dire, non ostante che il signor Zuccarello, dopo lo spettacolo, mi venne incontro adiratissimo, quasi con le mani in faccia, a domandarmi conto e ragione di quanto avevo fatto, del pericolo a cui lo avevo esposto d’un fiasco clamoroso e anche di fargli perdere la scrittura per l’inqualificabile soperchieria usata al proprietario del caffè.

Alla fine però gli uomini sono diventati amici e, dopo il concerto, hanno trascorso del tempo insieme.

Stentai non poco a calmarlo, ma alla fine ci riuscii; non solo, mi riuscii anche a farmelo amico. Lo condussi con me per più d’un’ora per le vie già deserte, e lo feci entrare in un caffè notturno, perché seguitasse, bevendo una tazza di birra, a parlarmi di sé, della sua vita, delle sue speranze, dei suoi desiderii.

Ancora una volta, Perazetti spiega la sua ammirazione per lo Zuccarello.

Vi figurate che m’abbia detto cose straordinarie? Siete veramente imbecilli! Mi disse le cose più ovvie, più comuni, più semplici del mondo, quali poteva dirle uno che aveva saputo trovare in sé il punto giusto, il puntino infinitesimale, dove aveva inserito il seme che l’aveva fatto un dio modesto, padrone del suo piccolo mondo. Era contento e soddisfatto di tutto, anche di cantare alle sedie in quel lugubre caffè sotterraneo. Perché in quell’equilibrio perfetto che solamente può dare la piena soddisfazione di sé, egli aveva capito che a lui conveniva d’essere un piccolo dio provinciale, di condurre cioè nei paeselli di provincia la sua modesta divinità; e gli bastava perciò di poter dire, per accrescere colà il suo prestigio, d’aver cantato a Roma, in un caffè-concerto di Roma; quale, non importava.

Arriviamo, adesso, alla fine di questa commedia dell’assurda. Dopo il concerto, Perazzetti ha conosciuto la moglie dello Zuccarello, che aveva l’abitudine di accompagnarlo ogni volta che si esibiva. La donna (poverina) era infelice, vivendo sotto un’ombra (letteralmente e figurativamente) dello Zuccarello.

La prova maggiore della sua divinità mi fu data però da un’ombra, che, appena usciti dal caffè sotterraneo, prese a seguirci a distanza per più d’un’ora lungo le vie deserte; l’ombra d’una donna miserabile, che potei distinguere bene quando, schiudendo timidamente la porta a vetri del caffè notturno, strisciò dentro, dieci minuti dopo ch’eravamo entrati noi, e andò a rincantucciarsi in un angolo in fondo, vestita di un abito nero, inverdito e sfrittellato, con un cappellino frusto, guarnito di una piuma piangente da un lato; su le spalle curve, una vecchia mantiglia sfrangiata; ai piedi, un pajo di scarpacce da uomo.

Avevo notato che, andando via, egli di tanto in tanto, pian piano e come di nascosto, si voltava a lanciare indietro un’occhiata inquieta.

In modo assurdo, Perazzetti credeva che il comportamento della moglie fosse la prova della divinità di Zuccarello.

– Ma sì, lo so!» avrei voluto dirgli, per levarlo da quella inquietudine «Lo so ed è giusto che sia così: non credere che m’offenda il fatto che tu tenga così a distanza tua moglie e che ella sia così miserabile.

Stranamente, Perazzetti ha creduto che l’atteggiamento di questa povera donna verso lo Zuccarello rispecchiasse il suo stesso.

Ero sicuro che lui la teneva ancora con sé, non solo per farsi servire da lei, come da una schiava, ma anche per misurare da lei il cammino che aveva saputo percorrere; e parimenti ero sicuro che ella, senza muovere un lamento, faceva di tutto per tener lui come un damerino.

Dite di no? Lasciatemi ripetere, amici, che siete veramente imbecilli. Sappiate che dopo aver accompagnato fino al portone dell’alberguccio il signor Zuccarello, nel ritornare indietro, io m’ebbi, nel bujo fitto della strada, un profondissimo inchino da quell’ombra. E non potei fare a meno di considerare che era giusto che ella s’inchinasse a me così, perché lo voleva in lei quello stesso Iddio, a cui io or ora avevo reso omaggio.

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