Riassunto: I tre pensieri della sbiobbina

Def.

Sbiobbo. agg. raro

Di persona piccola e storta, spec. per rachitide: una bambina sbiobba; è nato s.

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La novella I tre pensieri della sbiobbina (L. Pirandello) comincia con una bella descrizione (suggestiva, lirica e accurata) di una displasia scheletrica:

Bene, fino a nove anni: nata bene, cresciuta bene.

A nove anni, come se il destino avesse teso dall’ombra una manaccia invisibile e gliel’avesse imposta sul capo: – Fin qua! -, Clementina, tutt’a un tratto, aveva fatto il groppo. Là, a poco piú d’un metro da terra.

In realtà ci sono più di 400 forme riconosciute di displasia scheletrica! …dunque un’area complessa di medicina, uno che è difficile di conoscere a fondo.

Poi Pirandello fornisce al lettore alcuni indizi sulla forma specifica di displasia.

Bravi! Farlo intendere alle gambe, adesso, al busto di Clementina, che non si doveva piú crescere! Busto e gambe, dacché, nascendo, ci s’erano messi, avevano voluto crescere per forza, senza sentir ragione. Non potendo per lungo, sotto l’orribile violenza di quella manaccia che schiacciava, s’erano ostinati a crescere di traverso: sbieche, le gambe; il busto, aggobbito, davanti e dietro. Pur di crescere…

Attualmente ci sono molti modi per classificare una displasia scheletrica. Uno di questo si basa sull’insorgenza della malattia: ci sono, ad esempio, quelle displasie che possono essere diagnosticate in utero o alla nascita, e ci sono anche quelle che hanno un’insorgenza ritardata (vale a dire che si manifestano per la prima volta durante l’infanzia o più tardi nella vita).

È ovvio che Clementina soffre di una forma tardiva.

È possibile restringere ulteriormente la diagnosi basata sulle manifestazioni supplementari della malattia, cioè le manifestazioni che sono associati con la displasia scheletrica.

A questo proposito, Pirandello dice al lettore che gli organi linfatici sono anormali (cioè, sono anormali i linfonodi, che fanno parte del sistema immunitario).

I medici, eh! subito, con la loro scienza, avevano compreso che non sarebbe cresciuta piú. Linfatismo, cachessía, rachitide…

Allora, conosciamo almeno una forma di displasia scheletrica che è insorgenza tardiva e che coinvolge il sistema immunitario:

Schimke immunoosseous dysplasia (SIOD) …is an autosomal recessive multisystem disorder characterized by spondyloepiphyseal dysplasia (SED) resulting in short stature, nephropathy, and T-cell deficiency. Radiographic manifestations of SED include ovoid and mildly flattened vertebral bodies, small deformed capital femoral epiphyses, and shallow dysplastic acetabular fossae. Adult height is 136-157 cm for men and 98.5-143 cm for women. Nearly all affected individuals have progressive steroid-resistant nephropathy, usually developing within five years of the diagnosis of growth failure and terminating with end-stage renal disease (ESRD). The majority of tested individuals have T-cell deficiency and associated risk for opportunistic infection, a common cause of death. SIOD involves a spectrum that ranges from an infantile or severe early-onset form with death early in life to a juvenile or milder later-onset form with survival into adulthood if renal disease is appropriately treated. (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/books/NBK1376/)

Slide1SBIOBBINA CON SIOD

Ma è anche importante riconoscere  questo:  SIOD è stata descritta per la prima volta nel 1974.  Dato questo, Pirandello non poteva saperla nel momento in cui ha scritto la novella!

Dunque è vero dire che non possiamo fare un diagnosi definitivo della condizione di Clementina. Forse il meglio che si possa dire è che Clementina soffriva di una displasia immunoossea, possibilmente del tipo del Schimke.

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È interessante il fatto che Pirandello sceglie per descrivere la deformità di Clementina come “essere come il rachitismo”. Rachitismo è una malattia acquisita sulla base di una mancanza alimentare. Tuttavia, secondo me Clementina non è impoverita e quindi lei non sembrerebbe essere a rischio di una mancanza alimentare. Cosa c’è di più, Pirandello dice al lettore che la displasia scheletrica di Clementina è irreversibile e quindi probabilmente ereditata.

Là, via, era una cosa riuscita male, e che non si poteva rimediare in alcun modo. Chi scrive una lettera, se non gli vien bene, la strappa e la rifà da capo. Ma una vita? Non si può mica rifar da capo, a strapparla una volta, la vita.

Dunque credo che Pirandello usa la parola “racchitide” solo per creare un’immagine letteraria del corpo di Clementina e niente di più.

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Dopo questo introduzione incredibile della novella, Pirandello paragona/confronta la displasia di Clementina a quella di un albero (cioè, un oggetto nel mondo naturale) che viene deformato.

Che non crescono forse cosí, del resto, anche certi alberelli, tutti a nodi e a sproni e a giunture storpie? Cosí. Con questa differenza però: che l’alberello, intanto, non ha occhi per vedersi, cuore per sentire, mente per pensare; e una povera sbiobbina, sí;  che l’alberello storpio non è, che si sappia, deriso da quelli dritti, malvisto per paura del malocchio, sfuggito dagli uccellini; e una povera sbiobbina, sí, dagli uomini, e sfuggita anche dai fanciulli;  e che l’alberello infine non deve fare all’amore, perché fiorisce a maggio da sé, naturalmente, cosí tutto storpio com’è, e darà in autunno i suoi frutti; mentre una povera sbiobbina…

Secondo me quest bel paragrafo è relativo al titolo della novella. Lo illustra come la mente umana può causare ulteriori sofferenze: Clementina capisce che lei è diversa dalla sua famiglia e gli amici, che la sua vita è limitata in molti modi importanti, che il suo futuro sarà pieno di delusioni, che non sarà accettata come un pari nel suo quartiere, e che verrà ridicolizzata ed evitato.

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Pirandello descrive poi tre modi in cui gli esseri umani cercano di far fronte con una malattia così devastante come la displasia scheletrica di Clementina.

Due dei tre modi comportano un tentativo di comprendere (cioè, di spiegare) la basa della malattia.

Il primo modo comporta un tentativo di comprendere, cioè, di spiegare, la basa scientifica della malattia. Pirandello dice al lettore:

I medici, eh! subito, con la loro scienza, avevano compreso che non sarebbe cresciuta piú. Linfatismo, cachessía, rachitide…

Il secondo modo si basa sulla fede religiosa. Questo è il modo di Clementina.

Quasi quasi verrebbe voglia di non crederci, in Dio, vedendo certe cose. Ma Clementina ci credeva. E ci credeva appunto perché si vedeva cosí. Quale altra spiegazione migliore di questa, di tutto quel gran male che, innocente, senz’alcuna sua colpa, le toccava soffrire per tutta, tutta la vita, che è una sola, e che lei doveva passar tutta, tutta cosí, come fosse una burla, uno scherzo, compatibile sí e no per un minuto solo e poi basta? Poi dritta, sú, svelta, agile, alta, e via tutta quella oppressione. Ma che! Sempre cosí.

Poi Pirandello accenna al terzo modo, che è l’assenza della scienza e l’assenza di fede religiosa.

Dio, eh? Dio – era chiaro – aveva voluto cosí, per un suo fine segreto. Bisognava far finta di crederci, per carità; ché altrimenti Clementina si sarebbe disperata. Spiegandoselo cosí, invece, lei poteva anche considerare come un bene tutto il suo gran male: un bene sommo e glorioso. Di là, s’intende. In cielo. Che bella angeletta sarà poi in cielo, Clementina!

Quindi Pirandello sembra dire che sarebbe meglio per Clementina a ingannare se stessa nel credere della volontà di Dio che di non credere, perché quest’ultimo porterà alla disperazione. La disperazione è il terzo modo.

Poi Pirandello mostra al lettore come la fede religiosa può fornire conforto a coloro che soffrono.

Ed ecco, ella sorride talvolta, camminando, alla gente che la guarda per istrada. Pare voglia dire: “Non mi deridete, via! perché, vedete? ne sorrido io per la prima. Sono fatta cosí; non mi son fatta da me; Dio l’ha voluto; e dunque non ve n’affliggete neppure, come non me n’affliggo io, perché, se l’ha voluto Dio, lo so sicuro che una ricompensa, poi, me la darà!

Naturalmente Clementina può essere frustrata dalle azioni degli altri.

La pena è anche accresciuta dallo studio ch’ella pone a non barellare tanto, per non dar troppo nell’occhio alla gente. Passare inosservata non potrebbe. Sbiobbina è. Ma via, andando cosí, con una certa lestezza, e poi modesta, e poi sorridendo…

Qualcuno però, a quando a quando, si dimostra crudele: la osserva, magari col volto atteggiato di compassione, e le torna poco dopo davanti dall’altro lato, quasi volesse a tutti i costi rendersi conto di com’ella faccia con quelle gambe ad andare. Clementina, vedendo che col suo solito sorriso non riesce a disarmare quella curiosità spietata, arrossisce dalla stizza, abbassa il capo; talvolta, perdendo il dominio di sé, per poco non inciampa, non rotola giú per terra; e allora, arrabbiata, quasi quasi si tirerebbe su la veste e griderebbe a quel crudele:

– Eccoti qua: vedi? E ora lasciami fare la sbiobbina in pace.

La frustrazione di Clementina è accentuata dal fatto che si è recentemente trasferita in un nuovo appartamento piazzato in un nuovo quartiere. Ci vorrà del tempo per i suoi vicini di abituarsi alla sua presenza e quindi lasciarla in pace.

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Nel resto della novella, Pirandello descrive cosa può accadere quando qualcuno che soffre adotta il terzo modo e raggiunge uno stato di disperazione.

Un giorno, nel suo appartamento, Clementina si accorge che un ragazzo in un appartamento dirempetto è fissando a lei.

Guarda fuori… Che guarda?

C’è un giovine, un bel giovine biondo, coi capelli lunghi e la barbetta alla nazarena, seduto a una finestra della casa dirimpetto, coi gomiti appoggiati sul davanzale e la testa tra le mani.

Primo Clementina trova difficile da credere la fissasione.

Possibile? Gli occhi di quel giovine sono fissi su lei, con una intensità strana. Pallido… Dio, com’è pallido! dev’esser malato. Clementina lo vede adesso per la prima volta, a quella finestra. Ed ecco, egli séguita a guardare…

Poi viene in mente alla Clementina il suo primo pensiero:

Clementina si turba; poi sospira e si rinfranca. Il primo pensiero che le viene in mente è questo:

– Non guarda me!

Clementina si chiede se il ragazzo sia in realtà guardando l’appartamento di qualcun altra, cioè, qualcuna che vive al piano sopra di lei o al piano di sotto.

Ma, dopo un po, non c’è dubbio che il ragazzo sta guardando priprio alla Clementina.

Timidamente, volge di sfuggita uno sguardo al giovine, ed ecco… un altro cenno di saluto, a lei, proprio a lei… ah, questa volta non c’è piú dubbio!

Poi Clementina si chiede se il ragazzo non possa vedere!!

Quel giovine là dev’esser miope. Chi sa per chi l’avrà scambiata… Forse per Lauretta? Ma sí! Forse avrà seguíto Lauretta per via; avrà saputo che lei abita qua, dirimpetto a lui… Ma, altro che miope, allora! Dev’esser cieco addirittura…

Poi Clementina si chiede se il ragazzo l’abbia scambiato per la sorella, Lauretta, che è normale e che vive con lei. Tuttavia Lauretta le dice che non conosce il ragazzo.

Quella sera stessa ne domanda alla sorella. Ma questa casca dalle nuvole.  

– Che giovine?

– Sta lí, dirimpetto. Non te ne sei accorta?

– Io, no. Chi è?  

Clementina glielo descrive minutamente; e Lauretta allora le dichiara di non saperne nulla, di non averlo mai incontrato, mai veduto, né da vicino né da lontano.

Il giorno dopo il ragazzo è alla finestra di nuovo, fissando alla Clementina. Lei ha il suo secondo pensiero.

Che deve supporre Clementina? Le viene in mente quest’altro pensiero:

– Non vedrà bene come sono fatta. E, per essere lasciata in pace, povera sbiobbina, immagina d’un tratto questo espediente: accosta il tavolino alla finestra, prende uno strofinaccio e poi, con l’ajuto d’una seggiola, monta a gran fatica sul tavolino, là, in piedi, come per pulire con quello strofinaccio i vetri della finestra. Cosí egli la vedrà bene!

Tuttavia il ragazzo urla quando Clementina mostra il suo corpo a lui. Ha un impeto di disperazione.

Ma per poco Clementina non precipita giú in istrada, nell’accorgersi che quel giovine, vedendola lí, s’è levato in piedi e gesticola furiosamente, spaventato, e le accenna di smontare, giú di lí, giú di lí, per carità: incrocia le mani sul petto, si prende il capo tra le mani e grida, ora, grida!

Clementina scende dal tavolino quanto piú presto può, sgomenta, anzi atterrita; lo guarda, tutta tremante, con gli occhi sbarrati; egli le tende le braccia, le invia baci; e allora:

“è matto… – pensa Clementina, stringendosi, storcendosi le mani. – Oh Dio, è matto! è matto!”.

Quella sera Lauretta dice a Clementina ciò che ha imparato a conoscere il ragazzo. La sua fidanzata, che un tempo ha vissuto nell’appartamento di Clementina, è morta circa un anno fa del cancro. Il tumore era un sarcoma; si è sviluppato in una gamba, che è stata amputata nel tentativo di salvarle la vita. Tuttavia, il sarcoma s’era rinnovato nell’altra gamba, che è stata anche amputata.

Dopo la morte, il cuore del ragazzo era rotto (la disperazione).

Dopo aver ascoltato la storia triste, Clementina ha il suo terzo pensiero.

Ah, ecco perché! Clementina, ascoltando questo racconto della sorella, sente riempirsi gli occhi di lagrime. Per quel giovine o per sé? Sorride poi pallidamente e dice con tremula voce a Lauretta:

– Me l’ero figurato, sai? Guardava me…

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