Riassunto: Nell’albergo è morto un tale

Cento cinquanta camere, in tre piani, nel punto più popoloso della città. Tre ordini di finestre tutte uguali, le ringhierine ai davanzali, le vetrate e le persiane grigie, chiuse, aperte, semiaperte, accostate.

La facciata è brutta e poco promettente. Ma se non ci fosse, chi sa che effetto curioso farebbero queste cento cinquanta scatole, cinquanta per cinquanta le une sulle altre, e la gente che vi si muove dentro; a guardarla da fuori.

L’albergo, tuttavia, è decente e molto comodo: ascensore, numerosi camerieri, svelti e ben disciplinati, buoni letti, buon trattamento nella sala da pranzo, servizio d’automobile. Qualche avventore (più d’uno) si lamenta di pagar troppo; tutti però alla fine riconoscono che in altri alberghi, se si spende meno, si sta peggio e non si ha il vantaggio, che si vuole, d’alloggiare nel centro della città. Delle lagnanze sui prezzi il proprietario può dunque non curarsi e rispondere ai malcontenti che vadano pure altrove. L’albergo è sempre pieno d’avventori e parecchi, all’arrivo del piroscafo ogni mattina e dei treni durante il giorno, veramente se ne vanno altrove, non perché vogliano, ma perché non vi trovano posto.

Inizia così la novella Nell’albergo è morto un tale (L. Pirandello) che, secondo noi, esamina il tema di ‘travel’ e, in particolare, i modi in cui alcuni viaggi sono estenuanti e provocano l’ansia. All’inizio della storia ci viene fornita una descrizione d’un albergo nel caotico centro storico d’una grande città italiana. Anche se l’albergo è grande—dispone di centocinquanta camere su tre piani, cinquanta camere per piano—la facciata dell’albergo non è ‘molto da vedere’: la nostra impressione è che sia moderna, banale, simmetrica, minimalista, puramente funzionale (piuttosto che ornata), brutalista. (Si può facilmente immaginare che l’architetto dell’edificio fosse ‘sonnambulo’ (non ispirato) durante la preparazione del piano di progettazione / costruzione dell’albergo.) Tutto ciò nonostante, la locale dell’albergo è altamente desiderabile e le camere sono riconosciute per esser confortevoli … cosa c’è di più, l’albergo è ben gestito, ei suoi servizi sono sempre in perfetta sintonia con le esigenze dei suoi ospiti. Dunque, il consenso generale sembra esser che l’albergo offre una favorevole rapporto qualità-prezzo e, in quanto tale, l’albergo è quasi sempre richiesto e completamente occupato.

Impariamo che un ospite tipico dell’albergo è qualcuno che è venuto in città per gli affari o forse un’altra questione. (In questo senso, le numerose funzioni della città sembra supportare gli affari dell’albergo.) Come tale, rimarrebbe quest’ospite solo per qualche giorno o giù di lì. Anzi, non sarebbe insolito per un ospite dell’albergo di dormire per solamente una notte, cioè, la sera prima d’un appuntamento programmato, e poi partire il giorno successivo, dopo che l’attività è stata completata.

Sono per la maggior parte commessi viaggiatori, uomini d’affari, gente della provincia che viene a sbrigare in città qualche faccenda, o per liti giudiziarie o per consulto in caso di malattia: avventori di passaggio, insomma, che non durano più di tre o quattro giorni; moltissimi arrivano la sera per ripartire il giorno dopo.

Molte valige; pochi bauli.

Successivamente, viene descritta l’organizzazione delle camere dell’albergo. Apprendiamo, ad esempio, che si trovano le camere più desiderabili al primo piano … tuttavia, il normale flusso di ospiti ogni giorno, dentro e fuor l’albergo, detterà per caso quale camera verrà offerta a un nuovo ospite. Come uno può facilmente immaginare, richiede notevoli capacità e competenze la gestione di questa situazione.

Un gran traffico, un continuo andirivieni, dunque, dalla mattina alle quattro fin dopo la mezzanotte. Il maggiordomo ci perde la testa. In un momento, tutto pieno; un momento dopo, tre, quattro, cinque camere vuote: parte il numero 15 del primo piano, il numero 32 del secondo, il 2, il 20, il 45 del terzo; e intanto due nuovi avventori si sono or ora rimandati. Chi arriva tardi è facile che trovi sgombra la camera migliore al primo piano; mentre chi è arrivato un momento prima ha dovuto contentarsi del numero 51 del terzo. (Cinquanta, le camere, per ogni piano; ma ogni piano ha il numero 51, perché in tutti e tre manca il 17: dal 16 si salta al 18: e chi alloggia al numero 18 è sicuro di non aver la disgrazia con sé.)

Esistono infatti due tipi di ospiti: quelli che soggiornano presso l’albergo ripetutamente durante l’anno e, come tale, comprendono bene le usanze e pratiche e routine dell’albergo … questi ospiti sono ben noti dallo staff dell’albergo e anche trattati come tali.

Ci sono i vecchi clienti che chiamano per nome i camerieri, con la soddisfazione di non esser per essi come tutti gli altri, il numero della stanza che occupano: gente senza casa propria, gente che viaggia tutto l’anno, con la valigia sempre in mano, gente che sta bene ovunque, pronta a tutte le evenienze e sicura di sé.

L’altri sono quelli che visitano l’albergo raramente (o per la prima volta) quindi devono adattarsi a una nuova ambiente … come tali, si sentono spesso incerti ed ansiosi.

In quasi tutti gli altri è un’impazienza smaniosa o un’aria smarrita o una costernazione accigliata. Non sono assenti soltanto dal loro paese, dalla loro casa; sono anche assenti da sé. Fuori dalle proprie abitudini, lontani dagli aspetti e dagli oggetti consueti, in cui giornalmente vedono e toccano la realtà solita e meschina della propria esistenza, ora non si ritrovano più; quasi non si conoscono più perché tutto è come arrestato in loro, e sospeso in un vuoto che non sanno come riempire, nel quale ciascuno teme possano da un istante all’altro avvistarglisi aspetti di cose sconosciute o sorgergli pensieri, desiderii nuovi, da un nonnulla; strane curiosità che gli facciano vedere e toccare una realtà diversa, misteriosa, non soltanto attorno a lui, ma anche in lui stesso.

Inoltre, impariamo che un nuovo ospite potrebbe aver difficoltà a programmare la propria attività durante il giorno: potrebbe ad esempio svegliarsi prima del solito perché non è abituato alla sua camera, al suo letto ed al rumore del traffico sulla strada … poi, potrebbe arrivare alla sua destinazione in città prima di quanto dovrebbe, perché non è a conoscenza delle ore di lavoro … poi, dopo che la sua attività è stata completata, potrebbe tornare presto in albergo dove deve aspettare, a disagio, fino a quando verrà il momento della sua partenza … e solo allora potrebbe ricordare che c’è lo shopping da fare, per se stesso o per gli altri!

Svegliati troppo presto dai rumori dell’albergo e della via sottostante, si buttano a sbrigare in gran fretta i loro negozii. Trovano tutte le porte ancora chiuse: l’avvocato scende in istudio fra un’ora; il medico comincia a ricevere alle nove e mezzo. Poi, sbrigate le faccende, storditi, annojati, stanchi, tornano a chiudersi nella loro stanza con l’incubo delle due o tre ore che avanzano alla partenza del treno; passeggiano, sbuffano, guardano il letto che non li invita a sdrajarsi; le poltrone, il canapè che non li invitano a sedere; la finestra che non li invita ad affacciarsi. Com’è strano quel letto! Che forma curiosa ha quel canapè! E quello specchio lì, che orrore! – Tutt’a un tratto, si sovvengono d’una commissione dimenticata: la macchinetta per la barba, le giarrettiere per la moglie, il collarino per il cane; suonano il campanello per domandare al cameriere indirizzi e informazioni.

– Un collarino, con la targhetta così e così, da farci incidere il nome.

– Del cane?

– No, mio, e l’indirizzo della casa.

A questo punto della storia, la nostra attenzione è focalizzata su due nuovi ospiti dell’albergo. La prima di questi, una vecchia signora in lutto, ha viaggiato con suo figlio e sua figlia … impariamo che loro intendono accompagnare la loro madre in piroscafo dall’Italia all’America, che sarà la nuova casa di lei. Veniamo a comprendere che la signora (poverina) è ansiosissima per il suo viaggio—impariamo che non ha mai viaggiato prima, e si preoccupa del rigore e della sicurezza d’un viaggio attraverso l’oceano.

Ne sentono di tutti i colori i camerieri. Tutta la vita passa di là, la vita senza requie, mossa da tante vicende, sospinta da tanti bisogni. C’è giù, per esempio, al numero 12 del secondo piano, una povera vecchia signora in gramaglie che vuol sapere da tutti se per mare si soffre o non si soffre. Deve andare in America, e non ha viaggiato mai. E arrivata jersera, cadente, sorretta di qua da un figliuolo, di là da una figliuola, anch’essi in gramaglie.

Poi, impariamo che la vecchia signora ha viaggiato in treno da casa sua (in Sicilia) alla città e che il treno è arrivato alla stazione all’incirca nello stesso momento che un piroscafo dall’America è arrivato nel porto.

Specialmente il lunedì sera, alle ore sei, il proprietario vorrebbe che al bureau si sapesse con precisione di quante camere si può disporre. Arriva il piroscafo da Genova, con la gente che rimpatria dalle Americhe, e contemporaneamente, dall’interno, il treno diretto più affollato di viaggiatori.

A quanto pare, molti viaggiatori dal treno e dal prioscafo arrivano all’albergo a quasi lo stesso momento, trovando una camera. Sfortunatamente non tutti potevano esser sistemati; la maggior parte infatti erano stati allontanati perché le camere non erano disponibili … infatti sono disponibili solo due camere, una per la signora e suoi figli e l’altra per un viaggiatore del piroscafo. Scopriamo che la camera della signora era registrata sotto il nome di suo figlio, il signor Giovanni Persico, mentre l’altra era registrata sotto il nome del signor Rosario Funardi, un italiano di nascita che adesso vive a New York City.

Jersera, alle sei, si sono presentati al bureau più di quindici forestieri. Se ne son potuti accogliere quattro soltanto, in due sole camere: questa povera signora in gramaglie col figliuolo e la figliola, al numero 12 del secondo piano; e, al numero 13 accanto, un signore sbarcato dal piroscafo di Genova.

Al bureau il maggiordomo ha segnato nel registro:

Signor Persico Giovanni, con madre e sorella provenienti da Vittoria.

Signor Funardi Rosario, intraprenditore, proveniente da New York.

Poi, apprendiamo che, oltre ai suoi figli, tre altre persone (parenti tutt’e tre) hanno accompagnato la vecchia signora nel suo viaggio da casa sua in Sicilia alla città. Tuttavia, e alla costernazione della vecchia signora, queste persone sono state costrette a tornare a casa prematuramente perché l’albergo era pienamente occupato.

Quella vecchia signora in gramaglie ha dovuto staccarsi con dolore da un’altra famigliuola, composta anch’essa di tre persone, con la quale aveva viaggiato in treno e da cui aveva avuto l’indirizzo dell’albergo. Tanto più se n’è doluta, quando ha saputo ch’essa avrebbe potuto alloggiare nella camera accanto, se il numero 13, un minuto prima, proprio un minuto prima, non fosse stato assegnato a quel signor Funardi, intraprenditore, proveniente da New York.

Scopriamo poi che la vecchia signora ha sessantasei anni; è provinciale (ha vissuto tutta la sua vita nella casa in cui è nata) mentre, e al contrario, i suoi figli sono mondani (vivono in America). Impariamo che i figli hanno viaggiato in Sicilia per piangere la morte del loro fratello che era l’unico guardiano di lunga data della signora. Come conseguenza della morte del loro fratello, era presa la decisione che la signora doveva adesso immigrare in America, in modo che potesse esser curata dai figli sopravvissuti. Di conseguenza—ovviamente—il mondo della signora era stata rovesciata: (i) ha appena perso suo figlio ed adesso deve immigrare in America (il che significa la perdita della casa sua e, cosa c’è di più, tutto ciò che lei è venuta a sapere in Sicilia; (ii) ha appena fatto un viaggio sconcertante in treno verso una caotica e stranissima grande città italiana; (iii) è stata costretta a dire addio prematuramente ai parenti che l’hanno accompagnata sul treno; (iiii) come vedremo, trascorrerà un breve soggiorno sconcertante e scomodo in uno stranissimo albergo; (iiiii) come vedremo, è molto molto preoccupata dalla terrificante prospettiva d’un viaggio attraverso un vasto oceano, dove una nuova vita in una terra straniera (un altro mondo) la attende.

Come risultato di tutto ciò, la vecchia signora è comprensibilmente turbatissima, e di conseguenza suo figlio ha deciso di rivolgersi al signor Funardi per veder se sarebbe disposto a rinunciare alla sua camera in modo che i parenti della madre possano rimanere con lei fino alla sua partenza per l’America.

Vedendo la vecchia madre piangere aggrappata al collo della signora sua compagna di viaggio, jersera il figliuolo si volle provare a rivolgere al signor Funardi la preghiera di cedere a quell’altra famigliuola la stanza. Lo pregò in inglese, perché anche lui, il giovanotto, è un americano, ritornato insieme con la sorella dagli Stati Uniti da appena una quarantina di giorni, per una disgrazia, per la morte d’un fratello che manteneva in Sicilia la vecchia madre. Ora questa piange; ha pianto e ha sofferto tanto, lungo tutto il viaggio in treno, che è stato in sessantasei anni il suo primo viaggio: s’è staccata con strazio dalla casa dov’è nata e invecchiata, dalla tomba recente del figliuolo con cui era rimasta sola tant’anni, dagli oggetti più cari, dai ricordi del paese natale, e vedendosi sul punto di staccarsi per sempre anche dalla Sicilia, s’aggrappa a tutto, a tutti: ecco, anche a quella signora con cui ha viaggiato. Se dunque il signor Funardi volesse…

Tuttavia, il signor Funardi rifiuta.

No. Il signor Funardi non ha voluto. Ha risposto di no, col capo, senz’altro, dopo aver ascoltato la preghiera del giovane in inglese: un no da bravo americano, con le dense ciglia aggrottate nella faccia tumida, giallastra, irta di barba incipiente; e se n’è salito in ascensore al numero 13 del secondo piano.

Adesso, la questione risolta, la vecchia signora ha detto in lacrime addio ai parenti e poi è stata costretta a confrontarsi la miriade dispositivi meccanici (un ascensore!) che provocano ansia a lei ma sono normali nell’Italia urbana moderna.

Per quanto il figliuolo e la figliuola abbiano insistito, non c’è stato verso d’indurre la vecchia madre a servirsi anche lei dell’ascensore. Ogni congegno meccanico le incute spavento, terrore. E pensare che ora deve andare in America, a New York! Passare tanto mare, l’Oceano… I figliuoli la esortano a star tranquilla, che per mare non si soffre; ma lei non si fida; ha sofferto tanto in treno! E domanda a tutti, ogni cinque minuti, se è vero che per mare non si soffre.

Poco dopo … la signora diventa un fastidio per lo staff dell’albergo a causa della sua incessante preoccupazionecon il viaggio nell’oceano. Per procurarsi un po’ di pace, le suggerirono di parlare con il signor Funardi che dopotutto ha appena fatto il viaggio attraverso l’oceano e dunque ci si aspetterebbe che parlasse in modo affidabile della sua esperienza personale.

I camerieri, le cameriere, i facchini, questa mattina, per levarsela d’addosso, si sono intesi di darle il consiglio di rivolgersi al signore della stanza accanto sbarcato or ora dal piroscafo di Genova, di ritorno dall’America. Ecco, lui ch’è stato tanti e tanti giorni per mare, che ha passato l’Oceano, lui sì, e nessuno meglio di lui, le potrà dire se per mare si soffre o non si soffre.

(Allora … ci chiediamo perché la signora non chiederebbe ai suoi figli? Dopotutto, hanno anche viaggiato in piroscafo dall’America alla Sicilia, vero? … Pensiamo che la risposta giusta sia ché i figli hanno fatto il viaggio qualche tempo fa, cioè un quarantino di giorni, e quindi le loro opinioni sarebbero meno valide di quelle del signor Funardi.)

La vecchia signora tenta di contattare il signor Funardi—ossessivamente, ripetutamente, timidamente—ma senza successo.

Ebbene, dall’alba – poiché i figliuoli sono usciti a ritirare i bagagli dalla stazione e si sono messi in giro per alcune compere – dall’alba la vecchia signora schiude l’uscio pian piano, di cinque minuti in cinque minuti, e sporge il capo timidamente a guardar l’uscio della stanza accanto, per domandare all’uomo che ha passato l’Oceano se per mare si soffre o non si soffre.

Poi, il tempo passa. Quando la signora lascia la sua camera ancora una volta, nota qualcosa di strano: tutti gli ospiti, incluso il Funardi, hanno lasciato durante la notte le scarpe nel corridoio, cioè appena fuori le loro camere. Poi, all’inizio del nuovo giorno, tutte le scarpe vengono recuperate / rimosse dal corridoio … tutte, cioè, ad eccezione delle scarpe del Funardi.

Nella prima luce livida, soffusa dal finestrone in fondo allo squallido corridojo, ha veduto due lunghe file di scarpe, di qua e di là. Innanzi a ogni uscio, un pajo. Ha veduto di tratto in tratto crescere sempre più i vuoti nelle due file; ha sorpreso più d’un braccio stendersi fuori di questo o di quell’uscio a ritirare il pajo di scarpe che vi stava davanti. Ora tutte le paja sono state ritirate. Solo quelle dell’uscio accanto, giusto quelle dell’uomo che ha passato l’Oceano e da cui ella ha tanta smania di sapere se per mare non si soffre, eccole ancora lì.

Il tempo passa, e le scarpe del Funardi rimangono intatte, fuori dalla porta della sua camera. La signora chiede a un cameriere se qualcosa potrebbe non va, ma la sua preoccupazione non è preso sul serio.

Le nove. Sono passate le nove; sono passate le nove e mezzo; sono passate le dieci: quelle scarpe, ancora lì, sempre lì. Sole, l’unico pajo rimasto in tutto il corridojo, dietro quell’uscio solo, lì accanto, ancora chiuso.

Tanto rumore s’è fatto per quel corridojo, tanta gente è passata, camerieri, cameriere, facchini; tutti o quasi tutti i forestieri sono usciti dalle loro stanze; tanti vi sono rientrati; tutti i campanelli hanno squillato, seguitano di tratto in tratto a squillare, e non cessa un momento il sordo ronzio dell’ascensore, su e giù, da questo a quel piano, al pianterreno; chi va, chi viene; e quel signore non si sveglia ancora. Sono già vicine le undici: quel pajo di scarpe è ancora lì, davanti all’uscio. Lì.

La vecchia signora non può più reggere; vede passare un cameriere; lo ferma; gl’indica quelle scarpe:

– Ma come? dorme ancora?

– Eh, – fa il cameriere, alzando le spalle, – si vede che sarà stanco… Ha viaggiato tanto!

E se ne va.

Poi, il tempo passa, eppure le scarpe di Funardi rimangono nel corridoio. 

La vecchia signora fa un gesto, come per dire: “Uhm!” e ritira il capo dall’uscio. Poco dopo lo riapre e sporge il capo di nuovo a riguardare con strano sgomento quelle scarpe lì.

Deve aver viaggiato molto, davvero, quell’uomo; devono aver fatto davvero tanto e tanto cammino quelle scarpe: son due povere scarpacce enormi, sformate, scalcagnate, con gli elastici, ai due lati, slabbrati, crepati: chi sa quanta fatica, quali stenti, quanta stanchezza, per quante vie…

Il tempo passa, e la vecchia signora rimane timida,

Quasi quasi la vecchia signora ha la tentazione di picchiar con le nocche delle dita a quell’uscio. Torna a ritirarsi in camera. I figli tardano a rientrare in albergo. La smania le cresce di punto in punto. Chi sa se sono andati, come le hanno promesso, a guardare il mare, se è tranquillo?

… anche se i suoi dubbi persistono e crescono.

Ma già, come si può vedere da terra, se il mare è tranquillo? il mare lontano, il mare che non finisce mai, l’Oceano… Le diranno che è tranquillo. Come credere a loro? Lui solo, il signore della stanza accanto, potrebbe dirle la verità. Tende l’orecchio; appoggia l’orecchio alla parete, se le riesca d’avvertire di là qualche rumore. Niente. Silenzio. Ma è già quasi mezzogiorno: possibile che dorma ancora?

Il tempo passa; è adesso mezzogiorno e suona un campanello per avvisare gli ospiti che il pranzo viene servito. Adesso c’è un notevole trambusto nel corridoio mentre gli ospiti si dirigono verso la sala da pranzo dell’albergo. Poi un cameriere informa la vecchia signora che suoi figli sono già nella sala da pranzo, in attesa del suo arrivo. Anche adesso, tuttavia, le scarpe di Funardi rimangono intatte, proprio come prima.

Ecco: suona la campana del pranzo. Da tutti gli usci sul corridojo escono i signori che si recano giù alla sala da mangiare. Ella si riaffaccia all’uscio a osservare se facciano impressione a qualcuno quelle scarpe ancora lì. No: ecco; a nessuno; tutti vanno via, senza farci caso. Viene un cameriere a chiamarla: i figliuoli sono giù, arrivati or ora; la aspettano in sala da pranzo. E la vecchia signora scende col cameriere.

Ora nel corridojo non c’è più nessuno; tutte le stanze sono vuote: il pajo di scarpe resta in attesa, nella solitudine, nel silenzio, dietro quell’uscio sempre chiuso.

Pajono in gastigo.

Fatte per camminarci, lasciate lì disutili, così logore dopo aver tanto servito, pare che si vergognino e chiedano pietosamente d’esser tolte di lì o ritirate alla fine.

Il tempo passa, e la signora ritorna al secondo piano dell’albergo, dove vede le scarpe di Funardi ancora nel corridoio. Questa volta, lei è visibilmente turbata e crea un disturbo nel corridoio che viene notato dagli altri ospiti.

Al ritorno dal pranzo, dopo circa un’ora, tutti i forestieri si fermano finalmente, per l’indicazione piena di stupore e di paura della vecchia signora, a osservarle con curiosità. Si fa il nome dell’americano,arrivato jersera. Chi l’ha veduto? E sbarcato dal piroscafo di Genova. Forse la notte scorsa non ha dormito… Forse ha sofferto per mare… Viene dall’America… Se ha sofferto per mare, traversando l’Oceano, chi sa quante notti avrà passato insonni… Vorrà rifarsi, dormendo un giorno intero. Possibile? in mezzo a tanto frastuono… È già il tocco…

Poi, una folla si raduna davanti alla camera del Funardi. Un cameriere avvisa il majordomo che, a sua volta, avvisa il proprietario. C’è un tentativo di convocare il Funardi, ma non c’è una risposta. Poi è determinato che la porta è bloccata dall’interno, e la polizia viene avvisata: loro arrivano con un fabbro che apre la porta.

E la ressa cresce attorno a quel pajo di scarpe innanzi all’uscio chiuso. Ma tutti istintivamente, se ne tengono discosti, in semicerchio. Un cameriere corre a chiamare il maggiordomo; questi manda a chiamare il proprietario, e tutti e due, prima l’uno, poi l’altro, picchiano all’uscio. Nessuno risponde. Si provano ad aprir l’uscio. È chiuso di dentro. Picchiano più forte, più forte. Silenzio ancora. Non c’è più dubbio. Bisogna correr subito ad avvertire la questura: per fortuna, c’è un ufficio qua a due passi. Viene un delegato, con due guardie e un fabbro: l’uscio è forzato; le guardie impediscono l’entrata ai curiosi, che fanno impeto; entrano il delegato e il proprietario dell’albergo.

Povero signor Funardi è morto! La morte sembra esser dovuta alle cause naturali (anche se per un certo periodo la camera sembra esser trattata come una potenziale scena del crimine).

L’uomo che ha passato l’Oceano è morto, in un letto d’albergo, la prima notte che ha toccato terra. È morto dormendo, con una mano sotto la guancia, come un bambino. Forse di sincope.

Tanti vivi, tutti questi che la vita senza requie aduna qui per un giorno, mossi dalle più opposte vicende, sospinti dai più diversi bisogni, fanno ressa innanzi a una celletta d’alveare, ove una vita d’improvviso s’è arrestata. La nuova s’è sparsa in tutto l’albergo. Accorrono di su, di giù; vogliono vedere, vogliono sapere, chi è morto, com’è morto….

– Non si entra!

C’è dentro il pretore e un medico necroscopo. Dalla fessura dell’uscio, allo spigolo – ecco, ecco – s’intravede il cadavere sul letto – ecco la faccia… uh, come bianca; con una mano sotto la guancia, pare che dorma… come un bambino… Chi è? come si chiama? Non si sa nulla. Si sa soltanto che torna dall’America, da New York. Dov’era diretto? Da chi era aspettato? Non si sa nulla. Nessuna indicazione è venuta fuori dalle carte, che gli si sono trovate nelle tasche e nella valigia. Intraprenditore – ma di che? Nel portafogli, solo sessantacinque lire, e poche monete spicciole in una borsetta nel taschino del panciotto. Una delle guardie viene a posare sulla lastra di bardiglio del cassettone quelle povere scarpe scalcagnate che non cammineranno più.

Il tempo passa e la folla si disperde man mano poiché svanisce il fascino di ciò che è accaduto. (La vita, che appena prima sembrava esser in attesa per un attimo, inizia ad ‘andare avanti’.)

A poco a poco, per liberarsi dalla calca, tutti cominciano a sfollare, rientrano nelle loro stanze, su al terzo piano, giù al primo; altri se ne vanno per i loro affari, ripresi dalle loro brighe.

Alla fine, rimane solo la vecchia signora—le sue preoccupazioni ancora senza risposta, la sua ansia ancora presente,

Solo la vecchia signora, che voleva sapere se per mare non si soffre, rimane lì, innanzi all’uscio, non ostante la violenza che le fanno i due figliuoli; rimane lì a piangere atterrita per quell’uomo che è morto dopo aver passato l’Oceano, che anch’ella or ora dovrà passare.

… mentre tutti gli altri, forse un po’ stufi delle loro esperienze di vita, rimangono indifferenti.

Giù, tra le bestemmie e le imprecazioni dei vetturini e dei facchini che entrano ed escono di continuo, hanno chiuso in segno di lutto il portone dell’albergo, lasciando aperto soltanto lo sportello.

– Chiuso? Perché chiuso?

– Mah! Niente. Nell’albergo è morto un tale…

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