Riassunto: Il buon cuore

Uh poi, vendere i figliuoli: come le piglia lei le cose! Non s’è voluto far danno a nessuno; anzi, il bene di tutti; e se la cosa poi è andata a finir così male, creda che la colpa è soltanto del buon cuore.

Comincia così Il buon cuore, una storia che a nostro avviso descrive una tragedia di immense proporzioni: la narrazione si basa su un piccolo gruppo di persone apparentemente decenti il cui inconsapevolmente porta a un disastro completo.

All’inizio della storia il narratore, che è senza nome, fa una serie di commenti criptici che prefigurano gli eventi successivi nella narrazione. Il primo commento riguarda la vendita di bambini … l’implicazione sembra esser che una cosa del genere non è ‘a big deal’. (Questo commento sembra essere diretto in particolare a una delle protagoniste, una giovane donna ingenua, che ha sposato un gentiluomo immaturo e benestante.) Il secondo commento riguarda il personaggio della giovane donna, che il narratore descrive in termini ammirevoli. Con il terzo commento, il narratore ci informa (senza mezzi termini) che la storia che sta per raccontare finirà molto male.

Poi, il narratore ci informa che, a quel tempo, il governo italiano aveva infatti fornito un metodo legale che permetteva alle coppie sterili di pagare un figlio, cioè, attraverso l’adozione. Questo metodo, sfortunatamente, era fuori discussione per la giovane coppia: come stabilito nei termini d’un testamento lasciata dalla zia del signore (una zitella amara e perniciosa), il signore doveva produrre un bambino con mezzi naturali entro dieci anni della sua morte per ereditare una notevole somma di denaro.

Del resto, i figliuoli, c’è anche il modo di comperarli legalmente. Quando non si possono avere, s’adottano. Ma questo non era un modo per il marito e la moglie di cui vi parlo. L’adottare un figliuolo, a loro, non sarebbe servito a niente. Il figliuolo lo dovevano fare, fare carnalmente, per via d’una grossa eredità, lasciata a questa condizione da una zia bisbetica: che se l’erede non fosse venuto entro i dieci anni, l’eredità sarebbe andata ai trovatelli d’un istituto detto degli Oblati. C’è di queste zie bisbetiche, agre zitellone, che si sentono venir male al pensiero di beneficare i parenti che conoscono; e assaporano in segreto il dispetto che faranno, mettendo nei loro testamenti le vendette distillate o le minacce e i batticuori di certe arzigogolate disposizioni.

Ben consapevole del testamento di sua zia, il giovane signore sembrava scegliere una moglie con grande cura … vale a dire, con un occhio all’ottimizzazione delle sue possibilità di produrre uno figlio (o più) entro i dieci anni previsti.

Il nipote s’era accortamente premunito, scegliendosi una bella moglie prosperosa, che gli desse garanzia di molti figliuoli. Come, la garanzia? Eh, come! Ho capito che lei mi vorrebbe tirare a parlar sboccato. A occhio, s’intende; stimando quanto la sposa prometteva dal seno, dai fianchi, dai bei colori della salute e della gioventù.

Il nostro senso qua è che la narratrice avesse conosciuto la giovane donna per qualche tempo qualche tempo prima d’incontrarsi per la prima volta il signore. In effetti, il narratore potrebb’esser stato arruolato per aiutarla a convincere il signore del suo valore … che adesso sembra essere qualcosa di cui il narratore si rimpianga.

Ma neanche a farlo apposta, quando si dice la disgrazia!

Alla fine, il signore e la giovane donna si sono sposati. Poi, il narratore fornisce uno schizzo ‘thumbnail’ dei primi cinque anni del loro matrimonio: il primo anno sembrava esser spensierato e felice; il secondo in meno; il terzo era caratterizzato da una preoccupazione per la fertilità della giovane donna; il quarto era caratterizzato dal crescente (ma in gran parte silenzioso) risentimento del signore verso sua moglie; e il quinto era caratterizzato dalle sue esplicite recriminazioni amare ed ostili.

Il primo anno, ancora risero; il secondo meno; poi al terzo cominciarono a impensierirsi; e più al quarto, con sorde bili e segreti rancori; finché non proruppero, al quinto, nella sguajataggine di certi raffacci:

Durante tutto questo periodo la giovane donna sembra rimanere fedele al suo carattere. Il narratore cerca di rappresentare i suoi atteggiamenti come quelli d’una donna di fede e determinazione, qualcuna che sceglierebbe sempre di fare la cosa giusta e non penserebbe mai di pronunciare una denuncia o delle scuse.

ti vorrei far vedere per chi manca; ringrazia Dio che sono una donna onesta e certe prove non me le sogno nemmeno di fartele.

La donna, si sa, è sempre quella che parla di più. Cimentosa: tocca a te e non a me.

Tocca? che tocca?

Per quel che toccava a lui, sfidava a trovare una donna che avesse il coraggio di lamentarsi.

Lei non si lamentava.

Poi, il narratore ribadisce che, dopo cinque anni di matrimonio, il signore si aspettava d’avere sia un piccolo reggimento di figli che la sua eredità.

E allora? Che altro voleva da lui? Per quel che lui ci doveva mettere, in cinque anni, non uno, ma un reggimento di figli avrebbe potuto fargli.

E poi il narratore ci spiega che, miracolosamente, qualche volta dopo il loro quinto anno di matrimonio la giovane donna è rimasta incinta. Come possiamo ben immaginare, questa notizia è stata motivo di notevole sollievo e giubilo.

Figurarsi dunque la gioja, che dico la gioja, il tripudio quando la moglie, ammansita, una mattina, gli fece intendere che le pareva di aver motivo di credersi incinta. Chi sa perché, questa confidenza le donne la fanno sempre tenendo gli occhi bassi. Lui parve impazzito; corse a gridarlo in casa di tutti i parenti e amici e conoscenti; per miracolo non lo gridò per le strade e non mise le bandiere a tutte le finestre: il figlio! il figlio!

Sfortunatamente, tuttavia, qualche tempo dopo il quarto mese di gestazione questa gravidanza è andata persa … il risultato d’un aborto spontaneo.

Se non che, tutt’a un tratto, quando la gravidanza già pareva perfino esagerata, non giunta ancora neanche al quinto mese, avvenne una cosa che potrei lasciare intendere, ma dire precisamente, no. Una di quelle disgrazie, o, a dir dei medici, fenomeni che, rari, ma pare sogliano avvenire. Avete insomma veduto quei bei palloni colorati che si comprano per i bambini nelle fiere, che a soffiar nel cannellino si gonfiano e poi, a levare il dito, si sgonfiano sonando? Così, ma senza suono. Insomma, il figlio, fatto d’aria, sfumò.

Si diceva che il signore fosse devastato da questa notizia,

Immaginatevi quel poveretto, dopo tanta allegrezza, la mortificazione di doverlo annunziare, la prima volta.

… e, nel tempo, anche due successive gravidanze sono state complicate dall’aborto spontaneo. Veniamo a sapere che entrambe queste perdite sono state mantenute confidenziali per evitare vergogna e imbarazzo.

La seconda almeno se la risparmiò, perché ebbe la prudenza di non far sapere a nessuno che la moglie credeva d’essere di nuovo incinta. La terza… Ecco, fu per pura combinazione, per uno di quei casi non creati che vengono a proposito e si dicono mandati da Dio, benché a una che faccia professione di portare al mondo i figliuoli accadano di frequente.

Noi immaginiamo che, dopo il terzo aborto spontaneo, il periodo di dieci anni (come previsto dalla volontà) fosse quasi terminato … e che questa scadenza avesse portato la giovane coppia a provare un profondo senso di disillusione e disperazione. In effetti, il narratore ci informa che dopo la terza perdita di gravidanza, la giovane donna si è avvicinata al marito con un piano fraudolento per rivendicare l’eredità. Inizialmente, il signore ha respinto il piano, in parte perché ha capito che violava la legge sia laica che religiosa.

– Io? Osi venir da me, ragazza mia, per queste cose? E non sai che c’è la galera? Nascondi quanto vuoi, poi si viene a sapere, e chi ci andrebbe di mezzo, sarei io. No, no. E poi, peccato mortale. Non te lo credevi, eh, lo so; dite tutte così; ma è pure da aspettarselo, quando si fanno certe cose. 

E ora vieni da me, perché io abbia pietà?

Il narratore spiega che il piano prevedeva un pagamento a una donna di 17 anni (non era saputo come fosse stata identificata), che era rimasta irresponsabilmente incinta fuori dal matrimonio. In cambio del pagamento, la diciassettenne ha accettato di rinunciare al suo neonato al momento del parto.

Era però, veramente, una di cui non si sarebbe detto che l’avesse fatto per vizio, e nemmeno sapendo il male che si faceva; una ragazzona di diciassett’anni, pastosa e vermiglia come una pesca, con certi occhi abbambolati, che ci s’era trovata senza saper come, presa alla sprovvista mentre, sì, un po’ per ridere, faceva all’amore, alla guerriera, e non capiva bene dove alla fine, nel calore dello scherzo, abbandonandosi, si può arrivare.

Il narratore continua, fornendo una descrizione più dettagliata della frode. La giovane coppia, una levatrice e la diciassettenne hanno progettato di trasferirsi insieme in campagna, dove la consegna e il trasferimento del bambino del diciassettenne dovevano avvenire in segreto. Prima di partire, la levatrice è stata arruolata per creare la percezione che la terza gravidanza della giovane donna fosse ancora praticabile e che il trasferimento in campagna fosse giustificato in base a problemi di salute. Inoltre, è stato spiegato che la diciassettenne era la serva della giovane donna: lei era così presto nella propria gravidanza che nessuno sapeva che era incinta.

Ora, ecco, senza far male a nessuno, anzi, com’ho detto, facendo il bene di tutti, si combinò così: che lei, la ragazza, non doveva far saper niente a nessuno, nemmeno alla sua mamma; si sarebbe messa a servizio da una certa signora, la quale al contrario avrebbe fatto sapere a tutti che aspettava per la terza volta un bambino, e che questa volta sperava di portarlo a compimento, andando per consiglio del medico a maturarlo in campagna, all’aria sana; là nessuno le avrebbe vedute, ma con discrezione e senz’esagerare; anzi la signora, che pareva veramente incinta, si sarebbe, occorrendo, mostrata: in modo che la cosa venisse naturale. Sì, sono incinta, ma che c’entra? se c’è bisogno, eccomi qua; e anche lei, la servetta, fino a tanto che la grossezza non avesse dato nell’occhio, per quanto in campagna a queste cose non ci si bada; alla fine, al momento del parto, i gridi dell’una sarebbero parsi quelli dell’altra, e il bambino da un letto, appena nato, sarebbe passato all’altro, senza che lei nemmeno lo vedesse.

Poi, il narratore spiega che lo schema era una situazione ‘win-win-win’. Dopotutto, il signore avrebbe guadagnato un figlio ed avrebbe ricevuto la sua eredità; si presumeva che la diciassettenne avrebbe potuto aver altri figli in futuro, e specialmente dopo che si era sposata—il suo trasferimento segreto del figlio illegittimo alla giovane coppia era rappresentato come un tentativo di salvare il suo onore; e il bambino non avrebbe dovuto subire l’ignomia e la perdita di status associati all’illegittimità.

Tanto, non lo voleva. L’avrebbe avuto l’altra che lo desiderava invece così ardentemente; e sarebbe stato ricco e felice, mentre con lei, se pur fosse arrivato a nascere, chi sa che disgraziato sarebbe stato, senza padre, senza nome, senza stato, in un ospizio di trovatelli. E poter dare per giunta, una volta tanto, a questa professione di portare al mondo i figliuoli in certe tane di miseria, dove patiranno tutti gli stenti e anche la fame, la soddisfazione di far cangiare almeno a uno lo stato: invece di portarlo in un covo di spine, portarlo in un letto di rose.

Allora … tutti beneficiano! Cosa potrebb’andare male?

Il narratore spiega che lo schema è stato realizzato e che la giovane coppia alla fine è tornata dalla campagna in città con il figlio neonato. Il signore ha pagato 25.000 lire alla diciassettenne per la sua dote. (Impariamo che dopo che il pagamento è stato scoperto, è stato debitamente criticato come piccolo o inadeguato, soprattutto in relazione alla somma dell’eredità.)

Ma era andata anche meglio di così, perché il signore, non contento d’aver salvato dal disonore e fors’anche dal delitto la ragazza, le volle assegnare anche una dote di venticinque mila lire, che poi i maligni, quando si riseppe ogni cosa, dissero il prezzo del bambino, brutto spilorcio, usurajo profittatore; venticinque mila lire per un bambino che avrebbe invece salvata a lui una così grossa eredità;

Inizialmente, lo scambio del bambino ha infatti preservato l’onore della diciassettenne e la dote le ha anche permesso di sposare il suo amante.

senza voler pensare che per quella ragazza, che non voleva esser madre, quel bambino non aveva altro prezzo che quello del peccato e del disonore; e che quella dote era pur bastata a richiamare il giovine che aveva rovinata la ragazza e a fargliela sposare. Giovani, e con la prova già fatta, se avessero voluti altri figliuoli, avrebbero potuto farne a piacer loro, senza tener più conto di quel primo, che davvero non era poi da compiangere, ricco e beato in una casa di signori.

Fin qui tutto bene …

Tutto, così, era andato liscio in porto: il matrimonio dei giovani, col pagamento della dote già fissato in un assegno da riscuotere subito dopo il parto; la gravidanza della signora che sembrò vera a tutti, e quella della ragazza di cui non riuscì ad accorgersi né a sospettar nessuno;

Tuttavia, si è verificato un problema perché la giovane donna non era in grado d’allattar al seno il suo neonato, e questo l’ha portata a rendersi conto che aveva bisogno dei servizi d’una balia. Ha anche portato i pettegolezzi a chiedersi perché non fosse capace d’allattar al seno in primo luogo.

ma che paura nera, specie negli ultimi mesi, a sentirsi, sotto certi occhi che le guardavano, come inghiottite dalla finzione che facevano, l’una d’essere incinta, e l’altra di non esserlo;

E poi, il narratore spiega che, durante il loro periodo in campagna, il signore aveva fatto molti viaggi in città per fornire aggiornamenti (falsi) sui progressi della gravidanza di sua moglie. Alla fine la giovane coppia è stata in grado di registrare (falsamente) il neonato come proprio figlio, e il signore ha successivamente ricevuto la su’eredità.

lui, il signore, si faceva rivedere in città di tanto in tanto; riportava ai parenti e agli amici i progressi del nascituro, attecchito per davvero questa volta; ma sì! figurarsi che già si moveva; gliel’aveva fatto tastar con la mano la moglie (ed era lei, invece, la moglie, che l’aveva tastato con la mano sul ventre della ragazza, esclamando con un tremor di gioja e di ribrezzo insieme: – Uh, sì, sì, davvero, già tira i calcetti!, tira i calcetti!), e poi la felice nascita del bambino, denunziata e iscritta sotto il nome dei finti genitori: e assicurata così in tempo la grossa eredità.

Con il passare del tempo, la necessità della giovane donna d’aver una balia è divenuta più acuta … mentre, al tempo stesso, la diciassettenne era in grado di produrre un’abbondanza di latte.

Fu il buon cuore. La colpa fu proprio soltanto del buon cuore, all’ultimo momento, allorché la signora, con tutto quel suo bel seno di cera, da tenere esposto tra i merletti in vetrina, si trovò senza una goccia di latte da dare al bambino affamato, mentre di là la ragazza spasimava col petto gonfio, da cui il latte sprizzava come da due fontanelle. Si perdettero proprio per questo: per quel latte che sprizzava e per quella boccuccia di bimbo che voleva succhiare.

E poi, fatalmente, il narratore spiega che la giovane donna ha scelto la diciassettenne come la balia di suo neonato.

Tant’è vero che avviene sempre così, che più d’ogni ingegno vale la forza della natura. Dovevano aver pronta una balia in città, e subito partire col bambino, senza nemmeno lasciarlo vedere alla ragazza; invece la signora si impietosì, pensò che nessun’altra, meglio della madre vera, avrebbe potuto allattare il bambino, e corse lei stessa ad attaccarglielo al petto.

Tuttavia … la prima volta che la diciassettenne ha allattato al seno il neonato, si è legata a lui. Decisamente. Ha rivendicato il neonato come suo, e poi ha rinnegato sulla sua promessa: ha rifiutato di restituire il neonato alla giovane coppia.

Tutto il male venne di qui. Combinarono che, ritornati in città, la ragazza avrebbe figurato da balia; tanto, il marito già l’aveva con sé. Ma appunto, già col marito accanto, ch’era il padre vero del bambino, la madre, che per nove mesi l’aveva portato in sé e poi con tanto dolore partorito, ora che se lo serrava tra le braccia, attaccato al petto suo, carne sua, sangue suo, poteva più darlo a un’altra?

Successivamente, ha svelato rapidamente lo schema di commettere frode. I dettagli della frode sono stati scoperti. L’eredità è stata confiscata. Tutti erano condannati per un crimine e poi inviati in prigione. Tutti, cioè, tranne il neonato, che presumibilmente era destinato ad esser una persona sotto la custodia dello stato. Tuttavia, la diaciassettenne si è rifiutata di separarsi da lui, e così lui è andato in prigione insieme agli altri.

Sì, c’erano i patti, c’erano tutte le ragioni in contrario, tutti i falsi che ora si sarebbero scoperti, l’eredità perduta, e la prigione, la prigione per tutti. Ebbene, la prigione, ma il figlio no; il figlio quella madre non lo poteva più dare a nessuno ora che se l’era attaccato al seno: era suo e non lo poteva più dare a nessuno.

Sfortunatamente, come spiega il narratore, la diciassettenne ha perso la capacità di produrre latte a causa dello stress associato al suo arresto, al processo e alla sua prigionia. Di conseguenza, mentre era in prigione, il neonato è morto di fame.

Così furono tutti imprigionati, il signore, la signora, la levatrice, il giovine, la ragazza e per forza anche il bambino con lei: tutti, sotto una diversa imputazione; e sotto più imputazioni, una più grave dell’altra, ciascuno; e alla fine, imprigionati per nulla, perché per le furie con cui la ragazza aveva difeso il bambino contro tutti e contro il suo stesso marito, il latte le si guastò e in carcere il bambino morì, e tutti rimasero come tante statue di sale in attesa della condanna, a mani vuote.

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