Riassunto: C’è qualcuno che ride

Serpeggia una voce in mezzo alla riunione:

– C’è qualcuno che ride.

Comincia così C’è qualcuno che ride (L. Pirandello) … una commedia di maniere, secondo noi, con una svolta sardonica alla fine.

All’inizio della storia, ci viene detto che dei cittadini di una piccola città, probabilmente situata nel sud Italia, si sono radunati per un evento sociale molto importante. Il narratore (che è innominato) ci informa che il tenore dell’evento di questa sera è stato finora tipico di altri eventi simili nella piccola città—vale a dire, tranquillo, educato, composto, rispettoso, serio e coscienzioso. Con sorpresa e sgomento di tutti però il decoro dell’evento è stato proprio adesso bruscamente e violentemente frantumato da un pettegolezzo (non ancora confermato) che qualcuno ha rudemente ed impropriamente riso ad alta voce!

Mamma mia!

Poi, apprendiamo che, sebbene il narratore non sia capace d’identificar la vera fonte del pettegolezzo, il suo effetto è nondimeno profondo: l’attenzione dei partecipanti è completamente focalizzata sulla ‘frattura’, mentre tutte le altre attività cessano bruscamente.

Qua, là, dove la voce arriva, è come se si drizzi una vipera, o un grillo springhi, o sprazzi uno specchio a ferir gli occhi a tradimento.

La domanda nella mente di tutti sembra essere: ‘Chi avrebbe osato infrangere le nostre regole e convenzioni, che definiscono ciò che noi consideriamo un comportamento accettabile?’

Chi osa ridere?

Tutti si voltano di scatto a cercare in giro con occhi fulminanti.

Adesso il narratore divaga un po’ per descrivere il salone in cui si svolge l’evento sociale. È un grande spazio cavernoso piuttosto vecchio: si può facilmente immaginare che ai suoi tempi lo spazio fosse grandioso. Adesso, tuttavia, lo spazio pare ‘un pensionato’ … poco usato, antiquato e trascurato.

(Il salone enorme, illuminato sopra la folla degli invitati dallo splendore di quattro grandi lampadari di cristallo, rimane in alto, nella tetraggine della sua polverosa antichità, quasi spento e deserto; solo pare allarmata, da un capo all’altro della volta, la crosta del violento affresco secentesco che ha fatto tanto per soffocare e confondere in un nerume di notte perpetua le truculente frenesie della sua pittura; si direbbe non veda l’ora che ogni agitazione cessi anche in basso e il salone sia sgombrato.)

(Sembra esistere una discrepanza tra la gravità di questo evento sociale e il fatiscente salone antiquato, vero?)

Il narratore nota anche la presenza d’artificio tra almeno alcuni dei partecipanti, che sembrano impegnarsi a fondo per creare la falsa impressione che si stanno divertendo.

Qualche faccia lunga, forzata con pietoso stiracchiamento a un afflitto sorriso di compiacenza, forse, a guardar bene, si trova;

Naturalmente, nessuno dei partecipanti oserebbe ridere ad alta voce,

ma nessuno che rida, propriamente.

… anche se la maggior parte di loro lo crede che sia consentito un sorriso di soddisfazione … e, anzi, forse addirittura obbligatorio,

Ora, sorridere di compiacenza sarà lecito, sarà credo anzi doveroso,

… cioè, dato il presupposto che questo evento sociale è importante e dev’esser preso sul serio.

se è vero che la riunione – molto seria – vuole anche aver l’aria d’uno dei soliti trattenimenti cittadini in tempo di carnevale.

(I partecipanti ci sembrano hanno perso la capacità di pensare da soli, vero? Sembrano essere stati programmati, se vuoi, come ‘bots’ o ‘automi’.)

Pertanto, il narratore sembra suggerire che, per un evento come questo, il solo desiderio o obiettivo dei partecipanti invitati sia di fare un’impressione corretta / giusta / appropriata. Sembrano credere che questa impressione possa essere raggiunta solo adottando un personaggio che sia conforme a norme e convenzioni prestabilite. (In un certo senso, dunque, i partecipanti sono simili agli attori d’un’opera teatrale che adottano un personaggio per dare vita a un personaggio.) 

Inoltre, e non diversamente dagli attori d’un’opera teatrale che attendano le recensioni dei loro lavori dopo un’esibizione d’apertura, il narratore sembra anche suggerire che i partecipanti siano sotto pressione considerevole per esibirsi bene. In altre parole, sembrano sapere che ci sarà un prezzo pesante da pagare (cioè, in termini di status sociale) ogni volta che qualcuno scelga d’ignorare le norme e le convenzioni stabilite e ‘step out of line’.

Poi, il narratore ci spiega che un’orchestrina è stata assunta per suonare musica da ballo durante l’evento. Ci sono infatti le coppie che ballano (e sembrano divertirsi), ma tutto sembra esser stato messo in scena / programmato / inventato / artificiale.

C’è difatti sulla pedana coperta da un tappeto nero un’orchestrina di calvi inteschiati che suona senza fine ballabili, e coppie ballano per dare alla riunione un’apparenza di festa da ballo, all’invito e quasi al comando di fotografi chiamati apposta.

E poi il narratore rivolge la sua attenzione ai partecipanti invitati. Ancora una volta, prende nota delle ‘false notes’ negli abiti indossati dai partecipanti e nel loro comportamento. Il narratore suggerisce che entrambi lo stile e il modo dei partecipanti invitati non siano né come lussuosi né come sofisticati come gli organizzatori di questo importante evento sociale avrebbero potuto sperare.

Stridono però talmente il rosso, il celeste di certi abiti femminili ed è così ribrezzosa la gracilità di certe spalle e di certe braccia nude, che quasi quasi vien fatto di pensare quei ballerini non siano stati estratti di sotterra per l’occasione, giocattoli vivi d’altro tempo, conservati e ora ricaricati artificialmente per dar questo spettacolo. Si sente proprio il bisogno, dopo averli guardati, di attaccarsi a un che di solido e rude: ecco, per esempio, la nuca di questo vicino aggrondato che suda paonazzo e si fa vento con un fazzoletto bianchissimo; la fronte da idiota di quella vecchia signora.

E infine, il narratore nota altri aspetti del salone che considera o squallidi o mal eseguiti.

Strano intanto: sulla squallida tavola dei rinfreschi, i fiori non sono finti, e allora fa tanta malinconia pensare ai giardini da cui sono stati colti questa mattina sotto una pioggerella chiara che spruzzolava lieve pungente; e che peccato questa pallida rosa già disfatta che serba nelle foglie cadute un morente odore di carne incipriata.

Successivamente, lo apprendiamo che c’è un piccolo numero di partecipanti invitati ‘mortalmente seri’ (“qualche invitato in domino”) che potrebbero aver organizzato questo evento sociale ed appariscano per capirne lo scopo.

Sperduto qua e là tra la folla, c’è anche qualche invitato in domino, che sembra un fratellone in cerca del funerale.

Sfortunatamente, i partecipanti invitati non in domino rimangono ‘in the dark’: poiché non comprendono lo scopo di questo evento serale, non hanno quindi idea di come comportarsi al meglio! Questo è snervante, per non dire altro, perché, come abbiamo già imparato, i partecipanti invitati sono animati ad evitare qualsiasi comportamento giudicato inappropriato per l’occasione. Allora … cosa fanno? Trascorrono la maggior parte del tempo a valutarsi a vicenda, ad esempio nel tentativo di determinare lo status quo,

La verità è che tutti questi invitati non sanno la ragione dell’invito. È sonato in città come l’appello a un’adunata. Ora, perplessi se convenga meglio appartarsi o mettersi in mostra (che non sarebbe neanche facile tra tanta folla) l’uno osserva l’altro, e chi si vede osservato nell’atto di tirarsi indietro o di cercare di farsi avanti, appassisce e resta lì; perché sono anche in sospetto l’uno dell’altro e la diffidenza nella ressa dà smanie che a stento riescono a contenere; occhiate alle spalle s’allungano oblique che, appena scoperte, si ritraggono come serpi.

(Qui, ovviamente, l’ironia è che poiché nessuno dei partecipanti comprende lo scopo dell’evento, i loro sforzi per valutarsi a vicenda al fine di determinare lo status quo non siano dissimili da ‘the blind leading the blind’.)

Poveretti! Quando non si valutano di nascosto l’un l’altro, sono impegnati in chiacchiere insignificanti e superficiali.

– Oh guarda, sei qua anche tu?

– Eh, ci siamo tutti, mi pare.

Poi, il narratore ci spiega che nessuno osasemplicemente far una domanda sullo scopo dell’evento sociale perché un tale atto potrebbe rischiare di rivelare la propria ignoranza o abbassato status sociale.

Nessuno intanto osa chiedere perché, temendo d’essere lui solo ad ignorarlo, il che sarebbe colpa nel caso che la riunione sia stata indetta per prendere una grave decisione.

Sfortunatamente, nessuna delle varie strategie impiegate dai partecipanti invitati sembra funzionare. Rimangono ancora ‘in the dark’, e il loro livello di disagio aumenta ad ogni momento che passa.

Senza farsene accorgere, alcuni cercano con gli occhi quei due o tre che si presume debbano essere in grado di saperlo; ma non li trovano; si saranno riuniti a consulto in qualche sala segreta, dove di tanto in tanto qualcuno è chiamato e accorre impallidendo e lasciando gli altri in un ansioso sbigottimento. Si cerca di desumere dalle qualità di chi è stato chiamato e dalla sua posizione e dalle sue aderenze che cosa di là possa essere in deliberazione, e non si riesce a comprenderlo perché, poco prima, è stato chiamato un altro di qualità opposte e d’aderenze affatto contrarie.

Anzi, man mano che la serata ‘wears on’ i partecipanti diventano sempre più agitati. Il narratore spiega che il loro sgomento e costernazione creano un subconscio senso di dubbio e paura. Nel tempo, per tutti i partecipanti, l’evento sociale viene considerato nientemeno che un incubo.

Nella costernazione generale per questo mistero, l’orgasmo va crescendo di punto in punto. Si sa un’inquietudine come fa presto a propagarsi e come una cosa, passando di bocca in bocca, si alteri fino a diventare un’altra. Arrivano così da un capo all’altro del salone tali enormità da far restare tramortiti. E dagli animi così tutti in fermento vapora e si diffonde come un incubo, nel quale, al suono angoscioso e spasimante di quell’orchestrina, tra il brusio confuso che stordisce e i riverberi dei lumi negli specchi, i più strani fantasmi guizzano davanti agli occhi di ciascuno, e come un fumo che trabocchi in dense volute, dalle coscienze che covano in segreto il fuoco d’inconfessati rimorsi, apprensioni traboccano e paure e sospetti d’ogni genere;

Anzi, il narratore nota che i partecipanti cercano istintivamente una via di fuga da un ambiente così ‘tossico’ … ma questo si rivela impossibile, e alla fine, si impegnano i poveretti in una ‘commedia’ di tic nervosi e pensieri ossessivi.

in tanti la smania istintiva di correr subito a un riparo ha i più impreveduti effetti: chi sbatte gli occhi di continuo, chi guarda un vicino senza vederlo e teneramente gli sorride, chi sbottona e riabbottona senza fine un bottone del panciotto. Meglio far vista di niente. Pensare a cose aliene. La Pasqua ch’è bassa quest’anno. Uno che si chiama Buongiorno. Ma che soffocazione intanto questa commedia con noi stessi.

E poi il narratore offre l’interessante speculazione che i partecipanti, adesso sopraffatti dalle proprie emozioni, avrebbero perso di vista la loro preoccupazione che qualcuno, precedentemente, avesse osato ridere in modo inappropriato.

Il fatto (se vero) che qualcuno ride non dovrebbe far tanta impressione, mi sembra, se tutti sono in quest’animo.

Apparentemente, tuttavia, il contrario fosse vero! La risata inappropriata sembra aver agito come una sorta di provocazione … cioè qualcosa che abbia causato la loro costernazione e paura subcosciente di entrare e poi dominare le loro menti coscienti. La risata inappropriata, in altre parole, sembrava rappresentare il peggior incubo di loro … cioè, un’incarnazione di ‘stepping out of line’. Dunque, invece di perdere di vista la risata inappropriata, i partecipanti invitati adesso sembrano essersi concentrati su di esso … li offenda e loro esprimano una forte indignazione e desiderio di punizione.

Ma altro che impressione! Suscita un fierissimo sdegno, e proprio perché tutti sono in quest’animo; sdegno come per un’offesa personale, che si possa avere il coraggio di ridere apertamente.

I partecipanti sembrano anche credere che qualsiasi rottura del decoro potrebbe distrarre ed, in effetti, rovinare lo scopo e il significato dell’evento sociale.

L’incubo grava così insopportabile su tutti, appunto perché a nessuno par lecito ridere. Se uno si mette a ridere e gli altri seguono l’esempio, se tutto quest’incubo frana d’improvviso in una risata generale, addio ogni cosa! Bisogna che in tanta incertezza e sospensione d’animi si creda e si senta che la riunione di questa sera è molto seria.

Ma poi, apprendiamo che la risata inappropriata hanno continuato ad esser ascoltate! Inoltre, le risate sembrano provenire da più d’una persona (forse ben tre).

Ma c’è poi veramente questo qualcuno che seguita a ridere, nonostante la voce che serpeggia ormai da un pezzo in mezzo alla riunione? Chi è? Dov’è? Bisogna dargli la caccia, afferrarlo per il petto, sbatterlo al muro, e, tutti coi pugni protesi, domandargli perché ride e di chi ride. Pare che non sia uno solo. Ah sì, più d’uno? Dicono che sono almeno tre. Ma come, di concerto, o ciascuno per sé? Pare di concerto tutt’e tre. Ah sì? venuti dunque col deliberato proposito di ridere? Pare.

Sì, tre persone! Un padre e due figli (un figlio e una figlia). Nessuno può dire con certezza come questi tre siano venuti per esser invitati all’evento sociale: sono riconosciuti come estranei che vivono nella campagna che circonda la piccola città. Comprensibilmente, non hanno familiarità con le norme di comportamento accettabile della piccola città. (Il che ci porta a credere che le loro azioni all’evento siano innocenti!) La nostra impressione è che loro sono stati semplicemente ‘horsing around’ … stupida roba incurante!

È stata prima notata una ragazzona, vestita di bianco, tutta rossa in viso, prosperosa, un po’ goffa, che si buttava via dalle risa in un angolo della sala di là. Non ci s’è fatto caso in principio, sia perché donna, sia per l’età. Ha solo urtato il suono inatteso della risata e alcuni si sono voltati come per una sconvenienza, diciamo pure impertinenza, tracotanza là, se si vuole, ma perdonabile, via: un riso da bambina, del resto subito troncato, vedendosi osservata. Scappata via da quell’angolo, curva, comprimendosi, con tutte e due le mani sulla bocca, ha fatto senso – questo sì – udirla ancora ridere di là, in un prorompimento convulso, forse a causa della compressione che fuggendo s’era imposta. Bambina? Ora si viene a sapere che ha, a dir poco, sedici anni, e due occhi che schizzano fiamme. Pare che vada fuggendo da una sala all’altra, come inseguita. Sì, sì, è inseguita difatti, è inseguita da un giovinotto molto bello, biondo come lei, che ride anche lui come un pazzo inseguendola; e di tratto in tratto si ferma sbalordito dall’improntitudine di lei che si ficca da per tutto; vorrebbe darsi un contegno ma non ci riesce; si volta di qua e di là come sentendosi chiamare, e certo si morde così le labbra per tenere a freno un impeto d’ilarità che gli gorgoglia dentro e gli fa sussultare lo stomaco. Ed ecco che ora hanno scoperto anche il terzo, un certo ometto elastico che va ballonzolando e battendo i due corti braccìni sulla pancetta tonda e soda come due bacchette sul tamburo, la calvizie specchiante tra una rossa corona di capelli ricciuti e una faccia beata in cui il naso gli ride più della bocca, e gli occhi più della bocca e del naso, e gli ride il mento e gli ride la fronte, gli ridono perfino le orecchie. In marsina come tutti gli altri. Chi l’ha invitato? Come si sono introdotti nella riunione? Nessuno li conosce. Nemmeno io. Ma so che lui è il padre di quei due ragazzi, signore agiato che vive in campagna con la figlia, mentre il figlio è agli studi qua in città. Saranno capitati a questa finta festa da ballo per combinazione. Chi sa che cosa, venendo, si saranno detta tra loro, che intese e scherzi segreti si saran tra loro da tempo stabiliti, burle note soltanto a loro, polveri in serbo, colorate, da fuochi d’artificio, pronte a esplodere a un minimo incentivo, sia pure d’uno sguardo di sfuggita; fatto si è che non possono stare insieme; si cercano però con gli occhi da lontano e, appena si sbirciano, voltano la faccia e sotto le mani sbruffano certe risate che sono veramente scandalose in mezzo a tanta serietà.

L’ossessione di questa serietà è così su tutti incombente e soffocante, che nessuno riesce a supporre che quei tre ne possano esser fuori, lontani, e possano avere in sé invece un’innocente e magari sciocca ragione di ridere così di nulla; la ragazza, per esempio, solo perché ha sedici anni e perché è abituata a vivere come una puledra in mezzo a un prato fiorito, una puledra che imbizzarrisca a ogni alito d’aria e salti e corra felice, non sa lei stessa di che; si può giurare che non s’accorge di nulla, che non ha il minimo sospetto dello scandalo che sta sollevando insieme col padre e col fratello così anch’essi festanti, alieni e lontani d’ogni sospetto.

(Ovviamente, l’ignoranza è felicità!)

Alla fine, il narratore ci spiega che la famiglia si rende conto che le loro azioni sono sotto esame. Smettono di fare quello che stanno facendo, e poi si siedono su un divano.

Sicché quando, riuniti alla fine tutt’e tre su di un divano della sala di là, il padre in mezzo tra il figlio e la figlia, contenti e spossati, con un gran desiderio d’abbracciarsi per il divertimento che si son presi, sgorgato dalla loro stessa gioia in tutte quelle belle risate come in un fragorio d’effimere spume,

Poi, in una svolta melodrammatica l’atmosfera nel salone cambia: diventa silenziosa e la tensione aumenta, mentre qualcosa di sconosciuto si avvicina ad un gruppo di tre grandi porte vetrate sul retro del salone.

si vedono venire incontro dalle tre grandi porte vetrate, come una nera marea sotto un cielo d’improvviso incavernato, tutta la folla degli invitati, lentamente, lentamente, con melodrammatico passo di tenebrosa congiura, dapprima non capiscono nulla, non credono che quella buffa manovra possa esser fatta per loro e si scambiano un’occhiata, ancora un po’ sorridenti; il sorriso però va man mano smorendo in un crescente sbalordimento, finché, non potendo né fuggire e nemmeno indietreggiare, addossati come sono alla spalliera del divano, non più sbalorditi ma atterriti ora, levano istintivamente le mani come a parar la folla che, seguitando a procedere, s’è fatta loro sopra, terribile.

E poi, gli ospiti in domino fanno un ingresso esagerato! Indossano cappucci e sembrano esser ‘ammanettati’; si avvicinano al divano, come se intendessero amministrare una severa punizione ai tre estranei per il loro comportamento inaccettabile.

I tre maggiorenti, quelli che, proprio per loro e non per altro, s’erano riuniti a consulto in una sala segreta, proprio per la voce che serpeggiava del loro riso inammissibile a cui han deliberato di dare una punizione solenne e memorabile, ecco, sono entrati dalla porta di mezzo e sono avanti a tutti, coi cappucci del domino abbassati fin sul mento e burlescamente ammanettati con tre tovaglioli, come rei da punire che vengano a implorare da loro pietà.

Ma poi, tuttavia, i partecipanti invitati (non in domino) si rendono conto che quelli in domino hanno cospirato per creare un elaborato stratagemma (scherzo), progettato per deridere e sgridare gli estranei. È interessante notare che lo stratagemma sembra servire come un’altra provocazione di sorta: esemplifica chiaramente il prezzo che dev’esser pagato per un comportamento non appropriato. Questa volta, tuttavia, tutti i partecipanti invitati sembrano comprendere lo scherzo … all’unisono, scoppiano in risate sardoniche,

Appena sono davanti al divano, una enorme sardonica risata di tutta la folla degli invitati scoppia fracassante e rimbomba orribile più volte nella sala.

… mentre i tre estranei fuggono dalla scena!

Quel povero padre, sconvolto, annaspa tutto tremante, riesce a prendersi sotto braccio i due figli e, tutto ristretto in sé, coi brividi che gli spaccano le reni, senza poter nulla capire, se ne scappa, inseguito dal terrore che tutti gli abitanti della città siano improvvisamente impazziti.

Leave a comment