Riassunto: Notizie del mondo

In tutto, due lagrimucce, tre ore coi gomiti sul tavolino, la testa tra le mani; sissignori: a forza di strizzarmi il cuore, eccole qua nel fazzoletto: proprio due, spremute agli angoli degli occhi. Da buoni amici, caro Momo, facciamo a metà. Una per te morto, una per me vivo. Ma sarebbe meglio, credi, che me le prendessi tutt’e due per me.

Così inizia Notizie del Mondo, una delle più esasperante delle novelle del Pirandello. Credo che con Notizie del Mondo il Pirandello voglia descrivere la mente d’un misantropo. (Secondo me, è riuscito!)

Il protagonista e narratore è don Tommaso Aversa, un vecchio che vive a Roma. Don Tommaso ha condiviso un appartamento con un altro uomo, Gerolamo, per qualche tempo. Il loro rapporto probabilmente non era omosessuale in natura; tuttavia (per lo meno dal punto di vista del Tommaso) il rapporto era qualcosa di simile a un matrimonio, in quanto era basato sull’impegno, le esperienze condivise, e un apprezzamento di (e predilezione per) l’altra persona.

Ci sono cinque capitoli.

Capitolo I

All’inizio della novella, don Tommaso è in lutto: tre giorni prima, Gerolamo è morto improvvisamente all’età di 61.

Ma voglio riallacciare le fila proprio dal momento che il mondo per te si fece vano; dal momento che, sentendoti colpire improvvisamente dalla morte, a tavola, mentre si cenava, alla mia esclamazione: “Non è niente! non è niente!” rispondesti:

– L’ora di dire addio.

Furono le tue ultime parole. Il giorno appresso, alle nove del mattino, dopo tredici ore di agonia: morto.

Dal paragrafo di apertura, possiamo comprendere che il dolore di don Tommaso sia profondo, commovento e straziante. Lui dice che si sente completamente solo. Sembra essere chiaro che il mondo di don Tommaso sia andato in pezzi.

Come un vecchio muro cadente sono rimasto, Momino, a cui una barbara mano abbia tolto l’unico puntello. (Bella, eh? la barbara mano.) Ma non so piangere, lo sai. Mi ci provo, e riesco solo a farmi piú brutto, e faccio ridere.

Ridotto monaco di clausura nel convento della tua amicizia, nessuna parte di me è rimasta aperta a una relazione, sia pur lontana, con altri esseri viventi. E ora… mi vedi? ora che non ho piú nulla da fare per te come in questi tre ultimi giorni dopo la tua morte, eccomi qua solo, in questa casa che non mi par mia, perché la vera casa mia era la tua.

Nel suo dolore, don Tommaso decide di scrivere una lettera a Gerolamo ogni notte. Lo scopo della lettera è quello di fornire Gerolamo una sintesi delle notizie del giorno. Alcune delle notizie saranno internazionale e nazionale, cioè, saranno di natura politiche. Altre notizie saranno locale, concentrandosi principalmente su Giulia, la moglie del Gerolamo. L’obiettivo di Don Tommaso è quello di sfidare la morte, cioè, vuole tentare di ‘collegare’ Gerolamo con le sue passioni (cioè, le idee, gli eventi e le persone che amava).

Sai che bell’idea piuttosto m’è venuta? di mettermi ogni sera a parlare da solo con te, qua, a dispetto della morte. Darti notizia di tutto quanto avviene ancora in questo porco mondaccio che hai lasciato e di ciò che si dice e di ciò che mi passa per il capo. E cosí mi parrà di continuarti la vita, riallacciandoti a essa con le stesse fila che la morte ha spezzate.

Io suppongo che la motivazione per la lettera sia in realtà un misto della propria interesse (cioè, l’atto di ricercare e scrivere una lettera potrebbe aiutare don Tomasso a superare il suo dolore) e l’altruismo (cioè, la lettera è stata progettata per piacere a Gerolamo).

Sentirai, sentirai, se mi ci metto per davvero, che bellissimi paragoni ti farò! Intanto, oltre a quello del muro cadente e della barbara mano, pigliati quest’altro del monaco di clausura.

Per ricercare le notizie del giorno, don Tommaso deve cambiare alcune delle sue abitudini.

Basta, diventerò l’uomo piú curioso della terra: spierò, braccherò, andrò in giro tutto il giorno per raccoglier notizie e impressioni, che poi la sera ti comunicherò, qua, per filo e per segno. Tanta vita, lo so, come sfugge a me, sfuggirà anche a te: la vita, per esempio, degli altri paesi; ma (cosa che non ho mai fatta) leggerò anche i giornali per farti piacere; e ti saprò dire se quella cara nostra sorella Francia, se quella prepotente Germaniaccia…

Mentre si discute i suoi metodi di ricerca e gli obiettivi, don Tommaso descrive la sua vita con Gerolamo. Tutt’e due erano ben istruiti e raffinati. Dei due, Gerolamo sembrava essere più supponente e testa calda.

Ah Dio mio, Momo, forse le notizie politiche non t’interessano piú? Non è possibile: erano ormai quasi tutta la tua vita e dobbiamo seguitare a fare come ogni sera, quando, dopo cena, il portinajo ti portava su il giornale e tu, leggendolo, a qualche notizia, battevi forte il pugno sulla tavola e io restavo perplesso tra i bicchieri che saltavano e i tuoi occhiacci che mi fissavano di sui cerchi delle lenti insellate sempre un po’ a sghimbescio sul tuo naso grosso. Te la pigliavi con me; mi apostrofavi, come se io poveretto, che non mi sono mai occupato di politica, rappresentassi davanti a te tutto il popolo italiano.

– Vigliacchi! Vigliacchi!

E quella sera che, terribilmente indignato, volevi dal terrazzino buttar giú nel fiume le tue medaglie garibaldine? Faceva un tempaccio! Pioveva a dirotto. E nel vederti cosí acceso manifestai l’opinione, ricordi? che non mettesse conto per questi porci d’Italia che tu rischiassi di prendere un malanno, uscendo sul terrazzino, sotto la pioggia. Come mi guardasti!

C’era una notevole dare e avere nel rapporto — umorismo, arguzia, onesta conversazione franca.

Ma io t’ammiravo, sai? T’ammiravo tanto tanto, perché mi sembravi un ragazzo, in quei momenti, e spesso non sapevo trattenermi dal dirtelo e tu t’arrabbiavi e perfino m’ingiuriavi, quando alle tue ire focose opponevo questa mia bella faccia di luna piena, sorridente e stizzosa. Ti facevo uscir dai gangheri talvolta e dirne d’ogni colore. A qualcuna piú grossa, tranquillissimo, ti domandavo:

– E come la ragioni?

E tu, rosso come un gambero, con gli occhi schizzanti dalle orbite:

– La ragiono, che sei un somaro!

I due si avevano diverse visioni del mondo. Gerolamo era più di un ottimista-idealistica (cioè, qualcuno che credeva che il mondo potrebbe essere cambiato per una migliore) mentre don Tommaso era più di un pessimisto-misantropo (cioè, qualcuno che si è rassegnato, disposto ad accettare il mondo così com’è).

Quanto mi ci divertivo! E mi suona ancora negli orecchi la tua voce, quando, con gli occhi chiusi, mi dicevi, quasi recitando a memoria:

– Per le anime lente e pigre come la tua, per le anime che non sanno cavar nulla da sé, tutto per forza è muto e senza valore.

E questo, perché non mi sapevo cavar dall’anima tutta quella candida santa ingenuità che tu cavavi dalla tua per vestirne uomini e cose. E quante volte non ti vidi parar cosí della bianca stola della tua sincerità qualche mala bestia, della quale ti bisognava un morso o un calcio per riconoscere la vera natura.

Di conseguenza, don Tommaso commenta che deve cercare di guardare il mondo come Gerolamo avrebbe.

Ma tu volevi veder per forza tutto buono e tutto bello il mondo; e spesso ci riuscivi, perché è proprio in noi il modo e il senso delle cose; e segue appunto da ciò la diversità dei gusti e delle opinioni; e segue pure che, s’io voglio farti vedere ancora il mondo, bisogna che mi provi a guardarlo con gli occhi tuoi. E come farò?

E così la prima lettera è scritta. Don Tommaso sceglie di cominciare con le notizie locali, cioè, un aggiornamento sugli sforzi di Giulia per stabilire la tomba del Gerolamo.

Don Tommaso prende l’opportunità d’esprimere le sue opinioni sulla Giulia.

Se ai morti, nell’ozio della tomba, venisse in mente di porre un catalogo dei torti e delle colpe che ora si pentono avere nel decorso della loro vita commessi, catalogo che un bel giorno sarebbe edificante apparisse nella parte posteriore delle tombe, come il rovescio delle menzogne spesso incise nella lapide; tu nel tuo dovresti mettere soltanto:

SPOSAI. A. LVI. ANNI.UNA. DONNA. DI XXX.

Basterebbe.

Senti. Mi par chiaro come la luce del sole che tu sei morto cosí precipitosamente per causa sua.

Poi don Tommaso fornisce un altro scorcio della sua vita con Gerolamo prima del matrimonio.

Non ti ripeterò qui, adesso, le ragioni che ti dissi cinque anni fa, nel giorno piú brutto della mia vita, e delle quali facesti a tue spese la piú trista delle esperienze. E poi, io dico, perché? che ti mancava? Stavamo cosí bene tutti e due insieme, in santa pace. Nossignori. La moglie. E sostenere che non era vero che la casa come ce l’eravamo fatta a poco a poco con quei miei vecchi mobili e con gli altri comperati di combinazione, ti potesse bastare; e quella bella polvere di vecchiaja che s’era ormai posata e distesa per noi su tutte le cose della vita, perché noi con un dito ci divertissimo a scriverci sopra: vanità; e le care quiete abitudini che s’erano già da un pezzo stabilite tra noi, con la compagnia delle nostre bestioline, le due coppie di canarini, a cui badavo io, Ragnetta a cui badavi tu (e spesso, quand’era in caldo, ricordi? La lisciavi, e ti sgraffiava) e le due stupidissime tartarughe, marito e moglie, Tarà e Tarú, che ci davano motivo a tante sapientissime considerazioni, là nel terrazzino pieno di fiori. Sostenere, santo Dio, che sempre – come Tarú – ne avevi sentito il bisogno, tu, d’una moglie (all’età tua, vergognosaccio!), e che io non ti potevo compatire, perché le donne, io…

Don Tommaso ritiene che Gerolamo l’ha tradito. (La Giulia viveva nello stesso condominio come i due uomini, e lei ha sedotto il Gerolamo.)

Traditore, traditore e fanatico!

Non facevi delle donne anche tu la stessissima mia stima prima che venisse sú a cangiarti in un momento da cosí a cosí la bella mademoiselle delle due stanze d’abbasso, con la scusa di vedere quei fiori del terrazzino, che su a te attecchivano e giú a mademoiselle, nei vasi sul davanzale della finestra, non volevano attecchire?

Maledetto terrazzino!

E questo: al fine di impressionare la Giulia, Gerolamo ha ingiustamente affermato d’essere l’unica persona responsabile per il giardino dei fiori. (In realtà, sia don Tommaso e Gerolamo hanno contribuito alla sua creazione.)

– Uh che bellezza! uh che meraviglia! E chi li coltiva cosí bene tutti questi fiori?

E tu, subito:

– Io!

Come se tutti i semi, a uno a uno, per trovarteli, le gambe non me le fossi rotte io per intere giornate, pezzo d’ingrato! Ma il bisogno di farti subito bello davanti a quella mademoiselle esclamativa…

Ciò che alla fine sembra chiaro è che don Tommaso fosse più investito nel rapporto.

A vederti tutt’a un tratto quel lustro di vecchio ubriaco negli occhi piccini piccini, e liquefare in certi sorrisi da scemo, ti avrei bastonato, ti avrei bastonato, parola d’onore. E quando lei disse che giú con la mamma malata non faceva altro che parlare di noi due, della dolcezza della nostra vita in comune:

– Due poveri vecchi, – m’affrettai a dirle (ti ricordi?) guardandola con certi occhi da farla sprofondare tre palmi sottoterra dalla vergogna.

Tu lo notasti, e subito, imbecille (lasciamelo dire):

– No, sa? vecchio lui solo, signorina! e brontolone, e seccatore. Non creda mica alla dolcezza della nostra vita! Sapesse che arrabbiature mi fa prendere!

Passati ora una mano sulla coscienza: mi meritavo questo da te?

Ammetto che, a questo punto, mi sono chiesto sui veri sentimenti di don Tommaso. Lui sembra essere un complesso misto di: dolore, nostalgia, solitudine, tristezza, risentimento, invidia, amarezza e rabbia. Don Tommaso sembra passare da un’emozione a un’altra in ‘un batter d’occhio’.

Lasciamo andare. Ti castigai. Questa casa che tengo in affitto da cinque anni, rappresentò il castigo per te; non ostante che poco dopo il tuo matrimonio non avessi saputo tener duro e avessi ripreso a vivere quasi tutto il giorno con te.

Ma il letto a casa tua, no, mai piú!

E ogni notte, sai, prima di lasciarti, pregavo tutti i venti della terra che andassero a prendere e rovesciassero su Roma un uragano, perché tu provassi rimorso nel vedermi andar via solo, povero vecchio, a dormire altrove, mentre prima il mio lettuccio era accanto al tuo e tenevamo calda la cameretta nostra. Avrei voluto, guarda, in una di queste notti di pioggia e di vento, ammalarmi, per accrescerti il rimorso; anche morire… – sí, sono arrivato ad assaporare il tossico di queste voluttà. Ma io, ahimè! ho la pelle dura, io; e sei morto tu, invece, tu e per causa di lei – lasciamelo dire!

(A dir la verità, io non vorrei vivere con lui sia!)

La prima lettera si conclude con una descrizione commovente del dolore della Giulia, che sembra essere del tutto vero.

Intanto, bisogna dire la verità: tua moglie t’ha pianto molto, sai? e seguita. Io no, ma, stordito come sono ancora, ho pensato a tutto, io.

Mezzanotte, Momino: l’ora solita. Me ne vado a letto.

Che silenzio! Mi pare che tutta la notte intorno sia piena della tua morte. E questo ronzio del lumetto…

Basta. Qua, nella camera attigua, per me, un letto candido e soffice. Tu chiuso in una doppia cassa in quel grottino al Pincetto, Numero 51, povero Momino mio!

Non ho il coraggio di dirti buona notte.

Capitolo II

La seconda lettera si concentra sui piani della Giulia per la tomba (così come la sua condizione economica). Don Tommaso prende l’occasione per riflettere su come si desidera trascorrere il resto della sua vita.

Quando sarò anch’io dei vostri, Momo, se ci riuniamo qualche notte in assemblea, vedrai che farò questa e altre proposte, sia per l’affermazione, sia per la tutela dei nostri diritti e della nostra dignità. Che te ne pare, intanto, stasera, di queste mie riflessioni? Con questo po’ di vita che mi resta, non mi sento piú di qua, caro Momo, dacché tu sei morto; e vorrei spenderlo, questo po’ di resto, per darvi, come posso, qualche sollazzo. Ma scommetto che ora tu mi dici al solito che queste mie riflessioni non sono originali.

(Questi sentimenti, una forma dell’ autocommiserazione, sembrano essere patetici.)

Poi don Tommaso offre un altro scorcio nella sua vita con Gerolamo… uno scorcio che fornisce le ulteriori prove della natura unilaterale del loro rapporto. Gerolamo sembra tollerare a malapena la presenza di don Tommaso.

Bada ch’era davvero curiosa (ora te lo voglio dire), che tutto quello che mi scappava di bocca in tua presenza tu pretendevi d’averlo letto in qualche libro, del quale spesso dicevi di non rammentarti né il titolo né l’autore.

Io di me non presumo troppo: non leggo mai nulla, tranne qualche libro antico, di tanto in tanto. So – questo è vero – che, se mi picchio un po’ su la fronte, sento, perdio, che vi sta di casa un cervello; ma ignorante, sí; piú di me è difficile trovarne un altro. Visto però che spesso i men savii sono coloro che si persuadono saper piú, e fanno intanto le piú scervellate pazzie; dovrei vergognarmene, non me ne vergogno.

Secondo don Tommaso, il piano di Giulia per la tomba è finanziariamente debole; c’è anche un rischio del fallimento.

Tua moglie ha commesso, secondo me, una di quelle sciocchezze, che non ho saputo mai tollerare in silenzio. Giudicane tu: si è impegnata nella spesa insostenibile d’una sepoltura privilegiata e temporanea per te.

Ma ella spera, dice, in uno sgombero. Mi spiego. Sai che nel cimitero, qualche volta, avvengono pure gli sgomberi, precisamente come in città? Sí. I morti sgomberano. O per dir meglio, i vivi superstiti, andando via da Roma, poniamo, per domiciliarsi in un’altra città, coi bauli e gli altri arredi di casa si portano via anche i loro morti, dei quali svendono la casa vecchia per comperarne loro una nuova nell’altro cimitero.

Poi don Tommaso rivela d’aver pagato tutto: il funerale così come le spese di soggiorno della Giulia.

E giacché siamo a questi discorsi angustiosi, intratteniamocene ancora un po’. Sai che sono metodico e meticoloso e che soglio tener conto di tutto. Sto facendo la nota delle spese mensili e ci sono anche quelle che ho fatte per te. Vogliamo parlare un po’ d’interessi come prima?

Ho cercato di far tutto, Momino mio (trasporto funebre, sotterramento, eccetera), con decenza, salvando quella modestia che tu hai tanto raccomandato nel tuo testamento.

(È notevole che capitolo II inizia con un commento umoristico e cinico sul costo di seppellimento a Roma:  “Questo del Verano, poi, addirittura una città ridotta. I poveri, peggio che a pianterreno; i ricchi, palazzine di vario stile, giardinetto intorno, cappella dentro; e coltiva quello un giardiniere vivo e pagato, e officia in questa un prete vivo e pagato. Per esser giusti, ecco due posti usurpati ai morti di professione, nel loro stesso domicilio.”)

E poi don Tommaso dice:

Ma mi sono accorto che a Roma quasi quasi costa piú il morire che il vivere, che pur costa tanto, e tu lo sai. Se te la facessi vedere, questa noticina presentatami jeri dall’agente della nuova Società di pompe funebri, ti metteresti le mani ai capelli. Eppure, prezzi di concorrenza, bada! Ma quello che m’ha fatto groppo è stato il pretino unto e bisunto della parrocchia qua di San Rocco, che ha voluto venti lire per spruzzarti un po’ d’acqua su la bara e belarti un requiem… Ah, quando muojo io, niente! Già, al fuoco! È piú spiccio e piú pulito. Ognuno però la pensa a modo suo; e, pure da morti, abbiamo la debolezza di volerci in un modo, anziché in un altro. Basta.

Poi, don Tommaso fornisce un aggiornamento della sua più recente interazione con Giulia. Lei ha bisogno di soldi; don Tommaso l’ha scritta una lettera per dirla che continuerà volentieri la sua assistenza.

Sai che ancora un po’ di quel che avevo, mi resta; sai che i bisogni miei sono limitatissimi e che ormai nessun desiderio piú m’invoglia di sperare; tranne quello di morir presto, sperare che sia senza avvedermene.

Che si diceva? Ah, dico: che debbo farmene di questo poco che mi resta? Lasciarlo, dopo morto, in opere di carità? Prima di tutto, chi sa come e dove andrebbe a finire; poi, io non ho di queste tenerezze tardive per il prossimo in generale. Il prossimo, io voglio sapere come si chiama.

Orbene, poiché certe cose si scrivono meglio che non si dicano a voce, ho scritto a tua moglie che era mia ferma intenzione, e che anzi stimavo come dovere, continuare a fare per la vedova dell’unico amico mio quel ch’ero solito di fare per lui: contribuire, cioè, alle spese di casa.

Don Tommaso la permette anche di continuare a utilizzare tutti i suoi mobili.

Momo, prenditi questo decottino a digiuno. Sai come m’ha risposto tua moglie? M’ha ringraziato, prima di tutto, come si può ringraziare un qualunque estraneo; ma lasciamo andare; ha poi soggiunto che, per il momento, sí, dice, purtroppo si vede costretta a non ricusare i miei graziosi favori, perché avendo dischiavacciato lo stipetto, dove tu eri solito di riporre il sudor delle tue fatiche, dice, non vi ha trovato che sole lire cinquanta, con le quali evidentemente, dice, non è possibile pagar la pigione di casa che scade il giorno quindici, saldare alcuni conti con parecchi fornitori di commestibili e farsi un modesto abito da lutto di assoluta necessità.

Una domanda: si tratta di un atto di carità e beneficenza o un atteggiamento passivo-aggressivo? Il paragrafo seguente, verso la fine del capitolo II, suggerisce che quest’ultimo è corretto.

Ma già, potendo, tu te n’andresti da tua moglie, ingrato! Ella però ti chiuderebbe la porta in faccia, sai? o scapperebbe via dallo spavento. E allora tu te ne verresti qua da me, per essere consolato; e io seduto come sono adesso davanti al tavolino, e tu di fronte a me, converseremmo insieme, come ai bei tempi… Ti farei trovare ogni sera una buona tazza di caffè e tu, caffeista, giudicheresti se lo faccio meglio io, o tua moglie; la pipetta e il giornale. Cosí te lo leggeresti da te il giornale; perché io, sai, non c’è verso: non ci resisto; mi ci sono provato tre volte e ho dovuto smettere subito.

Capitolo III

Purtroppo, sembra come se la lettera del Tommaso sia stata interpretata da Giulia (e dai suoi parenti che sono venuti a Roma per sostenerla) per dire che don Tommaso vuole tornare alla casa che ha condiviso con Gerolamo. Giulia vive a questa casa, e lei non vuole don Tommaso là.

Don Tommaso in realtà non intendeva dire che voleva tornare a casa — questo è stato un malinteso. Tuttavia, il problema per Giulia è quello d’esprimere chiaramente il suo desiderio di vivere da sola senza di dare offeso a don Tommaso… ha ancora bisogno del suo sostegno finanziario.

Per farla breve, il signor Postella ha confermato d’averla scritta lui la lettera; ma, beninteso! per espresso incarico di tua moglie, che nel dolore, dice, al quale tuttavia è in preda, non sentendosi in grado, dice, di stenderla lei, gliene suggerí i termini. Egli, il signor Postella, ne fu dolentissimo, ed ecco, me ne dava una prova con la sua visita d’oggi. Dall’altro canto però ha voluto scusar tua moglie, e che la scusassi anch’io considerando le delicate ragioni, dice, che le avevano consigliato di farmi scrivere in quel modo.

E qui s’è chiarito un equivoco, o meglio, un malinteso. Tua moglie, nel leggere la mia lettera – dove (promettendole che avrei continuato a far per lei quello che facevo per te) io avevo usato la frase contribuire alle spese di casa – ha capito, dice, ch’io volessi seguitare a vivere come per l’addietro, e cioè piú a casa tua, che in queste tre stanzette mie… Ma, nel dirmi questo, le palpebre del signor Postella parevano addirittura impazzite sotto il mio sguardo a mano a mano piú sdegnoso e sprezzante.

Io non mi faccio ombra d’illusione su la natura dei sentimenti di tua moglie per me: le antipatie sono reciproche. Ma non tua moglie, Momo, lui, lui, il signor Postella ha temuto invece che fosse mia intenzione seguitare nel solito andamento di vita, come se tu non fossi morto; guarda, ci metterei le mani sul fuoco. E avrà persuaso tua moglie a scrivermi a quel modo, dandole a intendere che la gente, altrimenti, avrebbe potuto malignare su lei e su me.

Si è assicurato cosí, che nessuno verrà piú a molestarlo in casa di tua moglie.

Ma d’altra parte, poi, ha temuto che io, nel vedermi messo alla porta, per risposta, avrei chiuso la bocca al mio sacchetto, e allora, capisci? è venuto tutto sorridente a farmi scuse e cerimonie, che vorrebbero essere uncini per tirarmi a pagare.

– Ma stia tranquillo, caro signor Postella! – gli ho detto. – Stia tranquillo e rassicuri la signora, ch’io non verrò a disturbarla che assai di raro… – E stavo per aggiungere: “Tanto per saperne dare qualche notizia a Momino”.

Prima di questo scambio, don Tommaso immagina che le intenzioni della Giulia (così come quelli dei suoi parenti) erano poco raccomandabili.

Che buffoni, amico mio, che buffoni!

Sono venuti stamane a trovarmi il signor Postella e quella montagna di carne ch’egli ha il coraggio di chiamare la sua metà. Sono venuti a trovarmi per chiarire, dice, la lettera che jeri mi scrisse tua moglie.

Capisci che fa tuo cognato? Prima scrive in quella razza di maniera, e poi viene a chiarire.

Basta… L’intima e vera ragione della sua visita d’oggi però avrà pur bisogno, vedrai, d’esser chiarita meglio da una seconda visita, domani.

Io almeno non ho saputo vederci chiaro abbastanza. M’è parso soltanto di dover capire che il signor Postella intende di far doppio giuoco e ho voluto metter subito le carte in tavola.

Alla fine del capitolo III, invece, ci sono le considerevoli prove che la Giulia ei suoi parenti siano decenti, onesti e premurosi. Ad esempio, nel corso della giornata in cui don Tommaso ha visitato Giulia:

Che impressione, Momo, la tua casa senza di te! La nostra, la nostra casa, Momino, senza di noi! Quei mobili nostri lí, subito dopo l’entratina, nella sala da pranzo con la portafinestra che dà sul terrazzino… Quella vecchia tavola massiccia, quadrata, che comperammo, Dio mio, trentadue anni fa in quella rivendita di mobili, per cosí poco… A rivederla, Momino, adesso, sotto la lampada a sospensione con quel berrettone rosso di cartavelina con cui l’ha parata tua moglie per paralume (eleganze di donnette nuove, che, lo sai, mi diedero subito ai nervi, appena tua moglie le portò; perché poi, tra l’altro, bisognava accorgersi che erano una stonatura tra la ruvida semplicità d’una casa patriarcale come la nostra) – basta, che dicevo? Ah, quella tavola, a rivederla… Il tuo posto… Ci stava sú Ragnetta, sai? E m’è parsa piú magra, povera bestiolina! Le ho grattato un po’ la testa, come facevi tu, dietro le orecchie. Nel mezzo della tavola, intanto, sul tappeto ho visto che c’era il solito portafiori; e nel portafiori, garofani freschi. Non ho potuto fare a meno di notarli, perché – capirai – in una casa da cui è uscito un morto appena otto giorni fa… quei fiori freschi… – Ma forse erano dei vasi del terrazzino. Fatto sta, a ogni modo, che tua moglie ha potuto pensar di coglierli e di metterli lí, sulla tavola, e non davanti al tuo ritratto sul cassettone.

Quindi, il lettore ha un altro scorcio del dolore della Giulia (ei parenti), che sembra essere profondo e sincero.

– Non posso farle coraggio, cara Giulia, perché sono piú sconsolato di lei, – ho detto a tua moglie. – Pianga, pianga pure, giacché Lei ha codesto benedetto dono delle lagrime: Momo ne merita molte.

Ho sentito a questo punto un sospirone di tua cognata, che se ne stava con le mani intrecciate sul ventre, e mi sono interrotto per guardarla. Ella ha guardato invece, con que’ suoi occhi bovini, il marito, come per domandargli se aveva fatto male a sospirare e se stava in decretis.

– Perla d’uomo! – ha esclamato il signor Postella rispondendo allo sguardo della moglie e scrollando il capo. – Perla d’uomo!

Don Tommaso considera ciò che si sente e si vede, ma sembra essere confuso: quali sono le vere intenzioni di queste persone? Lui sta per partire, ma prima di farlo, dice:

– Sono venuto, Giulia, per dirle che la sua lettera di jeri mi ha recato molto dispiacere. Questa mattina suo cognato, in casa mia, mi ha spiegato il malinteso sorto a cagione d’una mia frase…

La Giulia risponde in modo tale che la sua vera natura è rivelata, sia al lettore e al Tommaso: lei è sopraffatto dalla morte del marito; lei è una brava persona; lei è sinceramente grata a coloro che provede l’aiuto.

– Dunque mi lasci dire. Prima di tutto, lei, cara Giulia, non doveva ringraziarmi affatto, di nulla.

– Come no? – fece a questo punto tua moglie, senza levar gli occhi dal fazzoletto.

A questo punto, don Tommaso impegna il suo sostegno per Giulia. A mio parere l’impegno rappresenti un punto di svolta nella storia: don Tommaso sembra capire il carattere della Giulia in un modo che sia fondamentalmente diverso.

– Proprio cosí, – le ho risposto io. – Son conti, Giulia, che ci faremo poi insieme Momo e io, nel mondo di là. Lei sa che, tra me e lui, non ci fu mai né tuo né mio. Non vedo la ragione d’un cambiamento, adesso. Momo per me non è morto. Lasciamo questo discorso. Se poi a Lei fa dispiacere ch’io venga qualche volta a pregarla di valersi di me in tutte le sue opportunità, me lo dica francamente, che io…

Poi c’è questo scambio:

– Ma che dice mai, signor Tommaso! – esclamò tua moglie, interrompendomi. – Questa qui, lei lo sa bene, è casa sua; non è casa mia.

Mi venne fatto, non so perché, di guardare il signor Postella. Egli aprí subito le braccia mostrandomi le palme delle mani e fece col capo una mossettina e sorrise come per confermare le parole di tua moglie.

Faccia tosta! Mi sarei alzato; l’avrei preso per il bavero della giacca; gli avrei detto: “È casa mia? ne conviene? mi faccia dunque il piacere di levarmisi dai piedi!”.

La moglie se ne stava quatta, musando, come una botta.

– È la casa di Momo, – ho risposto a Giulia infine, sillabando. – La casa di suo marito, non è mia.

– Ma se tutto qua appartiene a lei…

– Scusi, tutta quanta la casa non l’ha forse lasciata a lei, suo marito?

– Momo, – mi rispose tua moglie – non poteva lasciarmi ciò che non gli apparteneva.

– Come no? – ho esclamato io. – Ma che va a pensare lei adesso?

– Vuole che non ci pensi? Ma si metta un po’ al posto mio… Vede come sono rimasta?

– Scusi, se lei non vuole tener conto di me, della casa che è sua, dell’ottima compagnia che potranno tenerle tanto sua sorella quanto il suo signor cognato…

– Io la ringrazio, signor Tommaso, e me le dichiaro gratissima per tutta la vita. Ma i suoi beneficii non posso piú accettarli… Ci pensi, e m’intenderà… Per ora non mi sento in grado di dirle altro… Ne riparleremo, se non le dispiace, un’altra volta.

Verso la fine del capitolo III, i parenti della Giulia hanno offerto al Tommaso alcuni degli effetti personali del Gerolamo, in particolare un orologio. Don Tommaso rifiuta il dono. (Un atto stranissimo! Non è questo proprio il genere di regalo che avrebbe voluto?) A questo punto della storia, don Tommaso sembra essere patologicamente misantropo, cioè, qualcuno che abbia sempre bisogno di soffrire.

Capitolo IV

La quarta lettera fosse la meno comprensibile.

Il capitolo inizia abbastanza bene. La questione della tomba è stata risolta. Il commento di Don Tommaso è di nuovo venato di rabbia e risentimento.

Di’ la verità: tu ti devi sentir male. Abbiamo tratto oggi dal loculo N. 51 al Pincetto la tua cassa per allogarla definitivamente in una modesta tomba che ti ho fatto costruire a mie spese per rimediare al primo errore di tua moglie, e che spettacolo, Momino! che spettacolo! L’ho ancora davanti agli occhi e non me lo posso levare.

E poi questa valutazione pessimistica ed amara della vita quotidiana.

Ma queste notizie, amico mio, tu dovresti ormai sapere perché e con che cuore io te le do; e non essere come gli altri che s’ostinano a non volere intendere perché venga tanta crudele apparenza di riso a tutto ciò che mi scappa dalla bocca. Come vuoi che faccia io, se mi diventa subito palese la frode che chiunque voglia vivere, solo perché vive, deve pur patire dalle proprie illusioni?

La frode è inevitabile, Momo, perché necessaria è l’illusione. Necessaria la trappola che ciascuno deve, se vuol vivere, parare a se stesso. I piú non l’intendono. E tu hai un bel gridare: -Bada! bada! – Chi se l’è parata, appunto perché se l’è parata, ci dà dentro, e poi si mette a piangere e a gridare ajuto. Ora non ti pare che la crudeltà sia di questa beffa che fa a tutti la vita? E intanto dicono ch’è mia, solo perché io l’ho preveduta. Ma posso mai fingere di non capire, come tanti fanno, la vera ragione per cui quello ora piange e grida ajuto, e mostrare d’esser cieco anch’io, quando l’ho preveduta?

Tu dici:

– L’hai preveduta, perché tu non senti nulla!

Ma come e che potrei vedere e prevedere veramente, se non sentissi nulla, Momino? E come aver questo riso che par tanto crudele? Questa crudeltà di riso, anzi, tanto piú è sincera, quanto e dove piú sembra voluta, perché appunto strazia prima degli altri me stesso là dove esteriormente si scopre come un giuoco ch’io voglia fare, crudele. Parlando a te cosí, per esempio, di tutte queste amarezze, che dovrebbero esser tue, e sono invece mie.

La lettera passa bruscamente alle notizie della Giulia, che sembra aver riacquistata un certo grado di stabilità.

Sai, poverina? era molto contenta però, oggi, tua moglie, e me lo diceva ritornando dal Verano, di saperti collocato bene ora, secondo i tuoi meriti in una tomba pulita, nuova e tutta per te.

E poi, ci sono una serie delle vignette dal mondo naturale. I cavalli, un insetto, un pipistrello, una tartaruga, un coniglio, una volpe, un asino, e gli esseri umani. Molte volte, in altre novelle, si trasforma il protagonista che sperimenta il mondo naturale… come se l’esperienza della natura sia in grado di curare la persona che è in difficoltà (fatta male), vivendo nel mondo moderno. Ciònonostante, don Tommaso sembra essere diverso da qualsiasi altro protagonista che abbiamo incontrato prima, dato che il mondo naturale non sembra avere alcun effetto apparente sulla sua misantropia.

Basta; chiudo la finestra, Momino: vado a letto.

Filosofia, eh? questa notte: un po’ animalesca veramente, con quei cavalli a principio, e poi con quell’insetto e ora il pipistrello e la tartaruga e il coniglio e la volpe e l’asino e l’uomo…

Capitolo V

L’ultimo capitolo della novella presenta la quinta e l’ultima lettera. Dieci mesi sono passati senza una lettera.

Sono passati dieci mesi, Momo; te ne sei accorto? Ti ho lasciato al bujo dieci mesi, senza scriverti un rigo… Ma sta’ pur sicuro che non hai perduto nulla di nuovo: il mondo è sempre porco a un modo e sciocco forse un po’ peggio.

Don Tommaso assicura Gerolamo che non l’ha dimenticato. Apprendiamo che don Tommaso era distratto dalla ricerca d’un nuovo posto d’alloggiare.

Non credere che t’abbia un solo istante dimenticato. Mi ha prima distratto dallo scriverti ogni sera la ricerca d’un nuovo alloggio; poi ho pensato: “Ma davvero non saprei adattarmi a vivere in queste tre stanzette? Perché cerco una casa piú ampia? per vedermi forse crescere attorno la solitudine?”. E quest’ultimo pensiero mi ha gettato in preda a una tristezza indicibile.

E poi, ancora una volta, veniamo a sapere del suo malcontento, l’auto-assorbimento, la lamentela, l’infelicità, e il biasimo (in altre parole, la misantropia).

Ah, per i vecchi che restano soli (e senza neanche la propria casa, aggiungi!) gli ultimi giorni sono proprio intollerabili.

Mi ritorna viva nell’anima l’impressione che provavo da giovine nel vedere per via qualche vecchio trascinare pesantemente le membra debellate dalla vita. Io li seguivo un tratto, assorto, quei poveri vecchi, osservando ogni loro movimento e le gambe magre, piegate, i piedi che pareva non potessero spiccicarsi da terra, la schiena curva, le mani tremule, il collo proteso e quasi schiacciato sotto un giogo disumano, di cui gli occhi risecchi, senza ciglia, nel chiudersi, esprimevano il peso e la pena. E provavo una profonda ambascia, ch’era insieme oscura costernazione e dispetto della vita, la quale si spassa a ridurre in cosí miserando stato le sue povere creature.

Don Tommaso lamenta la vita d’un vecchio che è anche uno scapolo.

Per tutti coloro a cui torna conto restare scapoli, la porta della vita dovrebbe chiudersi su la soglia della vecchiaja, buono e tranquillo albergo soltanto per i nonni, cioè per chi vi entra munito del dolce presidio dei nipoti. Gli scapoli maturi dovrebbero interdirsene l’entrata, o entrarci appajati da fratelli, com’era mia intenzione. Ma tu, nel meglio, mi tradisti; frutto del tradimento, la tua morte affrettata: maggior danno però, forse, per me rimasto cosí solo e abbandonato, che per te colpevole verso l’amico di tanta ingiustizia, per non dire ingratitudine.

Don Tommaso ha viaggiato di recente nel nord Italia ed in Svizzera. Vuole sfogare.

Lasciami sfogare: ho traversato un periodo crudele. A un certo punto, ho fatto le valige, e via!

Ho voluto rivedere i tre laghi e, con particolar desiderio, quello di Lugano che, date le condizioni d’animo con cui avevo intrapreso il primo viaggio, al tempo del tuo matrimonio, mi aveva fatto maggiore impressione.

Sono rimasto disilluso!

Don Tommaso ha recentemente festeggiato il suo settantesimo compleanno.

Senza i tuoi augurii, ho compito a Moltrasio sul lago di Como sessant’anni. In un’umile trattoria ho alzato il bicchiere e borbottato:

– Tommaso, crepa presto!

Ancora una volta sputa via la sua rabbia verso la memoria di Gerolamo e il tradimento.

E ora dovrei venire alle cose brutte per te; ma sento che non mi è possibile.

L’immagine di quella tua cassa gonfia m’occupa come un incubo lo spirito, e penso che, se non è ancora scoppiata, scoppierebbe, se ti dicessi ciò che sta per avvenire a casa tua.

Io non ci posso portare, amico mio, nessun rimedio.

E poi, finalmente, la lettera si volge verso un aggiornamento delle notizie della Giulia. Lei ha ritrovato la stabilità finanziaria:

Pare difatti che suo cognato abbia intrapreso non so che negozio molto lucroso su medicinali con un suo socio di Napoli, per cui la salute, amico mio, diventerà sempre piú preziosa; perché, con questo negozio, povero a chi la perde e vorrà riacquistarla.

…e lei ha ricevuto una proposta di matrimonio:

Tua moglie usufruirà indirettamente di questo negozio, perché quel socio di Napoli pare che abbia un fratello, e pare che questo fratello, venuto a Roma per concludere la società, la abbia conclusa includendovi, per conto suo, tua moglie.

Sí, amico mio. Ella sposerà tra poco questo fratello del socio di Napoli. Ma io non me ne sarei scappato in Isvizzera per un caso cosí ordinario, perdonami, e cosí facilmente prevedibile, se…

…che lei ha rifiutato:

Insomma, Momo, faccio conto che la tua cassa sia già scoppiata, e te lo dico. Tua moglie, con l’ajuto del signor Postella, ha avuto il coraggio di farmi intendere chiaramente che a un solo patto avrebbe respinto la profferta di matrimonio di quel fratello del socio di Napoli.

…fino a quando don Tommaso ha accettato di sposarla:

E sai a qual patto? A patto che la sposassi io. Capisci? Io. Tua moglie. E sai perché? Per usare un ultimo riguardo alla tua santa memoria.

…E l’ha fatto: (Mamma mia!!!)

…in considerazione della memoria del Gerolamo.

Ebbene, Momo, credi ch’io me ne sia scappato in Isvizzera per indignazione? No, Momo. Me ne sono scappato, perché stavo per cascarci. Sí, amico mio. Come un imbecille. E se imbecille non ti basta, di’, di’ pure come vuoi. Mi piglio tutto. Non ha altra ragione quest’interruzione di dieci mesi nella nostra corrispondenza.

Fin dov’ero arrivato, fin dov’ero arrivato, amico mio! Ero arrivato fino al punto d’accordarmi col pensiero che tu stesso, proprio tu mi persuadessi a sposare tua moglie, con tante considerazioni che, sebbene fondate in un proponimento disperato, tuttavia mi pareva di doverle riconoscere una piú giusta dell’altra, una piú dell’altra assennata. Sí. Per te, e per lei, giuste e assennate. Per te, in quanto dovesse riuscirti assai meno ingrato che la sposassi io, tua moglie, anziché un estraneo, perché cosí tu potevi esser sicuro di rimaner sempre terzo in ispirito nella famiglia, senz’essere mai dimenticato. Per lei, in quanto, se da una parte non s’avvantaggiava lasciando di sposare uno molto piú giovane di me, dall’altra certamente ci avrebbe guadagnato la sicurezza assoluta dell’esistenza, la tranquillità, il poter rimanere nella propria casa, senz’abbassamento o mutamento di stato. E poi il piacere velenoso per te di vedermi fare, anche piú vecchio di te, quello per cui, in vita, tanto ti condannai.

Ho potuto capire a tempo, per fortuna, tutto l’orrore della vita, amico mio, nei riguardi di chi muore. E che un vero delitto è seguitare a dare ai morti notizie della vita: di quella stessa vita, di cui dentro di noi fu composta la loro realtà finché vissero, e che seguitando a durare nel nostro ricordo finché noi viviamo, è naturale che ormai senza difesa e immeritamente debba esserne straziata. Parlandoti della vita, potevo arrivare, come niente, povero Momino mio, a concludere queste notizie del mondo con l’inviarti in un cartoncino litografato la partecipazione delle mie nozze con tua moglie. Hai capito?

E dunque, basta, via. Finiamola.

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