Riassunto: Nenè e Niní

Nenè aveva un anno e qualche mese, quando il babbo le morí. Niní non era ancor nato, ma già c’era: si aspettava.

Inizia così Nenè e Niní (L. Pirandello) una novella che secondo me è in parte una farsa e in parte un commento sardonico e ironico sulla vita quotidiana in una piccola città.

(Tutti sanno tutto degli altri! Ognuno ha un parere su tutti gli altri!)

All’inizio della novella ci viene presentata una famiglia di tre persone. Presumibilmente loro sono felici. La madre è in stato di gravidanza. Poi (inaspettatamente?) si verifica una tragedia: il padre muore.

La madre è giovane, bella e inesperta. Se fosse vero che aveva solo Nenè a cura di, avrebbe avuto la confidenza ed i mezzi per continuare con le loro vite, modestamente, tutt’e due insieme.

Ecco: se Niní non ci fosse stato, forse la mammina, quantunque bella e giovane, non avrebbe pensato di passare a seconde nozze: si sarebbe dedicata tutta alla piccola Nenè. Aveva da campare sul suo, modestamente, nella casetta lasciatale dal marito e col frutto della sua dote.

Tuttavia il feto, Niní, è maschio e lei decide di sposarsi ancora una volta — in modo che il marito può assumersi la responsabilità per il bambino. Lei prende questa decisione da sola.

Il pensiero d’un maschio da educare, cosí inesperta come lei stessa si riconosceva e senza guida o consiglio di parenti né prossimi né lontani, la persuase ad accettar la domanda d’un buon giovine, che prometteva d’esser padre affettuoso per i due poveri orfanelli.

Un anno e mezzo dopo la nascita di Niní, la madre si sposa Erminio Del Donzello. Meno di un anno dopo il matrimonio, la madre rimane incinta, questa volta con le gemelle. La gravidanza è complicata dal “rischio mortale d’un parto doppio”, e povero Erminio Del Donzello deve scegliere di salvare la vita delle gemelle (e perdere sua moglie) o salvare la vita di sua moglie (e perdere le gemelle). Lui sceglie di salvare sua moglie quindi le gemelle sono sacrificate. Purtroppo dopo un mese delle gravi complicazioni, con notevole dolore e sofferenza, anche la madre muore.

Erminio Del Donzello si chiede cosa avrebbe dovuto fare: ha perso tutto (moglie e figlie). Inoltre, nemmeno la casa, la dote, i bambini (Nenè e Niní) appartengono a lui. (La casa e la dote appartengono proprio a Nenè e Niní.)

Il Pirandello mette in chiaro al lettore che Erminio Del Donzello è un uomo buono. In precedenza lui è descritto come “un buon giovine, che prometteva d’esser padre affettuoso per i due poveri orfanelli”. Ora, nonostante tutto quello che ha perso, mantiene la sua promessa: sceglie di rimanere e prendersi cura di Nenè e Niní. (“Ma se ne poteva forse andare?”)

Questa decisione non è ben compresa dai suoi vicini come un gesto disinteressato, cioè un gesto di pura gentilezza. Invece i vicini vedono la morte della madre e le due gemelle come una punizione, uno che è ben meritato per giunta.

Ma che! Nessuna pietà, nessuna considerazione per lui, in tutto quel vicinato, per la sua doppia sciagura. Pareva anzi che la morte della moglie e delle sue creaturine gemelle fosse giudicata da tutti come una giusta e ben meritata punizione.

Perché? Forse il modo in cui lui abbia assunto controllo della casa era incompreso? (“… gli era entrato in casa, da padrone”)

Inoltre, e questo è ridicolo, Erminio Del Donzello non è bello o impressionante quindi lui è un oggetto di derisione.

Sí, sapeva che molti, purtroppo, giudicano dall’apparenza soltanto, e che i giudizii che si davano di lui forse erano iniqui addirittura, perché, effettivamente, la figura non lo ajutava troppo. La eccessiva magrezza lo rendeva ispido, e aveva il collo troppo lungo e per di piú fornito d’un formidabile pomo d’Adamo, la sola cosa grossa in mezzo a tanta magrezza;

Anziché i vicini danno ogni considerazione a Nenè e Niní: ipotizzano per esempio che “senza alcun dubbio” Erminio Del Donzello si risposerà e poi la matrigna si abuserà i bambini. (Nenè e Niní sono dopotutto i figliastri del Erminio Del Donzello.)

Tutta la pietà era per i due orfanelli, di cui in astratto si considerava la sorte. Ecco qua: il patrigno, adesso, senza alcun dubbio, avrebbe ripreso moglie: una megera, certo, una tiranna; ne avrebbe avuto chi sa quanti figliuoli, a cui Nenè e Niní sarebbero stati costretti a far da servi, fintanto che, a furia di maltrattamenti, di sevizie, prima l’una e poi l’altro, sarebbero stati soppressi.

Ancora una volta il lettore viene ricordato che Erminio Del Donzello è sincero e gentile e responsabile. Lui è consapevole di ciò che i vicini hanno da dire; cerca di cambiare le loro idee.

Perché il professor Erminio Del Donzello, ora, ogni mattina, prima di recarsi a scuola, per ingraziarsi quel vicinato ostile e dimostrar la cura e la sollecitudine che si dava de’ due orfanelli, dopo averli ben lavati e calzati e vestiti, se li prendeva per mano, uno di qua, l’altra di là, e li andava a lasciare ora in questa ora in quella famiglia tra le tante che si erano profferte.

Allo stesso tempo c’è ironia qua! Abbiamo notato in precedenza che i vicini passano una considerevole quantità di tempo speculando sulla moglie che Erminio Del Donzello quasi sicuramente si sposerà (e come la matrigna sarà ovviamente rovinare le vite di Nenè e Niní)… a meno che naturalmente si sposa una delle le loro figlie!

Era – s’intende – in ciascuna di queste famiglie piú delle altre caritatevoli e in pensiero per la sorte dei piccini almeno una ragazza da marito; e tutte, senza eccezione, queste ragazze da marito sarebbero state mammine svisceratamente amorose di quei due orfanelli; perfida tiranna, spietata megera sarebbe stata solo quell’una, che il professor Erminio Del Donzello avrebbe scelto tra esse.

Così i vicini sono critici del Erminio Del Donzello ma cercano anche di influenzarlo. (Più avanti nella novella Erminio Del Donzello si riferisce ai vicini come vipere che sputano il veleno.) I vicini si rendono conto che in realtà lui avrà accesso alla casa e la dote per molti anni (Nenè e Niní sono ancora bambini) e che lui ha uno stipendio. Erminio Del Donzello è desiderabile dopotutto!

Sí, perché in fondo, via, era vedovo, ma appena: si poteva dire che quasi non aveva avuto tempo d’essere ammogliato. E quanto ai figliuoli, sí, c’erano, ma non erano suoi. La casa, intanto, fino alla maggiore età di questi, ch’erano ancor tanto piccini, era per lui, e cosí anche il frutto della dote, il quale insieme col suo stipendio di professore faceva un’entratuccia piú che discreta.

Tuttavia, e dopo qualche riflessione, Erminio Del Donzello si rende conto che avrebbe preferito essere sposato e anche continuare a prendersi cura di Nenè e Niní. Lui non vuole sposarsi una figlia di uno dei vicini: lo hanno ridicolizzato; non li ammira.

Ma il professor Erminio Del Donzello era certo che si sarebbe attirate addosso tutte le furie dell’inferno, se avesse fatto la scelta in quel vicinato.

Aveva sopra tutto, e con ragione, paura delle suocere. Perché ognuna di quelle mamme disilluse sarebbe certo diventata subito una suocera per lui; tutte quante si sarebbero costituite mamme postume della sua povera moglie defunta, e nonne di quei due orfanelli.

Ogni giorno Erminio Del Donzello lascia Nenè e Niní con un vicino di casa mentre lui è al lavoro. Inizialmente questa responsabilità è stata condivisa da alcuni vicini, ma uno in particolare, la signora Ninfa, ha aggressivamente assunto la maggior parte della cura dei bambini.

E che mamma, che nonna, che suocera sarebbe stata, ad esempio, quella signora Ninfa della casa dirimpetto, che piú delle altre gli aveva fatto e seguitava a fargli le piú pressanti esibizioni d’ogni servizio, insieme con la figliuola Romilda e il figlio Toto!

Col tempo Erminio Del Donzello si preoccupa delle esperienzie cupe/cattive dei bambini durante il giorno.

Ma nelle ore che lui, sempre coi guanti di filo di Scozia, insegnava il francese ai ragazzi delle scuole tecniche, che scuola facevano quelle vicine là, e segnatamente la signora Ninfa con la figliuola Romilda e il figlio Toto, a Nenè e Niní? che prevenzioni, che sospetti insinuavano nelle loro animucce? e che paure?

Nenè in particolare sembra essere colpita.

Già Nenè, che s’era fatta una bella bamboccetta vispa e tosta, con le fossette alle guance, la boccuccia appuntita, gli occhietti sfavillanti, acuti e furbi, tutta scatti tra risatine nervose, coi capelli neri, irrequieti, sempre davanti agli occhi, per quanto di tratto in tratto se li mandasse via con rapide, rabbiose scrollatine, s’impostava fieramente incontro alle minacce immaginarie, ai maltrattamenti, ai soprusi della futura matrigna, che le vicine le facevano balenare; e mostrando il piccolo pugno chiuso, gridava:

– E io l’ammazzo!

La signora Ninfa prede sul stato emotivo di Nenè per ottenere un vantaggio.

– Oh cara! Amore! Angelo! Sí, cara, cosí! Perché tutto è tuo, sai? La casa è tua, la dote della tua mammina è tua, tua e del tuo fratellino, capisci? E devi difenderlo, tu, il tuo fratellino! E se tu non basti, ci siamo qua noi, a farli stare a dovere, tanto lei che lui, non dubitare, ci siamo qua noi per te e per Niní!

Dopo un anno nella casa della signora Ninfa, Erminio Del Donzello decide di risposarsi. La nuova moglie, Caterina, è destinata a fallire prima che entra in casa. I bambini si rifiutano di obbedirla (secondo me loro sono stati “avvelenati”). Di conseguenza loro sono poco curati ei vicini criticano la Caterina perché si prende cura dei bambini. Se, d’altra parte, la Caterina costringe i bambini a obbedire, ci sono lotte ei vicini la accusano Caterina di abusi sui minori.

Subito allora le vicine:

– Ecco che comincia! Ah, povere creature! Dio di misericordia, senti, senti! Ma che fa? Ih, strappa i capelli alla grande! Senti che schiaffi al piccino! Ah che strazio, Dio, Dio, abbiate pietà di questi due poveri innocenti!

Se poi Caterina, per non farli strillare, lasciava Nenè spettinata e sporco Niní:

– Ma guardate qua questi due amorini come sono ridotti: una cagnetta scarduffata e un porcellino!

Com’è facilmente comprensibile Caterina è molto molto infelice.

Una santa, anche una santa avrebbe perduto la pazienza. Quella povera donna sentiva voltarsi il cuore in petto, non solamente per la crudele ingiustizia, ma anche per lo strazio di veder quella ragazzetta, Nenè, cosí bellina, crescere come una diavola, messa sú da quelle perfide pettegole, sguajata, senza rispetto per nessuno.

L’infelicità e il rancore a casa rende Erminio Del Donzello molto infelice. Lui si ammala.

Il professor Erminio Del Donzello pareva in pochi mesi invecchiato di dieci anni.

Guardava la povera moglie che gli piangeva davanti disperata, e non sapeva dirle niente, come non sapeva dir niente a quei due diavoletti scatenati.

Era inebetito? No. Non parlava, perché si sentiva male. E si sentiva male, perché… perché proprio portavano con sé questo destino, quei due piccini là!

Erminio Del Donzello perde la prospettiva: fantastica che si è malato perché è destinato a morire.

E si sentiva male, perché… perché proprio portavano con sé questo destino, quei due piccini là!

Il padre era morto; e la mamma, per provvedere a loro, si era rimaritata ed era morta. Ora… ora toccava a lui.

N’era profondamente convinto il professor Erminio Del Donzello.

Toccava a lui!

Verso la fine della novella, Erminio Del Donzello è vicino alla morte e si chiama Caterina di venire al letto. Le consiglia di sposarsi Toto, anche se molto probabilmente lo disprezza. Erminio Del Donzello la dice di sposarsi Toto perché dopo un po’ toccherà a lei di morire. Poi Caterina può unirsi a lui (in cielo) e la signora Ninfa ei suoi figli può prendersi cura di Nenè e Niní!

Prima di chiuder gli occhi per sempre, si chiamò la moglie accanto al letto e con un fil di voce le disse:

– Caterina mia, vuoi un mio consiglio? Sposa, sposa quel Toto, cara, della signora Ninfa. Non temere; verrai presto a raggiungermi. E lascia allora che provveda lui, insieme con l’altra, a quei due piccini. Stai pur certa, cara, che morrà presto anche lui.

La fine della novella è spaventosissima. Nenè e Niní sono soli; sembrano essere felici. Stanno giocando insieme con qualche giocattolo — un gattino e un pappagallo. Nenè dice che sarà strozzare il suo giocattolo.

Questo sia l’effetto cumulativo del veleno? Nenè sia diventata una psicopatica?

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