Riassunto: Una voce

Una voce (L. Pirandello) inizia da introducendo il lettore alla marchesa Borgi, che è in grave condizione di salute e che morirà presto. Veniamo a sapere che suo figlio, Silvio, soffre di una condizione di recente insorgenza che ha causato la cecità. Silvio è stato esaminato da una serie dei oftalmologi preminenti, in Italia e altrove, i quali concordano che soffre di una forma rara e incurabile del glaucoma. Nel corso del tempo la marchesa è arrivata ad accettare la diagnosi, ma lei è preoccupata da un’inquietudine per il benessere di Silvio dopo la sua morte. L’ha portata la sua ansia a consultare uno specialista finale, il dottor Giunio Falci.

Pochi giorni prima che morisse, la marchesa Borghi aveva voluto consultare, piú per scrupolo di coscienza che per altro, anche il dottor Giunio Falci, per il proprio figlio Silvio, cieco da circa un anno. Lo aveva fatto visitare dai piú illustri oculisti d’Italia e dell’estero e tutti le avevano detto che era afflitto d’un glaucoma, irrimediabile.

Dottor Falci non è una figura impressionante — si preoccupa poco di saggezza convenzionale, norme sociali e reputazione. Di conseguenza dottor Falci è facilmente e spesso sottovalutato. Dr. Falci sembra comprendere e abbracciare questo fatto, utilizzandolo a volte a vantaggio. Tuttavia dottor Falci non è niente come sembra: infatti è sicuro, competitivo, aggressivo e diretto… possiede un intelletto impressionante, è ovviamente un medico di talento.

Il dottor Giunio Falci aveva vinto da poco, per concorso, il posto di direttore della clinica oftalmica; ma sia per la sua aria stanca e sempre astratta, sia per la figura sgraziata, per quel suo modo di camminare tutto rilassato e dinoccolato, con la grossa testa precocemente calva, buttata indietro, non riusciva a cattivarsi né la simpatia né la confidenza d’alcuno. Egli lo sapeva e pareva ne godesse. Rivolgeva agli scolari, ai clienti domande curiose, penetranti, che aggelavano e sconcertavano; e troppo chiaramente lasciava intendere il concetto che s’era formato della vita, cosí nudo di tutte quelle intime e quasi necessarie ipocrisie, di quelle spontanee, inevitabili illusioni che ciascuno, senza volerlo, si crea e si compone per un bisogno istintivo, quasi di pudor sociale, che la sua compagnia diveniva a lungo andare insopportabile.

Dottor Falci esamina Silvio in modo sistematico e attento, dando poca attenzione alle opinioni degli altri specialisti più prominenti. Conclude che Silvio non ha il glaucoma, invece si trova una prova diretta che Silvio ha sviluppato le cataratte, che sono inusuali nei giovani, ma, più importante, sono curabili. Silvio dovrebbe vedere di nuovo dopo un’intervento chirurgico.

Invitato dalla marchesa Borghi, aveva esaminato a lungo, attentamente, gli occhi del giovine senza prestare ascolto, almeno in apparenza, a tutto ciò che la marchesa intanto gli diceva intorno alla malattia, ai giudizi degli altri medici, alle varie cure tentate. Glaucoma? No. Non aveva creduto di riscontrare in quegli occhi i segni caratteristici di questa malattia, il colore azzurrognolo o verdiccio dell’opacità, ecc. ecc.; gli era parso piuttosto che si trattasse di una rara e strana manifestazione di quel male che comunemente suol chiamarsi cateratta.

Qui il Pirandello può essere divertirsi con il lettore, sottolineando una delle follie di medicina: davvero? è possibile che tutti gli oftalmologi preminenti hanno fatto una diagnosi sbagliata? Era questo perché il primo specialista aveva fatto un errore (forse perché era vecchio e vicino la morte se stesso?) e poi la diagnosi errata è stata ‘inserita nella cartella clinica’ e poi propagata, vale a dire, propagata perché tutto il pensiero critico e di analisi aveva fermato a quel punto, quindi in realtà Silvio non è mai stato veramente riesaminato dagli altri oftalmologi? O forse quello che successo è che dopo la diagnosi errata è stata fatta, nessuno degli altri specialisti ha voluto di non essere d’accordo, cioè, ‘un interesse investito’ (politico) li costrinse ad accettare la diagnosi errata una volta che era stata fatta? Indipendentemente dal motivo, vediamo che un iconoclasta e pensatore indipendente (Dr. Falci) ha avuto bisogno solo a guardare gli occhi di Silvio per rendersi conto che soffriva delle cataratte e non della glaucoma!

Il dottor Falci decide di non rivelare le sue impressioni iniziali, dicendo solo (cioè, prendendo un approccio conservativo) che avrebbe preferito riesaminare Silvio ancora una volta in qualche mese.

Ma non aveva voluto manifestare cosí in prima alla madre il suo dubbio, per non farle nascere di improvviso foss’anche una tenue speranza. Dissimulando il vivissimo interesse che quel caso strano gli destava, le aveva invece manifestato il desiderio di tornare a visitar l’infermo fra qualche mese.

Il dottor Falci infine torna, solo per scoprire che la marchesa Borgi è morta (poco prima del suo arrivo).

Era infatti ritornato; ma, insolitamente, per quella via nuova, sempre deserta, in fondo ai Prati di Castello dove sorgeva il villino della marchesa Borghi, aveva trovato una frotta di curiosi davanti al cancello aperto. La marchesa Borghi era morta d’improvviso, durante la notte.

Il dottor Falci soffre un momento d’indecisione e poi un rimpianto. Si chiede: “E se io avessi rassicurato la marchesa che Silvio sarebbe vedere una volta che le cataratte sono state escisse?” (Lei probabilmente avrebbe potuto morire in pace.) Invece il dottor Falci si rende conto subito che in questo momento il suo obbligo è di Silvio, il suo paziente, la cui vita potrebbe migliorare.

Che fare? Tornarsene indietro? Aveva pensato che, se nella prima visita avesse manifestato il dubbio che il male di quel giovane non fosse, a suo modo di vedere, un vero e proprio glaucoma, forse quella povera madre non sarebbe morta con la disperazione di lasciare il figlio irrimediabilmente cieco. Ebbene, se non gli era piú dato di consolare con questa speranza la madre, non avrebbe potuto almeno cercare con essa un gran conforto al povero superstite, cosí tremendamente colpito da quella nuova, improvvisa sciagura?

Quindi il dottor Falci entra la villa della marchesa; c’è una notevole confusione, agitazione e tristezza, dunque deve aspettare.

Dopo una lunga attesa, fra il trambusto che vi regnava, gli si era presentata una giovine vestita di nero, bionda, dall’aria rigida, anzi severa: la dama di compagnia della defunta marchesa. Il dottor Falci le aveva esposto il perché di quella visita, che sarebbe stata altrimenti importuna.

Alla fine Lydia Venturi, ‘l’assistente’ della marchesa, viene a salutarlo. Presto esprime qualche dubbio circa l’opinione del Falci.

A un certo punto, con una lieve meraviglia che tradiva la diffidenza, quella gli aveva domandato:

– Ma vanno dunque soggetti anche i giovani alla cateratta?

Il dottor Falci risponde ma la visita è rapidamente portato a termine. Silvio è sconvolto e non è disponibile per un riesaminazione. Una promessa è fatta per programmare una terza visita.

Tre mesi passano senza contatto. In primo luogo apprendiamo che la marchesa non era favorevolmente impressionata con il dottor Falci e che quest’opinione è stato portato avanti dalla Venturi, che lo considera un ciarlatano. Inoltre apprendiamo che come il tempo è passato, Silvio è arrivato ad accettare il suo cecità. (A questo punto è chiaro che la Venturi capisce che il dottor Falci crede che Silvio è stato mal diagnosticato e che possa riacquistare la vista se sia trattato adeguatamente. La Venturi ritiene che le sue opinioni sono pericolose nel senso che potrebbero falsamente aumentare le speranze di Silvio.)

Veramente, la prima visita aveva lasciato alla marchesa defunta una pessima impressione del dottore. La signorina Lydia Venturi, rimasta come governante e lettrice del giovane marchese, lo ricordava bene. Per istintivo malanimo contro quell’antipaticissimo dottore non considerava, intanto, se per avventura non sarebbe stata diversa quella impressione della marchesa, ove il Falci fin da principio le avesse fatto sperare non improbabile la guarigione del figlio. Per conto suo, stimò da ciarlatano e peggio la seconda visita, quel venire proprio nel giorno che la marchesa era morta a manifestare un dubbio, ad accendere una speranza di quella sorta. Tanto piú che il giovane marchese pareva ormai rassegnato alla sciagura. Mortagli cosí d’un tratto la madre, oltre al bujo della sua cecità, un altro bujo s’era sentito addensare piú dentro che attorno, terribile, di fronte al quale, è vero, tutti gli uomini sono ciechi. Ma da questo bujo, chi abbia gli occhi sani può almeno distrarsi con la vista delle cose intorno: egli no: cieco per la vita, cieco ora anche per la morte. E in quest’altro bujo, piú freddo e piú tenebroso, sua madre era scomparsa, silenziosamente, lasciandolo solo, in un vuoto orrendo.

Apprendiamo poi l’evoluzione dell’atteggiamento della Venturi verso la marchesa e anche verso Silvio. Inizialmente la Venturi diffidava gli obiettivi e le motivazioni della marchesa.

Lydia, fin dai primi giorni, aveva sospettato che la marchesa Borghi, prendendola al suo servizio, non avrebbe veduto male, nel suo egoismo materno, che il figlio infelice si fosse in qualche modo consolato con lei: se n’era acerbamente offesa e aveva costretto la sua naturale dolcezza a irrigidirsi in un contegno addirittura severo.

Dopo la morte però lega con Silvio… un affetto profondo e genuino si sviluppa tra i due.

Ma dopo la sciagura, quand’egli, tra il pianto disperato, le aveva preso una mano e vi aveva appoggiato il bel volto pallido, gemendo: “Non mi lasci!… non mi lasci!”, s’era sentita vincere dalla compassione, dalla tenerezza, e s’era dedicata a lui, senza piú sospetto.

È la voce della Venturi che sostiene il rapporto e lo porta avanti.

A un tratto – non sapeva bene da chi – una voce d’una dolcezza infinita era venuta a lui, come una luce soavissima. E a questa voce tutta l’anima sua, sperduta in quel vuoto orrendo, s’era aggrappata.

Non era altro che una voce per lui la signorina Lydia. Ma era pur colei che piú di tutti, negli ultimi mesi, era stata vicina a sua madre. E sua madre – egli lo ricordava – parlandogli di lei, gli aveva detto ch’era buona e attenta, di squisite maniere, colta, intelligente; e tale egli ora la sperimentava nelle cure che aveva per lui, nei conforti che gli dava.

Presto, con la timida ma ostinata e accorante curiosità dei ciechi, egli s’era messo a torturarla. Voleva “vederla” nel suo bujo; voleva che la voce di lei diventasse immagine dentro di sé.

C’è un po’ d’inganno qui: Silvio immagina una donna ideale in base alla voce eccezionale della Venturi, ma la Venturi non corrisponde perfettamente all’ideale. Ha scelto di non rivelare questo fatto: il motivo iniziale per l’inganno sembra essere “Qual’è il male in permettendogli immaginare che lei è una grande bellezza?”

Furono dapprima domande vaghe, brevi. Egli volle dirle come se la immaginava, sentendola leggere o parlare.

– Bionda, è vero?

– Sí.

Bionda era; ma i capelli, alquanto ruvidi e non molti, contrastavano stranamente col colore un po’ torbido della pelle. Come dirglielo? E perché?

– E gli occhi, ceruli?

– Sí.

Ceruli; ma cupi, dolenti, troppo affossati sotto la fronte grave, triste, prominente. Come dirglielo? E perché?

C’è una valutazione finale della Venturi e, secondo me, a parte del volto lei è veramente un attraente, elegante, bella donna.

Bella non era, di volto; ma di corpo elegantissima. Belle veramente belle, aveva le mani e la voce. La voce, segnatamente. D’una ineffabile soavità, in contrasto con l’aria cupa, altera e dolente del volto.

Il rapporto cresce in intensità ed è reciproco.

Ella sapeva com’egli, per la malía di questa voce e attraverso alle timide risposte che riceveva alle sue domande insistenti, la vedeva; e si sforzava davanti allo specchio di somigliare a quell’immagine fittizia di lei, si sforzava di vedersi com’egli nel suo bujo la vedeva. E la sua voce, ormai, per lei stessa non usciva piú dalle sue proprie labbra, ma da quelle ch’egli le immaginava; e, se rideva, aveva subito l’impressione di non aver riso lei, ma di aver piuttosto imitato un sorriso non suo, il sorriso di quell’altra se stessa che viveva in lui.

Tutto ciò le cagionava come un sordo tormento, la sconvolgeva: le pareva di non esser piú lei, di mancare man mano a se medesima, per la pietà che quel giovane le ispirava. Pietà soltanto? No: era anche amore, adesso. Non sapeva piú ritrarre la mano dalla mano di lui, scostare il volto dal volto di lui, se egli la attirava troppo a sé.

Quello che segue è un lungo paragrafo (secondo me una chiave per comprendere la novella). La Venturi e Silvio curano profondamente l’un l’altra. Tuttavia c’è pettegolezzo che la Venturi ha manipolato la situazione al fine di trarre profitto dalla ricchezza della famiglia. La Venturi chiede se dovrebbe spiegare a Silvio che è inferiore a sua immagine ideale di lei.

Si dové presto, ormai, venire a una deliberazione, che alla signorina Lydia costò una lunga lotta con se stessa Il giovane marchese non aveva parenti, era padrone di sé e dunque di fare quel che gli pareva e piaceva. Ma non avrebbe detto la gente che ella approfittava della sciagura di lui per farsi sposare, per diventar marchesa e ricca? Oh sí, certamente, questo e altro avrebbe detto. Ma tuttavia, come rimanere piú oltre in quella casa, se non a questo patto? E non sarebbe stata una crudeltà abbandonare quel cieco, privarlo delle sue cure amorose, per paura dell’altrui malignità? Era, senza dubbio, per lei una gran fortuna; ma sentiva, in coscienza, di meritarsela, perché ella lo amava; anzi, per lei la maggior fortuna era questa, di poterlo amare apertamente, di potersi dir sua, tutta e per sempre, di potersi consacrare a lui unicamente, anima e corpo. Egli non si vedeva: non vedeva altro entro di sé che la propria infelicità; ma era pur bello, tanto! e delicato come una fanciulla; e lei, guardandolo, beandosene, senza che egli se n’accorgesse, poteva pensare: “Ecco, sei tutto mio, perché non ti vedi e non ti sai; perché l’anima tua è come prigioniera della tua sventura e ha bisogno di me per vedere, per sentire”. Ma non bisognava prima, condiscendendo alla voglia di lui, confessargli ch’ella non era com’egli se la immaginava? Non sarebbe stato il tacere un inganno da parte sua? Sí, un inganno. Ma egli era pur cieco, e per lui, dunque poteva bastare un cuore, come quello di lei, devoto e ardente, e l’illusione della bellezza. Brutta, del resto, non era. E poi una bella, veramente bella, forse, chi sa! avrebbe potuto ingannarlo ben altrimenti, approfittando della sciagura di lui, se veramente egli, piú che d’un bel volto che non avrebbe mai potuto vedere, aveva bisogno d’un cuore innamorato.

Avanti e indietro, eh? Si tratta di un complicato, tossico, confondendo pasticcio delle emozioni e opinioni e domande (domande sulla moralità e l’etica della situazione). La Venturi ama Silvio in modo naturale e onesto ma riconosce che ha un proprio interesse investito e che non era del tutto onesto con lui: questo in particolare ha creato un dubbio e l’ansia.

Nonostante la confusione e turbamento interiore, viene presa la decisione di sposarsi (la morte della marchesa è stata 6 mesi fa) e la Venturi inizia a pianificare il matrimonio.

Ella aveva dunque davanti a sé circa un mese e mezzo di tempo per preparar l’occorrente alla meglio. Furono giorni d’intensa felicità: le ore volavano fra le lietissime, affrettate cure del nido e le carezze, da cui ella si scioglieva un po’ ebbra, con dolce violenza, per salvare da quella libertà che la convivenza dava al loro amore, qualche gioja, la piú forte, per il giorno delle nozze.

Tuttavia a questo punto il dottor Falci arriva alla villa senza un appuntamento. Si era dimenticato di Silvio… ma di recente è stato parlando con gli amici e il matrimonio è stato menzionato, spingendo la sua visita.

L’incontro con la Venturi è tesa. Secondo me il dottor Falci sospetta che lei non vuole cercare una cura per Silvio per i motivi egoistici.

– S’accomodi, dottore, – disse la signorina Lydia, entrata senza ch’egli se n’accorgesse. Il Falci si scosse, s’inchinò e prese a dire:

– Mi scuserà, se…

Ma ella, turbata, eccitata, volle premettere:

– Lei finora veramente non era stato chiamato, perché…

– Anche quest’altra mia visita è forse inopportuna, – disse il Falci, col lieve sorriso sarcastico su le labbra. – Ma lei mi perdonerà, signorina.

– No… perché? anzi… – fece Lydia arrossendo.

– Lei non sa, – riprese il Falci, – l’interesse che a un pover’uomo che si occupa di scienza possono destare certi casi di malattia… Ma io voglio dirle la verità, signorina: mi ero dimenticato di questo caso, quantunque a parer mio molto raro e strano. Ieri, però, chiacchierando del piú e del meno con alcuni amici, ho saputo del prossimo matrimonio del marchese Borghi con lei, signorina; è vero? Lydia impallidí e affermò, alteramente, col capo.

– Permetta ch’io me ne congratuli, – soggiunse il Falci. – Ma guardi, allora, tutt’a un tratto, mi sono ricordato. Mi sono ricordato della diagnosi di glaucoma fatta da tanti illustri miei colleghi, se non m’inganno. Diagnosi spiegabilissima, in principio, non creda. Io sono sicuro, in fatti, che se la signora marchesa avesse fatto visitare il figliuolo da questi miei colleghi nel tempo che lo visitai io, anch’essi avrebbero detto facilmente che di glaucoma vero e proprio non era piú il caso di parlare. Basta. Mi sono ricordato anche della mia seconda visita disgraziatissima e ho pensato che lei, signorina, dapprima nello scompiglio cagionato dall’improvvisa morte della marchesa, poi nella gioja di questo avvenimento, si era di certo dimenticata, è vero? dimenticata…

– No! – negò con durezza Lydia a questo punto, ribellandosi alla tortura che il lungo discorso avvelenato del dottore le infliggeva.

Dottor Falci e la Venturi argomentano intensamente. L’argomento si conclude con un’osservazione ironica e un’accusa.

– Ah, no? – fece il Falci.

– No, – ripeté ella con accigliata fermezza. – Io ho ricordato piuttosto la poca, per non dir nessuna fiducia, scusi, che ebbe la marchesa, anche dopo la sua visita, su la guarigione del figlio.

– Ma io non dissi alla marchesa, – ribatté pronto il Falci, – che la malattia del figlio, a mio modo di vedere…

– È vero, lei lo disse a me, – troncò Lydia di nuovo. – Ma anch’io, come la marchesa…

– Poca, anzi, nessuna fiducia, è vero? Non importa, – interruppe a sua volta il Falci. – Ma lei non riferí intanto, al signor marchese la mia venuta e la ragione…

– Sul momento, no.

– E poi?

– Neppure. Perché…

Il dottor Falci alzò una mano:

– Comprendo. Nato l’amore… Ma lei, signorina, mi perdoni. Si dice, è vero, che l’amore è cieco; lei però lo desidera cieco proprio fino a questo punto, l’amore del signor marchese? Cieco anche materialmente?

La necessità di proteggere Silvio dall’aspettativa indebite è di nuovo indicato… chiaramente e secondo me sinceramente.

Lydia sentí che contro la sicura freddezza mordace di quell’uomo non bastava il contegno altero, in cui man mano, per difendere la sua dignità da un sospetto odioso, s’interiva vieppiú. Tuttavia si sforzò di contenersi ancora e domandò con apparente calma:

– Lei insiste nel ritenere che il marchese possa, con l’ajuto di lei, riacquistare la vista?

– Piano, signorina, – rispose il Falci, alzando un’altra volta la mano. – Non sono, come il Signor Iddio, onnipossente. Ho esaminato una volta sola gli occhi del signor marchese, e m’è parso di dovere escludere assolutamente che si tratti di glaucoma. Ecco: questo, che può essere un dubbio, che può essere una speranza, mi pare che dovrebbe bastarle, se veramente, com’io credo, le sta a cuore il bene del suo fidanzato.

– E se il dubbio, – s’affrettò a replicare Lydia, con aria di sfida, – dopo la sua visita non potesse piú sussistere se la speranza restasse delusa? Non avrà lei inutilmente crudelmente, ora, turbata un’anima che si è già rassegnata?

– No, signorina – rispose con dura e seria calma il Falci. – Tanto vero, ch’io ho stimato mio dovere, di medico, venire senza invito. Perché qua, lo sappia, io credo di trovarmi non solo di fronte a un caso di malattia, ma anche di fronte a un caso di coscienza, piú grave.

Da questo testo è anche chiaro che il dottor Falci è motivato dagli interessi investiti, cioè, certo la salute e il benessere di Silvio e, forse, dalla fama che riceverà se cura un paziente che tanti altri oftalmologi prominenti avevano fallito.

A questo punto la Venturi porta Silvio per incontrare il dottor Falci. Per lo stupore di Silvio, la Venturi fa una completa informativa. (Lei è così brutalmente onesta che il lettore si chiede se lei sia essere giusta a se stessa!)

Silvio Borghi attendeva impaziente nella sua camera.

– Ecco qua il dottor Falci, Silvio – disse Lydia, entrando convulsa. – Abbiamo chiarito di là un equivoco. Tu ricordi che il dottore, nella sua prima visita, disse che voleva ritornare, è vero?

– Sí, – rispose il Borghi. – Ricordo benissimo, dottore!

– Non sai ancora, – riprese Lydia, – ch’egli difatti ritornò, la stessa mattina che avvenne la disgrazia di tua madre. E parlò con me e mi disse di ritenere che il tuo male non fosse propriamente quello che tanti altri medici avevano dichiarato; e non improbabile perciò, secondo lui, la tua guarigione. Io non te ne dissi nulla.

– Perché la signorina, badi, – s’affrettò a soggiungere il dottor Falci, – trattandosi d’un dubbio espresso da me in quel momento, in termini molto vaghi, lo considerò piuttosto come un conforto ch’io volessi apprestare, e non vi diede molto peso.

– Questo è ciò che ho detto io, non quel che pensa lei, – rispose Lydia, pronta e fiera. – Il dottor Falci, Silvio, ha sospettato ciò che, del resto, è vero, ch’io cioè non ti dissi nulla della sua seconda visita; ed è voluto venir lui spontaneamente, prima delle nozze, per prestarti le sue cure, senz’alcun compenso. Ora puoi credere con lui, Silvio, ch’io volessi lasciarti cieco, per farmi sposare da te.

– Che dici, Lydia? – scattò il cieco.

– Ma sí, – riprese ella subito, con uno strano riso. – E può esser vero anche questo, perché, difatti, a questo solo patto io potrei diventare la tua…

– Che dici? – ripeté il Borghi, interrompendola.

– Te ne accorgerai, Silvio, se il dottor Falci riuscirà a ridarti la vista. Io vi lascio.

– Lydia! Lydia! – chiamò il Borghi.

Ma ella era già uscita, tirando l’uscio a sé con violenza.

La Venturi lascia i due uomini soli. Quello che segue è un altro lungo paragrafo che descrive il suo stato emotivo. Penso che si tratta di una donna che venga catturato in un conflitto, ma vuole fare la cosa giusta. A questo punto della novella non sembra essere un unico percorso corretto in avanti.

Andò a buttarsi sul letto, morse rabbiosamente il guanciale e ruppe dapprima in singhiozzi irrefrenabili. Ceduta la prima furia del pianto, rimase attonita e come raccapricciata di fronte alla propria coscienza. Le parve che tutto ciò che il medico le aveva detto, con quel suo fare freddo e mordace, da molto tempo lei lo avesse detto a se stessa, o meglio, che qualcuno in lei lo avesse detto; e lei aveva finto di non udire. Sí, sempre, sempre si era ricordata del dottor Falci, e ogni qual volta l’immagine di lui le si era affacciata alla mente, come il fantasma d’un rimorso, ella l’aveva respinta con una ingiuria: “Ciarlatano!”. Perché – come negarlo piú, ormai? – ella voleva, voleva proprio che il suo Silvio rimanesse cieco. La cecità di lui era la condizione imprescindibile del suo amore. Che se egli, domani, avesse riacquistato la vista, bello com’era, giovane, ricco, signore, perché avrebbe sposato lei? Per gratitudine? Per pietà? Ah, non per altro! E dunque, no, no! Seppure egli avesse voluto; lei, no; come avrebbe potuto accettare, lei che lo amava e non lo voleva per altro? lei, che nella sventura di lui vedeva la ragione del suo amore e quasi la scusa, di fronte alla malignità altrui? E si può dunque transigere cosí, inavvertitamente, con la propria coscienza, fino a commettere un delitto? fino a fondar la propria felicità su la sciagura di un altro? Ella, sí, veramente, non aveva allora creduto che colui, quel suo nemico, potesse fare il miracolo di ridar la vista al suo Silvio; non lo credeva neanche adesso; ma perché aveva taciuto? proprio perché non aveva creduto di prestar fiducia a quel medico; o non piuttosto perché il dubbio che il medico aveva espresso e che sarebbe stato per Silvio come una luce di speranza, sarebbe stato invece per lei la morte, la morte del suo amore, se poi si fosse affermato? Per ora ella poteva credere che il suo amore sarebbe bastato a compensar quel cieco della vista perduta; credere che, se pure egli, per un miracolo, avesse ora riacquistato la vista, né questo bene sommo, né tutti i piaceri che avrebbe potuto pagarsi con la sua ricchezza, né l’amore d’alcun’altra donna, avrebbero potuto compensarlo della perdita dell’amore di lei. Ma queste erano ragioni per sé, non per lui. Se ella fosse andata a dirgli: “Silvio, tu devi scegliere fra il bene della vista e il mio amore”, “E perché tu vuoi lasciarmi cieco?”, avrebbe egli certamente risposto. Ma perché cosí soltanto, cioè a patto della sciagura di lui, era possibile la sua felicità.

La Venturi si chiede come Silvio sarà influenzato da ciò che il dottor Falci ha da dire.

Un secondo esame viene eseguito. Il dottor Falci è convinto che Silvio soffre delle cataratte e spiega a Silvio che può aiutargli ripristinare la vista.

Abbiamo poi a sapere che Silvio è superato con gioia. (In questo momento Silvio ha un proprio interesse investito — di ripristinare la sua visione). Per Silvio questo significa solo una cosa, cioè, che sarà in grado di vedere così come ascoltare la Venturi.

Come annientata, vuota, lo seguí con gli occhi fino all’uscio, in fondo al corridojo; poi udí la voce di Silvio che la chiamava, di là: si sentí tutta rimescolare, ebbe come una vertigine; fu per cadere; si recò le mani al volto, per frenar le lagrime; accorse.

Egli la attendeva, seduto, con le braccia aperte; la strinse, forte, forte a sé, gridando la sua felicità e che per lei soltanto voleva riacquistar la vista, per vedere la sua cara, la sua bella, la sua dolce sposa.

– Piangi? Perché? Ma piango anch’io, vedi? Ah che gioja! Ti vedrò… ti vedrò! Io vedrò!

Il giorno della chirurgia arriva, e la Venturi accompagna Silvio alla clinica,

La mattina seguente volle accompagnarlo in vettura fino alla clinica e, nel lasciarlo, gli disse che si sarebbe messa subito subito all’opera, come una rondine frettolosa.

La Venturi deve attendere i risultati della chirurgia alla villa. (Non è consentita di visitare Silvio immediatamente dopo l’intervento chirurgico.)

L’attesa prova essere troppo. La Venturi dubita se stessa e l’amore. Lascia la villa prima del ritorno di Silvio, con il pensiero che lui avrà sempre il ricordo di una donna ideale in associazione con una bellissima voce.

Attese due giorni, in un’ansia terribile, l’esito dell’operazione. Quando lo seppe felice, attese ancora un po’, nella casa vuota; gliela preparò amorosamente, mandando a dire a lui che, esultante, la voleva lí, anche per un minuto, che avesse pazienza ancora per qualche giorno; non accorreva per non agitarlo; il medico non permetteva…

– Sí? – Ebbene, allora sarebbe venuta…

Raccolse le sue robe, e il giorno prima che egli lasciasse la casa di salute, se ne partí ignorata, per rimanere almeno nella memoria di lui una voce, ch’egli forse, uscito ora dal suo bujo, avrebbe cercata su molte labbra, invano.

 

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