Riassunto: L’avemaria di Bobbio

Un caso singolarissimo era accaduto, parecchi anni addietro, a Marco Saverio Bobbio, notajo a Richieri tra i piú stimati.

Così inizia L’avemaria di Bobbio, una novella indimenticabile, davvero notevole, intrigante e provocatoria scritto da L. Pirandello.

Marco Saverio Bobbio è un notaio ben considerato che ha lavorato a Richieri, una piccola città della Liguria.

Di recente il Bobbio è andato in pensione (“Nel poco tempo che la professione gli lascia libero…”). Per occupare il suo tempo ha scelto lo studio di filosofia. Il Bobbio era conosciuto come un notaio eccezionale e attento. È facile supporre che la sua attenzione al dettaglio è una caratteristica importante della sua personalità, cioè, una ragione per il suo successo professionale.

È anche facile supporre che il Bobbio porta tanta attenzione ai dettagli nel suo studio della filosofia.

…si era sempre dilettato di studii filosofici, e molti e molti libri d’antica e nuova filosofia aveva letti e qualcuno anche riletto e profondamente meditato.

All’inizio della novella il lettore apprende due cose. Primo, che il Bobbio era un cattolico devoto per una parte della sua vita, soprattutto quando era un adolescente…

…fervidissima un tempo, quando Bobbio era fanciullino e ogni mattina andava a messa con la mamma e ogni domenica si faceva la santa comunione nella chiesetta della Badiola al Carmine.

…ora però (e principalmente a causa del suo studio di filosofia) il Bobbio ha perso la fede.

La seconda cosa: il Bobbio ha sperimentato qualcosa di straordinario molti anni prima.

Quindi…

Parecchi anni prima (prima di andare in pensione) il Bobbio ha trascorso ogni domenica con gli amici e la famiglia. Le domeniche erano sempre giornate gioiose, in aperto contrasto con gli obblighi di pratica.

Si trovava a villeggiare con la famiglia in un suo poderetto a circa due miglia da Richieri. Andava la mattina col somarello (povero somarello!) in città, per gli affari dello studio, che non gli davano requie; ritornava, la sera.

Una domenica, verso la fine di una giornata particolarmente festosa, il Bobbio ha sperimentato il dolore straziante da uno dei suoi denti. La descrizione del dolore è al tempo stesso terrificante…

Ma, un’ora dopo, era ricomparso come uno che non sapesse piú in che mondo si fosse, se un molino a vapore, proprio un molino a vapore, strepitoso, rombante, era potuto entrargli nella testa e macinargli in bocca, sí, sí, in bocca, in bocca, furiosamente. Tutti erano restati sospesi e costernati a guardargli la bocca, come se davvero s’aspettassero di vederne colar farina. Ma che farina! bava, bava gli colava. Non questo soltanto, però, era assurdo: tutto era assurdo nel mondo, e mostruoso, e atroce. Non stavano lí tutti a banchettare festanti, mentre lui arrabbiava, impazziva? mentre l’universo gli si sconquassava nella testa?

…e divertente! Sono imbarazzato ad ammettere che ho riso quando ho letto questo! Cosa c’è di sbagliato in me? Dov’è la mia umanità? Perché mi viene da ridere al dolore di qualcun altro?

{Paola: forse hai riso anche tu?}

A causa del dolore il Bobbio ha lasciato la sua villa alla ricerca di un dentista. Per caso ha passato un tabernacolo della SS Vergine delle Grazie (con un lanternino acceso). In questo momento il Bobbio si è ispirato a recitare l’avemaria, e proprio mentre ha finito, ha sperimentato un silenzio profondo (come se sia stato trasportato in un altro mondo) e il suo dolore se ne andato via!

Poi la novella torna al presente. (Il Bobbio era senza dolore dal momento del suo misterioso recupero.)

Il ricordo delle due cose insieme… potrebbe rappresentare un miracolo della fede? Il Bobbio sperimenta un dubbio.

Era, non ostante quel risolino scettico, alquanto inquieto e, leggendo, si passava di tratto in tratto una mano su la guancia destra.

Il Bobbio capisce che quello che gli è successo è stato miracoloso, cioè, impossibile da spiegare razionalmente. Il Bobbio comprende il punto di vista di un filosofo come Montaigne a proposito dei miracoli (“impossibile”). D’altronde capisce il punto di vista opposto di Sant’Agostino (“possibile”).

E poi, all’improviso, il suo dente comincia a fare male ancora una volta. Il dolore è straziante come sempre. Il Bobbio cerca di dire l’avemaria, ma il suo dolore non cessare.

Alla fine, con una frustrazione profonda, il Bobbio decide di essere pratico. (“Al diavolo Montaigne! Sant’Agostino!”) Va a un dentista per avere tutti i suoi denti estratti.

***

A mio parere ci siano due grandi idee che il Pirandello intende presentare al lettore.

La prima idea è preoccupata con il carattere e la personalità. Pirandello fa il punto che gli esseri umani non dimenticano nulla… che tutte le nostre esperienze sono ricordate nel cervello, cioè, dalla nascita alla morte.

(Tutto! 60 secondi al minuto, 60 minuiti all’ora, 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana, 52 settimane all’anno.)

Alcune di queste esperienze sono facilmente accessibili a noi, cioè, formano una parte della nostra coscienza e includono le nostre memorie più recenti e forse più significative.

Ne consegue da quest’idea che la nostra coscienza rappresenta solamente una piccolissima frazione dell’esperienza totale registrata in cervello.

Bobbio anzi diceva che ciò che chiamiamo coscienza è paragonabile alla poca acqua che si vede nel collo d’un pozzo senza fondo. E intendeva forse significare con questo che, oltre i limiti della memoria, vi sono percezioni e azioni che ci rimangono ignote, perché veramente non sono piú nostre, ma di noi quali fummo in altro tempo, con pensieri e affetti già da un lungo oblío oscurati in noi, cancellati, spenti; ma che al richiamo improvviso d’una sensazione, sia sapore, sia colore o suono, possono ancora dar prova di vita, mostrando ancor vivo in noi un altro essere insospettato.

Il resto dell’esperienza viene ricordato nel subconscio: i pensieri, i sentimenti ei ricordi inconsci, mentre onnipresenti, devono essere evocati — da un gusto o colore o odore o suono o tocco. (Questo è affascinante perché ho imparato questo concetto nella scuola di medicina!)

L’idea che il conscio e il subconscio insieme registrano tutto, e che tutto quello è accessibile, implica che entrambi contribuiscano (in modo insaputo) alla nostra personalità e carattere: insieme il conscio e il subconscio informano le scelte che facciamo nella vita, influenzano ciò che crediamo e determinano come reagiamo agli eventi della nostra vita.

Quindi…

Nel subconscio di Marco Saverio Bobbio era la sua esperienza di fede durante l’adolescenza. Quando ha passato il tabernacolo con la luce accesa, è stato in grado di recitare l’avemaria. E ha creduto, almeno per un momento, che questo è stato un vero miracolo.

La seconda idea è preoccupata con la fede. Che cosa crediamo per essere vero? Qual’è la base da cui crediamo qualcosa per essere vero?

Sembra evidente che Pirandello voglia discutere in particolare il mistero della fede.

Secondo me la domanda che Pirandello vuole considerare è se il Bobbio ha sperimentato un miracolo.

Pirandello crea una novella in cui è probabile che è successo un miracolo. Per lo meno è difficile sostenere il contrario: dopotutto, il dolore è andato via dopo ha recitato l’avemaria e il dolore non è risuccesso per diversi anni. Quindi questo non è stato un colpo di fortuna, e un miracolo è una spiegazione plausibile, in particolare a coloro la cui esperienza di vita permette loro di credere (come il Bobbio).

Un modo importante che l’esperienza del Bobbio è diversa, diciamo, dalle esperienze delle persone citate da Sant’Agostino è che il Bobbio ha una seconda opportunità di sperimentare un miracolo: il suo dolore si ripresenta.

Questa volta però l’avemaria non funziona per niente e il dolore persiste, non se ne va.

Quindi…

Direbbe un uomo di scienza (il Pirandello?!?!):

“Vedi? La prima esperienza, dopotutto, non era un miracolo! È stato solo per caso, una casualità, un aneddoto!”

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