Riassunto: Acqua e lí

Acqua e lí (L. Pirandello) è un commento ironico e sofisticato (in realtà, insieme un ammonimento) sui potenziali pericoli affrontati da una società che manca direzione, cioè, una società governata dalle istituzioni le cui priorità sembrano aver virato lontano dal popolo che erano destinate a servire.

La novella presenta un paio di storie sovrapposizioni… tutt’e due descrivono le conseguenze dell’inazione, la negligenza e l’indifferenza del governo. La prima di queste storie è presentata molto brevemente all’inizio della novella… lo scopo sembra essere introdurre l’idea principale che il Pirandello vuole esprimere.

Vi ricordate di Milocca, beato paese, dove non c’è pericolo che la civiltà debba un giorno o l’altro arrivare, guardato com’è dai suoi sapientissimi amministratori? Prevedono costoro, dai continui progressi della scienza, nuove e sempre maggiori scoperte, e lasciano intanto Milocca senz’acqua e senza strade e senza luce. Vi ricordate?

Ebbene, ne ho saputo una nuova, di quel beato paese, e ve la voglio raccontare, anche a costo che vi debba sembrare inverosimile. Ma come volete fare, se no, a conoscere le cose vere?

Un narratore, che non è mai identificato, presenta le storie alle altre persone. Il governo di Milocca, una piccola città, ha deciso di ritardare lo sviluppo della (tanto necessaria) infrastrutture di base a causa della possibilità teorica d’un importante passo avanti scientifico o tecnologico. I leader si chiedono, “Che cosa succeda se, proprio dietro l’angolo, ci sia un modo migliore per costruire una casa, fornire l’acqua alla città, costruire una strada, fornire la luce agli spazi pubblici? Abbiamo un’obligazione di non fare un investimento fino al momento che possiamo sfruttare il passo avanti, giusto?”

Questo non sembra essere una storia di corruzione… invece uno abbia il senso che i leader di Milocca siano convinti che sarebbe prudente ritardare gli investimenti nell’infrastrutture. Naturalmente, preso a una conclusione logica, il piano del governo è assurdo: nulla potrà mai essere fatto! (Cioè, ci sarà sempre un orizzonte teorico… quindi nessun investimento sarà mai realizzato e non ci sarà mai alcun miglioramento della qualità delle vite dei Milocchesi.)

La seconda storia è più lunga, personale e tragica. È stato progettato, credo, per mostrarci esattamente le conseguenze gravi (se non addirittura mortali) dell’inerzia, la negligenza e l’indifferenza del governo.

Il protagonista della seconda storia è il dottor Calaiò, il medico condotto di Milocca. Veniamo a sapere che il Calaiò ha una reputazione stellare al di fuori di Milocca, a causa delle sue scoperte mediche che ha proposto per alcune malattie incurabili.

Dunque ho saputo che a Milocca hanno per medico condotto un tal Calajò, che pare goda nel mondo dei medici (fuori, s’intende, del paese) d’una bella reputazione per certi suoi contributi, come li chiamano, allo studio di non so quali malattie, oggi come oggi, disgraziatamente incurabili.

A che serve una scoperta medica? Veniamo a sapere che, per dottor Calaiò, le scoperte sono destinate ad essere applicate ai malati, cioè, sono destinate ad alleviare le sofferenze del paziente e migliorare la qualità della sua vita. Questa prospettiva sembra essere tutto bene fino a quando ci viene detto che il Calaiò crede che le scoperte devono essere applicate dagli altri medici e non da lui!

Ma perché mai può esser fatta la scienza medica? Per essere applicata, crede ingenuamente il dottor Calajò. E lui la applica; come ne ha, del resto, il dovere e come i casi e la discrezione gli consigliano.

A questo proposito credo che possiamo considerare dottor Calaiò come un ‘prodotto’ (per così dire) d’un governo che è assurdamente focalizzato sul futuro. Il Calaiò è d’accordo con la filosofia del governo — lui stesso ha creato le futuristiche scoperte della medicina — e il lettore può ben capire il motivo per cui è stato assunto in primo luogo come il medico condotto. Penso anche che non ci sia niente di sbagliato con la messa a fuoco sul futuro del Calaiò. Dopotutto il popolo potrà beneficiare a lungo termine dagli sforzi dei innovatori medici. Il problema che vedo sia che il Calaiò è stato assunto per prendersi cura dei Milocchesi (in questo momento!) ma non ha nessun interesse per la pratica della medicina. Di conseguenza i Milocchesi soffrono a causa della sua fissazione per l’innovazione e il futuro.

C’è, naturalmente, un posto per un uomo come dottor Calaiò, cioè, un’università di ricerca. Credo che il Pirandello voglia sottolineare che il governo permette il Calaiò per rimanere nella sua posizione perché i suoi leader sono fissati sul futuro. In un certo senso quindi l’abbandono della salute ed il benessere dei Milocchesi è collegato all’abbandono dell’infrastrutture di base di Milocca.

A questo punto apprendiamo che i Milocchesi lo odiano il Calaiò. Nessuno non più preoccupa di chiamarlo a meno che una persona è vicina alla morte. Dato questo sviluppo, la pratica medica del Calaiò consiste nel fornire la conferma che la morte è vicina, dicendo che la famiglia ha sbagliato e avrebbe dovuto chiamare un prete per l’Estrema Unzione. Questa è una situazione veramente scandalosa, inaccettabile, assurda!

Basta questo, perché a Milocca sia inviso a tutti: inviso per principio, senza tener conto dell’esito delle sue applicazioni.

Per esser conseguenti, i Milocchesi non dovrebbero mai chiamare al letto dei loro malati il dottor Calajò. E difatti mi consta che non lo chiamano, se non proprio all’ultimo momento, cioè quando finiscono di essere Milocchesi e sono soltanto povere bestie atterrite dalla morte imminente.

Allora… la necessità è la madre d’invenzione!

A Milocca un altro sorta di servizio medico è stato creato da un certo signor Piccaglione. È una persona ridicola: non ha mai laureato in medicina ed è completamente ignorante della scienza. Il Piccaglione è uno sciamano che, per rendere le cose ancora più evidente, è accompagnato in Milocca con una sonnambula. In realtà il Piccaglione né visita né esamina i pazienti; invece i malati — spesso i sintomi sono di natura minore quindi loro non sono in pericolo di vita — scrivono i loro sintomi su un biglietto che è dato a lui; poi il Piccaglione fornisce un ‘trattamento’. Il Piccaglione ha attualmente un solo trattamento d’offrire, cioè, le pallottoline di zucchero che sono state imbevute di alcool!

Di solito, per le malattie lievi (o che in principio credono tali) si servono d’un certo Piccaglione, che tiene in casa la sonnambula, da cui si fa ajutare nelle cure sui generis che impartisce ai malati.

Ecco, Piccaglione è proprio il medico che ci vuole per Milocca: non ha laurea; non la pretende a scienziato; non compromette in nessun modo la scienza, dalla quale pubblicamente s’è messo fuori da sé con quella ridicola sonnambula. E servendosi di lui si ha poi questo non disprezzabile vantaggio: che si fa a meno del farmacista; perché Piccaglione, tutta la sua farmacia, la porta in tasca, in una scatola che s’apre come un libro, da una parte e dall’altra scompartita in tante caselline, ciascuna con un tubetto di vetro pieno di pallottoline di zucchero intrise d’alcool con le essenze omeopatiche. Cinque o sei di quelle pallottoline sotto la lingua, e via! Guarigione sicura. Perché poi, quelli che Piccaglione non riesce a guarire con le sue pallottoline, non li uccide mica lui, ma Calajò, sia maledetto una volta e quando l’hanno chiamato!

In altre parole il Piccaglione ha un alto tasso di guarigione e un ottimo rapporto medico-paziente. Aiuta le persone perché è disponibile a loro quindi è ampiamente ammirato. In breve il Piccaglione è precisamente l’opposto del Calaiò!

(Qui lo scherzo è che oggi — in America, in Italia e negli altri paesi avanzati — c’è un sistema della medicina più o meno lo stesso che il Pirandello ha descritto a Milocca! Esempio… soffre lei una leggera febbre? un raffreddore lieve? il mal di stomaco? mal di testa? lo stipsi? I trattamenti per questi disturbi minori sono i ‘over-the-counter rimedi’ disponibile presso le maggiori delle farmacie senza prescrizione medica; in effetti alcuni dei questi più popolari rimedi non sono diversi delle pallottoline del Piccaglione! (es. sapevate, gentili lettori, che NyQuilTM contiene 10% d’alcool in volume? Spesso, per i disturbi minori, ciò che una persona ha bisogno di più è semplicemente un sonno tranquilo della notte… e l’alcool lo facilita molto bene! Dunque, proprio come i Milocchesi, visitiamo noi adesso una farmacia per guarire i disturbi minori e vistiamo un medico solamente per diagnosticare e trattare le malattie di natura più grave.)

Il Piccaglione è un personaggio interessante nel senso che sembra essere fiducioso e sicuro nel suo ruolo a Milocca… né sembra competere con il Calaiò né lo sembra risentire.

Nel sentir queste maledizioni al dottor Calajò, Piccaglione, ch’è un omarino alto un braccio ma con un testone di capelli cosí, si guarda le manine che forse incutono ribrezzo anche a lui, da quanto son gracili, e con certi ditini pallidi e pelosi come bruchi. Fa il distratto. Lo domandano d’una cosa e risponde a un’altra.

Poi apprendiamo i dettagli dell’ossessione del Calaiò con l’innovazione medica. Lui è auto-centrato e quasi del tutto ignaro del mondo che lo circonda.

Le campane delle otto chiese suonano intanto a morto; e il dottor Calajò se ne sta a casa, rintanato.

Non già per paura. Ha la coscienza tranquilla, lui. Chiamato, al solito, all’ultimo momento, ha domandato ai parenti del moribondo se non l’hanno chiamato per isbaglio, invece del prete; e se n’è tornato a casa a studiare.

Ah, se i Milocchesi sapessero dove studia il dottor Calajò! In un palco morto, che piglia luce da un occhio ferrato, il quale, nell’ombra muffida e intanfata, s’apre là in fondo, abbarbagliante.

Per non essere disturbato dal chiasso dei figliuoli, ha allogato lí un tavolinetto coi piedi mozzi; salta sulle passinate del palco, curvo per non battere il capo nella copertura del tetto che pende a capanna, e va a ficcare le gambe lunghe distese sotto quel tavolinetto, sedendo su un’assicella posta fra una trave e l’altra; e in quella bella posizione dura quattro e cinque ore, finché la moglie non viene a chiamarlo, o per qualche rara visita o perché già pronto in tavola; e allora – a levarti ti voglio! con quelle povere gambe che non se le sente piú, intormentite e informicolate da tante ore d’immobilità.

Spesso, se il vento schiude nel terrazzino lo sportello per cui si entra in quel palco morto, i colombi e i piccioni della moglie s’affacciano titubanti a curiosare; grugano impauriti, scrollano il capo, a scatti, per sbirciarlo di traverso; poi si voltano, gli lasciano un segno della loro disapprovazione, e via. E di quelle disapprovazioni lí sono incrostate tutte le travi; ma sono il meno; c’è, piú sensibile, il puzzo lasciato dai gatti, e anche quello dei topi; e poi quell’aria che sa di polvere appassita nell’umido di un’ombra perenne.

Ma Calajò non si scrolla: non avverte nulla, seguita a studiare, senza curarsi né di Piccaglione, né dei Milocchesi: se non lo chiamano, o se lo chiamano all’ultimo momento e muojono come tanti cani.

C’è una farmacia a Milocca ma il farmacista non ha nulla da fare — il Piccaglione ha sostanzialmente portato via tutta la sua attività.

Già, ma c’è pure a Milocca il farmacista, a cui lozioni e misture, sali e unguenti e veleni e polverine dormono d’un sonno che spesso pare eterno nelle scaffalature della farmacia.

Il farmacista sembra essere interessato nel Piccaglione per il proprio sostentamento (cioè, non riceve uno stipendio dal governo come il Calaiò), ma sembra anche essere preoccupato per una situazione pericolosa in cui i Milocchesi in realtà non hanno alcuni servizi medici. Quindi il farmacista ha spinto dottor Calaiò per essere più responsabile.

– Eh, lo so, caro dottore, voi dite cosí perché c’è il Municipio che vi paga per stare in ozio, e Piccaglione vi fa comodo. Ma io? Pensate ai vostri libri, voi; ma scusate: c’è un’intera popolazione che dovrebb’essere affidata alle vostre cure; la vedete morire con le pallottoline di quell’impostore in bocca, e non ve ne fate né scrupolo né rimorso? È obbligo vostro sacrosanto difenderla, questa popolazione, difenderla anche se non vuol esser difesa; difenderla contro la sua ignoranza e la sua pazzia! E non vi parlo di me!

Il farmacista spinge anche dottor Calaiò a formalmente denunziare il Piccaglione per la pratica della medicina fraudolenta.

Batti oggi e batti domani, il farmacista ha strappato finalmente al dottor Calajò la promessa che farà una formale denunzia al Prefetto contro Piccaglione, perché gli sia interdetto l’esercizio abusivo della professione di medico.

Sentendo questo i Milocchesi sono indignatissimi, e la loro rabbia spinge i leader del governo a visitare dottor Calaiò per convincerlo a non fare la denunzia.

Apriti cielo! Come si sparge per Milocca la notizia di quella denunzia ancora da scrivere, tutto il paese si mette in subbuglio; sindaco, assessori, consiglieri comunali si precipitano infuriati in casa del dottor Calajò a protestare, a minacciare.

La visita però ha l’opposto risulto!

E allora il dottor Calajò, che da anni ha lasciato correre, senza mai aprir bocca con nessuno, insorge contro tutti, indignato, e grida che la denunzia non l’ha ancor fatta, ma la farà, e non solo contro Piccaglione, ma anche contro il sindaco e contro la Giunta e il Consiglio municipale, che osano con tanta arroganza e sfacciataggine proteggere un impostore.

Il Piccaglione non sembra essere disturbato dalla minaccia della denunzia.

Il caso diventa serio, il fermento del paese cresce d’ora in ora. Ma ecco farsi avanti, tranquillo e sorridente, l’omarino col suo gran testone di capelli, e quelle sue schifose gracili manine che si muovono molli molli nell’aria a raccomandar prudenza e pazienza.

Poi il Piccaglione visita il Calaiò per dimostrarlo che sua moglie ha usato i suoi servizi! (Non c’è da stupirsi che il Piccaglione non sembra essere disturbato dalla minaccia della denunzia!)

Con quel gesto, e zitto, come sicuro del fatto suo, dal caffè sulla piazza lo vedono avviarsi pian piano alla casa del suo nemico. Cava di tasca nel salire la scala un fascio di bigliettini scritti a lapis; e, come il dottor Calajò in persona viene ad aprirgli la porta, prima che abbia tempo di stupirsi della sua visita, gli mette in mano due o tre di quei bigliettini e alza un dito al naso per fargli cenno, da uomo che la sa lunga, di non stare a sprecar fiato inutilmente.

– Leggete; e poi regolatevi come vi pare.

Il Calaiò è sbalordito! Non aveva nessun idea che sua moglie ha utilizzato i suoi servizi.

Calajò butta l’occhio su quei bigliettini e:

– Mia moglie? – esclama trasecolato.

Piccaglione, senza scomporsi, risponde:

– Per qualche piccola gastrica occorsa ai vostri figliuoli.

Quello si mette le mani nei capelli, e con gli occhi di chi si sente mancare il terreno sotto i piedi, ripete:

– Mia moglie!

Ma poi il Piccaglione rivela il suo sospetto che i figli del Calaiò hanno contratto la scarlattina (una malattia pericolosissima nell’epoca prima della scoperta degli antibiotici).

E Piccaglione:

– L’ultimo bigliettino, guardate, non piú tardi di ieri. Interrogatela. Non potrà negare. I vostri figliuoli, dottore, non li ho mai visti, perché i consulti, domande e risposte, sono stati sempre per iscritto, con codesti bigliettini mandati per la donna di servizio, che può esser testimone. Vedete ora voi, se vi sembra piú il caso di far la denunzia. Tanto piú che, i vostri figliuoli, vorrei sbagliare, ma ai sintomi che vostra moglie mi descrive temo purtroppo che abbiano la scarlattina, badate!

E, cosí dicendo, Piccaglione volta le spalle e se ne va.

Il Piccaglione parte, e il dottor Calaiò chiama con rabbia sua moglie. (Lei è una delle signore che il Pirandello sceglie di ritrarre nel modo più poco lusinghiero!)

Calajò resta come basito. Appena può riprender fiato chiama:

– Lucrezia! Lucrezia!

Accorre una povera squallida donna, senz’età, con certi occhi atroci, velati e semichiusi, come se le pàlpebre le pesino, una piú e l’altra meno. Stretta nelle spalle, ha la gobba, dietro, ben segnata dal giubbino verde sbiadito: la gobba delle povere madri sfiancate dalle cure dei figli e della casa.

Lucrezia non nega il fatto che utilizza i servizi del Piccaglione. Invece lo accusa il Calaiò d’avere un’indifferenza insensibile per la famiglia!

Ella non nega. Non nega e non si scusa. Dovrebbe accusare, invece; perché quell’uomo che ora piange e si morde le mani dalla rabbia, gridando d’essere stato tradito dalla sua stessa compagna e incolpandola del pericolo mortale che sovrasta ai figliuoli, forse non sa neppur bene quanti siano i suoi figliuoli e chi sia nato prima e chi dopo; non li vede mai; non li ha mai voluti a tavola, perché anche a tavola si porta da leggere e non vuol essere disturbato; potrebbe dire che appunto per questo, per non disturbarlo, gli ha sempre nascosto le lievi infermità dei figliuoli; ma sa che mentirebbe, dicendo cosí, e non lo dice.

La verità è che ella, come tutti i Milocchesi, e anzi con un piú intimo e profondo rancore, vede male la scienza del marito, e ne diffida; lo stima pericoloso, giacché non può non essere per lei una pazzia tutto quel suo accanimento allo studio, là nel palco morto.

Il Calaiò esamina i suoi figli e si rende conto che la situazione per tutt’e due è in pericolo di vita. Il Calaiò conosce un trattamento, ma purtroppo lo arriva troppo tardi… entrambi i figli muoiono.

Si mette a piangere disperatamente, ma senz’ombra di rimorso, appena egli, nella camera dei bambini, dopo aver loro osservata la gola, si solleva dai lettucci dov’essi giacciono avvampati dalla febbre e con tutte le carnucce prese dal male, e si mette a gridare che sono perduti, perduti, perduti.

Bisogna telegrafare d’urgenza perché dalla città vicina accorra a precipizio un medico munito del siero di Behring. Ha intanto la generosità di non incrudelire sopra la moglie, e non pensa piú ad altro che a salvare, se può, i suoi bambini.

 

Purtroppo, ogni rimedio è vano. I due bambini, a poche ore di distanza l’uno dall’altro muojono; per fortuna, presto, come fanno gli uccellini.

Il Calaiò è sconvolto; incolpa se stesso per la morte dei suoi figli.

E allora il dottor Calajò può sperimentare in sé il piú spaventoso dei fenomeni: la coscienza, lucidissima, d’essere impazzito.

Ha l’idea astratta del suo dolore, vale a dire del dolore di un padre che abbia perduto a poche ore di distanza due figliuoli; ma gli pare di non sentire nulla realmente, e che pianga come un commediante sulla scena, per l’idea soltanto della terribile sciagura che gli è toccata; piange, infatti, e si dà del buffone e poi sghignazza e grida che non è vero e che non sente nulla.

Il paragrafo successivo sembra riassumere il punto di vista del Pirandello. Il Calaiò capisce che è odiato. Capisce come la sua attenzione sul futuro è ben allineato con la filosofia del governo ma ignora le esigenze dei Milocchesi.

– E ora vedrà, – gli grida Calajò, – ora saranno capaci di dire che li ho uccisi io, i miei figliuoli! Non crede? Ma sí! Mi odiano, mi odiano perché non sono come loro! Qua sono tutti in perpetua attesa di ciò che ci porterà il domani. Qua non si fabbricano case perché domani, domani chi sa come si fabbricheranno le case; non si pensa a illuminare le strade, perché domani chi sa che nuovi mezzi d’illuminazione scoprirà la scienza, domani! E cosí anch’io dovrei stare in attesa del rimedio di domani, s’intende, per tutti coloro che non hanno la morte in bocca; perché quando l’hanno, eh sono vigliacchi allora, e lo vogliono il rimedio d’oggi, e come lo vogliono!

Poi un collega che è venuto per aiutare il Calaiò chiede, “Perché non semplicemente dare alla gente quello che vogliono?” (cioè, un placebo dolce).

– Ah sí? – fa il giovane collega. – E lei, scusi, perché non si mette a fare il medico come lo vogliono a Milocca? Acqua e lí!

– Come, acqua e lí? – domanda stordito Calajò.

E quello:

– Ma sí, illustre collega, acqua, acqua naturale, tinta in rosso o in verde da qualche sciroppino, e lí!

Non sono sicuro della traduzione delle frasi qui. La mia impressione è che il collega ha offerto queste parole semplicemente per confortare il Calaiò, cioè, il commento non era destinato ad essere cinico o arrabbiato).

In realtà, il commento sembra fornire dottor Calaiò un po’ di conforto anche se sembra essere troppo sconvolto per pensare con chiarezza.

Ebbene, questo consiglio, dato forse per alleviar con una celia il dolore del padre e dello scienziato, si fissa come un chiodo nel cervello del dottor Calajò un po’ stravolto dalla doppia sciagura. Per parecchi giorni s’aggira per casa come una mosca senza capo; ma ogni tanto si ferma e scoppia inattesamente in una fragorosa risata. Anche di notte balza a sedere sul letto per ridere come un matto.

– Acqua e lí! Sicuro! Acqua e lí!

Si vendicherà. E senza rimorsi. Vogliono morire con la bocca dolce, i Milocchesi? Acqua e lí!

La novella termina con una nota ironica. Il collega ha fatto la denunzia formale contro il Piccaglione che è fuggito da Milocca. In sua assenza il Calaiò fornisce un servizio medico simile all’ex pratica del Piccaglione.

Siamo, finora, a questo punto.

E non so se fin qui, quanto mi è stato riferito come vero, vi sia sembrato verosimile.

L’inverosimile, signori miei, viene adesso; e me ne dispiace cordialmente per la scienza medica. L’inverosimile è che hanno ragione loro, i Milocchesi.

Perché da quando il dottor Calajò, per vendicarsi, s’è messo a dar per ricetta agli ammalati quella sua “acqua e lí”, gli ammalati – pajono morti – guariscono tutti.

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Per apprendere di più della vita del dottor Behring, vedite questa pagina:

https://www.nobelprize.org/nobel_prizes/medicine/laureates/1901/behring-article.html

 

 

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