Riassunto: Di guardia

– Tutti? Chi manca? – domandò San Romé, affacciandosi a una delle finestre basse del grazioso villino azzurro, dalle torricelle svelte e i balconi di marmo scolpiti a merletti e a fiorami.

– Tutti! tutti! – gli rispose a una voce, dal verde spiazzo ancor bagnato e luccicante di guazza, la comitiva dei villeggianti ravvivati dalla gaja freschezza dell’aria mattutina, essendo venuti sú da Sarli a piedi.

Ma uno strillò:

– Manca Pepi!

Comincia così Di guardia (L. Pirandello) una commedia dei coniugi infedeli che si svolge in un paese del nord Italia (un “borgo alpestre”).

I protagonisti sono:

– L’uomo ansioso buone intenzioni

Si tratta di Roberto San Romé. Lui è coscienzioso, serio, giudizioso, sincero e gentile. Si accorge di tutto; si preoccupa per le apparenze.

– La moglie

Questa è Dora. Ha un modo brusco, semplice, onesto, immaturo, inequivocabile, trasparente, diretto, chiaro e franco. È l’opposto di timida e riservata. Parla la sua mente (senza un filtro), e esprime la sua rabbia. Lei è vendicativo: non c’è dubbio, se Dora è stata trattata ingiustamente, si vendicherà.

– Il marito

Si tratta di Cesare San Romé, il fratello di Roberto. Lui è un uomo d’affari. È addetto alle esigenze e ai sentimenti della moglie ma solo fino ad un certo punto. Certo il Cesare non è sottomesso a lei.

– Il buffone

Questo è Pepi. Dora e Pepi hanno un rapporto il quale ha creato un piccolo scandalo. Entro la fine della novella, il lettore abbia la sensazione che il rapporto è unilaterale, cioè, che Pepi l’ha investito la maggioranza delle emozioni, le speranze, ei sogni.

– I pettegolezzi

Queste sono la Tani e la Bongi e anche la Generalessa. La Generalessa ha sopravvissuto: la sua filosofia di vita è molto pratico. (“- Bisogna sempre saper fare le cose per bene, caro mio!”)

Lo sfondo (antefatto) della novella:

– Tre mesi fa il Cesare ha mandato Dora a vivere con Roberto in modo che possa trascorrere del tempo con la loro madre, che è malata e costretta a letto. Dora si era rapidamente annoiata della vita a Gori. Infatti ha scritto a Cesare molte volte, esprimendo il suo desiderio di tornare a casa. Tuttavia Cesare non è venuto a portarla a casa; la sua scusa era che lui ha avuto gli affari da sbrigare a Milano.

– Dora si annoiava nonostante gli sforzi di Roberto per far piacere lei: Roberto l’ha accompagnata a Sarli ogni mattina, dove c’erano i villeggianti con i quali lei può interagire; inoltre Roberto ha anche organizzato varie feste, escursioni e scampagnate. Ciònonostante il rapporto tra Roberto e Dora sia essenzialmente unilaterale. Roberto prende sul serio la sua responsabilità come l’ospite di Dora — e si sforza di piacere — ma Dora è ingrata e dopo un po’ la sua frustrazione si è trasformata in rabbia.

– Per esprimere la sua frustrazione-rabbia con il Cesare (e Roberto), Dora ha iniziato un rapporto con Pepi. Tutti i villeggianti in Sarli capiscono sul rapporto, che è una fonte di scandalo e pettegolezzi.

Dapprima, la cognatina elegante e capricciosa s’era annojata e gliel’aveva dimostrato in tutti i modi: aveva scritto cinque, sei, sette volte al marito, ch’ella di Gori ne aveva già fin sopra gli occhi e che venisse subito a prenderla; ma, poiché Cesare su questo punto non s’era nemmeno curato di risponderle e, con la scusa di certi affari da sbrigare, se la spassava liberamente a Milano; per dispetto, là, s’era attaccata a quel signor Pepi che le faceva una corte scandalosa.

Allora… all’inizio della novella il lettore apprende che Roberto ha organizzato un’altra escursione per far piacere Dora. Presto la matttina un gruppo dei villeggianti di Sarli sono venuti a piedi a Gori sull’invitazione di Roberto. Il piano è quello di trascorrere una parte della giornata insieme: Roberto e Dora si faranno l’escursione con gli altri a Roccia Balda, dove ci sarà una colazione. Dopo la colazione, tutti i viaggiatori torneranno a casa.

Per organizzare il gruppo per la partenza, Roberto li chiede se tutti siano presenti. La risposta è che Pepi non può unirsi a loro: si è malato con mal di testa e forse una febbre. Infatti nessuno crede che Pepi è malato; le bugie di Pepi diventano gli oggetti di scherno e derisione.

Ma uno strillò:

– Manca Pepi!

– S’è affogato in Via della Buffa! – aggiunse la generalessa De Robertis, togliendosi dal braccio il seggio a libriccino per mettersi a sedere.

Tutti risero; anche San Romé dalla finestra, ma piú per quel che vide: cioè, la Generalessa, enormemente fiancuta, che presentava il di dietro, china nell’atto d’assicurare i piedi del seggiolino su l’erba dello spiazzo.

– E perché manca Pepi?

– Mal di capo, – rispose Biagio Casòli. – Sono andato a svegliarlo io stamattina. Teme, dice, che gli prenda la febbre.

Questa notizia fu commentata malignamente, sotto sotto, dal crocchio delle signorine. Roberto San Romé se n’accorse dalla finestra; vide quella smorfiosa della Tani, tutta cascante di vezzi, ammiccare all’altra viperetta della Bongi…

Dopo aver sentito questo, il lettore capisce che Roberto è una persona ansiosa con un tic: si morde il labbro quando soffre l’ansietà.

Roberto entra nella stanza di Dora ma lei non è pronta a partire. Dora speiga a Roberto che è malata e non sarà possibile viaggiare a Roccia Balda con il gruppo: ha un mal di testa e forse la febbre! Immediatamente Roberto è in agonia: il fatto che Pepi e Dora hanno offerto la stessa scusa indica nettamente che intendono incontrarsi più tardi. Roberto supplica:

– Bada, Dora, che giú è stata notata la malattia improvvisa di questo signore, e ti prego di non dar nuova esca alla malignità della gente.

Poi si rivelano il carattere e la personalità di Dora: cioè, il modo brusco in cui lei parla con Roberto, il suo disgusto per la sua vita a Gori, la sua rabbia.

Dora s’intrecciò sul capo le belle mani inanellate, lasciando scivolar su le braccia le ampie maniche dell’accappatojo; sorrise impercettibilmente, strizzò gli occhi un po’ miopi, e disse:

– Non capisco. Non è permesso aver mal di capo in casa vostra?

– In casa nostra, – prese a risponderle San Romé, con violenza; ma si contenne; cangiò tono: – Sú, Dora, ti prego, levati e smetti codesta commedia. Ho incomodato per te una ventina di signore e signori, e t’avverto che gonfio da un pezzo in silenzio e voglio che tu la finisca.

Ma Dora scoppiò in una risata interminabile. Poi si levò in piedi, gli s’accostò, reggendosi con

una mano la benda su la fronte, e gli disse:

– Ma sai che mio marito stesso non si permetterebbe codesto tono con me? T’ha lasciato detto ch’io ti debbo proprio ubbidienza intera? Caro mio tutore, caro mio custode, caro mio signor carabiniere, ho mal di capo veramente, e basta cosí.

Si ritirò nella camera attigua, sbattendo l’uscio; ci mise il paletto, e gli mandò di là un’altra bella risata.

Si rivelano anche più del carratere e la personalità di Roberto: è attento ai particolari, riflessivo, persistente, preoccupato, responsabile e sensibile ai ritmi di vita e di ciò che gli altri possono dire (maldicenza).

Fu cosí viva questa impressione e gli fece tale impeto dentro, ch’egli sentí a un tratto quanto fosse ridicola la parte che rappresentava da circa tre mesi, da quando cioè suo fratello Cesare era venuto a lasciar la moglie a Gori, presso la madre da un anno inferma e relegata a letto.

Aveva fatto di tutto per renderle piacevole il soggiorno in quel borgo alpestre; la aveva condotta quasi ogni mattina giú a Sarli, dov’eran piú numerosi i villeggianti; aveva concertato feste, escursioni, scampagnate.

Ed era cominciato allora il supplizio di San Romé. Si poteva dare ufficio piú ridicolo del suo? far la guardia alla cognata che, nel vederlo cosí vigile e sospettoso e costretto a usar prudenza, pareva glielo facesse apposta? Piú d’una volta, non potendone piú, era stato sul punto di piantarlesi di faccia e di gridarle:

“Bada, Dora, son tomo da rompergli il grugno io, a quel tuo spasimante! E se non ne sei persuasa, te ne faccio subito la prova.”

Dora sembra avere la mano superiore nel rapporto con Roberto: pare che Dora prenda ogni occasione per provocarlo, per creare le polemiche e la controversia. (Forse lei crede che questo sia il modo migliore per costringere Roberto a convincere il Cesare di venire a Gori e portarla a casa?)

Ma piú le mostrava stizza, e piú lei gli sorrideva sfacciatamente. Oh, certi sorrisi, certi sorrisi che tagliavano piú d’un rasojo e gli dicevano chiaro e tondo quanto fossero buffe quelle sue premure, quella sua mutria, quella sua sorveglianza.

Col tatto, col garbo, egli si lusingava d’esser riuscito finora a impedire che lo scandalo andasse tropp’oltre e diventasse irreparabile. Ma, dato il caratterino della cognata, non era ben sicuro di non aver fatto peggio, qualche volta, con quella assidua e mal dissimulata vigilanza, di non aver cioè provocato qualche imprudenza troppo avventata. Aveva voluto farle comprendere subito che s’era accorto di tutto e che avvertiva a ogni parola, a ogni sguardo, a ogni mossa di lei, quando Pepi era là e anche quando non c’era. Lei si era allora armata di quel suo riso dispettoso, quasi accettando la sfida ch’era negli sguardi cupi e fermi di lui. Non voleva riconoscergli alcuna autorità su lei. Ed era uscita, per esempio, sola per tempissimo dal villino, costringendolo a correre come un bracco, a scovarla nel bosco dei castagni, a mezza via tra Sarli e Gori. Sola – sí – l’aveva trovata sola, sempre: ma poi, piú d’una volta, gli era parso di scorgere attraverso le stecche delle persiane Pepi là a Gori, di notte, presso il villino, Pepi che villeggiava a Sarli.

Roberto non può annullare con tatto, cioè in modo convincente, l’escursione a Roccia Balda. Dopotutto i villeggianti sono già arrivati a Gori e la colazione è stata preparata, quindi Roberto chiede i villeggianti per l’aiuto: li vuole convincere Dora a fare l’escursione. Il tentativo fallisce miseramente! I villeggianti imparano la scusa di Dora e sembrano sostenerla: loro sembra essere d’accordo che lei non stia abbastanza bene per fare l’escurzione.

Lui si guardò bene dal dichiarare il male che accusava la cognata; ma lo dichiarò lei, Dora, poco dopo là – come se nulla fosse – a quelle signore, e volle anche aggiungere, calcando su la voce:

– Temo finanche che mi prenda la febbre.

Roberto San Romé ebbe la tentazione di tirarle una spinta da mandarla a schizzar fuori della finestra. Ah, quanto gli avrebbe fatto bene al cuore, per votarselo di tutta la bile accumulata in quei tre mesi.

– Febbre? No, cara, – s’affrettò a dirle la Generalessa, proprio come se credesse al mal di capo. -Faccia sentire il polso… Agitatino, agitatino… Riposo, cara. Sarà un po’ di flussione.

E chi le consigliò questo e chi quel rimedio e che si prendesse cura a ogni modo di quel male, che non avesse a diventar piú grave, povera Dora, povera cara…

Sentí finirsi lo stomaco San Romé ascoltando gli amorevoli consigli di tutte quelle ipocrite, nelle quali aveva sperato ajuto e che invece: – Ma sí, pallidina! – Ma sí, le si vede dagli occhi! – Ma certo, un po’ di riposo le farà bene! – Quanto ci duole! – Quanto ci dispiace! – Roccia Balda è lontana: non potrebbe far tanto cammino…

Quindi tutti (senza Pepi e Dora) partono per Roccia Balda.

Sulla strada il lettore viene presentato tre esempi esilaranti dalla natura che servono come metafore di una moglie infedele. Gli esempi sono notati dai villeggianti; lo scherno è immaginato nella mente di Roberto.

Il primo esempio sono le corna dei giovenchi:

Su l’ultimo prato in declivio stavano a guardia d’alcuni giovenchi due brutte vecchie rugose e rinsecchite, intente a filar la lana all’ombra dei primi castagni del bosco.

– E la terza Parca dov’è? – domandò loro forte, seriamente, Biagio Casòli.

{Nota:  parca MITOL Le Parche, le tre dee della mitologia greco-latina, Cloto, Lachesi, Atropo, che presiedevano al destino degli uomini, rispettivamente filando, avvolgendo all’aspo e recidendo il filo della vita.}

Quelle risposero che non lo sapevano, e allora il Casòli si mise a declamare:

De’ bei giovenchi dal quadrato petto,

erte sul capo le lunate corna,

dolci negli occhi, nivei, che il mite

Virgilio amava.

Il signor Raspi, da lontano, si mise a ridere in una sua special maniera, come se frignasse, e

domandò al Casòli:

– Che amava Virgilio? Le corna?

– Giusto le corna! – disse la Generalessa.

E tutti scoppiarono a ridere.

Lui, San Romé, le aveva già avvistate da lontano, quelle corna, e gli pareva assai che gli amici non ne profittassero per qualche poetica allusione.

Il secondo esempio è un albero diviso in due:

Ecco qua: la Tani, per esempio, a un certo punto, se credeva che quell’albero là fosse stato colpito dal fulmine. Perché? Perché pareva che facesse le corna, quel ceppo biforcuto…

Il terzo esempio è due colli:

No? E perché dunque piú tardi, cioè quando finalmente arrivarono a Roccia Balda e tutti, dall’alto, si misero ad ammirare la vista maravigliosa della Valsarnia, perché la Generalessa volle saper da lui, come si chiamassero quei due picchi cinerulei, di là dall’ampia vallata? Ma per fargli vedere che gli facevano le corna, là, da lontano, anche i due picchi di Monte Merlo!

Un quarto esempio è fornito da uno dei villeggianti:

No? E perché dunque, dopo colazione, quel bravo signor Bortolo Raspi cavò di tasca il fazzoletto, vi fece quattro nodini a gli angoli e se lo pose sul testone sudato? Ma per mostrargli anche lui due bei cornetti su la fronte…

E… per povero Roberto:

Corna, corna, non vide altro che corna, da per tutto, San Romé quel giorno.

Dopo la colazione, Roberto (completamente sconfitto) accompagna gli altri a Sarli; lui torna da solo a Gori e — tutt’a un tratto, sorprendentemente, terribilmente — intravede Pepi, assorto nei suoi pensieri e seduto tra i castagni.

…e risalendosene solo per il viale a Gori, a un certo punto, giú nella valle, tra i castagni, intravide Pepi, seduto e assorto senza dubbio nel ricordo della gioja recente.

Ma no! Pepi non ha appena avuto un incontro sessuale con Dora. Invece lui è scoraggiato, abbattuto. Pepi (il sciocco! il buffone!) ha imparato che Dora non potrebbe passare tempo con lui. Il Cesare è appena arrivato a Gori!

Poco dopo, Roberto vede Dora e il Cesare… a braccetto e ovviamente felice d’essere di nuovo insieme. Quando Roberto vede il Cesare, gli chiede quando è arrivato? Il Cesare è sorpreso: lo dice che ha inviato un telegramma annunciando il suo arrivo (che Dora ha ricevuto la sera prima). Non l’ha letto?

Dora ha scelto di non condividere la notizia con Roberto. Invece, ha aspettato fino agli altri erano partiti, si è vestita per il Cesare e poi ha incontrato Pepi (al loro sito pre-organizzato?) per informarlo che ha cambiato il piano. Questo, naturalmente, significava che lei non aveva più nessun l’uso per lui.

E poi l’incontro casuale nei boschi con Roberto.

Dora dice una bugia al Cesare:

– Ma stamattina alle nove, perbacco! – gli rispose il fratello. – Non hai visto jersera il mio telegramma?

– Non l’ha visto, non l’ha visto – disse Dora, guardando il cognato con gli occhi sfavillanti. – Era già a Sarli per concertar la gita a Roccia Balda, e io non ho voluto dirgli nulla per non guastargli il divertimento che pareva gli stesse tanto a cuore. Mi dispiace solamente, – aggiunse, – che l’ho tenuto forse in pensiero a causa… a causa d’un certo mal di capo che ho dovuto simulare per sottrarmi alla gita. Passato, sai, caro? passato del tutto.

Poi Dora afferra lo stiletto, lo inserisce tra le costole di Roberto e lo torce!

Prese anche il braccio del cognato, per risalire pian piano a Gori, e col tono di voce piú carezzevole gli domandò:

– E di’, Roberto, ti sei divertito?

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