Riassunto: La veglia

La Veglia (L. Pirandello) è un’opera d’arte che esplora — con fantasia e con forza — le emozioni degli altri quando muore una persona cara  (oppure sta per morire).

La novella è suddivisa in tre capitoli: il primo di questi stabilisce la trama della novella e introduce quasi tutti i personaggi; il secondo stabilisce la condizione grave di Fulvia, una donna che ha tentato d’uccidersi e sta morendo dalla ferita; il terzo termina con la morte della povera Fulvia.

Mentre la storia progredisce, gli atteggiamenti e stati emotivi di due uomini che amano Fulvia sono descritti in dettaglio provacatorio.

***

Sta morendo una donna (cioè, Fulvia, che immagino d’essere nella sua quarantina-cinquantina). Lei ha cercato d’uccidersi nell’addome. Il tentativo è stato ~4 giorni prima; può essere vero che Fulvia fosse sola per qualche giorno dopo il tentativo e poi lei abbia scoperto dal suo amante, Marco Mauri, poco prima dell’inizio della novella.

Fulvia sembra essere una buona persona, cioè, qualcuna benevola, pacata, timida, premurosa, gentile, facile andare. Lei non sembra avere la forza di carattere di dettare (o controllare) i termini del suo destino. Lei è anche una persona che ‘accetta’ — non esprime mai la rabbia, o un desiderio di vendetta, dopo che ha subito un torto/tradito. A questo proposito il suo motto nella vita sembrerebb’essere, “Volta l’altra guancia” (questo, vale a dire, è quello che il Gesù ci ha istruito di fare).

(Come abbiamo visto in precedenza, (es.) la novella Va bene, nel mondo del Pirandello, le forze di una società moderna hanno spesso distrutto una persona con la personalità e il carattere di Fulvia. Pertanto il messaggio del Pirandello sembra essere che una persona come Fulvia sia disadattata alla società moderna. Certo l’ironia del questo punto di vista sia che la vita d’un essere umano che segue gli insegnamenti di Gesù assomiglierà letteralmente l’Inferno.)

Apprendiamo che la ferita di Fulvia è stata infettata; di conseguenza, ora, lei è settica e morirà sicuramente. Poi siamo introdotti ai tre uomini che vegliaranno su di lei: primo, Marco Mauri, il suo amante, che ha lasciato sua moglie ei suoi figli per stare con Fulvia; secondo, don Camillo Righi, un prete; terzo, Silvio Gelli, un medico illustre e il marito di Fulvia (potrebb’essere vero che Silvio e Fulvia si siano separati 13 anni fa, poco dopo Fulvia ha dato alla luce una figlia, Livia, che non ha mai incontrato la madre e che non ha capito mai la vera storia della separazione dei suoi genitori — era Fulvia che ha abbandonato la famiglia).

Una volta che è chiaro che Fulvia morirà, Marco Mauri diventa completamente sopraffatto dall’emozione.

Marco Mauri, nel bujo della scala avvivato appena da l’incerto barlume che s’insinuava dal corridojo dove aveva lasciato la candela accesa, domandò a un signore che s’affrettava a salire:

– Il medico? Venga, muore!

Quegli si arrestò un istante, come per discernere chi l’investiva con quella domanda e con quell’annunzio:

– Muore?

Il Mauri, singhiozzando e gestendo, senza poter rispondere, si mise a risalire a balzi la scala, poi tolse da terra la candela, attraversò il corridojo, infilò per primo l’uscio in fondo.

– Qua, – disse, – in quest’altra camera!

Si dice che Marco Mauri è pazzo (farnetica):

– Ce ne staremo qua, – poi disse, – tutti e due insieme, buoni buoni, a vegliarla fino all’ultimo… Come due coccodrilli… Poi la accompagneremo fino alla fossa, e quindi ciascuno riprenderà la sua via… Lei, la riprenderà: lei ha una casa, una gioja… la figliuola ignara. I-gna-ra – beata lei!

Agli altri, il Mauri è un costante irritazione: deve parlare, non può smettere di parlare e parla senza un filtro. Come tale, lui funziona come una sorta di narratore, spiegando al lettore i dettagli della vita di Fulvia.

Ad esempio, Marco Mauri è arrabbiato perché il Righi ha suggerito che lui è responsabile per il suicidio… invece il Mauri suggerisce che il rapporto tra il Righi e la Fulvia era o predatorio o negativo in qualche modo.

Don Camillo Righi toccò pian piano il braccio al Gelli e indicò la camera della moribonda, che forse si era scossa dal letargo.

– Ma no, scusate… – gli disse il Gelli, con un sorriso sforzato, tremante su le labbra. – Intenderete bene che io non m’aspettavo…

– Ha ragione, ha ragione; ma la prego di compatire: costui è pazzo… – si lasciò scappare il Righi.

– Pazzo… pazzo… – nicchiò allora il Mauri. – Sí, per disperazione forse, sí… per rimorso! Ma perché non gli hai tu scritto, prete, che Flora s’è uccisa per me?

– Flora? – domandò il Gelli, senza volerlo.

– Fulvia, Fulvia, lo so! – si corresse subito il Mauri. – Ma s’è fatta chiamar Flora, dopo. Lei non lo sa, e io so tutto: la sua vita d’ora e quella di prima: tutto; e so anche perché lei è venuto qua.

– Ah, bene! – esclamò il Gelli. – Io, invece, comincio a non saperlo piú.

– Glielo dico io! – ribatté il Mauri. – Senta: sono su l’orlo d’un abisso, sia ch’ella viva, sia che muoja; posso dunque parlare come voglio, senza piú riguardo a nulla né a nessuno.

– Signor professore, scusi… – si provò a suggerire di nuovo il Righi, tra le spine.

– Ma no, ma no: lo lasci dire… – gli rispose il Gelli.

– Siamo davanti alla morte! – esclamò il Mauri. – Non c’è piú gelosia. Né lei, del resto, può aver ragione di adontarsi di me. Flora, quand’io la conobbi, era sulla strada. Dunque? Ha fatto male codesto prete a non scriverle che si è uccisa per me.

– Ma io, – si scusò il Righi, tirato di nuovo in ballo, – io ho obbedito al mio sacro ministero, e basta.

– Buffonate! – tornò a sghignare il Mauri. – Volete sul serio rappresentare la commedia del perdono, adesso? Bene: vada là, dunque, lei; vada ad accordarle il perdono e se ne torni dond’è venuto, là, là, a Como, nell’amena sua villa di Cavallasca, con l’amor proprio contento, con la bella soddisfazione della propria generosità! Ma vi par questo il luogo e l’ora di rappresentar commedie? Glielo dica lei, francamente, a codesto prete, che cosa l’ha spinto a venir qua. Il rimorso, prete, il rimorso! Perché lui, lui, ridusse quella disgraziata alla disperazione, tant’anni fa! È vero? Lo dica. Finiamola. Là c’è una donna che muore assassinata. Finiamola! Ora lei s’è fatto un uomo virtuoso, uno scienziato illustre… Sfido! S’è tenuta con sé la figliuola!

– Vi proibisco… – gridò il Gelli, fremendo in tutto il corpo e contenendosi a stento.

– E che dico io? – riprese umile il Mauri. – Dico che quell’anima innocente ha avuto il potere di farla rinsavire non è vero? Ma pensi intanto, che neppure quella donna sarebbe là, se lei non si fosse tenuta la figliuola.

(Mi chiedo se il Righi abbia servito come un consigliere alla Fulvia? (cioè, come una persona che abbia offerto i giudizi e la consulenza aspri e implacabili, in un tentativo di portare Fulvia di nuovo ad uno ‘stato di grazia’)

Alla fine Marco Mauri descrive il suo rapporto con la Fulvia… cioè,

– Come si sono conosciuti:

Il Gelli stette un pezzo a osservarlo, poi gli domandò con voce cupa:

– Dove l’avete conosciuta?

– Io? Flora? A Perugia, – s’affrettò a rispondergli il Mauri, scotendosi. – Un mese appena dopo il mio trasferimento colà, nel gabinetto d’un mio collega, giudice istruttore.

– Era arrestata?

– Nossignore. Era venuta per deporre. Stava anche lei a Perugia da poco piú d’un mese.

– Sola? Come?

– Mal’accompagnata. Con uno che… aspetti!… un certo Gamba, sissignore, che si spacciava per artista… per pittore: era invece un miserabile applicatore mosaicista, della Fabbrica di… di Murano, credo: mandato per restaurare un mosaico di non so piú qual chiesa di Perugia. Ciò… ciò… ciò… Un mascalzone, che s’ubriacava tutti i santi giorni, e… e la picchiava. Fu trovato morto, una notte, su la strada, con la testa spaccata.

– Il suo matrimonio infelice:

Che bisogno ne aveva? non mi ama, non mi ha mai amato; non sa proprio che farsi di me. Se li è cresciuti lei, là in campagna a modo suo; e non hanno mai avuto per me né rispetto né considerazione. Mi chiamano Pretore; anzi Preto’, come la loro madre, si figuri! “È in casa il Preto’? No, è alla Pretura il Preto’…” Ah, Lei non sa, signore, che cosa voglia dire capitare a venticinque anni in un paesettaccio, e marcirvi per quattro, cinque, dieci eterni anni… pretore! Se Le dicessi che io sposai per avere in casa un pianoforte? Perché musica io ho studiato; non ho mai studiato legge… E ho sposato una donna piú vecchia di me, che aveva case e campagne… e che… Ma se si diventa bruti! Dopo quattro o cinque anni, assediati dalle miserie, dalle bassezze umane, non ci resta piú addosso neppur una di quelle finzioni con cui la società ci mascherava e scopriamo allora che l’uomo è porco, per diritto di natura. Scusi, sa! noi, questo diritto, ce lo siamo negato, perché la società ci ha mandato a scuola, da piccini, e ci ha insegnato l’educazione, per farci soffrire e non farci ingrassare; ma che c’entra? L’uomo bisogna vederlo là, nel suo ambiente naturale, come l’ho veduto io, tant’anni. Che uomini siamo noi? Lei mi compatisce e io la rispetto… Che bella cosa!

– Il suo amore per Fulvia:

– Nossignore! M’insulti, mi bastoni; ma mi lasci star qui! – proruppe, con un orribile schianto nella voce, il Mauri. – Che le faccio io? che ombra posso piú darle? Me ne starò qua, in questa camera… per carità! Mi lasci piangere. Lei non può piangerla, signore. La lasci piangere a me: perché quella infelice non ha bisogno, creda, d’essere perdonata; ma d’esser pianta! Lei, mi perdoni, avrebbe dovuto ammazzare come un cane colui che prima gliela tolse e poi ebbe cuore d’abbandonarla; non deve scacciar me che l’ho raccolta, che l’ho adorata e che per lei ho spezzato anche la mia vita. Per lei, io, Marco Mauri, sappia che ho abbandonato la mia famiglia, mia moglie, i miei figli!

– Il modo in cui lui ha mentito alla Fulvia:

– Sissignore! E io m’accuso, io! Io sono qua con lo strazio d’un doppio delitto, infatti. Perché l’ho ingannata io, questa donna. Sissignore: le ho detto ch’ero scapolo, che non avevo nessuno. Le ho detto la verità a modo mio. Quella che era verità per me.

– E, infine… quello che è l’evento che ha indotto il tentativo di suicidio. Apprendiamo che la moglie di Mauri era arrabbiata e vendicativa dopo lui ha abbandonato la famiglia. Ad esempio, la moglie ha tentato di trasformare/svegliare i bambini contro di lui,

I miei figli, invece, sanno tutto. Ha svelato loro tutto la madre, per istintiva crudeltà.

…e dopo questo lei è andata a trovare Fulvia a spiegare come gliel’aveva ingannata.

Mia moglie invece, capisce? è andata a trovarla… lí, a Perugia, e le ha detto… che le avrà detto? Io non so! So che lei, lusingandosi di ridar la pace a una famiglia, se n’è venuta qua, per tôrsi di mezzo… Ora come vuole ch’io me ne vada? Lei, la martire, m’ha perdonato. Ma a me non può bastare il suo perdono. Bisogna che io me ne stia a piangere, qua, finch’ella è in vita, e poi… poi, non so! Senta: mi vuol dare ascolto? Si levi la maschera, lei che è venuto a perdonare, e vada a buttarsi in ginocchio davanti a quel letto, a farsi piuttosto perdonare lei, e dica a quella povera donna che è una santa, le dica che è la vittima di tutti noi, le dica che gli uomini sono vigliacchi: non si disonorano mai, gli uomini! Solo se rubano un po’ di danaro, perché, se poi rubano l’onore a una donna, è niente! se ne vantano! Guardi, guardi come dovremmo fare, noi uomini…

Così, l’inganno del Mauri potrebb’essere capito come “La goccia che fa traboccare il vaso”, nel senso che ha indotto Fulvia di suicidarsi. Se questo è vero, poi il pazzesco comportamento di Mauri possa essere spiegato dal fatto che lui si sente responsabile per la disperazione e la morte di Fulvia.

***

Forse il personaggio più interessante e complesso della novella è Silvio Gelli. Esteriormente lui è un uomo elegante, riservato e sicuro, cioè, nel fiore dell’età sua vita.

Il nuovo arrivato lo seguí ansioso, guardingo, come se dalle cose che balzavan dall’ombra al lume fuggente della candela che quegli teneva in mano, volesse prima indovinare dove fosse venuto a cacciarsi. Su la soglia della seconda camera si arrestò, ansante.

Era un uomo di circa cinquant’anni, alto di statura, dall’aria rabbuffata; portava occhiali a staffa, cerchiati d’oro; non aveva né barba né baffi; quasi calva la sommità del capo ma ciocche di capelli biondi gli scendevano scompostamente su la fronte e su le tempie. Se le rialzò; e si tenne un tratto le mani sul capo.

Apprendiamo che Silvio Gelli è stato portato a credere che Fulvia già era morta, e, naturalmente, è sbalordito quando ha scoperto che lei è ancora viva.

Un altro medico, il dottor Balla, arriva (sulla richiesta di Marco Mauri) alla fine del primo capitolo. Nel secondo capitolo, entrambi i medici entrano la stanza di Fulvia per la prima volta. Questo è il primo incontro tra Sivio Gelli e la Fulvia in molti anni.

Con un sorriso nervoso, involontario, che esprimeva lo sforzo atroce che faceva su sé stesso per dominare il fermento degli opposti sentimenti: odio, nausea, pietà, ira, dispetto, Silvio Gelli si chinò su lei:

– Fulvia, eh… vedi? eccomi qua… Tu m’hai fatto chiamare, è vero? Son venuto.

Prestissimo, Silvio Gelli esprime un senso del rimorso, del rimpianto, dell’indegnità.

– Opera di vera misericordia! – sospirò di nuovo, dall’altra sponda del letto, don Camillo Righi, per ajutarlo.

Ma il Gelli non gliene fu grato:

– No! Nient’affatto! – negò anzi, con ira. – Son venuto, debbo dirlo, per riconoscere il danno… il danno degli antichi miei torti, debbo dirlo. Non mi aspettavo, è vero… di… di sentirmelo dire da altri, ecco!

Poi dottor Balla prepara ad esaminare la ferita, ma Fulvia resiste: vuole che Silvio Gelli esaminarla (eh, Fulvia… ‘stravolge il coltello’ qui?) ma il Gelli è mal preparato per fare questo.

Il dottor Balla chiuse l’uscio della camera, poi s’accostò al letto, per scoprire la giacente. Ma questa, come impaurita, fissando il marito, trattenne con una mano la coperta, e disse:

– Tu?

– Come? – domandò il Balla, sorpreso, e si volse a guardare il Gelli.

Gli vide il volto contratto, come per un fitto spasimo improvviso, o per vivo ribrezzo.

– Non vuoi? – le domandò il Gelli, chinandosi un’altra volta su lei. – Non debbo? È vero, sí… io non sono venuto qua come medico… e forse…

Si alzò, guardò il medico e aggiunse:

– Mi assumerei una tremenda responsabilità…

Dottor Balla afferma chiaramente che la ferita è troppo avanzata per un intervento chirurgico. Silvio Gelli gli chiede di provare.

– Sono già tre giorni e una notte, – disse il Balla, interpretando a suo modo la perplessità del marito. – Ed è evidente che il processo di infiammazione è molto inoltrato… Tentare ora, dice lei? Eh già, una tremenda responsabilità… Ma d’altra parte…

– Sí, d’altra parte, bisognerà pure tentare, – soggiunse il Gelli.

(Qui il Gelli comporta più come una persona cara invece di un medico… irrazionalmente, chiede dottor Balla di fare quello che è impossibile allo scopo di salvare una persona cara.)

La ferita è esposta e dottor Balla afferma ancora una volta che un intervento chirurgico sarebbe impossibile. Silvio Gelli insiste ancora una volta che qualcosa dev’essere fatto. Poi il Gelli afferma che eseguirerà l’intervento il giorno successivo. Poi rassicura Fulvia che lei sopravviverà.

Rifasciata e ricoperta, Fulvia schiuse gli occhi, guardò il marito e domandò con un filo di voce:

– Muojo?

– No, – rispose egli, posandole una mano su la fronte. – Sta’ tranquilla, sta’ tranquilla. A domani, dottore. Farò io. Prepari tutto.

Il Balla lo guardò perplesso, se intendere come una pietosa bugia quel proponimento e quell’ordinazione.

– Gli strumenti dell’ospedale? – domandò.

– Sí, – rispose il Gelli. – Tutto.

– E… e farò venire anche, – aggiunse il Balla, cercando gli occhi di lui per fargli un cenno d’intelligenza, – anche la nostra infermiera, che è il braccio destro del collega Nardoni, eh?

– Nardoni? No, non c’è bisogno di lui.

– No, scusi… dico l’infermiera, Aurelia. Sta da circa tredici anni, lí, nel nostro ospedaletto.

– Ah! bene! – sospirò il Gelli, astratto. – Tredici anni? Proprio tredici anni… è vero, Fulvia? Tredici anni…

– Di che? – fece il Balla.

Non capiva. Attese ancora un po’, quindi, seccato, scrollò le spalle e andò via.

A questo punto della storia impariamo di più sul matrimonio di Silvio Gelli e Fulvia.

– Anch’io però, sai, Fulvia? ho sofferto tanto anch’io: non saprei piú dir come… come non mi sarei mai aspettato. Subito, fin dal primo giorno. Compresi tutto; e, nello stesso tempo, non compresi piú nulla… Proprio cosí. La bestialità mia, cinica, senza ragione e senza scopo, o meglio, con questo solo scopo: di dimostrarti che io potevo tutto e tu niente… Facevo… Che facevo? Non mi sono mai divertito! Ma era come una sfida… A urtoni, ma… coi guanti, è vero? ti sospinsi fin quasi all’orlo del precipizio, e ti lasciai lí, esposta, senza riparo, senza difesa, aspettando che la vertigine ti cogliesse. E tu, disperata, col tuo orgoglio, accettasti infine la sfida, ti lasciasti cogliere dalla vertigine, e giú, nel precipizio! Che vuoto! Con la piccina sola, abbandonata… io, inetto… io, indegno… Ho cercato di colmarlo, comunque, da allora, questo vuoto dentro e intorno a me, con le cure per la bambina… coi miei studii… invano! Dentro di me piú profondo… intorno a me, piú vasto, e nero! Ho cercato finanche di soffrire, apposta, per affermare in qualche modo me stesso in questo vuoto… Ma no; niente: non soffro… non soffro per te, non soffro per me; soffro per la vita che è cosí: tu qua ti uccidi… un altro là impazzisce… chi crede di ragionare e non conclude nulla… Vengo qua; dico: Muore; vuole andarsene in pace; va’, va’, accorri… E il mio sentimento s’infrange contro una realtà che non potevo immaginare. Sí: io non debbo perdonare, debbo essere perdonato. Mi perdoni?

Vediamo che dentro di Silvio, agitandosi in modo incontrollabile, ci sono un misto delle emozioni: il rammarico, la rabbia, la frustrazione, l’amore, la tristezza, la perdita, l’imbarazzo, l’indegnità, la tenerezza, la compassione, il rimorso. Questo è un misto potentissime — turbinano caoticamente le emozioni… vanno e vengono, sono impossibili da ignorarle e anche impossibile da capirle, da risolverle, da compartimentarle.

Le emozioni evocano i ricordi dei episodi del passato, e i ricordi dei episodi del passato evocano le emozioni.

Credo che questo sia l’essenza della novella: quando i rapporti tra gli esseri umani dipanano e la comunicazione è scadente, i problemi non saranno mai compresi e non saranno mai risolti. Poi la morte di una dei litiganti possa essere profondamente commovente, sia nel senso positivo (può evocare l’amore) e nel senso negativo (può evocare l’odio, la rabbia, la frustrazione, l’amarezza, la perdita).

Secondo me si tratta di una delle esperienze umane universali, una che è altrettanto vera oggi come nel tempo quando il Pirandello ha scritto la storia!

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