Riassunto: Rimedio: la geografia

“La bussola, il timone… Eh, sí! Volendo navigare… Dovreste dimostrarmi però che anche sia necessario, voglio dire che conduca a una qualsiasi conclusione, prendere una rotta anziché un’altra, o anziché a questo porto approdare a quello.”

Così inizia la novella “Rimedio: la geografia” di Luigi Pirandello.

Il primo paragrafo sembra indicare che ci sia in corso una conversazione tra il protagonista della novella e più di un altra persona.

Si tratta di una conversazione ma anche una sorta di dibattito: il protagonista sta esprimendo un punto di vista, mentre gli altri hanno già espresso una vista alternative.

All’inizio della novella il lettore entra una discussione già in corso. Fin dall’inizio però il lettore ‘sente’ una sola voce, cioè, la voce del protagonista. Questa novella è un soliloquio!

Non è del tutto chiaro dal primo paragrafo, ma il lettore ha la sensazione che il soggetto della conversazione potrebbe essere la domanda:

Come possono gli esseri umani possono meglio affrontare le cose negative della vita quotidiana?

Penso che il protagonista abbia di recente detto agli altri che, quasi sempre, i problemi della vita quotidiana che ci riguardano in realtà non siano così importanti.

Nell’opinione del protagonista, possiamo essere utilizzati vari metodi e tecniche per affrontare i problemi. È fondamentale tuttavia analizzare / comprendere il problema nel proprio contesto. Quindi…

(indovinando) immagino che appena prima dell’inizio della novella il protagonista abbia detto questo agli altri:

I problemi della vita quotidiana sono forniti troppo importanza. A mio parere siano quasi sempre irrilevante!

Da focalizzando la mia attenzione altrove, ho imparato a ignorare la maggior parte dei problemi nella mia vita!

Non ci sono regole, cioè non c’è un ‘singolo modo corretto’ per affrontare i problemi della vita quotidiana.”

Gli altri non sono d’accordo; contestano questa tesi. La vita deve essere ben ordinato, dicono. Ci devono essere regole che governano il nostro comportamento.

– Come! – dite, – e gli affari? senza una regola, senza un criterio direttivo? E la famiglia? l’educazione dei figliuoli? la buona reputazione in società? l’obbedienza che si deve alle leggi dello Stato? l’osservanza dei proprii doveri?

Il protagonista risponde da affermando che lui è d’accordo… ci devono essere regole, specialmente per quanto riguarda gli affari, le responsabilità di un padre alla sua famiglia e le responsabilità di un cittadino alle leggi dello Stato. Il protagonista anche afferma che, in genere, è d’accordo che un cittadino dovrebbe conformarsi ai dettami degli altri in società (cioè a quello che la maggioranza pensa sia giusto ed equo e responsabile).

Per quanto riguarda i problemi della vita quotidiana però il protagonista ha basato le sue opinioni sulla scienza. E in particolare sulla scienza dell’astronomia, che insegna che la Terra è una minuscola minuscola minuscola componente dell’universo.

Il protagonista rifiuta in particolare l’idea che gli esseri umani, perché sono in grado di concettualizzare la natura infinita dell’universo, dovrebbero essere considerati come il centro dell’universo.

Il protagonista si prende gioco di una situazione comune in cui gli esseri umani diventano disperata di fronte a un problema della vita quotidiana, dando così il problema più attenzione di quanto merito.

Invece, il protagonista incoraggia gli altri a porre i problemi nel proprio contesto, es. basta guardare il cielo di notte e rendersi conto che la Terra è infinitamente piccola.

Un problema della vita quotidiana: come potrebbe sia così importante quando la Terra è così insignificante?

Poi gli altri si oppongono questa linea di ragionamento, chiedendo il protagonista, “Va bene, se pensi che i problemi della vita quotidiana siano insignificanti, cosa direbbe se per esempio il problema fosse la morte di un figlio? Certo questa non sarebbe considerato insignificante, vero?”

In primo luogo, il protagonista ammette che la morte di una persona cara, soprattutto un figlio / figlia, è significativa. Subito però si chiede se l’agonia del dolore davvero valga la pena?!

“Voi dite:

– Benissimo. Ma se intanto, qua sulla terra, mi fosse morto, per esempio, un figliuolo? Eh, lo so. Il caso è grave. E piú grave diventerà, ve lo dico io, quando comincerete a uscire dal vostro dolore e sotto gli occhi che non vorrebbero piú vedere v’accadrà di scorgere, che so? la grazia timida di questi fiorellini bianchi e celesti che spuntano ora nei prati ai primi soli di marzo; e appena la dolcezza di vivere che, pur non volendo, sentirete ai nuovi tepori inebrianti della stagione, vi si tramuterà in una piú fitta ambascia pensando a lui che, intanto, non la può piú sentire.

Ebbene?… Ma che consolazione, in nome di Dio, vorreste voi avere della morte del vostro figliuolo? Non è meglio niente? Ma sí, niente, credete a me. Questo niente della terra, non solo per le sciagure, ma anche per questa dolcezza di vivere che pur ci dà: il niente assoluto, insomma, di tutte le cose umane che possiamo pensare guardando in cielo Sirio o l’Alpha del Centauro.”

Poi il protagonista critica il ragionamento degli altri, suggerendo che sia incoerente: 

“Del resto, vi dico che siete incoerenti. Volete avere, di questo nostro pianeta, l’opinione ch’esso meriti un certo rispetto, e che non sia poi tanto piccolo in rapporto alle passioni che ci agitano, e che offra molte belle vedute e varietà di vita e di climi e di costumi; e poi vi chiudete in un guscio e non pensate neppure a tanta vita che vi sfugge, mentre ve ne state tutti sprofondati in un pensiero che v’affligge o in una miseria che v’opprime.”

Dopo questo il protagonista critica gli altri per (nel loro dolore e di auto-assorbimento) volendo che le loro vite fossero diverse:

“Lo so; voi adesso mi rispondete che non è possibile, quando una cura prema veramente, quando una passione accechi, sfuggire col pensiero e frastornarsene immaginando una vita diversa, altrove. Ma io non dico di porre voi stessi con l’immaginazione altrove, né di fingervi una vita diversa da quella che vi fa soffrire. Questo lo fate comunemente, sospirando: Ah, se non fossi cosí! Ah, se avessi questo o quest’altro! Ah, se potessi esser là! E son vani sospiri. Perché la vostra vita, se potesse veramente esser diversa, chi sa che sentimenti, che speranze, che desiderii vi susciterebbe altri da questi che ora vi suscita per il solo fatto che essa è cosí! Tanto è vero, che quelli che sono come voi vorreste essere, o che hanno quello che voi vorreste avere, o che sono là dove voi vi desiderereste, vi fanno stizza, perché vi sembra che in quelle condizioni da voi invidiate non sappiano esser lieti come voi sareste. Ed è una stizza – scusatemi – da sciocchi. Perché quelle condizioni voi le invidiate perché non sono le vostre, e se fossero, non sareste piú voi, voglio dire con codesto desiderio di esser diversi da quelli che siete.”

[In America, diciamo, “L’erba è sempre più verde dall’altra parte.”]

[Diciamo anche, “Siate attenti a ciò che desideri!”]

Poi il protagonista descrive una situazione nella sua vita che coinvolge il lento e costante declino (e l’eventuale morte) di sua madre. Il protagonista è responsabile della sua cura, e la situazione ha negativamente influenzato la sua vita.

Un giorno si ritrova a sperare che lei è morta. A causa di questo sentimento il protagonista si sente un tremendo senso di colpa per aver tradita la madre.

Una volta mentre il protagonista è nella stanza di sua madre, gli capita di passare dalla scrivania di sua figlia che fa il suo compito di casa nella stanza di sua nonna (in casa del protagonista): così, il protagonista dà un’occhiata a un suo libro di testo che è aperto ad un capitolo descrivendo la vita in Giamaica.

Il protagonista ha una epifania. (La fine della novella è quasi-comico, molto ironico.) Decide che ogni volta che è soggetto a una delle disgrazie della vita, il protagonista immagine un luogo lontano… un posto a cui egli sfugge.

Si tratta di una fuga temporanea, una tregua!

La tecnica si evolve. Il protagonista assegna un luogo specifico per la moglie e per ciascuno dei suoi figli. Ogni volta che uno di loro lo infastidisce, il protagonista immagine se stesso in quel particolare luogo lontano.

“Mia moglie, per esempio, è la Lapponia. Vuole da me una cosa ch’io non le posso dare? Appena comincia a domandarmela, io sono già nel golfo di Bòtnia, amici miei, e le dico seriamente come se nulla fosse:

– Umèa, Lulèa, Pitèa, Skelleftèa…

– Ma che dici?

– Niente, cara. I fiumi della Lapponia.

– E che c’entrano i fiumi della Lapponia?

– Niente, cara. Non c’entrano per niente affatto. Ma ci sono, e né tu né io possiamo negare che in questo preciso momento sboccano là nel golfo di Bòtnia. E vedessi, cara, vedessi come vedo io la tristezza di certi salici e di certe betulle, là… D’accordo, sí, non c’entrano neanche i salici e le betulle; ma ci sono anch’essi, cara, e tanto tanto tristi attorno ai laghi gelati tra le steppe. Lap o Lop, sai? è un’ingiuria. I Lapponi da sé si chiamano Sami. Sudici nani, cara mia! Ti basti sapere… – sí, lo so, tutto questo veramente non c’entra – ma ti basti sapere che, mentr’io ti tengo cosí cara, essi tengono cosí poco alla fedeltà coniugale, che offrono la moglie e le figliuole al primo forestiere che capita. Per conto mio, puoi star sicura: non son tentato per nulla, cara, a profittarne.

– Ma che diavolo dici? Sei pazzo? Io ti sto domandando…

– Sí, cara. Tu mi stai domandando, non dico di no. Ma che triste paese, la Lapponia!…”

Quindi:

Rimedio: la geografia!!

[In America, anche gli uomini dicono: “Le donne! Non si può vivere con loro, e non si può vivere senza di loro!”]

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