Riassunto: Tra due ombre

Stridore di catene e scambio di saluti e d’augurii, ultime raccomandazioni e grida di richiamo tra i passeggeri di terza classe e la gente che s’affollava su lo scalo dell’Immacolatella o sulle barchette ballanti attorno al piroscafo in parterza.

Inizia così Tra due ombre (L. Pirandello), una breve, intensa esplorazione-illustrazione della perniciosa emozione umana del rimpianto. In questo caso, la fonte del rimpianto è il ricordo di “un’opportunità mancata” di sposarsi, molti anni fa, una giovanotta. Il senso del rimpianto era profondissimo (ha portato a un tentativo di suicidio).

Il Pirandello sembra voler dirci che ricordi intensi di questo tipo possano essere repressi, ma non siano mai persi. Come tali, loro possano (nelle circostanze giuste) emergere ancora una volta a perseguitarci.

All’inizio della novella, si apprende che Faustino ha 36 anni. Ha una famiglia e una professione (insegna in un liceo). In altre parole, ha vissuto abbastanza lungo per decidere se la sua vita è stata un successo o fallimento.

La moglie di Faustino è ‘più grande della vita’. Un’estroversa, lei è rozza, maleducata, ad alta voce, sconsiderata, corpulenta, stravagante ed egocentrica.

– Faustino! Dio mio, guarda Niní… guarda Bicetta… – gridava al Sangelli la moglie che non si moveva per timore del mal di mare, prima ancora che il piroscafo si mettesse in movimento.

Non c’era stato verso d’indurla ad andare a sedere sul piano di coperta destinato alla prima classe, a pruavía. S’era buttata come una balla sul sedile del lucernario della camera di poppa; e cosí grassa come s’era fatta pochi anni dopo il matrimonio, bionda e pallida, con gli occhi azzurri ovati, non si curava nemmeno dello spettacolo che dava con quel suo ridicolo sgomento, aggrappata con la mano tozza piena d’anelli al bracciuolo di legno del sedile, quasi che, tenendolo cosí, volesse impedire lo scotimento fitto fitto e continuo della macchina già sotto pressione.

Strillava lamentosamente per Bicetta, per Niní, per Carluccio, ma non osava neppure girare un po’ la testa per vedere dove fossero. L’ampio velo turchino attorno al cappello di paglia, col vento, le sbatteva in faccia; lo lasciava sbattere, pur di non muoversi; e teneva fissi gli occhi spaventati a una manica a vento lí presso, suo incubo forse, ma anche riparo e protezione.

[Mi ha fatto ridere quando ho letto questa descrizione, ma era una risata con un senso leggero di disagio o terrore… ho pensato: “Là ma per la grazia di Dio vado io”! In realtà la moglie di Faustino è un incubo.]

La famiglia di Faustino è in viaggio da un piroscafo da Napoli a Palermo. I suoi bambini non sono mai stati prima su un piroscafo. Loro sono difficili da gestire, ma apparentemente in modo adeguato all’età.

Con l’aria che batteva viva, da terra là sopra coperta e che si portava via il fumo della ciminiera tra il cordame dell’alberatura, nel chiarore aperto e fresco, tutto lampeggiante dei riflessi del sole al tramonto sul mare un po’ mosso a ogni sollevarsi dei parasoli, quei tre benedetti ragazzi, che non erano stati mai su un piroscafo, parevano impazziti; si ficcavano tra la gente, da per tutto, tra le scale sul passavanti, le lapazze, i ponti di sbarco, sotto le lance; volevano veder tutto, e correvano davvero il rischio anche di precipitar giú in mare.

Faustino sembra essere molto infelice con la sua vita, cioè, manca il denaro e lo imbarazzarano sua moglie ei suoi figli.

Veniamo a sapere che Faustino è un uomo timido (piuttosto che forzato o forte). In un certo senso, sembra essere più passivo-aggressivo che aggressivo.

Faustino Sangelli, andando loro dietro, si sentiva intanto finir lo stomaco a quelle raccomandazioni della moglie. Non gli era parso mai tanto ridicolo il suo nome in diminutivo sulle labbra di quella donna cosí grassa, né mai tanto sgradevole la voce di lei.

Avrebbe voluto gridarle:

– E sta’ zitta! Non vedi che sto badando a loro?

Data la sua natura passiva-aggressiva, è possibile che — per tutta la vita — Faustino non sia stato “in controllo”. Invece, è più probabile che lui fosse sia sottoposto ai capricci degli altri e sballottato dagli eventi della vita quotidiana.

È facile immaginare che Faustino abbia un sense di fallimento. Sembra anche facile immaginare che per Faustino, “un’opportunità mancata” in realtà sembrerebbe essere “una cosa che lui ha permesso a scivolare tra le dita” (cioè, colpa sua, fallimento suo).

Se sia corretta, potrebbe anche essere vero che “un’opportunità mancata” (come questo) potrebbe diventare una fonte latente ma persistente del rimpianto significativo, che, a sua volta, potrebbe generare un profondo senso di fallimento, frustrazione e rabbia.

“L’opportunità mancata” di Faustino è accaduta 18 anni prima. A quel tempo, lui era uno studente universitario di 18 anni che si è innamorato di sua cugina, Lillí. Il rapporto con Lilli può aver portato al suo primo incontro sessuale della vita.

Molti giovanotti sono stati attratti a Lillí, tra cui un altro membro della famiglia, Silvestro Crispo, che sta anche viaggiando sullo stesso piroscafo. La vista di Silvestro fa scattare in Faustino un intenso e travolgente serie dei ricordi e sentimenti.

Tutti i ricordi scottanti, gli errori, i rimorsi della prima gioventú, improvvisamente, alla vista di quell’uomo, gli avevano fatto un tale impeto dentro, che n’era come stordito. Al solo pensiero che quel Silvestro Crispo potesse vederlo, invecchiato e cosí dietro a quei tre ragazzi mal vestiti, e con quella moglie grassa e ridicola che strillava di là, si sentiva vaneggiare in un avvilimento di vergogna, acre e insopportabile, al quale reagiva seguitando a sorridere a quel modo, mentre avvertiva con una lucidità che gl’incuteva quasi ribrezzo, che non soltanto lui qual era adesso, ma lui anche qual era stato tant’anni addietro, sedici anni addietro, viveva tuttora e sentiva e ragionava con quegli stessi pensieri, con quegli stessi sentimenti, che già da tanto tempo credeva spenti o cancellati in sé;

Questa combinazione (cioè, la presenza di Silvestro ei ricordi degli eventi 18 anni prima) lo provoca a dividere la sua vita in due periodi distinti, cioè, distanti e contemporanee, cioè, quello prima e quello dopo che lui si è stato innamorato di Lillí.

ma cosí vivo, cosí “presentemente” vivo che, quasi non parendogli piú vero in quel momento tutto ciò che lo circondava, e pur non potendo negarne a se stesso la realtà, non potendo negare per esempio che quei tre ragazzi là fossero suoi; ecco qua, sorrideva, proprio come se non fossero; proprio come se lui non fosse questo Faustino d’adesso, ma quello: diviso in due vite distanti e contemporanee; vere tutt’e due, e vane tutte e due nello stesso tempo; e di là quella biondona pallida, di cui gli arrivava la voce sgraziata: “Faustino! Faustino!” – e qua, fuggente e ammiccante tra il rimescolío dei passeggeri sopra coperta, Lillí, Lillí di ventidue anni, bella come quando di nascosto, da lontano, per tentarlo, tenendo socchiuso l’uscio della sua cameretta si scopriva il seno tra il candor delle trine e con la mano faceva appena appena l’atto d’offrirglielo e subito con la stessa mano se lo nascondeva.

(I due periodi della vita di Faustino sono indicati come ombre. Credo che il Pirandello abbia scelto con cura la parola ombra. Un’ombra è qualcosa che può seguirci, può anche essere buio e opprimente. Un’ombra può colorare e dominare i nostri pensieri… sull’autostima, sul successo-fallimento, sul rimpianto.)

Faustino aveva 18 anni quando ha incontrato Lillí. Un gara ha sviluppato tra Faustino e Silvestro a conquistare il cuore di Lillí.

Aveva quattr’anni piú di lui, Lillí. E che passione, che frenesie, prima ch’ella accondiscendesse a fidanzarsi con lui, corteggiata da tanti, anche da quel povero Silvestro Crispo, che s’affannava in tutti i modi a lavorare per farsi uno stato e ottener subito la mano di lei!

Inizialmente Lillí non è stata attratta a uno dei due ragazzi.

Ma allora Lillí non si curava di nessuno dei due: di Silvestro Crispo, perché troppo rozzo, ispido e brutto; di lui, perché troppo ragazzo; e s’univa perfidamente a tutti i parenti che se lo prendevano a godere per lo spettacolo che dava loro con quella sua passione precoce e della gelosia che lo assaliva appena vedeva qualcuno ottenere i sorrisi di lei.

Poi, inaspettamente, Lillí ha scelto Faustino.

Finché, all’improvviso, chi sa perché, forse per qualche dispetto o per qualche disinganno inatteso o per prendersi una subita rivincita su qualcuno, ella gli s’era accostata amorosa, gli s’era promessa, ma a patto che subito egli si fosse apertamente fidanzato con lei. Lí per lí, gli era parso di toccare il cielo col dito.

Tuttavia il padre di Lillí ha contestato il fidanzamento che, infine, è stato rotto.

Per piú d’un mese aveva dovuto combattere per strappare il consenso al padre, il quale saggiamente gli aveva fatto osservare ch’era troppo intempestivo per lui un impegno di quel genere; che la cugina aveva quattr’anni piú di lui, e che egli, ancora studente, avrebbe dovuto aspettare per lo meno altri sei anni per farla sua. Ostinato, dopo molte promesse e giuramenti, era riuscito a spuntarla.

Alla fine Lillí si è sposata di Silvestro, una scelga molto imbarazzante e vergognoso per Faustino.

Se non che, subito dopo, nel vedersi presentare a tutti, cosí ancor quasi ragazzo, senza uno stato, come promesso sposo di Lillí, s’era sentito ridicolo agli occhi di tutti e specialmente di quegli altri giovanotti che, corrisposti, avevano per qualche tempo amoreggiato con la sua fidanzata. La passione, cosí cocente quand’era nascosta, contrariata e derisa, aveva perduto a un tratto il fervore, tutta la poesia; e poco dopo egli se n’era scappato dalla Sicilia per troncare quel fidanzamento, ch’era stato intanto il colpo di grazia per quel Silvestro Crispo. Nel vedersi posposto a un giovanottino ancor imberbe, senza né arte né parte, lui che già lavorava, lui che era già uomo; sdegnato, disperato, aveva voluto uccidersi; ed era stato salvato per miracolo.

Per caso, Faustino ha visto Silvestro sul piroscafo. La sua intuizione era che Silvestro dev’essere contento (mentre lui, Faustino, è miserabile). Faustino è amaro e arrabbiato per quello che la sua vita è (al contrario di quello che avrebbe potuto diventare). Faustino si immagina una “foto” di Lillí così intensamente sentita che lei sembra quasi vera.

Ora eccolo là! Marito di Lillí. Padre (sapeva anche questo, Faustino Sangelli), padre d’un bambino, di cui gli avevano tanto vantato la bellezza. Bello come mamma. Dunque, forse felice, quell’uomo lí. Mentre lui… Ecco, perché, correndo appresso a quei bambini non belli e mal vestiti, aveva bisogno di sorridere a quel modo Faustino Sangelli in quel momento; bisogno, proprio bisogno di veder viva, di ventidue anni, là, fuggente e ammiccante, tra il rimescolío dei passeggeri Lillí, Lillí che accennava, cosí fuggendo e riparandosi dietro le spalle dei passeggeri, di scoprirsi ancora il seno e far con la mano appena appena l’atto d’offrirglielo e subito con la stessa mano l’atto di nasconderselo. Ah, tante volte, tante volte, ebbro d’amore, gliel’aveva baciato, lui, quel piccolo seno! E ora voleva che quell’uomo lí lo sapesse. Sí, sí. Sorrideva a quel modo per farglielo sapere. E con tal rabbia, con tal livore – pur con quel sorriso sulle labbra – pensava, sentiva, vedeva tutto questo, che a un certo punto costretto a correre fin quasi ai piedi di Silvestro Crispo per acchiappare a tempo uno dei bambini che stava per cadere, acchiappatolo, si rizzò tutto fremente davanti a lui, quasi a petto, come se si aspettasse che quello dovesse saltargli al collo per strozzarlo.

Faustino vorrebbe prendere qualche misura di vendetta (ma naturalmente non lo fa).

Ah, tante volte, tante volte, ebbro d’amore, gliel’aveva baciato, lui, quel piccolo seno! E ora voleva che quell’uomo lí lo sapesse. Sí, sí. Sorrideva a quel modo per farglielo sapere. E con tal rabbia, con tal livore – pur con quel sorriso sulle labbra – pensava, sentiva, vedeva tutto questo, che a un certo punto costretto a correre fin quasi ai piedi di Silvestro Crispo per acchiappare a tempo uno dei bambini che stava per cadere, acchiappatolo, si rizzò tutto fremente davanti a lui, quasi a petto, come se si aspettasse che quello dovesse saltargli al collo per strozzarlo.

A questo punto della storia, Silvestro potrebbe aver gettato uno sguardo in direzione di Faustino. (Non è affatto chiaro: è questo, infatti, un atto di immaginazione?)

Silvestro non sembra riconoscere Faustino che poi immagina il peggio: la mancanza di riconoscimento sembra mostrare quanto poco importante (invisibile) Faustino è diventata, cioè, quanto è grande il fallimento che è.

Silvestro Crispo, invece, lo guardò appena con la coda dell’occhio; evidentemente senza riconoscerlo. E s’allontanò pian piano.

Faustino Sangelli restò di gelo a quello sguardo d’assoluta indifferenza. Da che rideva, da che baciava vivo, con labbra ardenti, il tepido, piccolo seno bianco di Lillí, e costringeva quell’uomo a chiudersi in camera con un braciere acceso per asfissiarsi, ecco che d’un tratto spariva in lui l’immagine di ciò ch’era stato, come un’ombra; e un’altra ombra d’improvviso sottentrava, l’ombra miserabile di se stesso, ombra irriconoscibile, se colui non lo aveva riconosciuto, dopo sedici anni: i sedici anni di tutti i suoi sogni svaniti, e di tante noje e di tante amarezze; i sedici anni che lo avevano invecchiato precocemente; che gli avevano portato la sciagura di quella moglie, il tormento di quei figliuoli.

Cosa fa Faustino fare? Lui esprime il turbolento misto di tutto ciò che si sente verso i suoi figli.

Di furia, inferocito, con la scusa della caduta di quel piccino riparata a tempo, mentre tra il cresciuto clamore la sirena della ciminiera avventava il rauco fischio formidabile, acchiappò gli altri due, andò a prendere la moglie, e giú, a cuccia! a cuccia!

Quella sera Faustino non è in grado di dormire. Lui può pensare solo del suo rimpianto, del suo fallimento e di Lilli.

Egli rimase un pezzo nella cuccetta, seduto, coi gomiti sulle ginocchia e la testa tra le mani. E stando cosí seduto, si vide, a un certo punto, sotto gli occhi emergere il pancino, che da alcuni anni gli era cresciuto; e vide quasi per ischerno ciondolare dalla catena dell’orologio una medaglina d’oro, premio volgare d’un misero concorso vinto. A diciott’anni, innamorato di Lillí, aveva sognato la gloria. Era finito professor di liceo, non tanto miserabile perché la moglie gli aveva recato una buona dote. Ah Dio, un po’ d’aria, un po’ d’aria! Si sentiva soffocare!

Faustino lascia il luogo dove la sua famiglia sta dormendo; rimane fissato sul Lilli e ciò che avrebbe potuto essere.

Faustino Sangelli tirò sú il bavero del pastrano; si diede una rincalcata al berretto da viaggio; passeggiò un tratto sul ponte riservato alla prima classe; guardò i passeggeri di terza buttati come bestie a dormire su la coperta, con le teste sui fagotti, attorno alla bocca della stiva: poi, alzando il capo, vide dall’altra parte, sul ponte di poppa riservato ai passeggeri di seconda, uno – lui? – presso il parapetto, appoggiato a una delle bacchette di ferro che sorreggevano la tenda.

Il Piroscafo arriva a Palermo. Come lascia il Piroscafo, Faustino riconosce Lilli sul molo, in attesa di Silvestro.

Ma quando, alla fine, il vapore s’ormeggiò e dalla banchina dello scalo fu buttato il pontile sul barcarizzo – via! via di furia! il facchino avanti, con le valige, lui Faustino dietro, coi due maschietti uno per mano; la moglie appresso, con la Bicetta. Se non che, giunto a mezzo del pontile, gettando per caso uno sguardo sotto la tettoja della banchina alla gente venuta ad assistere allo sbarco dei passeggeri, Faustino Sangelli non vide e non capí piú nulla.

Lí, su la banchina, sotto la tettoja, c’era Lillí, Lillí venuta col suo bambino ad accogliere il marito, Lillí che lo guardava, sbalordita, con tanto d’occhi; piú che sbalordita, quasi oppressa di stupore.

La intravide appena. Lo stesso viso; lo stesso corpo, saldo, svelto, formoso; solo gli parve che avesse i capelli ritinti, dorati. Il pontile, la folla, le valige, lo scalo, la tettoja, tutto gli girò attorno. Avrebbe voluto sprofondare, sparire. Dov’era il facchino? Chi aveva per mano? Si cacciò nell’ufficio della dogana;

Poi c’è una strana scena in cui Silvestro e Lilli a quanto pare non si salutano l’un l’altro al bacino.

ma, in tempo che faceva visitare le valige ai doganieri, vide Silvestro Crispo attraversar l’ufficio, fosco e solo.

E come? Lillí dunque non s’era accorta del marito? Se l’era lasciato passar davanti senz’accorgersene? Ed era venuta apposta cosí di buon mattino allo scalo, per accoglierlo all’arrivo. Tanta impressione dunque le aveva fatto la vista inattesa di lui, dopo tanti anni? E chi sa che scena tra poco sarebbe accaduta a casa, quand’ella, ritornando col bambino, vi avrebbe trovato il marito, già arrivato; il marito che avrebbe indovinato subito la ragione per cui ella non s’era accorta di lui, là sulla banchina dello scalo!

Fu per goderne malignamente, Faustino Sangelli; ma ecco che sballottato con la moglie e i tre figliuoli dentro un enorme e sgangherato omnibus d’albergo, tutto fragoroso di vetri, là per il viale dei Quattro Venti si vide raggiungere da una carrozzella, la quale si mise lenta lenta a seguire il lentissimo enorme omnibus fragoroso.

 

(Ancora una volta non è affatto chiaro: è questo, infatti, un atto di immaginazione?)

La fine della novella è pieno di angoscia, rimpianto e tristezza, come Faustino vede Lilli forse per l’ultima volta.

Nella carrozzella c’era Lillí col suo bambino.

Faustino Sangelli si sentí strappare le viscere, tirare il respiro e non seppe piú da che parte voltarsi a guardare per non veder l’antica fidanzata che gli veniva appresso, appresso, e che lo guardava sbalordita con tanto d’occhi. Patí morte e passione. Quegli occhi, cosí stupiti, gli dicevano quant’era cambiato; lo guardavano come di là da un abisso, ove adesso anche il ricordo della sua lontana immagine precipitava e ogni rimpianto, tutto. E di qua dall’abisso, sul carrozzone traballante e fragoroso, ecco, c’era lui, lui quale s’era ridotto, fra quei tre figliuoli non belli e quella stupida moglie. Ah, fare un salto da quel carrozzone a quella carrozzella, mettere a terra il bambino di lei, e attaccarsi con la bocca a quella bocca che era stata sua tant’anni fa; commettere l’ultima pazzia, fuggire, fuggire… – Perché lo guardava ella cosí? Che pensava? Che voleva? Ecco, si chinava verso il bambino che le sedeva accanto, poi rialzava la testa e sorrideva, sorrideva guardando verso lui, tentennando lievemente il capo. Lo derideva? Su le spine, temendo che la moglie guardando a quella carrozzella s’accorgesse della sua agitazione, si prese sulle ginocchia uno dei figliuoli, gli grattò con una mano la pancina e si mise a ridere, a ridere anche lui, a ridere per fare a sua volta un ultimo dispetto a lei che seguitava a venirgli appresso senz’essersi accorta del marito arrivato con lui.

– Ti sei smattinata, e adesso a casa sentirai, cara, sentirai!

Pensava, e rideva, rideva. Ma come una lumaca sul fuoco.

(Cioè, uno stato confusionale o stato di fuga.)

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