Riassunto: Filo d’aria

Per la maggioranza dei bambini, un’esperienza spesso indimenticabile conivolge il loro primo passo verso l’indipendenza… cioè, l’indipendenza dai genitori e dalla famiglia. Questo è, infatti, un primo passo verso la vita adulta, cioè, qualcosa che rappresenta uno sviluppo normale nella vita di tutti i bambini.

È comune per l’esperienza del ‘primo passo’ di provocare / indurre / instillare un senso dell’euforica: il bambino pensa: “Io sono il capo adesso!” e “C’è molto di più del mondo per me vedere, sperimentare-esperienzare, capire, abbracciare e amore!” (Ciò che è esilarante, naturalmente, è il fatto che adesso il bambino ha il diritto di scegliere.)

Un primo passo può anche essere terrificante… cioè, a causa del fatto che indipendenza è anche associata con opportunità e responsabilità. Nella vita adulta c’è la possibilità d’aver entrambe successo e fallimento (sia in carriera e in amore). Di sicuro la vita può essere dolce e di successo e soddisfacente e divertente e gratificante, ma può anche essere crudele e disastrosa e ingiusta e iniqua. Noi adulti… siamo da soli — i genitori non sono più disponibili per proteggerci. E, cosa c’è di più, la vita può sorprenderci (diciamo noi: “Shit happens!”); quindi noi adulti sappiamo bene il valore di avere un piano d’emergenza per l’inaspettato (perché, diremmo, “Uno non sa mai cosa c’è dietro l’angolo.”)

***

Mi ricordo la prima volta che ero da solo, senza la protezione della mia famiglia. Avevo 4 anni, era inverno, ed ero nel cortile sul retro di casa nostra. A quel momento abbiamo vissuto in un appartamento al secondo piano (vale a dire, gentili lettori italiani, il primo piano!), ed, ad un certo punto, mi sono reso conto che ero da solo… ho guardato verso la finestra della cucina, e mi anche reso conto che non sapevo come andare dal cortile all’appartamento nostro! Dunque, ero da solo e potevo fare quello che volevo fare nel cortile di casa (esilarante!). Sì, ero da solo e non avevo nessun idea di come tornare a casa (terrificante!). Non ho mai dimenticato quel momento, nonstante il fatto che è successo più di 60 anni fa.

(Tra l’altro, mia madre nega che mi ha lasciato mai (maiiiiiiii!!!!!!) da solo nel cortile di casa.)    ;>)

Carissima Paola, ricordi tu il tuo primo passo verso l’indipendenza o la tua prima volta da sola?

***

Filo d’aria (L. Pirandello) inizia con una bambina che insinua di soppiatto in uno spazio proibito di casa sua… la stanza dove vive suo nonno (il vecchio) che è gravemente malato: soffre le malattie cardiache e renali croniche gravi e più recentemente ha subito un ictus. La combinazione di queste malattie l’ha lasciato gravemente disabile.

La bambina conosce le regole della casa. È vietato (dai genitori) l’ingresso della stanza del povero vecchio a meno che lei bussa prima e chiede permesso d’entrare. (Il lettore ha l’impressione che i suoi genitori l’avevano scoraggiata da sempre bussare… per rispetto della privacy del vecchio e dalla considerazione del suo cattivo stato di salute.)

All’inizio, la bambina sembra essere esaltata dal fatto che stava rompendo le regole.

Sfavillío d’occhi, di capelli biondi, di braccini, di gambette nude, impeto di riso che, frenato in gola, scatta in gridi brevi, acuti – quella furietta di Tittí entrò, s’avventò al balcone della stanza per aprir la vetrata.

Lei è anche terrorizzata!

Arrivò appena a girar la maniglia: un ruglio aspro, roco, come di belva sorpresa nel giaccio, l’arrestò di botto, la fece voltare, atterrita, a guardar nella stanza.

Bujo.

Gli scuri del balcone erano rimasti accostati.

La bambina percepisce la presenza del nonno.

Abbagliata ancora dalla luce da cui veniva, non vide; sentí spaventosamente in quel bujo la presenza del nonno sul seggiolone: immane ingombro affardellato di guanciali, di scialli grigi a scacchi, di coperte aspre pelose; tanfo di vecchiaja tumida e sfatta, nell’inerzia della paralisi.

Veniamo a sapere che la bambina non teme il vecchio; piuttosto lei è terrorizzata perché ha fatto qualcosa proibita e poteva essere catturata!

Ma non quella presenza la atterriva. La atterriva il fatto, che avesse potuto dimenticare per un momento che lí in quel bujo degli scuri sempre accostati, ci fosse il nonno e che ella avesse potuto trasgredire, senza punto pensarci, all’ordine severissimo dei genitori, da tanto tempo espresso e sempre osservato da tutti, di non entrare cioè in quella stanza se non dopo aver picchiato all’uscio e chiestane licenza (come si dice?): -Permetti nonnino? – ecco, cosí, e poi pian pianino, in punta di piedi, senza fare il minimo rumore.

Una volta che si rende conto che potrebb’essere catturata, il suo stato d’animo cambia dall’euforia all’ansia (con le lacrime ei singhiozzi)!

Quel primo impeto di riso sull’entrare le smorí subito in un ansito, prossimo a ingrossarsi in singhiozzi.

E poi, si rende conto che forse le sue azioni non possano essere stati tanti furtivi come aveva ipotizzato!

Quatta quatta, allora, la bimba tremante e in punta di piedi, non supponendo che il vecchio abituato a quella penombra cupa, la vedesse; credendosi non veduta, s’avviò verso l’uscio. Stava per toccar la soglia, allorché il nonno la chiamò a sé con un “Qua!” imperioso e duro.

La ragazza avvicina il nonno,

La bimba s’accostò, ancora in punta di piedi, sospesa, sbigottita, trattenendo il respiro. Cominciava adesso a discernere anche lei nella penombra. Intravide i due occhi aguzzi, cattivi, del nonno e subito abbassò i suoi.

…e siamo introdotti a lui: è gravemente edematoso (più probabilmente a causa d’insufficienza del cuore ei reni).

In quegli occhi, entro le borse enfiate acquose delle palpebre, la cui rossedine scialba faceva pensare con ribrezzo al contatto viscido d’una tarantola,

Ci sono uno o due modi comuni per un vecchio con una malattia cronica a morire. O la mente viene distrutta mentre il corpo rimane intatto (es. con demenza) o la mente rimane intatto mentre il corpo viene distrutto (es. con aterosclerosi o cancro). Il vecchio sembra appartenere a quest’ultimo gruppo: sa che il suo corpo sta fallendo e che morirà presto… sa anche che non c’è davvero nulla che lui possa fare al riguardo.

Il vecchio rifiuta di sottomettersi alla sua malattia: è descritto come una bestia intrappolata in un corpo sostanzialmente inutile e disfunzionale mentre si attende la sua morte, determinato per sopravvivere.

pareva si fosse raccolta, vigilante in un assiduo terrore e intensa d’astio muto e feroce, l’anima del vecchio cacciata da tutto il resto del corpo già invaso e reso immobile dalla morte.

L’ictus ha causato la paralisi del lato sinistro del corpo. (Questo significa che l’infarto ha coinvolto il suo emisfero cerebrale destro.) Il vecchio si sforza, in vano e al punto d’esaurimento, d’impegnarsi in movimento volontario.

Soltanto, ma proprio appena, egli poteva ancora tentare di muovere una mano, la sinistra, dopo essersela guardata a lungo, con quegli occhi, quasi a infonderle il movimento. Lo sforzo di volontà, arrivato al polso, riusciva a stento a sollevare un poco dalle coperte quella mano; ma durava un attimo; la mano ricadeva inerte.

(Per Il vecchio, il movimento volontario rappresenta la vita stessa! In un certo senso i suoi tentativi di fare i movimenti voluntarii sono un modo per controllare il progresso della sua malattia… in altre parole, un modo per determinare quanto presto morirà.)

Il vecchio s’ostinava di continuo in quell’esercizio di volontà, perché quel lieve moto momentaneo, ch’egli poteva ancor trarre dal corpo, era per lui la vita, tutta quanta la vita, in cui gli altri si movevano liberamente, a cui gli altri partecipavano interi, a cui ancora poteva partecipare anche lui, ma ecco: per quel tanto e non piú.

Il vecchio confronta la bambina. Lui vuole sapere perché ha entrato la sua stanza? Cosa vuole? Essendo stata catturata, però, rende la bimba senza parole.)

– Perché… il balcone?… – barbugliò con la lingua imbrogliata, alla nipotina.

Questa non rispose. Seguitava a tremare. Ma in quel tremito il vecchio avvertí subito qualcosa di nuovo. Avvertí che non era quel solito tremito di paura, a stento represso dalla piccina, ogni qual volta il padre o la madre la costringevano ad accostarsi a lui. C’era la paura, ma c’era anche qualcos’altro, sotto, soffocato dalla paura per quel suo aspro, improvviso richiamo: qualcos’altro, per cui il tremito di tutta la bambina diveniva fremito. Un fremito strano.

– Che hai? – le domandò.

La piccina, osando appena alzar gli occhi, rispose:

– Nulla.

Ma anche nella voce, anche nell’alito della bimba, ora, il vecchio avvertí qualcosa d’insolito. E ripeté con piú astio:

– Che hai?

La bambina è superata… non riesce più a trattenere le sue emozioni… crolla/sprofonda in un impeto di paura, angoscia e rabbia.

Uno scoppio di singhiozzi. E subito dopo la piccina si buttò a terra, convulsa, gridando e dibattendosi tra quei singhiozzi, con una violenza e una furia,

Il nonno nota bene il comportamento della bimba ma non lo capisce.

che tanto piú oppressero e irritarono il vecchio, in quanto anch’esse gli parvero insolite.

Arriva la madre… lei castiga la bambina per aver infranto le regole.

Accorse nella stanza la nuora, gridando:

– Oh Dio, Tittí, ch’è stato? Ma come? qua? che t’è preso? Sú… sú… ferma! Sú, con mamma tua… Come sei entrata qui? Che dici? Cattivo? Chi? Ah… Nonno cattivo? Tu, cattiva… Nonno, nonno, che ti vuol tanto bene… Ma che è stato?

Poi la madre tenta di rimuovere fisicamente la bambina dalla stanza. Quello che segue è una piccola lotta, durante la quale la bambina afferra e strappa qualche capello della madre.

– Tittí, ahi! i miei capelli… Dio, Dio… me li strappi tutti… uh… tutti i capelli di mamma, cattivona! Hai visto? Guarda… tutti i capelli di mamma tra le dita… i capelli di mamma tua… guarda, guarda…

E di tra le dita aperte della manina trasse uno e poi un altro e poi un altro filo d’oro, ripetendo:

– Guarda… guarda… guarda…

La bimbetta, subito impressionata, che davvero avesse strappati tutti i capelli di mamma, si voltò a guardarsi la manina con gli occhi pieni di lagrime. Non vedendo nulla, e udendo invece una risata larga, allegra, della mamma, diventò di nuovo furente, piú furente, e la costrinse a scappar via dalla stanza.

Il vecchio guarda tutto questo con ancora meno comprensione rispetto a prima,

Il vecchio, a cui fu rivolta l’ultima domanda, guatò feroce la bocca rossa ridente della nuora, poi il bel ciuffo di capelli biondo-dorati, che la piccina le scompigliava su la fronte con una mano, dibattendosi ora in braccio a lei, e facendo impeto per costringerla a uscir subito da quella stanza.

Il vecchio ansimava forte. Una domanda gli gorgogliava dentro, inasprendogli l’astio di punto in punto.

– Ma che hanno? che hanno?

…mentre il lettore viene a sapere dei suoi sospetti e la sua amarezza.

Anche negli occhi, anche nella voce, anche in quella risata della nuora, nel gesto con cui dai ditini della bimba aveva tratto i capelli strappati, prima uno e poi un altro e poi un altro, aveva avvertito alcunché d’insolito, di straordinario.

No, non erano, né la bimba né la nuora, come tutti gli altri giorni. Che avevano?

(Secondo me, a questo punto una parte della difficoltà di comprendere la storia è che il lettore non può completamente spiegare perché le emozioni negative del vecchio sembrano essere così intensamente sentite e perché loro sembrano emergere vulcanicamente. Ci chiediamo, “Sia solo a causa della sua malattia cronica o ci sia qualcosa di più?”)

Poi siamo introdotti al figlio del nonno.

S’accaní a lungo allora a sospingere la mano su quelle gambe per accostarla a poco a poco, a piccoli sbalzi, a quel capello, che gli era odioso come uno scherno. E affannato in questo sforzo che, già protratto invano per una mezz’ora, lo aveva stremato, lo trovò il figliuolo, il quale ogni mattina, prima d’uscir di casa per i suoi affari, si recava in camera di lui a salutarlo.

– Buon giorno, babbo!

Il vecchio levò il capo. Uno sguardo opaco e torbido, di stupore pauroso, gli dilatava gli occhi. Anche il figlio?

Il figlio si scusa per l’intrusione di sua figlia e spiega che l’ha castigata. Poi parte per il lavoro.

Questi credette che il padre lo guardasse cosí per fargli intendere che s’era avuto a male della disubbidienza della nipotina, e s’affrettò a dirgli:

– Quel diavoletto, è vero? t’ha disturbato. Senti? piange ancora di là… L’ho sgridata, l’ho sgridata. Addio, papà. Ho fretta. A piú tardi eh? Or ora verrà la Nerina.

Il vecchio è adesso stupefatto. La nipote ha singhiozzato incontrollatamente! La madre sembrava leggera e spensierata!! Idem per il figlio!!! Tutto insolito, fuori della norma. Il vecchio chiede, quindi, “Cosa sta succedendo?” e “Cosa sanno che non ancora mi hanno detto?”

Il vecchio lo seguí con gli occhi, ancor pieni di stupore e di paura, fino all’uscio.

Anche lui, il figlio! Non gli aveva detto mai con quel tono: – Buon giorno, babbo! -. Perché? Che sperava? S’erano tutti accordati contro di lui? Che era avvenuto? Quella bimba, entrata dapprima, tutta sussultante… poi la madre, con quella risata… per i suoi capelli strappati… ora il figlio, anche il figlio con quell’allegro: -Buon giorno, babbo!

Qualche cosa era accaduta, o doveva accadere quel giorno, che volevano tenergli nascosta. Ma che cosa?

Poi veniamo a sapere un aspetto importante della storia del nonno… è un uomo fatto da sé. Un sopravvissuto. Un concorrente feroce. È comodo solo quando è in controllo del suo destino, solo quando vince al gioco della vita.

Il vecchio ha fatto tutto ciò che era necessario per avere una vita di successo. Da giovane, ha lasciato l’Italia per il Sud America, dove ha assemblato un impero economico che l’ha reso straordinariamente ricco. (Questo è avvenuto nel corso di 45 anni, un periodo caratterizzata da grinta, determinazione, caparbietà, forza, aggressività, attenzione, carattere, e risolutezza di scopo.

Un guazzabuglio d’immagini, di ricordi, come in un balenío d’uragano, gli tumultuava nello spirito. La Plata, le pampas; i paduli salsugginosi dei fiumi perduti, gli armenti innumerevoli scalpitanti, belanti, annitrenti, muglianti. Là, dal nulla, in quarantacinque anni, aveva edificato la sua fortuna, avvalendosi d’ogni mezzo, d’ogni arte, carpendo il momento o preparando e covando con lunga astuzia le insidie: prima guardiano d’armenti, poi colono, poi addetto ai grandi appalti di linee ferroviarie, poi costruttore.

Dopo i primi 15 anni in Sud America, il vecchio è tornato in Italia. Si è sposato e sua moglie ha dato alla luce un figlio. Poi, poco dopo la nascita, è tornato da solo in Sud America. Tuttavia, qualche tempo dopo (mentre era in Sud America) la moglie è morta, e il figlio era curato dai parenti di lei. Il vecchio non era presente quando sua moglie è morta e aveva passato pochissimo tempo con suo figlio.

Tornato in Italia, dopo i primi quindici anni, aveva preso moglie, e subito dopo la nascita di quell’unico figlio, era ritornato laggiú, solo. Gli era morta la moglie, senza ch’egli l’avesse piú riveduta; il figliuolo, affidato ai parenti materni, gli era cresciuto senza che egli lo conoscesse.

Il vecchio si è ammalato 4 anni fa: una malattia cronica e progressiva, l’ha costretto tornare a Roma. Inizialmente ha tentato di mantenere la sua forte volontà di riuscire…. cioè, fino a quando ha subito l’ictus, due anni fa. Da allora ha vissuto in casa del figlio, edematoso e parzialmente paralizzato, con un cuore ei reni non funzionanti (a causa di aterosclerosi), in attesa di morire (cioè, ancora mettendo su una lotta, resistendo l’inevitabile).

Quattr’anni addietro era rimpatriato infermo, quasi moribondo: orribilmente gonfio dall’idropisia, ossidate le arterie, rovinato il rene, rovinato il cuore. Ma non s’era dato per vinto: pur cosí, coi giorni, forse con le ore contate, aveva voluto comperare a Roma alcuni terreni per nuove costruzioni, e subito, aveva cominciato i lavori facendosi trasportare su una sedia a ruote nei cantieri, per vivere in mezzo agli operai, nel trambusto dell’opera: scabro come una roccia, tumefatto, enorme: di quindici giorni in quindici giorni s’era fatto cavar dal ventre il siero a litri, e via di nuovo tra i lavori, finché un colpo d’apoplessia, due anni fa, non lo aveva fulminato, là su quella sedia, pur senza finirlo. La grazia di morir su la breccia non gli era stata concessa. Da due anni perso in tutto il corpo, si macerava nell’attesa dell’ultima fine,

Diventa ormai chiaro che il Pirandello ha creato un personaggio con uno spirito indomito, uno che è intrappolato / confinato / limitato all’interno d’un corpo inutile. Per il nonno si tratta di una situazione inaccettabile… fino ad ora lui ha rifiutato di vivere la vita in questo modo, e rifiuta ancora. Dunque, non dovrebbe stupirci che esiste un senso di intensa rabbia e l’amarezza in agguato appena sotto la superficie della sua personalità.

Naturalmente c’è più qui d’un semplice amarezza e rabbia a cause della sua malattia. Il vecchio si sente vergogna e rimorso per il suo egocentrismo; lui immagina che tutti lo odiano e che il figlio vuole vendicarsi. Risente anche il fatto che adesso suo figlio controlla la sua fortuna.

pieno d’astio per quel figlio tanto diverso da lui, a lui quasi sconosciuto, che, senza bisogno, liquidati i lavori e investita in rendita l’ingente ricchezza paterna, seguitava nelle sue modeste occupazioni legali, quasi per negare a lui ogni soddisfazione e vendicar la madre e se stesso del lungo abbandono.

Nessuna comunione di vita, di pensieri, di sentimenti con quel figlio. Egli lo odiava, sí, e odiava quella nuora e quella bimba; sí, sí, li odiava, li odiava perché lo lasciavano fuori della loro vita e neanche… e neanche volevan dirgli che cosa era accaduto quel giorno, per cui tutti e tre gli apparivano cosí diversi dal solito.

Quello che segue sono due episodi — uno con una serva che prende cura delle sue necessità quotidiane e l’altro con un medico che visita il vecchio regolarmente e fornisce il proseguimento delle cure. Entrambi gli episodi ci mostrano essenzialmente la stessa cosa. Queste persone sono tutte spensierate e gioiose. Loro sembrano essere felici, sembrano divertirsi — quasi all’esclusione del vecchio (che è quasi emarginato, superfluo). In netto contrasto, il vecchio è sospettoso, arrabbiato, amaro, pieno di rimorso, risentimento.

In primo luogo l’episodio con la serva.

Di quel pianto, Nerina, la servetta, non fece alcun caso, quando poco dopo entrò per custodirlo. Era pieno d’acqua, il vecchio: niente di male, se ne buttava un po’ dagli occhi. – E, cosí pensando, gli asciugò con poco garbo la faccia; poi prese la ciotola del latte, v’intinse una prima savojarda e cominciò a imboccarlo.

– Mangi, mangi.

Egli mangiò, ma spiando sottecchi la servetta. A un certo punto, la intese sospirare, ma non di stanchezza, né di noja. Alzò subito gli occhi a guatarla in viso. Ecco: stava per trarre un altro sospiro, quella smorfiosa. Vedendosi guardata, invece di lasciarlo andare, ora lo soffiava per le nari, scrollando il capo, come stizzita. E perché s’era fatta cosí, a un tratto, rossa? Che aveva anche lei, quel giorno?

Tutti, tutti, dunque, avevano qualche cosa d’insolito, quel giorno? Non volle piú mangiare.

– Che hai? – domandò anche a lei, con ira.

– Io? che ho? – fece la servetta, stordita dalla domanda.

– Tu… tutti… che è? che avete?

– Ma nulla… io non so… che cosa mi vede?

– Sospiri!

– Io? ho sospirato? Ma no! O forse, senza volerlo. Non ho proprio nulla, da sospirare.

E rise.

– Perché ridi cosí?

– Come rido? Rido perché… perché lei dice che ho sospirato.

E seguitò a ridere piú forte, irrefrenabilmente.

– Vattene! – le gridò allora il vecchio.

E poi l’episodio con il medico.

Sul tardi, quando venne il medico per la visita consueta e rientrarono nella camera la nuora, il figlio, la nipotina, il sospetto covato tutto il giorno, anche durante il sonno, che qualcosa fosse avvenuto, che tutti gli volessero tener nascosto, diventò certezza; chiara, lampante.

Erano tutti d’accordo. Parlavano davanti a lui di cose aliene, per distrar la sua attenzione; ma l’intesa segreta traspariva evidentissima dai loro sguardi. Non s’erano mai guardati cosí tra loro! I gesti, la voce, i sorrisi non s’accordavano affatto con ciò che dicevano. Tutto quel fervore di discussione per le parrucche, per le parrucche che tornavan di moda!

– Ma verdi, scusi? verdi, violette? – gridava la nuora, tutta vermiglia, con una collera finta, tanto finta che non riusciva a impedire alla bocca di ridere.

Rideva per conto suo, quella bocca. E da sé le mani si levavano a carezzare i capelli, come se per sé i capelli volessero la carezza di quelle mani.

– Capisco, capisco… – rispondeva il medico, con la beatitudine dipinta in tutto il faccione di luna piena. – Quando si hanno i suoi capelli, signora mia, nasconderli sotto una parrucca sarebbe un peccato.

Infine, il nonno non può rimanere in silenzio più a lungo.

Il vecchio tratteneva ormai a stento il furore. Avrebbe voluto cacciarli via tutti dalla stanza con un urlo di belva. Ma appena il medico si licenziò e la nuora con la bambina per mano si recò ad accompagnarlo fino alla porta, il furore scoppiò sul figlio rimasto solo con lui. Lo investí con la stessa domanda rivolta invano alla nipotina, alla servetta:

– Che avete? perché siete tutti cosí oggi? che è avvenuto? che mi nascondete?

Dopo un po’, rassicurato, il vecchio si calma. Siamo alla fine della storia ma non ancora sappiamo il motivo del buon umore di figlio, nuora, serva e medico.

Perché??

Perché la stagione è cambiata! L’inverno è finito ed è arrivata la primavera!!!

– Ma nulla, babbo! Che vuoi che ti si nasconda? – rispose il figlio, stupito, afflitto. – Siamo… non so, come siamo sempre stati.

– Non è vero! Avete qualche cosa di nuovo: io lo vedo! io lo sento! Ti pare che non veda nulla, che non senta nulla, perché sono cosí?

– Ma io non so proprio, babbo, che cosa tu veda di nuovo in noi. Non è avvenuto nulla, te l’ho giurato, torno a giurartelo! Via, via, sta’ tranquillo!

Il vecchio si calmò alquanto, per l’accento di sincerità del figliuolo, ma non rimase convinto. Che c’era qualcosa di nuovo, era indubitabile. Lo vedeva, lo sentiva in loro.

Ma che cosa?

La risposta, quand’egli restò solo nella stanza, gli venne tutt’a un tratto dal balcone, silenziosamente.

Rimasto dalla mattina con la maniglia girata dalla bimba, ora, nella prima sera, ecco quel balcone si schiuse pian piano, un poco, a un filo d’aria.

Il vecchio, dapprima, non se n’accorse; ma sentí tutta la stanza empirsi d’un delizioso inebriante profumo che saliva dai giardini che circondavano la casa. Si volse, e vide una striscia di luna sul pavimento, ch’era come la traccia luminosa di quei profumi nella cupa ombra della stanza.

– Ah, ecco… ecco…

Gli altri non potevano vederlo, non potevano sentirlo in sé, gli altri, perché erano ancora dentro la vita. Egli, che ormai n’era quasi fuori, egli lo aveva veduto, egli lo aveva sentito in loro. Ecco, ecco perché, quella mattina, la bimba non tremava soltanto, ma fremeva tutta; ecco perché la nuora rideva e si compiaceva tanto dei suoi capelli; ecco perché sospirava quella servetta; ecco perché tutti avevano quell’aria insolita e nuova, senza saperlo.

Era entrata la primavera.

***

“Sono assai felice. Non dirò perché ma lo sono assai.”

 

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