Riassunto: “Ho tante cose da dirvi …”

“Ho tante cose da dirvi…” (L. Pirandello) è, come vedremo, una novella su ‘amore e perdita’ così come ‘ossessione’. Allo stesso tempo, è una novella in cui la protagonista è gravata da un apparente malinteso (o, forse, una convinzione errata) … e, a questo proposito, la protagonista si chiede, La mia vita: era infatti quella che sembrava essere? era infatti ben vissuta (cioè sostanziale, compiuta e consequenziale)?

***

La lettera, in un bel foglietto volgarissimo, di suprema eleganza provinciale, color di rosa e filettato d’oro, finiva così:

“…se parlo d’ansia, tu puoi ben dire: ma sei vecchio, sei, povero il mio Giorgio! Ed è vero, sono vecchio, sì; ma dèi pensare, Momolina, che fin da ragazzo io t’ho amata, e quanto! Dicevi d’amarmi anche tu, allora! Venne la bufera – proprio la bufera – e mi ti portò via. Quanti mai anni sono passati? Vent’otto… Ma come si fa che son rimasto sempre lo stesso? Dico meglio: il mio cuore! Non dovresti perciò farmi aspettare più a lungo la risposta. Sai? Io verrò a te domani. Hai avuto circa un mese per riflettere. Mi devi dire domani o sì o no. Ma dev’essere sì, Momolina! Non far crollare il bel castello che ho edificato in questo mese, il bel castello dove tu sarai regina e tutte le mie speranze ancora giovani ti serviranno come ancelle amorose…”

All’inizio della novella ci viene presentata la signora Moma, la protagonista … donna matura, di mezz’età, vedova d’un compositore di successo, benestante e madre d’una bellissima donna recentemente sposata che ha scelto di vivere fuori l’Italia.

All’inizio della storia, la Moma è in casa a Roma, leggendo una lettera di recente d’un conoscente perduto da tempo, il signor Fantini, uomo ricco che vive nella campagna montuosa dov’è nata e cresciuta la Moma. Apprendiamo che anni anni fa, il Fantini e la Moma erano innamorati l’uno dell’altra — un amore, come impareremo, che era interrotto perché la Moma ha scelto di sposare un altro, Aldo Sorave, il compositore grande. Nella lettera, apprendiamo anche che di recente il Fantini ha proposto di sposare la Mora (all’apertura della novella lei è stata rimasta vedova per circa sedici mesi). Noi scopriamo anche che il Fantini può aver intrapreso — impulsivamente, in modo stravagante — la spesa e lo sforzo a costruire un palazzo nuovo, in montagna, per entrambi di loro senza il consenso della Moma. (Infatti, non siamo sicuri se questo è vero o invece o invece un esempio dello stile retorico del Fantini.) Infine, apprendiamo che è passato quasi un mese da quando il Fantini ha inviato una sua prima proposta di matrimonio ma che, finora, la Moma ha rifiutato di rispondere. Tutto ciò nonostante, il Fantini ha informato la Moma nella sua lettera più recente che ha deciso di recarsi a Roma per visitarla e chiedere la sua risposta … arriverà lui infatti il giorno seguente.

Poi, la signora Moma si prende un momento per riflettere sull’ultima frase della lettera, “e tutte le mie speranze ancora giovani ti serviranno come ancelle amorose…”, che lei ritiene possa esser stata aggiunta all’ultimo minuto, quasi come un’ulteriore riflessione (qualcosa poetica e florida, forse) prima che la lettera fosse sigillata in una busta.

La signora Moma s’accorse che quest’ultima frase, così poetica, era stata aggiunta, appiccicata dopo scritta la lettera. Il signor Giorgio, o non aveva voluto sprecare il bel foglietto color di rosa, filettato d’oro; o non aveva voluto sobbarcarsi alla fatica di rifar di nuovo, chi sa con quanto stento, in bella copia la lettera, con tutti quegli svolazzi in fine d’ogni parola; e, con molta industria allora, aveva costretto la poetica frase, sovvenutagli tardi, forse nel rileggere la lettera prima di chiuderla nella busta, a capir tutta, di minutissimo carattere, nel poco spazio che avanzava nel rigo dopo il tu sarai regina. L’appiccicatura, saltando agli occhi evidente, rendeva più che mai goffe quelle speranze ancora giovani che dovevano servirla come ancelle amorose. 

(La nostra impressione è che la Moma ancora capisca bene il carattere e la personalità del Fantini e che lei non lo tenga in grande considerazione.)

La Moma respinge apertamente la lettera, solo per rendersi conto che quasi ‘sepolto nel mezzo del testo’ è l’annuncio che il Fantini arriverà a Roma il giorno seguente. A dir lo meno, lei non sembra esser contenta.

E, ottenne questo bell’effetto: che la signora Moma, sbuffando, buttò via la lettera, senza leggerne le ultime righe.

– Oh Dio, viene domani? Ma come non capisce, cretino, che non voglio saperne?

(Allora … adesso noi siamo certo che la Moma non abbia interesse per la proposta del Fantini!)

A questo punto il retroscena della Moma ci viene rivelato …

Innanzitutto, apprendiamo che durante i sedici mesi precedenti, la Moma, come vedova, ha trascorso gran parte del suo tempo lontano da casa. Sentiamo anche che c’è un’intensità ai suoi sforzi piuttosto frenetici,

E, ancora col cappello in capo, pestò un piede e alzò la mano guantata a un vivacissimo gesto di fastidio e di stizza.

Con quel cappello in capo la signora Moma stava, si può dire, da un anno e quattro mesi. Non se lo levava che per qualche mezz’oretta, per qualche oretta al giorno; se lo ripiantava di furia in capo, e via di nuovo, fuori di casa.

… e anche che la Moma sta sperimentando un profondo senso di brama o desiderio, cioè, qualcosa che potrebbe essere stato forse mal definito per qualche tempo, ma che, più recentemente, le ha portato a sperimentar un senso di esasperazione / frustrazione. A questo proposito, impariamo che la casa della Moma, riccamente arredata, sembra esser servita in generale come una metafora … cioè, un costante promemoria di ciò che lei è stata cercando; impariamo che una stanza in particolare, il salone di ricevimento, sembra aver servito come un promemoria insolitamente potente.

La cacciava via così, sempre in giro di qua e di là, una smania, non sapeva di che, una smania che le si esasperava in corpo sopratutto alla vista dei mobili della casa e specialmente alla vista del magnifico salone di ricevimento, con quelle ricche tende e quelle portiere di damasco, quei quadri antichi e moderni alle pareti e quel gran pianoforte a coda del marito e quei leggìi che parevano di chiesa, innanzi ai quali sedevano con gli strumenti ad arco i colleghi del marito e anche Alda, la sua bella figliuola, adesso lontana lontana, anche lei col suo violino.

Poi, apprendiamo che il marito della Moma, il grande compositore Aldo Sorave, è morto da sedici mesi;

Da un anno e quattro mesi era vedova la signora Moma: dell’illustre maestro Aldo Sorave. 

… scopriamo anche che la lettera del Fantini ha portato la Moma a una fantasticheria, cioè, come e quando lei aveva incontrato il Sorave per la prima volta. A quanto pare, all’inizio della sua carriera il Sorave era arrivato al borgo nella campagna montuosa in cerca di rifugio. Non ancora famoso, voleva concentrarsi e finire quella che presto sarebbe stata diventata la composizione, La bufera, che avrebbe lanciato la sua carriera nel campo della musica.

La lettera ricevuta quella mattina nella quale quel signor Giorgio la chiamava Momolina, le aveva per poco ridestato il ricordo del suo paesello nativo, di quel ferrigno borgo montano, tutto cinto di faggi, di querci e di castagni, ove un giorno il giovane maestro Sorave, sbattuto da chi sa quale tempesta, era venuto a rifugiarsi, genio incompreso, con un libretto da musicare, La bufera.

Di certo, la Moma, allora ragazza, era consapevole dell’arrivo del Sorave. Anzi, sembrava che tutte le ragazze del borgo fossero eccitate / agitate dalla sua presenza, cioè, pronte ad innamorarsi, sperando d’esser invitato a sposarlo. Scopriamo che la Moma a questo proposito ‘aveva seguito più o meno la folla’, anche se non era particolarmente attratta dal Sorave; era quindi una grande sorpresa quando è diventato chiaro che il Sorave aveva scelta la Moma.

Ella era veramente Momolina, allora. Sedici anni, rosea e fresca, bellina, grassottella e placida placida. Ma s’era innamorata anche lei del giovane maestro Sorave. Se n’era innamorata forse perché tutte le ragazze del paese se n’erano innamorate. Non aveva mai però compreso bene perché egli fra tante avesse scelto lei, proprio lei, che certo gli s’era mostrata meno accesa di tutte le altre; tanto che innanzi a lui non aveva saputo se non arrossire e balbettare; e, forzata a dirgli qualche cosa, gli aveva dichiarato candidamente di non capir nulla, lei, né di musica, né di poesia, né d’alcun’altra arte.

Gli opposti si attraggono? Alla fine il Sorave aveva chiesto alla Moma di sposarlo, e lei aveva accetato. Era durato ventotto anni il loro matrimonio. All’inizio, c’erano qualche difficoltà, in parte perché il Sorave aveva perseguito la sua carriera con impegno totale. Tuttavia la nascita di Alda, la loro figlia, sembrava aver avuto un effetto calmante … cioè, la presenza di Alda sembrava aver dato un significato e uno scopo alla vita della Moma. Inoltre, tra poco, il Sorave aveva raggiunto notevole notorietà e successo, e la famiglia era in grado d’acquistar una casa opulenta a Roma.

Ebbene, appunto perciò, forse, il maestro Aldo Sorave se l’era sposata. Pur non di meno ella credeva, era sicurissima d’aver condiviso per vent’otto anni la vita del marito, dapprima tempestosa, zingaresca, in viaggi affannosi da un paese all’altro, con la lingua fuori come una povera cagnetta dietro l’ansia smaniosa di lui che voleva a ogni costo raggiungere la meta; poi – nata la figliuola – un’altra vita, non mai placida veramente, ma certo meno irrequieta, quella che seguiva ai ritorni di lui dopo i trionfi o d’un giro di concerti o d’una stagione musicale diretta in questa o in quella città; finché, conquistata solidamente con la fama l’agiatezza, egli non s’era stabilito a Roma.

Con il passare del tempo, una comunità degli artisti ha iniziato a riunirsi regolarmente a casa della famiglia. Inoltre Alda, adesso una donna bellissima, era molto ricercata dai giovinotti che hanno gravitato alla casa di famiglia. Come si è scoperto, tuttavia, Alda non ha scelto di sposare uno dei giovinotti ma ha invece scelto — con lo sgomento e l’assoluto disapprovazione del padre — di sposare un giornalista, il cui lavoro l’ha portata la coppia a lasciare l’Italia … prima per l’America e poi per l’Argentina. E poi, purtroppo, come ci viene spiegato, il Sorave è morto, dal crepacuore, poco dopo la coppia si era sposata.

Qua la figliuola era cresciuta, bionda e bellissima, in mezzo all’inebriante fulgore d’arte di cui era circondato il marito. Ma un bel giorno, chi sa come, chi sa perché, rovesciando tutti i disegni ambiziosi del padre, s’era invaghita d’un giornalista, brutto e quasi vecchio; aveva voluto sposarlo, e se n’era andata in America, a Buenos Aires, dove al marito era stata offerta la direzione d’un grande giornale italiano. Tre mesi appena dopo quelle nozze, il padre, che aveva negato fino all’ultimo il consenso e non aveva voluto rivedere la figliuola neanche prima della partenza per l’America, era morto di crepacuore.

Sembra facile capire il profondo senso di perdita che la Moma deve aver provato dopo la partenza di sua figlia e poi, la morte di suo marito. Ci viene detto che la Moma è entrata in un periodo di riflessione: lei sembrava essere ‘persa e senza scopo’ (forse per la seconda volta durante il suo matrimonio), quindi ha iniziato a mettere in discussione ciò che aveva realizzato finora nella propria vita.

Un gran dolore, sì, oh un gran dolore per la signora Moma l’allontanamento di quell’unica figliuola; e la più grande delle sciagure era stata poi per lei la morte del marito. Ma – ecco – che proprio proprio, con quell’allontanamento e con questa morte, fosse tutto finito, come se ella non fosse rimasta lì, come se non fosse rimasta la casa, tal quale, per l’agiatezza in cui la aveva lasciata il marito, la signora Moma non riusciva ancora a capacitarsi.

Di sicuro, a volte, la Moma è stata in grado di ricordare quando sembrava aver un proprio ‘ruolo centrale’ nella comunità degli artisti di suo marito,

Certo, la vita d’un tempo, quella fervida vita, così bruscamente interrotta, le feste d’arte, le conversazioni, la corte delle splendide signore attorno al vecchio maestro illustre, piccoletto e capelluto, dagli occhi selvaggi sotto le folte ciglia spioventi come appariva dal ritratto a olio appeso alla parete del salone;

… anche se questa comunità sembrava esser sempre più interessata al Sorave ed anche Alda.

la corte degli elegantissimi giovanotti attorno alla figliuola;

Tutto ciò nonostante, la Moma sosteneva ostinatamente la convinzione che faceva una propria parte di questa comunità: di conseguenza, credeva che sarebbe stata in grado di ricostituire la comunità … adesso, a casa sua, e per via dei rapporti che lei stessa aveva coltivato nel corso degli anni. La Moma sembrava dire, Anche questi … erano i miei cari amici, no?

non era più possibile ormai: questo, sì, la signora Moma lo comprendeva bene. Ma una vita quale ormai poteva essere nelle mutate condizioni, le tante e tante amiche, i tanti e tanti amici d’allora potevano bene ricondurla lì, nella casa rimasta tal quale, in quel magnifico salone, attorno a lei che v’era restata sola e vi s’aggirava come sperduta.

Dunque, la Moma ha sviluppato l’abitudine di lasciare casa ogni giorno — senza fallire e per ore — in una ricerca estenuante (e frustrante) per i membri della comunità di artisti del marito.

E col cappello in capo, dalla mattina alla sera, angosciata, esasperata, la signora Moma correva in cerca degli antichi frequentatori della casa, dall’uno all’altro, senza requie.

Impariamo che questo sforzo è continuato nel corso di almeno un anno. All’inizio, la Moma è stata accolta in modo cordiale, ed alcune persone hanno persino promesso di raggiungerla a casa sua.

Dapprima era stata accolta con una certa cordialità; molti la avevano commiserata per la doppia sventura; qualcuno le aveva anche promesso che sarebbe venuto a trovarla. Ma che! 

Nessuna di queste promesse è stata mantenuta, tuttavia, e questo dimostrerebbe una fonte d’enorme frustrazione.

Non era mai più venuto nessuno. E a poco a poco la signora Moma era divenuta quasi aggressiva.

– Birbante! birbante! Avevate promesso che sareste venuto.

– Signora mia, creda, non ho potuto.

– Verrete oggi? Fatemi il piacere, venite! Ho tante cose da dirvi… Dalle quattro alle sei. Ci conto.

– Oggi no, mi dispiace, signora, non potrei. Spero domani.

– No! Domani certo. V’aspetto, badate! Dalle quattro alle sei. Ho tante cose da dirvi…

A questo punto della storia, la nostra impressione è che la Moma sta cercando di validare la propria vita … lei sembra voler poter affermare che è una donna di sostanza, una persona indipendente dall’ombra e dalla protezione di suo marito. Tuttavia, non sembra esser la Moma sia patetica che ansiosa? … dopotutto, il suo ingresso nella comunità è infatti dovuto al Sorave, giusto?

Tristamente, apprendiamo che la Moma ha aspettato l’arrivo degli suoi amici alla fine d’ogni giornata, solo per essere delusa.

E dalle quattro alle sei la signora Moma stava ad aspettare in casa la visita. Credeva veramente d’aver tante cose da dire, e ripeteva a tutti, dopo gl’inviti sempre più pressanti, quella frase.

Passavano le quattro, passavano le cinque, passavano le sei, l’impazienza, la smania, l’angoscia, l’esasperazione della signora Moma crescevano; sbuffava, balzando in piedi; andava su e giù per il salone; s’affacciava ora a questa ora a quella finestra a guardare se l’aspettato venisse; e, pur certa ormai che non sarebbe più venuto, scoccate le sei, si costringeva, divorata dalla rabbia, ad aspettare ancora dieci minuti, un quarto d’ora, e ancora un altro quarto, e finanche un’ora! Alla fine, si ripiantava il cappello in capo, e via di nuovo per le strade, furiosa, imprecando al mal’educato.

Poi, impariamo che la Moma sembra aver perseguito assiduamente il suo obiettivo … così tanto, tuttavia, che gli amici si sono arrabbiati con lei.

Non s’accorgeva nemmeno che ora amici e conoscenti, per non farsi aggredire avvistandola da lontano, scantonavano, si nascondevano e, quand’erano acchiappati, le porgevano la mano voltando la faccia, e scappavano via, senza darle il tempo di finir la solita frase:

– Domani, eh? V’aspetto domani. Dalle quattro alle sei. Ho tante cose da dirvi….

Perché ha persistito la Moma? In parte, sembra, a causa dei suoi ricordi, cioè, quei momenti in particolare in cui sembrava esser accettata e rispettata dagli amici di suo marito. Era semplicemente impossibile per lei capire adesso la reticenza degli altri, la loro astuzia.

Ricordava, la poveretta, d’essersi mostrata sempre affabile e cordiale, con le amiche, con gli amici, ammiratrici del marito, corteggiatori della figliuola. Amiche, amici, le sedevano accanto, allora, durante le riunioni, le rivolgevano anche la parola, la salutavano con aria complimentosa e deferente, entrando nel salone e uscendone. Inchini, complimenti, sorrisi… Ella udiva paziente tutta quella musica, tutte quelle dispute d’arte; qualche volta le era avvenuto di rispondere con un cenno del capo o con un sorriso a qualcuno che nel calore della discussione le aveva rivolto lo sguardo… No, no, proprio no, non riusciva a capacitarsi ancora perché, allontanatasi la figliuola, morto il marito, tutti l’avessero abbandonata così, come se ella avesse commesso qualche indegnità; tutti avessero così disertato la bella casa dove quei preziosi oggetti d’arte erano rimasti attorno a lei come sospesi in una immobilità silenziosa e quasi solenne.

(Possiamo immaginare che, per la Moma, il comportamento degli amici di suo marito debba esser sembrato come un tradimento, cioè, qualcosa sia di confuso che pernicioso. Tuttavia, sembra anche possible che gli amici non abbiano mai avuto un’intenzione malevole; invece potrebbero semplicemente aver avuto così poco condividere la Moma che c’era poche ragione per dedicare tempo dalle loro vite frenetiche per farle visita.)

Col passare del tempo, la sua casa serve solo a ricordare alla Moma le sue frustrazioni, la sua solitudine, le sue esasperazioni, la sua ossessione … cioè, i mobili,

Erano suoi, tutti e assolutamente suoi, ora, quei mobili e la casa; ella era la signora e la padrona di tutto; eppure… eppure da una smania orribile si sentiva presa, guardando, o, piuttosto, sentendosi guardata come un’estranea, lì, da tutti quegli oggetti che non le dicevano nulla, che non le sapevano dir nulla, perché avevano tutti un ricordo vivo ancora, o del marito o della figliuola; e per lei, nessuno.

… il salone,

Se alzava gli occhi a guardare, per esempio, un quadro del salone, sapeva ch’era antico, come no? sapeva ch’era di pregio; ma che cosa rappresentasse quel quadro, perché fosse bello, veramente non avrebbe saputo dire neanche a se stessa;

… e il pianoforte.

e se guardava il pianoforte… eh, in verità non poteva altro che guardarlo… non s’arrischiava nemmeno a scoprirne la tastiera, perché il marito, prima di morire, le aveva espressamente raccomandato che non lo lasciasse più toccare a nessuno. Quanto a toccarlo lei, neppur ci pensava, perché lei, la musica… – sì, c’era vissuta sempre in mezzo – ma neanche le note, il do dal re aveva imparato mai a distinguere.

Non le viveva, ecco, non poteva più viverle attorno, quella casa. Per riprendere a vivere bisognava assolutamente che un po’ dell’antica vita, quella degli altri, quella della figliuola e del marito, tornasse a muoversi in essa.

Ancora una volta, ci viene spiegato il bisogno della Moma di validare vita sua,

Altra vita, lì, una sua vita, non era possibile; perché in realtà lei, la signora Moma (ditelo piano, per carità, se non volete esser troppo crudeli, voi che adesso la chiamate «una terribile seccatrice»), la signora Moma, lì, nella sua casa, non aveva mai avuto una vita sua e quasi non c’era mai stata.

… e apprendiamo anche della sua determinazione: lei — persa, abbandonata, la sua ansia in aumento ed incapace d’adattarsi alla solitudine — semplicemente si è rifutata d’accettar l’idea che gli amici di suo marito non avessero più bisogno di lei.

Questo ella, naturalmente, non poteva intenderlo: lo avvertiva solo come una smania che le si esacerbava sempre più e la cacciava fuori senza requie, incaponita a richiamare, a ricondurre attorno a sé quella vita, nell’angoscia smaniosa di sentirsela mancare e sfuggire, senza saper perché.

Adesso, torniamo al presente …

È il giorno dopo che la Moma ha letto la lettera del Fantini; arriva a casa lui ma l’accoglienza che riceve è infatti fredda.

Il giorno appresso – s’intende – accolse a modo d’un cane quel povero signor Giorgio Fantini, suo compaesanello innamorato di vent’otto anni fa, che pure con la sua profferta di nozze intendeva di richiamare e di ricondurre lei piuttosto a quell’unica vita ch’ella veramente avrebbe potuto vivere, là nel ferrigno borgo montano tra i boschi di faggi, di querci e di castagni; modesta vita tranquilla, dai giorni semplici, uguali, dove non avveniva mai nulla ch’ella non potesse capire, dove in ogni cosa nota avrebbe potuto sentire e toccare la realtà sicura della propria esistenza.

(A questo punto siamo ben consapevoli che la Moma non ha più bisogno ad esser subordinata … curata da un uomo.)

Il Fantini è descritto; sembra essere sia bello che affascinante.

E non era poi tanto vecchio quel signor Giorgio Fantini; ed era anche un bell’uomo, molto più bello certamente di quel piccoletto e capelluto maestro bufera Aldo Sorave; ed era anche ricco, padrone di molte terre e di molte case, e non privo d’una certa coltura antica e sana, se poteva leggere nel loro testo latino e senz’ajuto di traduzione le Georgiche di Virgilio.

Passano due ore; chiaramente la Moma non è in grado d’accettare l’offerta del Fantini.

Già non si fece neppur trovare in casa la signora Moma. Quando, dopo circa due ore, rincasò tutta accaldata e sbuffante, più che mai invelenita dalla stizza contro tutti quegli ingrati e mal’educati che la sfuggivano e le mancavano di parola, lo investì malamente, là nel salone, senza neppur levarsi il cappello, sollevando soltanto la veletta per fargli scorgere bene, negli occhi, la sua collera e il fermo proposito di respingere quella proposta che le pareva quasi un insulto, anzi una tracotanza.

Frustrata, ansiosa, arrabbiata … la Moma tenta di congedare il Fantini, di mandarlo per la sua strada.

– Ma chi v’ha detto di venire, caro Fantini? Io non ve l’ho detto! Non v’ho neppure risposto! Ma sì, scusate: vi pare sul serio che sia una cosa possibile? Ma basta che vi guardiate un po’ attorno, caro Fantini! Vedete? Questa è la mia casa… Credete proprio possibile ch’io, alla mia età, rinunzi ormai a ciò che per tanti anni ha formato la mia vita? Via, via… Un po’ di riflessione… Avreste dovuto riflettere un po’ prima, veramente… Basta; non ne parliamo più. Qua la mano, caro Fantini, senza rancore, e restiamo buoni amici.

(Ironia della sorte, vero? questo è simile al modo in cui la Moma è stata congedata dagli amici di suo marito.)

Il Fantini — sbalordito, inconsapevole — cerca di spiegare cos’è appena successo.

Non ebbe il coraggio d’insistere il signor Giorgio Fantini; guardò in giro quel solenne salone dov’ella diceva d’aver la sua vita, e poco dopo uscì con lei che per un momento, a causa di lui, aveva dovuto interrompere la sua quotidiana inesorabile ricerca.

Alla fine della storia vediamo la Moma, patetica, per strada, in cerca della convalida.

E la vide per via, nella tristezza brumosa della sera decembrina, fermarsi tre o quattro volte in mezzo a una fiumana di gente ad aggredire questo e quello; e s’accorse che quei signori aggrediti le porgevano la mano voltando la faccia; e ogni volta con una strana voce rabbiosa di pianto le udì ripetere quella sua solita frase:

– Ma avevate promesso di farvi vedere! Venite! venite! Dalle quattro alle sei. Ho tante cose da dirvi…

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