Riassunto: La veste lunga

Era il primo viaggio lungo di Didí. Da Palermo a Zúnica. Circa otto ore di ferrovia.

Comincia così La veste lunga (L. Pirandello), una della più semplice — e allo stesso tempo più intricata — delle novelle che abbiamo letto fino ad oggi.

All’inizio della novella Didí, la protagonista, viaggia in treno da Palermo a Zúnica, una piccola città nella parte interna dell’isola. Suo padre e suo fratello maggiore (Cocò) viaggiano con lei. Didí ha 16 anni; per la maggior parte, la sua vita era abbastanza riparata e protetta: questo è il suo primo viaggio lontano da casa.

Penso che un tema centrale della novella sia la transizione di Didí dall’infanzia all’eta adulta.

L’anno scorso, era stata anche piú vicino, tra i boschi d’aranci di Santa Flavia, e ancora con le vesti corte.

Ora, per il viaggio lungo fino a Zúnica indossava anche, per la prima volta, una veste lunga.

Dunque Didí ha indossato una veste lunga per il viaggio in treno. A mio parere la veste lunga di Didí sia una metafora per l’età adulta. (Certo la veste di Didí è ‘la veste lunga’ del titolo. In un certo senso però, come spiegherò più avanti, questa sia solamente una delle vesti lunghe a cui il titolo si riferisce.)

Didí era nata in una famiglia nobile — suo padre è un barone (il barone Brilla). Non è una sorpresa poi, ad intendere che Didí e la sua famiglia viaggiano in uno scompartimento di prima classe.

Nel regno d’Italia (1861-1946), i ranghi della nobiltà includevano (in ordine decrescente): principe-principessa, duca-duchessa, marchese-marchesa, conte-contessa, visconte-viscontessa, barone-baronessa, cavaliere ereditario-dama. Come un barone, il padre di Didí non era stato concesso una tenuta di suo. Invece è un professionista: lavora come l’amministratore giudiziario della tenuta della famiglia Nigrenti (i marchesi Nigrenti di Zúnica).

Si trova Zúnica nella provincia di Agrigento, a circa 60 chilometri a sud-ovest di Palermo. Storicamente, questa era una provincia siciliana in cui era stato estratto lo zolfo. Di conseguenza, Zúnica è sterile.

…Zúnica era una povera arida cittaduzza dell’interno della Sicilia, cinta da ogni parte dai lividi tufi arsicci delle zolfare e da scabre rocce gessose fulgenti alle rabbie del sole, e che quei frutti, non piú gli stessi della sua infanzia, venivano da un feudo, detto di Ciumía, parecchi chilometri lontano dal paese.

All’inizio della novella il lettore impara che il padre di Didí lavora da 20 anni come l’amministratore giudiziario della tenuta Nigrenti. Anni prosperi: Didí era nata in questa prosperità e non conosceva un altro modo di vivere. La famiglia però non era sempre così ben prospera. Cocò, per esempio, è abbastanza vecchio per aver sperimentato (di prima mano) le difficolta della famiglia prima che il suo padre è diventato l’amministratore giudiziario.

…Cocò serbava una chiara, per quanto lontana memoria dei gravi stenti tra cui il padre s’era dibattuto prima d’esser fatto, per maneggi e brighe d’ogni sorta, amministratore giudiziario dell’immenso patrimonio di quei marchesi di Zúnica.

Il lavoro del padre sta per finire. In pochi mesi la tenuta tornerà alla famiglia Nigrenti. Andrea Nigrenti, il figlio maggiore del marchese precedente, controllerà la tenuta. Andrea ha 45 anni; lui è descritto come una figura solitaria di determinazione non comune.

Ti basti sapere che ha avuto la… La come si chiama… La fermezza di star vent’anni chiuso in casa. Vent’anni, capisci? non si scherza… dacché tutto il suo patrimonio cadde sotto amministrazione giudiziaria. Figúrati i capelli, Didí mia, come gli sono cresciuti in questi venti anni! Ma se li taglierà. Puoi esserne sicura, se li taglierà. Ogni mattina, all’alba, esce solitario… ti piace? solitario e avvolto in un mantello, per una lunga passeggiata fino alla montagna. A cavallo, sai? La cavalla è piuttosto vecchiotta, bianca; ma lui cavalca divinamente. Sí, divinamente, come la sorella Titina suona divinamente il pianoforte.

Andrea ha due fratelli e una sorella. La sorella, Agata (o Titina), è intelligente e una persona adorabile, ma è anche poco attraente, sottilissima, ansiosa, e timida. Titina non è mai avventurata al di fuori del palazzo della famiglia.

La sorella aveva ventisette anni, un anno piú di Cocò, e si chiamava Agata, o Titina: gracile come un’ostia e pallida come la cera; con gli occhi costantemente pieni d’angoscia e con le lunghe mani esili e fredde che le tremavano di timidezza, incerte e schive. Doveva essere la purezza e la bontà in persona, poverina: non aveva mai dato un passo fuori del palazzo: assisteva le due vecchie ottuagenarie, le due zônne; ricamava e sonava “divinamente” il pianoforte.

La perdita del lavoro del padre avrà un impatto negativo sulla fortuna della famiglia di Didí. (“Ora, c’era tutto il pericolo di ricadere in quegli stenti che, se anche minori, sarebbero sembrati piú duri dopo l’agiatezza.”) Tuttavia, il padre di Didí ha messo in atto un piano per mitigare la perdita: ha proposto che Didí si sposa Andrea e che Cocò si sposa Titina.

Si prevede che Titina sarà d’accordo a sposarsi Cocò. Contro la sua volontà, i suoi fratelli l’hanno costretta a rimanere nubile e confinata al palazzo. Dunque lei si vede la proposta di sposarsi Cocò come una fuga verso una vita migliore.

…che le era propria, di vedere in lui il suo salvatore. Ma sí! certamente! Era interesse dei fratelli e specie di quel cosí detto Cavaliere (il quale aveva con sé, fuori del palazzo, una donnaccia da cui aveva avuto dieci, quindici, venti, insomma, non si sa quanti figliuoli) ch’ella restasse nubile, tappata lí a muffir nell’ombra.

A mio parere per Titina il matrimonio possa anche essere visto come una fuga da un’infanzia forzata… cioe, una fuga verso la maturità, una fuga verso l’età adulta.

Ebbene, (Cocò) sarebbe stato il sole per lei, la vita. La avrebbe tratta fuori di lí, condotta a Palermo, in una bella casa nuova: feste, teatri, viaggi, corse in automobile… Bruttina era, sí; ma pazienza: per moglie, poteva passare. Era tanto buona poi, e avvezza a non aver mai nulla, si sarebbe contentata anche di poco. (Paola: questi sentimenti sono bruttissimi, vero?)

 

Questo è in netto contrasto con quello che il matrimonio significa a Didí. Per lei, le implicazioni del matrimonio non sono così chiare:

– In primo luogo, lei ha 16 anni e Andrea ha 45. (Veramente Didí aveva bisogno di una guida per aiutarla a comprendere la differenza di età, ma Cocò non è riuscito a convincerla che la differenza non era importante.)

– Secondo, tuttora Didí ha vissuto una vita relativamente protetta mentre Andrea è mondano: ha trascorso i primi 20 anni di vita come un playboy (in netto contrasto con il modo in cui ha vissuto i prossimi 25 anni).

– Terzo, Didí non ha avuto quasi nessun esperienza con il sesso opposto. L’unica esperienza che il Pirandello descrive è illuminante. (Secondo me si tratta di una esperienza con un ragazzo che è consono alla sua età, e niente di più.)

E l’aveva baciata in bocca.

Via, da quel giorno e per sempre, tavolozza, pennelli e cavalletto! Il cavalletto glielo aveva rovesciato addosso e, non contenta, gli aveva anche scagliato in faccia il fascio dei pennelli, e lo aveva cacciato via, senza neanche dargli il tempo di lavarsi la grinta impudente, tutta pinticchiata di verde, di giallo, di rosso.

Era alla discrezione del primo venuto, ecco… Non c’era piú nessuno, in casa, che la proteggesse. Un mascalzone, cosí, poteva entrarle in casa e permettersi, come niente, di baciarla in bocca. Che schifo le era rimasto, di quel bacio! S’era stropicciate fino a sangue le labbra; e ancora a pensarci, istintivamente, si portava una mano alla bocca.

Al contrario, Andrea, anni fa, era stato innamorato di sua cugina, Fana Lopes, una donna matura e di straordinaria bellezza. L’Andrea e la Fana dovevano essere sposarsi, ma lei, al momento che la fortuna della famiglia Negroni è stata persa, l’ha lasciato e si è sposata un altro uomo. Tuttavia il marito della signora Lopes è morto da allora, e quindi Cocò la considera come un potenziale concorrente, cioè qualcuna in grado d’interrompere il piano del padre. (Ci può essere anche un’altra parente che possa tentare di sposarsi Andrea.)

Ora pare che da giovanotto abbia amato questa cugina di cui t’ho parlato, che si chiama Fana Lopes. Credo si fosse anche fidanzato con lei. Ma, venuto il dissesto, lei non volle piú saperne e sposò un altro. Adesso che egli ritorna nel primiero stato… capisci? Ma è piú facile che il marchese, guarda, per farle dispetto, sposi un’altra cugina, zitellona questa, una certa Tuzza La Dia, che credo abbia sospirato sempre in segreto per lui, pregando Iddio. Dati gli umori del marchese e i suoi capelli lunghi, dopo questi venti anni di clausura, è temibile anche questa zitellona, cara Didí.

(Non è scritto specificamente ma il lettore ha l’impressione che questa potrebb’essere la prima volta che Didí ha sperimentato una situazione di concorrenza.)

In sintesi, Didí è giovane e molto inesperta, ma lei è stata spinta in una situazione adulta — lei è stato chiesto di sedurre, conquistare e sposarsi un uomo molto più vecchio per soldi, un uomo che non ha mai incontrato per giunta.

Come il viaggio da Palermo a Zúnica progredisce il lettore ha il privilegio di ‘guardare’ il cambiamento d’umore di Didí… da rabbia e disprezzo-sdegno a confusione e disperazione. A differenza di suo padre, suo fratello e Titina, Didí ha né la maturità né l’esperienza di vita di comprendere e razionalizzare quello che è stata chiesta di fare. Tre ore prima che il treno arriva a Zúnica, Didí si suicida.

***

Da un lato, la trama principale sia molto semplice: una ragazza immatura e inesperta nelle vie del mondo è spinta in una situazione molto complessa-confusa. Lei sembra riconoscere istintivamente che qualcosa non è giusto. La confusione nasce e cresce in parte perché suo padre e suo fratello (Didí ama e si fida tutt’e due) hanno presentato la situazione a lei. Alla fine uno stato di profonda confusione conduce alla disperazione, e Didí si suicida.

Allo stesso tempo, la novella sia anche incredibilmente sfumata e complessa.

Forse il modo migliore per illustrare quello che voglio dire è di documentare la transizione di Didí da una bambina spensierata a una ragazza tormentata:

– Per gentile concessione di suo padre, Didí (come una bambina) immagina Zúnica come un paradiso…

Zúnica per Didí era un paese di sogno, lontano lontano, ma piú nel tempo che nello spazio. Da Zúnica infatti il padre recava un tempo, a lei bambina, certi freschi deliziosi frutti fragranti, che poi non aveva saputo piú riconoscere, né per il colore, né per il sapore, né per la fragranza, in tanti altri che il padre le aveva pur recati di là: celse more in rustici ziretti di terracotta tappati con pampini di vite; perine ceree da una parte e sanguigne dall’altra, con la corona; e susine iridate e pistacchi e lumíe.

…solo per conoscere la verità (come una ragazza).

Tuttora, dire Zúnica e immaginare un profondo bosco d’olivi saraceni e poi distese di verdissimi vigneti e giardini vermigli con siepi di salvie ronzanti d’api e vivai muscosi e boschetti d’agrumi imbalsamati di zagare e di gelsomini, era per Didí tutt’uno, quantunque già da un pezzo sapesse che Zúnica era una povera arida cittaduzza dell’interno della Sicilia, cinta da ogni parte dai lividi tufi arsicci delle zolfare e da scabre rocce gessose fulgenti alle rabbie del sole, e che quei frutti, non piú gli stessi della sua infanzia, venivano da un feudo, detto di Ciumía, parecchi chilometri lontano dal paese.

(Dunque si può facilmente immaginare che dovrebb’essere deludente imparare la verità.)

– Didí è solo una ragazza: lei è né abituata né comoda indossando la veste lunga.

Ora, per il viaggio lungo fino a Zúnica indossava anche, per la prima volta, una veste lunga.

E le pareva d’esser già un’altra. Una damina proprio per la quale. Aveva lo strascico finanche negli sguardi; alzava, a tratti, le sopracciglia come a tirarlo sú, questo strascico dello sguardo; e teneva alto il nasino ardito, alto il mento con la fossetta, e chiusa la bocca. Bocca da signora con la veste lunga; bocca che nasconde i denti, come la veste lunga i piedini.

– In un certo senso la vita di Didí era protetta: specialmente dopo la morte di sua mamma, la sua governante ha preso cura di lei.

Conosceva una persona sola, fatta apposta per pensare ai casi suoi e anche a quelli di tutti loro: donna Sabetta, la sua governante, intesa donna Bebé, o donna Be’, come lei per far piú presto la chiamava. Donna Be’ pensava sempre ai casi suoi. Investita, spinta, trascinata da certi suoi furibondi impeti improvvisi, la poveretta fingeva di mettersi a frignare e, grattandosi con ambo le mani la fronte, gemeva:

– Oh benedetto il nome del Signore, mi lasci pensare ai casi miei, signorina!

In un altro senso però Didí era stata da sola una volta che sua madre è morta. Suo padre e suo fratello, più o meno, l’ha abbandonata.

Il padre, il fratello s’erano messi a vivere per conto loro, fuori di casa, certo; e quegli atti della vita, che seguitavano a compiere lí insieme con lei, erano quasi per apparenza, senza piú quella cara, antica intimità, da cui spira quell’alito familiare, che sostiene, consola e rassicura.

(Quindi Didí era infatti senza un mentore.)

– Didí comprende quasi istintivamente che quello che le hanno chiesto di fare non era giusto. Tuttavia le spiegazioni di Cocò non sono convincenti: sono egocentrici a dir poco… cioè, più su di lui che di lei

Lo sdegno era scoppiato in lei piú che per la cosa in se stessa, per l’aria cinicamente rassegnata con cui Cocò la accettava per sé e la profferiva a lei come una salvezza. Sposare per denari un vecchio, uno che aveva ventotto anni piú di lei

– Ventotto, no, – le aveva detto Cocò, ridendo di quella vampata di sdegno. – Che ventotto, Didí! Ventisette, siamo giusti, ventisette e qualche mese.

 

– Cocò, mi fai schifo! Ecco: schifo! – gli aveva allora gridato Didí, tutta fremente, mostrandogli le pugna.

E Cocò:

– Sposo la Virtú, Didí, e ti faccio schifo? Ha un annetto anche lei piú di me; ma la Virtú, Didí mia, ti faccio notare, non può esser molto giovane. E io n’ho tanto bisogno! sono un discolaccio, un viziosaccio, tu lo sai: un farabutto, come dice papà: metterò senno: avrò ai piedi un bellissimo pajo di pantofole ricamate, con le iniziali in oro e la corona baronale, e un berretto in capo, di velluto, anch’esso ricamato, e col fiocco di seta, bello lungo. Il baronello Cocò La Virtú… Come sarò bello, Didí mia!

– Didí a un certo punto fa una domanda molto adulta… cioè, “Cosa c’è in questo per me?”

E aveva seguitato a parlare a lungo, apposta, di sé solamente, su questo tono, cioè del bene che pur si riprometteva di fare, perché Didí, stuzzicata cosí da una parte e, dall’altra, indispettita di vedersi messa da canto, alla fine domandasse:

– E io?

(Penso che la risposta di Cocò fosse né esplicita né chiara. Invece la risposta implicita è stata che lei continuerà a vivere nella prosperità, ma a mio parere lei fosse troppo giovane per comprenderla appieno.)

– A un certo punto Didí valuta e poi congeda la sua capacità di competere contro la Fana Lopes.

Già, prima d’andare a letto, aveva voluto provarsi ancora una volta la veste lunga da viaggio, davanti allo specchio dell’armadio. Dopo il gesto espressivo, con cui Cocò aveva descritto la bellezza di colei… come si chiamava? Fana… Fana Lopes… – si era veduta, lí nello specchio, troppo piccola, magrolina, miserina… Poi s’era tirata su la veste davanti per rivedersi quel tanto, pochino pochino, delle gambe che aveva finora mostrato, e subito aveva pensato alle gambe di Rorò Campi, morta.

– Poi Didí considera il ‘viaggio’ del fratello all’età adulta. Non era particolarmente stimolante!

In pochi anni aveva veduto sciuparsi la freschezza del bel volto fraterno, alterarsi l’aria di esso, l’espressione degli occhi e della bocca. Le pareva ch’egli fosse come arso, dentro. E quest’arsura interna, di trista febbre, gliela scorgeva negli sguardi, nelle labbra, nell’aridità e nella rossedine della pelle, segnatamente sotto gli occhi. Sapeva ch’egli rincasava tardissimo ogni notte; che giocava; sospettava altri vizi in lui, piú brutti, dalla violenza dei rimproveri che il padre gli faceva spesso, di nascosto a lei, chiusi l’uno e l’altro nello scrittojo. E che strana impressione, di dolore misto a ribrezzo, provava da alcun tempo nel vederlo da quella trista vita impenetrabile accostarsi a lei; al pensiero che egli, pur sempre per lei buon fratellino affettuoso, fosse poi, fuori di casa, peggio che un discolo, un vizioso, se non proprio un farabutto, come tante volte nell’ira gli aveva gridato in faccia il padre. Perché, perché non aveva egli per gli altri lo stesso cuore che per lei? Se era cosí buono per lei, senza mentire, come poteva poi, nello stesso tempo, essere cosí tristo per gli altri?

(Da questo punto in avanti, immagino che Didí cominci a diffidare il passaggio all’età adulta.)

– Didí anche dubita i motivi di padre e fratello.

(Suo padre e suo fratello hanno le personalità interessanti e complesse. Immagino che entrambi abbiano imparato bene a fare le compromessi di vita per sopravvivere.)

– In un passaggio particolarmente commovente Didí ricorda che prima, quando era in ansia, avrebbe inginocchiarsi davanti ad un’antica cassapanca di famiglia, che è stata utilizzata per salvare le veste lunghe di sua madre (cioè, le altre veste lunghe del titolo).

Tuttora Didí ne sentiva un desiderio angoscioso, che la faceva piangere insaziabilmente, inginocchiata innanzi a una antica cassapanca, ov’erano conservate le vesti della madre.

L’alito della famiglia era racchiuso là, in quella cassapanca antica, di noce, lunga e stretta come una bara; e di là, dalle vesti della mamma, esalava, a inebriarla amaramente coi ricordi dell’infanzia felice.

(Quindi l’antica cassapanca è una metafora per un periodo più felice della sua vita, un periodo caratterizzato dalla sicurezza, protezione e cura. Quindi un periodo quando sua mamma era viva.)

– Dopo la morte di sua madre, la vita di Didí sembrava essere preoccupata di perdita.

Tutta la vita s’era come diradata e fatta vana, con la scomparsa di lei; tutte le cose pareva avessero perduto il loro corpo e fossero diventate ombre. E che sarebbe avvenuto domani? Avrebbe ella sempre sentito quel vuoto, quella smania di un’attesa ignota, di qualche cosa che dovesse venire a colmarglielo, quel vuoto, e a ridarle la fiducia, la sicurezza, il riposo?

Le giornate eran passate per Didí come nuvole davanti alla luna.

– Didí diventa disancorata e profondamente confusa.

Ma aveva un bocca, veramente?… Non se la sentiva! Ecco: si stringeva forte forte, con due dita, il labbro, e non se lo sentiva. E cosí, di tutto il corpo. Non se lo sentiva. Forse perché era sempre assente da se stessa, lontana?… Tutto era sospeso, fluido e irrequieto dentro di lei.

– Didí arriva finalmente a odiare suo padre e suo fratello. Entrambi hanno dimostrato di essere meno semplici di quanto aveva capito. Non si fidava più le loro motivazioni. Una volta che provava repulsione da loro, lei era completamente da sola.

Guardando di nuovo il padre e il fratello, Didí provò dentro, a un tratto, una profonda, violenta repulsione.

– Poi, prima del suicidio, si sperimenta una profonda disperazione.

Oh Dio, e non poter fuggire… non poter fuggire… Legata com’era, qua, dal sonno di quei due, dalla lentezza enorme di quel treno, uguale alla lentezza del tempo là, nell’antico palazzo, dove non si poteva far altro che dormire, come dormivano quei due…

Provò a un tratto in quel fantasticare che assumeva nel suo spirito una realtà massiccia, ponderosa, infrangibile, un senso di vuoto cosí arido, una cosí soffocante e atroce afa della vita, che istintivamente, proprio senza volerlo, cauta, allungò una mano alla borsetta di cuojo, che il padre aveva posato, aperta, sul sedile. Il turacciolo smerigliato della fiala aveva già attratto con la sua iridescenza lo sguardo di lei.

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