Riassunto: La maschera dimenticata

La maschera dimenticata (L. Pirandello) è un’illustrazione straordinaria ed intricata dei meccanismi interni, la natura e il potere della mente umana.

Un’elezione è stato programmato ed alcuni uomini sono stati invitati a casa d’un candidato per una sessione di strategia.

Don Ciccino Cirinciò non avrebbe dovuto frequentare la riunione.

Nella sala già quasi piena per la riunione indetta dal Comitato elettorale in casa del candidato Laleva, tutti, vedendolo entrare zitto zitto zoppicante e con gli occhi fissi e cupi sotto la fronte grinzuta, s’erano voltati, stupiti, a mirarlo.

Don Ciccino Cirinciò? Possibile? E chi lo aveva invitato?

Veniamo a sapere che don Cirinciò era una volta un uomo influente, cioè, un membro notevole della classe media (es.) lui era precedentemente il proprietario di una zolfara. (Forse la storia si svolga nei pressi di Agrigento in Sicilia?)

Più recentemente Don Cirinciò si è ritirato dalla vita a causa di qualche tragedia sfortunata. In primo luogo, sua moglie era rimasta incinta con i gemelli in tarda età, e sia lei che i neonati (che ha subito malformazioni congenite) sono morti al tempo del parto. Secondo, don Cirinciò ha perso la zolfara, dopo un processo giudiziario prolungato, a causa di una disputa contrattuale.

In terzo luogo, Don Cirinciò ha subito una forma di squallore, descritta inizialmente semplicemente come “la miseria”, e poi più in dettaglia.

…se era vero che la moglie gli fosse morta per aver partorito su la cinquantina non si sapeva bene che cosa: chi diceva un cagnolo, chi una marmotta; e che avesse perduto la zolfara per una virgola mal posta nel contratto d’affitto; e che zoppicasse cosí per una famosa avventura di caccia, nella quale invece dell’uccello era volato in aria lui con tutti gli stivaloni e lo schioppo e la carniera e il cane, investito dalle alacce d’un mulino a vento abbandonato sul poggio di Montelusa, le quali tutt’a un tratto s’erano messe a girare da sé; per cui ormai era inteso da tutti come don Ciccino Cirinciò “quello del mulino”.

[Questo è moltoooo divertente! Si può facilmente immaginare questa scena in un film: un uomo, con il suo cane, intento a caccia di uccelli, cammina furtivamente verso un mulino a vento abbandonato. L’uomo concentra sulla preda — c’è un elemento di tensione nella scena — solo per essere catturato da una delle alacce del mulino a vento! L’uomo è rovesciato, sollevato in aria e poi scagliato a terra. La sua gamba è danneggiata e di conseguenza lui è zoppo… dunque la gamba diventa un ricordo costante d’un momento della sua vita intensamente imbarazzante.]

La spiegazione non è chiaro in un primo momento, ma le sfortune di don Cirinciò diventano un bersaglio dei maldicenti ei pettegolezzi.

…sciagure che avrebbe fatto meglio a portare in pubblico con dignità meno funebre, perché non spiccasse agli occhi di tutti i maldicenti del paese quel sigillo particolare di scherno con cui la sorte buffona pareva si fosse spassata a bollargliele

Infatti una parte della spiegazione potrebb’essere che i dettagli delle tragedie non siano stati pienamente compresi, e questa mancanza di conoscenza abbia creato un senso di mistero che, a sua volta, abbia stimolato la speculazione, il pettegolezzo e la calunnia.

Inoltre il modo in cui don Cirinciò risponde alle provocazioni dei maldicenti può anche spiegare ‘il bersaglio’: don Cirinciò ha reagito alle morte di sua moglie ei neonati con tristezza (appropriata) e alla perdita della zolfara con rassegnazione. Ma si arrabbiava troppo ogni volta che è venuto in mente l’incidente di caccia.

Cosa strana: se da qualche malcreato sentiva fare allusione a quel parto della moglie o a quella virgola nel contratto d’affitto, sorrideva triste o scrollava le spalle; ma nel sentirsi chiamare quello del mulino usciva dai gangheri, minacciava col bastone e urlava che il suo era un paese di carognoni imbecilli.

(In questo modo la capacità d’incitare questa rabbia sembra funzionare come ‘un premio’ per i maldicenti?)

La giustapposizione delle tragedie e le reazioni di don Cirinciò fa un po’ di confusione per il lettore, chi può facilmente immaginare che o la perdita della sua famiglia o la perdita del suo mezzo di sussistenza sarebbe di primaria importanza. Invece, l’incidente di caccia sembra essere più preoccupante.

Il Pirandello non spiega perché l’incidente di caccia è più potente rispetto alle altre due tragedie… semplicemente è. E, come tale, (secondo me) l’incidente di caccia funziona come ‘il motore’ della narrazione della novella, cioè, diventerà, a tutti gli effetti, il protagonista della novella.

Impariamo che don Cirinciò una volta era un uomo fiero, dignitoso, adeguato, assertivo e potente… cioè, un uomo di principe e con la capacità d’esprimere la sua gratitudine (es.) la sua gratitudine per il supporto che don Francesco Laleva, il padre del candidato, gli ha mostrato durante la litigazione della zolfara.

Ora questi carognoni imbecilli ecco che si maravigliavano del suo intervento alla riunione elettorale. Ma ci voleva tanto i pensare ch’egli doveva – prima di tutto – gratitudine eterna al vecchio avvocato don Francesco Laleva, padre del candidato d’oggi, l’unico tra tutti gli avvocati del foro che lo avesse ajutato e difeso nell’occasione delle liti per la zolfara? Queste liti, è vero, le aveva perdute; l’ajuto, perciò, se vogliamo, era stato vano; ma che per questo? L’obbligo della gratitudine non restava forse per lui stesso, sacrosanto? E poi – a parte la gratitudine – ci voleva tanto forse a crederlo capace di un sentimento, che doveva in quell’ora esser comune a tutti i galantuomini, disgraziati e non disgraziati? Perdio, il sentimento della dignità del proprio paese! Era, sí o no, un cittadino anche lui? Le disgrazie, va bene; ma, come cittadino, non poteva essere forse indignato anche lui delle spudorate vergogne che il vecchio deputato uscente commetteva da venti anni impunemente? Non parlava; non aveva mai parlato, perché – le parole – vento! Ma ora ch’era venuto il tempo d’agire, sissignori; eccolo qua; si presentava da sé, non invitato, per mettersi a disposizione del figlio del suo antico e unico benefattore.

Se questo era don Cirinciò prima, l’uomo d’oggi sembra essere molto diminuito. La sua personalità è in ritirata… ha meno energia, non è capace di difendersi dalle calunnie e la derisione degli altri. Si potrebbe dire che l’effetto cumulativo delle tragedie ha causato la sua personalità di occupare ‘uno spazio molto più piccolo’.

Un altro modo per spiegare quest’idea è che la tristezza e la perdita e l’imbarazzo hanno costretto la sua personalità ad essere nascosta alla vista. In altre parole, queste emozioni hanno creato una maschera attraverso la quale don Cirinciò vede il mondo che lo circonda (e anche attraverso la quale gli altri lo vedono).

Gli uomini invitati alla riunione non riescono a capire perché don Cirinciò è venuto. Sicuramente non è venuto per il suo rispetto per don Laleva! Quindi domandano loro: quale potrebbe essere il suo motivo?

I radunati stettero un pezzo a mirarlo a bocca aperta; qualcuno si toccò con un dito la fronte, come per dire: “Eh, che volete? Gli s’è voltato il cervello, poveretto!”. Perché sapevano tutti che non era vero che dovesse poi tanta gratitudine al padre del Laleva, il quale non lo aveva né ajutato né difeso; ma solo dissuaso dal mettersi in lite per quella zolfara maledetta. Se non che, a forza di ragionare tra sé e sé le sue disgrazie, chi sa, povero Cirinciò, com’era arrivato adesso a rappresentarsi uomini e cose, tutti gli avvenimenti della sua vita; e quali parti in questi lontani avvenimenti della sua vita attribuiva a presunti amici, a presunti nemici! E chi sa da che strambe ragioni era stato perciò indotto a presentarsi ora lí non invitato; e che cosa, nei misteriosi arzigogoli, nelle segrete previsioni del suo spirito conturbato, doveva rappresentare per lui questa sua partecipazione alla lotta politica in favore del figlio di don Francesco Laleva; che beneficii sbardellati se ne riprometteva, che tremendi pericoli e responsabilità si immaginava di dovere affrontare… Ma sí, quegli occhi che lampeggiavano sotto la fronte aggrottata; quelle pugna serrate su i ginocchi… Povero don Ciccino!

Beh… gli uomini invitati hanno sbagliato. Veniamo a sapere che infatti don Cirinciò è stato invitato alla riunione e che è venuto preciamente a causa d’un senso di gratitudine.

Alla fine don Cirinciò è riuscito a verificare che la sua presenza alla riunione era giustificato e accolto.

Cirinciò, invece, guardava cosí, perché non riusciva a spiegarsi il perché di tutta quella meraviglia per la sua venuta.

Vedendosi osservato, spiato da lontano con quell’aria di costernazione perplessa e afflitta, cominciò a entrare in sospetto, che non lo volessero lí. Aveva forse capito male l’invito del Comitato elettorale?

A un certo punto, non potendone piú, s’alzò sdegnoso, e, zoppicando, s’accostò a domandarlo al Laleva:

– Scusate, debbo rimanere o me ne debbo andare? Ho forse fatto male a venire?

– Ma no! Perché, caro don Ciccino? – s’affrettò a rispondergli il Laleva. – Siamo tutti felicissimi, e io particolarmente, della sua venuta! Ma si figuri! Segga, segga. L’ho per un onore; e ne ho tanto piacere!

– E allora? – domandò a sé stesso Cirinciò, tornando a sedere. – Perché tutti mi guardano cosí?

Che ci fosse in lui qualche cosa ch’egli non vedeva e che gli altri vedevano? Perché in quel momento gli pareva proprio che potesse, come tutti gli altri, occuparsi delle elezioni, e che non ci fosse, in questo, nulla di straordinario.

Poi la riunione inizia, ed abbastanza presto la discussione concentra sugli aspetti tecnici della campagna politica. Inizialmente don Cirinciò ascolta in silenzio e poi parla…

Tanto che a un certo punto, dimenticandosi del dubbio che lo aveva finora tenuto ingrugnato e sospettoso, non poté piú trattenersi; s’alzò, prese la parola e in breve, con chiarezza e semplicità, espresse il suo concetto, come a lui pareva che si dovesse fare.

E, alla sorpresa di tutti, parla in modo molto chiaro e potente!

Fu nella sala uno sbalordimento generale; perché proprio nessuno riusciva a capacitarsi come mai don Ciccino Cirinciò potesse vedere cosí chiaro e giusto. Eppure, sí, era proprio quella la mossa da tentare; si doveva far proprio come diceva lui.

Tre, quattro volte, durante la lunga discussione, si rinnovò quello sbalordimento per il retto giudizio e la giustezza dei consigli e la finezza degli espedienti da lui suggeriti. Non pareva vero! Signori miei, don Ciccino Cirinciò… Ma parlava benissimo! Chi l’avrebbe creduto? Un oratore… Ma bravo! Ma bene! Viva Cirinciò!

Le idee di don Cirinciò sono immediatamente adottate… e poi i suoi collegati gli hanno dato un compito difficile: quello di condurre la campagna politica “nel comune di Borgetto, che si riteneva la cittadella inespugnabile del partito avversario”.

Don Cirinciò tenta di eseguire via l’assegnazione, spiegando che non conosce nessuno nel comune (quindi sarà improbabile che avrà molta influenza). Tuttavia i suoi collegati insistono che lui guida la campagna nel comune e alla fine don Cirinciò accetta.

È importante intendere, credo, che l’anonimia gli permetta di scartare la sua maschera. Ora, a Borghetto, don Cirinciò non abbia una storia: possa mettere da parte la sua tristezza, perdita, ed imbarazzo ed essere semplicemente la versione precedente di se stesso. La sua maschera, in altre parole, venga tolta, dimenticata.

Vi fece miracoli, a detta di tutti, nei quindici giorni che precedettero l’elezione politica. Veri miracoli, se in due settimane riuscí a cambiare la posizione del Laleva in quel comune da cosí a cosí.

Don Cirinciò sembra essere un uomo nuovo (rinnovato), con energia incredibile, messa a fuoco, e scopo…

Fu per il bisogno di raggiungere e toccare una realtà qualunque nel vuoto strano, in cui quell’avventura impensata lo aveva cosí d’improvviso gettato? Vuoto arioso e lieve, nel quale tutti gli aspetti nuovi, d’uomini e di cose gli apparivano come in una luce di sogno, nella freschezza di quell’azzurro di marzo corso da allegre nuvole luminose? O fu per il prorompere di tante energie ancor vive e ignorate, da anni e anni compresse in lui, soffocate dall’incubo delle sciagure? Energie giovanili, intatte, che lo avrebbero portato chi sa dove, chi sa a quali imprese, a quali vittorie, se la sua vita non si fosse chiusa come s’era chiusa nel lutto di quelle sciagure?Il fatto è che operò miracoli in quel paesello dove nessuno lo conosceva. E certo perché nessuno lo conosceva.

È anche un uomo liberato!

Tutto fuori di sé, là, in preda a quelle energie insospettate e scatenate d’un subito in lui, affrontò imperterrito gli avversarii, li forzò a discutere e a riconoscere prima gli errori e l’insipienza, poi la vergogna del loro vecchio deputato; e non si diede un momento di requie: ora qua a scrollare i titubanti; ora là a sventare un’insidia, a presiedere un comizio, a sfidare al contraddittorio anche lo stesso deputato uscente, o chi per lui: tutto quanto il paese!

Lui offre facilmente i suoi numerosi capacità, pensieri e soluzioni… che sembrano venire fuori (senza sforzo!) da uno spazio precedentemente nascosto.

Cose che non avrebbe mai supposto non che di poter dire, ma neppure di pensare lontanamente, gli venivano alle labbra, spontanee, con un’abbondanza e facilità di parola, un’efficacia d’espressioni, che ne restava lui stesso come abbagliato. Pareva che una vena nuova di vita gli fosse rampollata dentro, e si fosse messa a scorrere in lui con urgenza impetuosa. Coglieva a volo tutto, comprendeva tutto a un minimo cenno; e ogni cosa, dentro, pur restandogli nuova e fresca, gli diventava subito nota e propria; se n’impadroniva con quelle forze vergini, che non avevano potuto aver mai uno sfogo in lui, e che ora lo rendevano alacre e sicuro della vittoria, come un giovane, tra la frenesia che già aveva preso a bollire in tutti coloro che gli si facevano attorno sempre in maggior numero, e che a stento riuscivano a tenergli dietro in quella tumultuosa agitazione.

Don Cirinciò non è ancora ossessionato con la gamba danneggiata (che zoppo?)… nessun ostacolo è troppo grande!

Non pensò piú neanche d’aver una gamba zoppicante. Non gli faceva piú male. Gli anni? Sessantadue, sí… Ma che voleva dire? Avanti! Era come se cominciasse ora la vita. Avanti! Avanti! Qua, per il momento, c’era da correre a minacciare a quel signor assessore la denunzia delle cento schede trattenute ai soci del circolo operajo, poi a documentare il tentativo di corruzione del signor sindaco: il pagamento di cinquanta voti a dieci lire l’uno. Come documentarlo? Ma con le testimonianze, perdio! S’incaricava lui di far confessare quei contadini alla presenza d’un notajo, lui, lui… Avanti!

Alla fine è vinta l’elezione, in grande parte a causa degli sforzi di don Cirinciò. Ci sarà una festa e don Cirinciò sarà onorato per i suoi contributi. Dovrebb’essere una serata di trionfo, ma, purtroppo, questo non sarà il caso. (Alla fine del paragrafo c’è un avvertimento della cosa a venire.)

Arrivò cosí al giorno della vittoria che pareva un altro, ricreato in quell’aura di popolarità, tra gente nuova, in un paese nuovo, preso d’assalto, messo sottosopra e conquistato in pochi giorni. E, la sera della proclamazione del nuovo eletto, si presentò raggiante nella vasta sala del Circolo dei “civili” dove era imbandita una splendida mensa in suo onore; per quanto già gli apparissero evidenti i segni della stanchezza nella vecchia maschera dimenticata.

Impariamo che alla celebrazione, c’è un piccolo uomo (descritto in termini poco lusinghieri) che sembra seguire ovunque don Cirinciò.

Circolava intanto in quella sala, nell’attesa che i posti fossero assegnati nella mensa, un certo squallido ometto scontorto, dal cranio d’avorio, luccicante sotto i lumi. Quasi a nascondersi, teneva il capo insaccato nelle spallucce ossute, ma cacciava in tutti i crocchi la punta della barbetta arguta, gialliccia, come scolorita, e figgeva in faccia a questo e a quello gli occhietti lustri, acuti come due spilli, che gli spiccavano maligni nel cereo pallore del viso. Si fermava un momento a ripetere una domanda insistente alla quale era chiaro che non riceveva una risposta che lo soddisfacesse; negava col dito, scrollava le spalle come se esclamasse: “Ma che! Ma che! Impossibile!”, o stirava il volto sporgendo il labbro inferiore, come uno che non riesca a capacitarsi, e s’allontanava rivoltandosi a guardare di sfuggita e di sbieco, con quegli occhietti puntuti, Cirinciò.

Don Cirinciò nota l’uomo ma non lo riconosce.

Pur tra il fervore entusiastico dell’accoglienza, si sentí ferire fin da principio da quegli occhietti. Cercò di sfuggirli, rituffandosi in mezzo alla confusione della festa. Ma di qua, di là, da vicino, da lontano, donde meno se l’aspettava, si sentiva pungere dalla fissità quasi spasimosa di quegli occhietti persecutori; e, appena punto, raggelare, sconcertare, rimescolar tutto da un sentimento oscuro che, facendogli impeto rabbiosamente, gli occupava come di una tenebra di vertigine il cervello. Si ripigliava; ma avvertiva internamente che non gli era piú possibile ormai tenersi fermo, ché tutto, dentro, gli vagellava, non tanto per la persecuzione di quegli occhietti, di cui in fine non aveva nulla da temere, quanto perché… perché non lo sapeva bene lui stesso.

Alla fine don Cirinciò diventa esasperato.

E allora Cirinciò cadde in preda a una cosí cupa esasperazione, che di fuori ebbe lo strano effetto di farlo apparire quasi cangiato all’improvviso.

E poi arriva il momento della verità: il piccolo uomo chiede sull’identità di don Cirinciò.

Si riebbe un momento allorché tutti lo presero e lo portarono in trionfo a sedere a capo tavola; ma, cessata l’agitazione della cerca dei posti, appena tutti si furono accomodati, Cirinciò, volgendo lo sguardo in giro, ricadde piú intronato che mai e nell’intronamento si fissò, come impietrato, vedendosi vicinissimo, a quattro posti di distanza, quell’ometto che seguitava a fissarlo, e ora – ecco – allungava il collo verso di lui, con l’indice teso come un’arma presso uno di quegli occhietti diabolici, quasi a prender la mira, e gli domandava:

– Ma scusate, non siete don Ciccino Cirinciò, voi?

Quasi immediatamente, don Cirinciò diventa un’altra persona, cioè, la persona che abbiamo incontrato all’inizio della novella, cioè, l’uomo del mulino a vento. La maschera è al suo posto ancora una volta. Invece d’essere una persona creativa, dignitosa, fiera e decisa, don Cirinciò si ritira dietro la maschera. È come se il suo imbarazzo abbia dominato tutti gli altri aspetti della sua personalità — questa emozione sembra essere abbastanza potente per definire chi sia… in questo momento l’imbarazzo sia la chiave della sua identità.

Gli altri alla celebrazione lo riconoscono.

Non era sul nome la domanda. Non potevano capirlo gli altri; ma lui, sí, Cirinciò lo intese benissimo.

Che quegli fosse don Ciccino Cirinciò, glielo dovevano aver detto e ripetuto tutti cento volte, a quell’ometto. Ma appunto di questo non riusciva a capacitarsi quell’ometto: che cioè don Ciccino Cirinciò ch’egli tempo addietro aveva conosciuto, fosse questo che ora gli stava davanti… Questo? Possibile!

– Quello del mulino?

Sí, sí, quello del mulino… Aveva ragione! Non era credibile!

Non era credibile, non appariva piú credibile neanche a lui stesso, che quello del mulino, lui, proprio lui, potesse trovarsi lí, in mezzo a quella festa, e che avesse potuto fare tutto quel che aveva fatto, senza saperne piú il perché.

In questo momento don Cirinciò ritorna ad un uomo malapena vivo…

Che importava a lui, infatti, ora che con gli occhi di quell’ometto si vedeva rientrare in sé medesimo con tutte le sue sciagure e la sua miseria, che importava piú a lui della vittoria del Laleva? Delle vergogne del deputato sconfitto?

Incredibilmente, avviene una fisica trasformazione tagliente.

Tutti i convitati, nel vederlo cosí d’un subito appassire, credettero in prima che fosse effetto di momentanea stanchezza, e cercarono di ravvivarlo con incitamenti e congratulazioni; ma si sentirono rispondere e agghiacciare con certi scemi e strascicati: “Già… già…” che rivelarono assente, lontano mille miglia dalla festa, lo spirito di lui.

E quando, il giorno appresso, Cirinciò se ne partí da Borgetto, ingrugnato, funebre, rispondendo a mala pena ai saluti, tutti restarono a guardarsi tra loro, non sapendo comprendere la ragione di un mutamento cosí improvviso, e parecchi avanzarono il sospetto che fosse un imbroglione, un miserabile impostore venuto a mistificarli.

 

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