Riassunto: Vittoria delle formiche

La novella Vittoria delle formiche (L. Pirandello), secondo noi, racconta la storia d’un uomo che ha sperimentato un precipitoso e rovinoso declino della vita. Il protagonista è letteralmente inevitabilmente viziato, e la tragedia qua è che i suoi fallimenti sembrano autoinflitti … ci chiediamo se un disturbo psichiatrico sottostante possa aver contribuito al suo rovinoso declino. Inoltre, e come discusso alla fine di questo riassunto, sospettiamo che i difetti del protagonista siano stati aggravati dalle azioni, paure ed incomprensioni della sua famiglia e dei vicini.

***

Una cosa per sé forse ridicola ma, agli effetti, terribile: una casa invasa tutta dalle formiche. E questo pensiero folle: che il vento si fosse alleato con esse. Il vento con le formiche. Alleato, con quella sconsideratezza che gli è propria, da non potersi nell’impeto fermare neppure un minuto per riflettere a quello che fa. Detto fatto, a raffica, s’era levato giusto sul punto che lui prendeva la decisione di dar fuoco al formicaio davanti la porta. E detto fatto, la casa, tutta in fiamme. Come se per liberarla dalle formiche lui non avesse trovato altro espediente che il fuoco: incendiarla.

Il paragrafo d’apertura della novella è, in effetti, un riassunto in qualche modo enigmatico o criptico che, secondo noi, prefigura la storia che stiamo per leggere. Qua, veniamo a sapere che il protagonista—un impoverito uomo profondamente sconsiderato ed impetuoso—ha commesso un atto irrazionale, qualcosa che ha causato la distruzione di casa sua ed anche la sua morte.

Ma poi, dopo quest’introduzione, il narratore ci chiede di ‘fare un passo indietro’ … cioè, di unirci a lui mentre racconta la vita e le esperienze del protagonista che hanno preceduto il fuoco. Lo fa nel tentativo di spiegar (cioè, per aiutarci a capire meglio) la tragedia e l’enigma della sua morte.

Ma prima di venire a questo punto decisivo sarà bene ricordarsi di molte cose precedenti che possono spiegare in qualche modo sia come le formiche avevano potuto invadere fino a tanto la casa e sia come poté nascere a lui il pensiero stravagante di quest’alleanza tra le formiche e il vento.

Allora … a tal fine, apprendiamo che dopo la morte di suo padre il protagonista ha ‘gestito male’ la notevole fortuna di sua famiglia, che era quasi completamente persa.

Ridotto alla fame, da agiato come il padre l’aveva lasciato morendo,

Alla fine, il protagonista è stato lasciato completamente solo, essendo stato abbandonato da sua moglie e dai suoi figli, che non erano più disposti a tollerare il suo comportamento scandaloso, i suoi inganni e le sue contraddizioni.

abbandonato dalla moglie e dai figli che s’erano acconciati a vivere per conto loro alla meglio, liberati alla fine dalle sue soperchierie che si potevano quali ficaie in tanti modi, ma soprattutto incongruenti;

Adesso, tuttavia, arriviamo a capire che il protagonista si è sentito diversamente … vale a dire che aveva un’opinione diversa su ciò che ha causato l’abbandono di sua famiglia. Sembrava anche risentirsi del fatto che era da solo.

lui che al contrario si credeva loro vittima per troppa remissione e non corrisposto mai da nessuno di loro nei suoi gusti pacifici e nelle sue vedute giudiziose;

E poi, noi apprendiamo alcuni dettagli del precipitoso declino del protagonista. Adesso viveva in estrema povertà … cioè, in una catapecchia di tre stanze su un piccolo appezzamento di terra, molto probabilmente nella campagna siciliana, che insieme rappresentavano solo una piccolissima frazione della sua eredità familiare originale.

viveva solo, in un palmo di terra che gli era restato di tutti i beni che prima possedeva, case e poderi; un palmo di terra bonificata, sotto il paese, sul ciglio della vallata, con una catapecchia d’appena tre stanze, dove prima abitava il contadino che aveva in affitto la terra. Ora ci abitava lui, il signore ridotto peggio del più miserabile contadino;

Anzi, il narratore ci spiega che l’abbigliamento del protagonista era gradualmente arrivato ad esemplificare (o ‘raccontare la storia’) delle sue ridotte circostanze economiche,

vestito ancora d’un abito da signore che addosso a lui appariva orribilmente più strappato e unto che addosso a un mendicante che l’avesse avuto in elemosina. Pur tuttavia quella sua signorile spaventosa miseria pareva a volte quasi allegra, come certe toppe di colore che i poveri portano sui loro abiti e quasi fanno loro da bandiera.

… che lui stava lentamente morendo di fame,

Nella lunga faccia smorta, negli occhi pesti ma vivi, aveva un che di gajo che s’accordava coi ricci svolazzanti del capo, mezzi grigi e mezzi rossi;

… e che il suo aspetto segnalava chiaramente agli altri che era certamente una ‘persona pazza’, cioè un pericolo potenziale per se stesso e per gli altri … qualcuno, in altre parole, che meritava d’esser evitato a tutti i costi.

e certi ilari guizzi negli occhi, subito spenti al pensiero che, scorti per caso da qualcuno, lo facessero creder pazzo.

(Sospettiamo che esser ‘etichettato’ come ‘una persona pazza’ servisse solo ad aumentare il senso di solitudine e isolamento del protagonista, che, a sua volta, servisse solo ad aumentare la sua angoscia ed ansietà. Questo potrebb’esser considerato, in effetti, un ‘negative loop’ abbia contribuito alla sua spirale progressivamente verso il basso.)

Sebbene si dicesse che il protagonista fosse consapevole di tutto ciò, lui sembrava contento della sua vita com’era. Ci viene detto, ad esempio, che si sentiva più a suo agio quando era solo e che aveva imparato ad apprezzare i semplici piaceri della vita, come, ad esempio, una semplice minestra con solo un piccolo numero di ingredienti che era stata preparata con le proprie mani e secondo i propri gusti.

Capiva lui stesso ch’era molto facile che gli altri si facessero di lui un tal concetto. Ma era proprio contento di farsi ormai tutto da sé come piaceva a lui; e assaporava con gusto infinito quel poco e quasi niente che poteva offrirgli la povertà. Non aveva nemmeno tanto da accendere il fuoco tutti i giorni per cucinarsi una minestra di fave o di lenticchie. Gli sarebbe piaciuto, perché nessuno sapeva cucinarla meglio di lui, dosandovi con tanta arte il sale e il pepe e mescolandovi certe verdure appropriate che, durante la cottura, solo a odorarla la minestra inebriava; e poi, a mangiarla, un miele. Ma sapeva anche farne a meno. Gli bastava, la sera, uscir fuori a due passi dalla porta, cogliere nell’orto un pomodoro, una cipolla per companatico alla solida pagnotta che con meticolosa cura affettava con un coltellino e con due dita, pezzetto per pezzetto, si portava alla bocca come un boccone prelibato.

(A questo punto della storia, abbiamo anche avuto il sospetto che l’isolamento del protagonista fosse inevitabile: sembra essere intrinsecamente a disagio in presenza di altre persone e perciò abbia sentito il bisogno di separarsi dagli altri e dalla società.)

Ancora una volta il narratore suggerisce che, senza pensare troppo, il protagonista potrebbe infatti trovare un modo per accontentarsi dei semplici piaceri della vita … una vita, in altre parole, priva di stravaganze,

Aveva scoperto questa nuova ricchezza, nell’esperienza che può bastar così poco per vivere; e sani e senza pensieri; con tutto il mondo per sé, da che non si ha più casa né famiglia né cure né affari; sporchi, stracciati, sia pure, ma in pace; seduti, di notte, al lume delle stelle, sulla soglia d’una catapecchia; e se s’accosta un cane, anch’esso sperduto, farselo accucciare accanto e carezzarlo sulla testa: un uomo e un cane, soli sulla terra, sotto le stelle.

… solo per poi rivelare che quest’era una semplificazione eccessiva. Ci viene spiegato che il protagonista aveva soffrito ancora in modo significativo… più comunemente di notte, quando ha emmerso uno schema, in cui il suo sonno era interrotto dalle ruminazioni della sua mente.

Ma senza pensieri, non era vero. Buttato poco dopo su un pagliericcio per terra come una bestia, invece di dormire si metteva a mangiarsi le unghie e, senza badarci, a strapparsi coi denti fino al sangue le pipite dalle dita, che poi gli bruciavano gonfie e suppurate per parecchi giorni. Ruminava tutto ciò che avrebbe dovuto fare e che non aveva fatto per salvare i suoi beni;

Ansia … rabbia … rimorso … rimpianto. Il narratore spiega che il protagonista era arrivato a riconoscere quanto disperata la sua vita era diventata il che era molto problematico … secondo il narratore il protagonista era semplicemente incapace d’immaginar una via da seguire che potrebbe migliorare il suo destino.

e si torceva dalla rabbia o mugolava per il rimorso, come se la sua rovina fosse accaduta jeri, come se jeri avesse finto di non accorgersi che sarebbe accaduta tra poco e che ormai non era più rimediabile.

Poi, ci viene spiegato che la rovina del protagonista non era avvenuta in modo acuto, ma invece le sue perdite eran avvenute nel tempo, a poco a poco, come lui aveva spericolato venduto piccole porzioni della sua eredità in modo da pagar per una serie di assurde stravaganze sciocche. Inoltre, queste transazioni erano fatte in segreto, all’insaputa o senza il consenso di sua moglie, cioè, fino a quando era troppo tardi … finché, cioè, la sua eredità era quasi completamente persa e sua moglie aveva deciso di lasciarlo.

Non ci poteva credere! Uno dopo l’altro s’era lasciati portar via dagli usurai i poderi, e una dopo l’altra le case, per poter disporre d’un po’ di danaro di nascosto dalla moglie, per pagarsi qualche piccola passeggera distrazione (veramente, non piccola né passeggera; era inutile che cercasse adesso attenuazioni; doveva rotondamente confessarsi che aveva vissuto di nascosto per anni come un vero porco, ecco, così doveva dire: come un vero porco; donne, vino, giuoco) e gli era bastato che la moglie non si fosse ancora accorta di nulla, per seguitare a vivere come se neppur lui sapesse nulla della rovina imminente;

E poi, il narratore ci spiega che c’era stato anche il problema del trattamento abusivo e a lungo termine del protagonista nei confronti di suo figlio.

e sfogava intanto le bili e le smanie segrete sul figlio innocente che studiava il latino. Sissignori. Incredibile: s’era messo a ristudiare il latino anche lui, per sorvegliare e ajutare il figlio; come se non avesse altro da fare e fosse davvero un’attenzione e una cura, questa sua, che potesse compensare il disastro che intanto preparava a tutta la famiglia. Questo disastro, per la sua segreta esasperazione, era lo stesso di quello a cui andava incontro il figlio se non riusciva a comprendere il valore dell’ablativo assoluto o della forma avversativa; e s’accaniva a spiegarglielo, e tutta la casa tremava dalle sue grida e dalle sue furie per l’imbalordimento di quel povero ragazzo, che piano piano forse lo avrebbe alla fine compreso da sé. Con che occhi lo aveva guardato una volta, dopo uno schiaffo! Nell’impeto del rimorso, ripensando a quello sguardo del suo ragazzo, si sgraffiava ora la faccia con le dita artigliate e s’ingiuriava: porco, porco, bruto; prendersela così con un innocente!

Ansia … rabbia … rimorso … rimpianto. Il narratore ci spiega che il protagonista spesso non era stato capace di dormire continuamente durante la notte,

Lasciava il pagliericcio; rinunziava a dormire;

… e che, per contrastare il suo disagio mentale, aveva sviluppato una strategia di ‘stepping outside’ casa sua, lasciandosi immergere nel mondo naturale, tranquillo e rilassante della campagna di notte.

tornava a sedere sulla soglia della catapecchia; e lì il silenzio smemorato della campagna immersa nella notte, a poco a poco, Io placava. Il silenzio, non che turbato, pareva accresciuto dal remoto scampanellio dei grilli che veniva dal fondo della grande vallata. Era già nella campagna la malinconia della stagione declinante;

Sfortunatamente, tuttavia, anche questa ‘strategia’ ha avuto solo parzialmente successo. Il narratore ci spiega che c’erano aspetti della campagna di notte (un odore, ad esempio, o una leggera pioggia stagionale) che erano in grado d’‘innescar’ il ricordo d’un momento più felice nella vita del protagonista: quando era stato un bambino per esempio—in altre parole, ben prima il rovinoso declino della sua vita era iniziato.

e lui amava le prime giornate umide velate, quando cominciano a cadere quelle pioggerelle fine, che gli davano, chi sa perché, una vaga nostalgia dell’infanzia lontana, quelle prime sensazioni meste e pur dolci che fanno affezionare alla terra, al suo odore. La commozione gli gonfiava il petto; l’angoscia gli serrava la gola, e si metteva a piangere. Era destino che lui dovesse finire in campagna. Ma non s’aspettava così veramente.

A questo punto della storia, il narratore ci spiega che oltre ad un senso di disperazione, il protagonista aveva essenzialmente perso tutta l’energia e la motivazione. Come tale, non era stato più in grado / disposto a coltivare il suo piccolo appezzamento di terra, e di conseguenza gli avevano mancato le risorse per pagare le tasse che erano state dovute. Per risolvere questo problema, il protagonista ha stipulato un accordo con il contadino che aveva affittato la terra confinante con la sua: il contadino aveva accettato di coltivare la terra del protagonista, mantenendo i profitti per sé, e in cambio aveva anche accettato di pagare la tassa fondiaria.

Non avendo né la forza né i mezzi di coltivare da sé quel po’ di terra, che fruttava appena tanto da pagar la tassa fondiaria di cui era gravata, l’aveva ceduta al contadino che aveva in affitto il podere accanto, a condizione che pagasse lui quella tassa e che gli desse soltanto da mangiare: poco, quasi per elemosina, di quel che produceva la terra stessa: pane e verdura, e da farsi, se gli andava, una minestra ogni tanto.

Avendo raggiunto quest’accordo, il narratore ci spiega che non era rimasto molto che il protagonista fosse stato effettivamente tenuto a fare. Tuttavia, anche se la sua vita era stata semplificata, non è purtroppo stato capace di trovare un senso d’appagamento. Questo era stato perché era circondato, e quindi costantemente ricordato, dall’eredità familiare che aveva stupidamente perso / sprecatco / sperperato.

Stabilito quest’accordo, aveva preso a considerare tutto quello che si vedeva attorno, mandorli, olivi, grano, ortaglie, come cose che non appartenessero più a lui. Sua era soltanto la catapecchia;

Sì, era vero che tutto ciò che rimaneva era la sua catapecchia di tre stanze … ma anche questa era detto d’esser una fonte d’amara riflessione perché, nel tempo, la catapecchia era stato invaso (‘annientato’ e ‘schiacciato’) dalle formiche.

ma se si metteva a guardarla come la sua unica proprietà, non poteva fare a meno di sorriderne col più amaro dileggio. Già l’avevano invasa le formiche. Finora s’era divertito a vederle scorrere in processioni infinite su per le pareti delle stanze. Erano tante e tante, che a volte pareva che le pareti tremolassero tutte. Ma più gli piaceva vederle andare in tutti i sensi da padrone sui buffi mobili signorili di quella ch’era stata un tempo la sua casa in città, relitti del naufragio della sua famiglia, ammassati lì alla rinfusa e tutti con un dito di polvere sopra. Nell’ozio, per distrarsi, s’era messo anche a studiarle, quelle formiche, per ore e ore.

Poi, il narratore ci spiega che le formiche erano creature molto piccole, leggere, snelle e ‘sacrificabili’ la cui sopravvivenza era basata esclusivamente sulla loro enorme popolazione. Il narratore spiega anche che il protagonista era arrivato a credere che le formiche fossero così piccole da poter esser trasportate dal vento e che, in effetti, le formiche avevano approfittato del vento per invadere la sua catapecchia.

Erano formiche piccolissime e della più lieve esilità, fievoli e rosee, che un soffio ne poteva portar via più di cento; ma subito cento altre ne sopravvenivano da tutte le parti; e il da fare che si davano; l’ordine nella fretta; queste squadre qua, quest’altre là; viavai senza requie; s’intoppavano, deviavano per un tratto, ma poi ritrovavano la strada, e certo s’intendevano e consultavano tra loro.

E poi, il narratore ci spiega che le formiche erano ovunque … sembravano intenzionate a prendersi controllo della catapecchia; davvero erano ovunque! Come tale, il protagonista era solo una persona (poveretto!) contro un vero sciame / una frotta / un ‘jillion’! La situazione era stata fuori controllo … impossibile!

Non gli era parso ancora, però, forse per quella loro esilità e piccolezza, che potessero essere temibili, che volessero proprio impadronirsi della casa e di lui stesso e non lasciarlo più vivere. Pur le aveva trovate da per tutto, in tutti i cassetti; le aveva vedute venir fuori donde meno se le sarebbe aspettate; se l’era trovate anche in bocca talvolta, mangiando qualche pezzo di pane lasciato per un momento sulla tavola o altrove. L’idea che se ne dovesse seriamente difendere, che le dovesse seriamente combattere, non gli era ancora venuta.

Il narratore ci spiega che, dopo una serata particolarmente difficile ed insonne, il protagonista si era alzato dal suo letto di fieno ed era ‘stepped outside’, dove ha scoperto circa 20 covoni di paglia che dovevano ancora esser correttamente conservati. A quanto pare, il cielo quella mattina era minaccioso—era chiaramente in vista una tempesta—e il protagonista aveva deciso, nonostante la sua letargia e il suo ennui, di raccogliere i covoni (secchi) di paglia e di ripararli temporaneamente all’interno della catapecchia. Alla fine, era riuscito a proteggere tutti i covoni tranne uno, che aveva deciso d’appoggiarsi alla porta di casa.

Gli venne tutt’a un tratto una mattina, forse per l’animo in cui era, dopo una nottataccia più nera delle altre.

S’era levata la giacca per portar dentro la catapecchia alcuni covoni, una ventina, che dopo la mietitura il contadino non aveva ancora trasportato nel suo podere di là e aveva lasciato qua all’aperto. Il cielo, durante la notte, s’era incavernato, e la pioggia pareva imminente. Abituato a non far mai nulla, per quella fatica insolita e per quella sciocca previdenza, che poi del resto non spettava neanche a lui perché quei covoni di grano appartenevano come tutto il resto al contadino, s’era tanto stancato, che quando fu per trovar posto dentro la catapecchia, già tutta stipata, all’ultimo covone, non ne potè più, lasciò quel covone davanti la porta, e sedette per riposarsi un po’.

Il narratore ci spiega che dopo questo sforzo il protagonista aveva bisogno di riposare. Tuttavia, si rese presto conto che c’erano formiche sciamando di tutto il suo corpo.

A capo chino, con le braccia appoggiate alle gambe discoste, lasciò penzolare tra esse le mani. E a un certo punto ecco che si vide uscire dalle maniche della camicia su quelle mani penzoloni le formiche, le formiche che dunque sotto la camicia gli passeggiavano sul corpo come a casa loro.

Era troppo! Era ‘la goccia che fa traboccare il vaso’

Il narratore ci spiega che il protagonista sembrava perdere la testa. Aveva deciso lì e poi d’eliminar le formiche una volta per tutte: avrebbe dato fuoco al loro formicaio, che si trovava vicino alla catapecchia.

Ah, perciò forse la notte lui non poteva più dormire e tutti i pensieri e i rimorsi lo riassalivano. S’infuriò e decise lì per lì di sterminarle. Il formicaio era a due passi dalla porta. Dargli fuoco.

All’inizio l’aria era calma. (Questo potrebb’esser stata semplicemente la ‘calma prima della tempesta’.) Il narratore ci spiega che il protagonista ha raccolto alcune fascette di paglia lasciate a terra, e le ha dato fuoco, brandendole come una torcia e dando fuoco al formicaio. Ma poi, all’improvviso, una raffica di vento aveva portato braci ardenti dalla sua mano al covone di fieno appoggiato alla porta, che immediatamente prese fuoco, e poi il fuoco si era precipitato rapidamente (ed incontrollabilmente) ai covoni immagazzinati all’interno, consumando (‘in un battito di ciglia’) l’intera catapecchia!

Come non pensò al vento? Oh bella. Non ci pensò perché il vento non c’era, non c’era. L’aria era immota; in attesa della pioggia che pendeva sulla campagna, in quel silenzio sospeso che precede la caduta delle prime grosse gocce. Non crollava foglia. La raffica si levò d’improvviso a tradimento, appena lui accese le fascette di paglia raccolta per terra; lo teneva in mano come una torcia; nell’abbassarlo per dar fuoco al formicaio, la raffica, investendolo, portò le faville a quel covone rimasto davanti la porta, e subito il covone avvampando appiccò il fuoco agli altri covoni riparati dentro la casa, dove l’incendio d’un tratto divampò crepitando e riempiendo tutto di fumo.

Senza pensare, il protagonista era entrato nella catapecchia.

Come un pazzo, urlando con le braccia levate, lui si cacciò dentro alla fornace, forse sperando di spegnerla.

Il narratore ci spiega che lo sfortunato protagonista era infine salvato dalla catapecchia in fiamme, ancora vivo ma in grave condizione a causa delle sue ustioni. Abbastanza presto, tuttavia, era morto dalle sue lesioni termiche.

Quando dalla gente accorsa fu tratto fuori, fu uno spavento vederlo tutto orribilmente arso e non ancor morto, anzi furiosamente esaltato, annaspante con le braccia, le fiamme addosso, sugli abiti e nei ricci svolazzanti sul capo. Morì poche ore dopo all’ospedale, dove fu trasportato.

Prima di morire, il protagonista era delirante: continuava a ripetere la parola ‘alleanza’, in riferimento all’ipotetica alleanza tra le formiche ed il vento,

Nel delirio, sparlava del vento, del vento e delle formiche.

– Alleanza… alleanza…

… che nessuno degli altri aveva capito e tutti avevano presunto fosse una manifestazione della sua follia.

Ma già lo sapevano pazzo. E quella sua fine, sì, fu commiserata, ma pur con un certo sorriso sulle labbra.

***

Sebbene l’eziologia del profondo declino e sventura del protagonista non sia mai stata spiegata, ci chiediamo se in realtà abbia sofferto d’una grave malattia psichiatrica a lungo termine. (La schizofrenia sarebbe un esempio del tipo di malattia che pensiamo che il Pirandello abbia avuto in mente quando ha scritto questa storia.)

Se fosse vero, pensiamo che sarebbe stato sfortunato, per non dire altro, che il protagonista fosse stato etichettato come un ‘pazzo’.

Oggi, ad esempio, esiste un corpus di letteratura relativamente ampio che suggerisce che l’etichettatura di qualcuno come ‘pazzo’ possa effettivamente ritardare o impedire del tutto il riconoscimento e il trattamento d’una malattia mentale.

Per esempio, l’autricce Susan Sontag ha scritto sulle potenziali conseguenze associate alla metafora della malattia (es.) 

“ … in  Illness as Metaphor, first published in theNew York Review of Books, in 1978, Susan Sontag traced the influence of metaphors (labels) associated with diseases—tuberculosis and cancer, in particular—and how they were applied to sick people so relentlessly that they sometimes obscured the nature of the illnesses. It was said, at the turn of the last century, that people contracted tuberculosis due to “too much passion,” whereas, half a century later, people were said to get cancer due to psychological repression or “insufficient passion.” Sontag wrote, “My point is that illness is not a metaphor, and that the most truthful way of regarding illness—and the healthiest way of being ill—is one most purified of, most resistant to, metaphoric thinking.” In AIDS and Its Metaphors, from 1989, she brought the same conviction to the aids epidemic, showing how, as the dominant metaphors had it, people became ill because they were prone to “moral laxity or turpitude,” and that the disease was a divine punishment. She concluded, “With this illness, one that elicits so much guilt and shame, the effort to detach it from loaded meanings and misleading metaphors seems particularly liberating, even consoling.”

“Sontag’s work suggests that metaphors of illness are malign in a double way: they cast opprobrium on sick people and they hinder the rational and scientific apprehension that is needed to contain disease and provide care for people. To treat illness as a metaphor is to avoid or delay or even thwart the treatment of literal illness.”

https://www.newyorker.com/news/daily-comment/against-the-coronavirus-as-metaphor

Pensiamo che sia ragionevole presumere che il Pirandello fosse anche preoccupato per questa possibilità … e, quindi, che un sottotesto di Vittoria delle formiche potrebb’esser che la discriminazione (cioè, l’ostracismo o il ‘social distancing’ o la stigmatizzazione) che il protagonista sia descritto di sperimentar avrebbe potuto benissimo peggiorare la sua malattia.

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