Riassunto: Ritorno

Percaso, cari lettori, avete letto il superlativo-impressionante-sorprendente-indimenticabile Lacci, un libro del Domenico Starnone?

L’autore Jhumpa Lahiri ha di recente tradotto Lacci dal italiano all’inglese, e lei ha anche scritto una bella introduzione sia illuminante e sincera-accorata, in cui lei afferma,

Lacci è meno su tradimento che si tratta di ‘dolore che ritorna, che riaffiora’: nonostante gli sforzi diligenti per organizzare esperienze, emozioni, ricordi, loro non possono essere confezionati, nascosti, repressi, archiviati Opportunamente, ad un certo punto, c’è un sogno in queste pagine, una feconda immagine indelebile. Perché i sogni sia contenere e liberare la materia torbida delle nostre psiche.

Infatti, immagino io che sia un parallelo giusto tra l’idea centrale del Lacci, cioè, ‘dolore che ritorna, che riaffiora’ ed i temi che Pirandello esplora nel Ritorno, una novella oscura ed inesorabilmente triste della vita di Paolo Marra.

La novella inizia così,

Dopo tant’anni, di ritorno al suo triste paese in cima al colle, Paolo Marra capí che la rovina del padre doveva esser cominciata proprio nel momento che s’era messo a costruire la casa per sé, dopo averne costruite tante per gli altri.

Qui vediamo che il Marra è tornato a casa della sua fanciulezza. Il ritorno è stato un impulso per molti ricordi dolorosi, primo di tutti uno sulla rovina di suo padre.

Cioè, ad un certo punto l’impresa del padre ha prosperato fino al punto in cui ha deciso di costruire una grande casa per la sua famiglia: diversi edifici, tra cui l’abitazione della famiglia, sono stati raggruppati in una tenuta. Rispetto alla strada l’abitazione è stata piazzata dietro un ampio cortile con una grande cisterna al centro. Il progetto anche comprendeva un impressionante cancello d’ingresso, e la tenuta è stata sia delineata e protetta da un muro di pietra.

All’inizio della novella sono passati molti anni da quando il Marra ha vissuto nella tenuta. Veniamo a sapere che la tenuta ha subito significativo abbandono per molti anni, dunque in questo momento è stata in condizione di rovina quasi totale.

La rovina della proprietà è descritta in qualche dettaglio… la descrizione serve per il lettore come una metafora della rovina della famiglia; serve per il Marra come un potente ‘trigger’ visivo dei ricordi dolorosi della fanciulezza. Cioè,

-Il terreno era collinare: un senso dell’abbandono e della povertà estrema può essere derivata dalla descrizione delle strade del paese, che sono coperte da ciottoli.

E lo capí rivedendo appunto la casa, non piú sua, dove aveva abitato da ragazzo per poco tempo, in una di quelle vecchie strade alte, tutte a sdrucciolo, che parevan torrenti che non scorressero piú: letti di ciottoli.

-Poi la rovina del cancello d’ingresso è stata descritta,

L’immagine della rovina era in quell’arco di porta senza la porta, che superava di tutta la cèntina da una parte e dall’altra i muri di cinta della vasta corte davanti, non finiti: muri ora vecchi, di pietra rossa.

…così come il degrado e l’abbandono del cortile e la cisterna.

Passato l’arco, la corte in salita, acciottolata come la strada, aveva in mezzo una gran cisterna. La ruggine s’era quasi mangiata fin d’allora la vernice rossigna del gambo di ferro che reggeva in cima la carrucola. E com’era triste quello sbiadito color di vernice su quel gambo di ferro che ne pareva malato! Malato fors’anche della malinconia dei cigolíi della carrucola quando il vento, di notte, moveva la fune della secchia; e sulla corte deserta era la chiarità del cielo stellato ma velato, che in quella chiarità vana, di polvere, sembrava fissato là sopra, cosí, per sempre.

La novella suggerisce che il padre del Marra ha avuto la presunzione di progettare-disegnare un cortile per separare ed isolare la famiglia dalle parti più povere del paese… cioè, per dimostrare che lui era diverso dagli altri, che aveva il mezzo per creare gli spazi stravaganti.

Questo grande presunzione però non è mai stata pienamente realizzata.

Ecco: il padre aveva voluto mettere, tra la casa e la strada, quella corte. Poi, forse presentendo l’inutilità di quel riparo, aveva lasciato cosí sguarnito l’arco e a mezzo i muri di cinta.

Nel periodo subito dopo la morte del padre, i confini della tenuta sono stati rispettati dagli poveri abitanti del paese.

Dapprima nessuno, passando, s’era attentato a entrare, perché ancora per terra rimanevano tante pietre intagliate, e pareva con esse che la fabbrica, per poco interrotta, sarebbe stata presto ripresa.

Poi però è diventato evidente a tutti che la proprietà non veniva mantenuta,

Ma appena l’erba aveva cominciato a crescere tra i ciottoli e lungo i muri, quelle pietre inutili eran parse subito come crollate e vecchie.

…soprattutto dopo era stata venduta tre volte ai proprietari che, ovviamente, avevano dimostrato poco interesse.

Parte erano state portate via, dopo la morte del padre, quando la casa era stata svenduta a tre diversi compratori e quella corte era rimasta senza nessuno che vi accampasse sopra diritti;

A poco a poco gli abitanti del paese sono stati incoraggiati ad invadere ed utilizzare la tenuta come uno spazio comune (cioè, uno spazio pubblico) dove loro potrebbero riunire, fare il bagno e lavare i vestiti.

e parte erano divenute col tempo i sedili delle comari del vicinato, le quali ormai consideravano quella corte come loro, come loro l’acqua della cisterna, e vi lavavano e vi stendevano ad asciugare i panni e poi, col sole che abbagliava allegro da quel bianco di lenzuoli e di camice svolazzanti sui cordini tesi, si scioglievano sulle spalle i capelli lustri d’olio per “cercarsi” in capo, l’una all’altra, come fanno le scimmie tra loro.

Pirandello osserva che, a questo punto, il cortile non funziona più come una barriera che separa la proprietà dai dintorni.

La strada, insomma, s’era ripresa la corte rimasta senza la porta che impedisse l’ingresso.

Poi Pirandello afferma esplicitamente che la rovina della proprietà ha causato i dolorosi ricordi del Marra a ritornare, riaffiorare.

E Paolo Marra, che vedeva adesso per la prima volta quella invasione, e distrutta la soglia sotto l’arco, e scortecciati agli spigoli i pilastri, guasto l’acciottolato dalle ruote delle carrozze e dei carri che avevan trovato posto negli ariosi puliti magazzini a destra della casa, chi sa da quanto tempo ridotti sudice rimesse d’affitto; appestato dal lezzo del letame e delle lettiere marcite, col nero tra i piedi delle risciacquature che colava deviando tra i ciottoli giú fino alla strada, provò pena e disgusto, invece di quel senso d’arcano sgomento con cui quella corte viveva nel suo lontano ricordo infantile quand’era deserta, col cielo sopra, stellato, il vasto biancore illividito di tutti quei ciottoli in pendio e la cisterna in mezzo, misteriosamente sonora.

Il Marra era istruito (era un professore) come tale aveva sostanzialmente nulla in comune con gli abitanti del paese. D’altra parte gli abitanti che hanno invaso la tenuta lo considerano come una stranezza-bizzaria-curiosità… simile ad un extraterrestre, un uomo da Marte!

Donne e marmocchi stavano intanto a mirarlo da un pezzo, maravigliati del suo vecchio abito lungo, che a lui forse pareva confacente alla sua qualità di professore, ma che invece gli dava l’aspetto d’un pastore evangelico d’un altro clima e di un’altra razza, con la zazzera scoposa sulle spallucce aggobbite e gli occhiali a stanghetta; e come lo videro andar via con tutto quel disgusto nel viso pallido, scoppiarono a ridere.

Inizialmente il Marra era furioso per l’invasione dello spazio che non ha potuto fare a meno di prendere in considerazione per essere il suo. Lui non era però in grado di sostenere la sua rabbia. Qui, Pirandello sembra suggerire che la vita adulta del Marra sia stata difficile, come se lui sia stato gravemente sfregiato dalle sue esperienze di vita, dal quale non si era mai ripreso. (In altre parole, il Marra era scontento, cioè, insoddisfatto e deluso… di conseguenza non ha la forza di carattere per rimanere arrabbiato per molto tempo.)

L’ira, lí per lí, lo spinse a rientrare in quella corte di cui era ancora il padrone, per strappare quelle donne, una dopo l’altra, dalle pietre su cui stavan sedute e cacciarle via a spintoni. Ma, abituato ormai a riflettere, considerò che se esse sotto quel suo aspetto straniero, e forse un po’ buffo, d’uomo precocemente invecchiato e imbruttito da una vita di studii difficile e disgraziata, non riconoscevano piú il ragazzo ch’egli era stato e che qualcuna di loro poteva forse ricordare ancora, non doveva far caso del diritto che gli negavano di provare quel disinganno e quel disgusto, per tutta la pena dei suoi antichi ricordi.

Da questo punto in avanti, siamo immersi nella storia tragica della vita familiare del Marra. La famiglia era turbata, a dir poco, per lo meno dal momento in cui la costruzione della tenuta era stata intrapresa (quando il Marra aveva circa 6 anni). C’era considerevole violenza: il padre del Marra ha deriso-schernito e rimproverato sua moglie più o meno costante; c’era anche la minaccia quotidiana d’abuso fisico.

Uno, tra questi ricordi, del resto, bastava a fargli cader l’animo di rivoltarsi contro quelle donne; il ricordo, ancora cocente, di sua madre che usciva per sempre da quella casa, con lui per mano e reggendosi con l’altra, sulla faccia voltata, una cocca del fazzoletto nero che teneva in capo, per nascondere il pianto e i segni delle atroci percosse del marito.

Il Marra era indissolubilmente legato a questi problemi; mentre cresce, ha preso le parti, cioè, ha preferito sua madre.

Era stato lui, ragazzo, la causa di quelle percosse, della rottura insanabile che n’era seguita tra moglie e marito e della conseguente morte della madre, per crepacuore, appena un anno dopo: lui, sciocco, per aver voluto farsi, a quattordici anni, paladino di lei contro il padre che la tradiva;

Il rapporto tra madre e figlio era intimo, profondo, tenerissimo.

Per lui, figlio, la mamma era quella. Non poteva concepirne un’altra diversa. Si sentiva avvolto e protetto dall’infinita tenerezza che spirava da quegli occhi,

Sfortunatamente la povera madre era terribilmente sfigurata-deturpata, come il risultato d’un incidente d’infanzia. Inoltre lei non era il vero amore del marito. (Le circostanze non erano mai rivelato, ma il lettore ha il senso che il matrimonio è stato forse combinato.) Il padre sembrava credere che ha fatto sua moglie un grande favore: dato le sue deturpazioni lei ha anche meno opzioni per la realizzazione personale rispetto alla maggior parte delle altre donne.

Col passare del tempo il padre del Marra è tornato al suo vero amore, un tradimento che la madre non ha altra scelta ma sopportare.

…senza comprendere, come comprendeva ora da grande, che alla madre, orribilmente svisata fin da bambina da una caduta dalla finestra nella strada, era fatto l’obbligo di sopportare quel tradimento, se voleva seguitare a convivere col marito.

Per lui, figlio, la mamma era quella. Non poteva concepirne un’altra diversa. Si sentiva avvolto e protetto dall’infinita tenerezza che spirava da quegli occhi, che sarebbero stati pur belli, cosí neri, se le palpebre, sotto, non se ne fossero staccate, mostrando il roseo smorto delle congiuntive e scivolando con le occhiaje e le guance nel cavo dell’orrenda ammaccatura, da cui emergeva appena la punta del naso. E tutta la carnale e santa amorosità della mamma sentiva nella voce di lei, senza badare che quella voce, piú che dalla povera enorme bocca, le sfiatasse quasi vana dai fori del naso.

Sapeva che il padre, venuto sú dalla strada, era diventato signore per lei; e s’irritava vedendo che ella, nonché pretenderne almeno un po’ di gratitudine, per poco non metteva la faccia – quella sua povera faccia! – dove lui i piedi; e che lo serviva come una schiava, dimostrandogli lei, anzi, in ogni atto, a ogni momento, quella gratitudine tutta tremiti delle bestie avvilite; sempre in apprensione di non esser pronta abbastanza a prevenire ogni suo desiderio o bisogno, ad accogliere qualche sua distratta benevolenza come una grazia immeritata.

Risentimento, disuguaglianza, frustrazione, rabbia, rimprovero, violenza… queste sono, a dir poco, potenti emozioni negative per ognuno bambino-ragazzo a testimoniare-sperimentare. (È facile immaginare che c’era poco base per il Marra di comprendere ciò che era stato testimoniato.)

Non aveva ancora sei anni, e già si rivoltava, indignato, e scappava via sulle furie nel vedersi mostrato da lei a chi la rimproverava di quella sua troppa remissione; si turava gli orecchi per non udire dall’altra stanza le parole con cui di solito ella accompagnava quel gesto rimasto a mezzo per la sua fuga: che aveva un figlio e che questo, data la sua disgrazia, fosse già un premio veramente insperato che Dio le aveva voluto concedere.

A quell’età non poteva ancora comprendere ch’ella poneva avanti questa scusa del figlio per dissimulare, fors’anche a se stessa, l’inconfessabile miseria della sua povera carne che mendicava con tanta umiliazione a quell’uomo l’amore, pur sapendolo preso e posseduto da un’altra donna, pur avvertendo certamente la repulsione con cui ogni volta la tremenda elemosina le doveva esser fatta. E s’era creduto in obbligo di risarcirla di quell’avvilimento davanti a tutti, patito per lui.

Poi la storia della relazione precedente del padre con l’altra donna è spiegata in qualche dettaglio. (Come indicato in precedenza, non ci viene detto perché questi due non si è mai sposati.)

Era a conoscenza che il padre s’era messo con una vedova, popolana, sua cugina, una certa Nuzza La Dia ch’era stata sua fidanzata e ch’egli aveva lasciata per sposare una d’un paraggio superiore al suo e con ricca dote: pazienza, se brutta; figlia dell’ingegnere che lo aveva ajutato a tirarsi sú e che, accollatario di tanti lavori, lo avrebbe preso come socio in tutti gli appalti.

Quello che segue è la memoria degli eventi che hanno portato alla rottura del matrimonio dei genitori e le sue morte. È passato il tempo, e il Marra (in questo momento, è un ragazzo) e sua madre avevano l’abitudine d’andare a una vicina abbazia la domenica mattina a trovare la madre badessa (lei è sua zia—probabilmente la sorella della madre). Il lettore ha il senso che il padre ha risentito queste visite, forse perché hanno esemplificato l’indipendenza-libertà della moglie e anche perché hanno sottolineato la preferenza del figlio per sua madre.

Domenica arriva, madre e figlio sono andati all’abbazia. È stato un momento meraviglioso, una via di fuga dai problemi, cioè, un momento accogliente, caldo, sicuro,

Sapeva che le domeniche mattina i due si davano convegno al parlatorietto riservato alla madre badessa del monastero di San Vincenzo, ch’era una loro zia. Fingevano d’andarle a far visita; e la vecchia badessa, che forse scusava con la parentela tra i due la tenera intimità di quei convegni, godeva nel vederseli davanti, l’uno di fronte all’altra, ai due lati del tavolino sotto la doppia grata: lui, diventato un signore, con l’abito turchino delle domeniche che pareva gli dovesse scoppiare sulle spalle rudi, il solino duro che gli segava le garge paonazze, e la cravatta rossa; lei d’una piacenza tutta carnale ma placida perché soddisfatta, vestita di raso nero e luccicante d’ori nella penombra di quel parlatorietto che aveva il rigido delle chiese.

…e una bella esperienza condivisa.

S’imbeccavano, un boccone tu, un boccone io, le innocenti confezioni della badia, e dai bicchierini il pallido rosolio con l’essenza di cannella, un sorso tu, un sorso io. E ridevano. E anche la vecchia zia badessa, come una balla dietro la doppia grata, si buttava via dalle risa.

Purtroppo quella domenica il padre di Marra ha seguito moglie e figlio per spiarli.

Era andato a sorprenderli, una di quelle domeniche.

Il Marra ha scoperto suo padre in clandestinità; poi l’ha affrontato, con rabbia, e l’ha sputato in faccia.

Le era andato di fronte e s’era tirato un po’ indietro col busto per scagliarle con piú forza in faccia lo sputo. Il padre non s’era mosso dalla tenda.

Il padre gli ha aspettato per vendicarsi fino a moglie e figlio sono tornati a casa. Poi ha picchiato la moglie senza pietà (è doloroso leggere questo passaggio) e poi l’ha buttata fuori casa.

E a lui, poi, a casa, non aveva torto un capello né detto nulla. S’era vendicato sopra la madre; l’aveva percossa a sangue e cacciata via; poi s’era tolta in casa pubblicamente la ganza, senza voler piú sapere né della moglie né del figlio.

La madre del Marra è morta circa un anno dopo, e suo padre qualche tempo avanti.

A questo punto la novella torna al presente. Veniamo a sapere che l’amante del padre del Marra vive in estrema povertà.

Misteriosamente costui, chiamandoselo prima con la mano in disparte, s’era messo a parlargli a bassissima voce della casa e del diritto da far valere sulla corte di essa, o per sè, o, se per sè non voleva, a favore d’una disgraziata che sarebbe stata carità fiorita ricompensare dell’amore e della devozione che aveva avuto per il padre e dei servizi che egli aveva reso fino all’ultimo, quando, perso di tutto il corpo e muto, s’era ridotto alla fame: una certa Nuzza La Dia sí, che fin d’allora s’era data a mendicare per lui, e che ora, senza tetto, si trascinava ogni notte a dormire là, in un sottoscala della casa.

Gli abitanti del paese sembrano credere che l’amante è responsabile per la rovina della famiglia quindi il suo attuale stato di rovina personale è in qualche modo giustificato.

Ed ecco che quell’omino, in risposta al suo sguardo, subito gli aveva strizzato un occhio, ammiccando con l’altro, improvvisamente acceso d’una furbizia davvero diabolica. Proprio come se fosse stato lui a far precipitare da bambina la madre dalla finestra, per svisarla; lui a far cosí bella, per la tentazione del padre, quella Nuzza La Dia; lui a indurlo, ragazzo, a tirare in faccia a quella donna bella lo sputo per la rovina di tutti.

Questo è un passaggio strano, difficile da seguire, fino a quando ci rendiamo conto che la persona che racconta il Marra questa storia è immaginato… parte di un sogno. Forse il Marra ha creato l’apparizione perché è sopraffatto dai suoi ricordi della fanciulezza? In altre parole il sogno è una sorta del meccanismo di difesa contro il dolore che si sente.

E dopo aver cosí ammiccato, quel diavolo lí, ravvolgendosi con gran vento nel suo spropositato mantello, era andato via.

Sapeva bene Paolo Marra che questa era tutta sua immaginazione, la quale nasceva dal fatto che da un pezzo si sentiva pungere segretamente dal rimorso d’aver lasciato morire il padre nella miseria, senza volersene piú curare.

L’ultima immagine della novella è profondamente dolorosa… un’immagine della madre.

Anche in quel momento se ne sentí pungere; ma subito respinse quel rimorso con un urto d’odio che pur sapeva non vero. L’urto, difatti, proveniva da un altro sentimento ch’egli non aveva mai voluto precisare dentro di sé per non offendere tra le sue memorie quella che gli doleva di piú: la memoria della madre. E questa memoria era mista adesso a un senso atroce di vergogna e ad un avvilimento tanto piú grande, in quanto ogni volta, accanto alla faccia della madre, deturpata, gli appariva d’improvviso, bella, la faccia di quell’altra, col ricordo indelebile di com’ella lo aveva guardato, mentre ancora lo sputo le pendeva dalla guancia: un sorriso incerto, di quasi allegra sorpresa, che le luceva sui denti tra le labbra rosse; e tanta pena, invece, tanta pena negli occhi.

***

Verso la fine della sua introduzione alla Lacci, Jhumpa Lahiri descrive le sue esperienze di tradurre in inglese la novella del Starnone. Lei concentra sul significato di alcune parole del testo originale, e la sua spiegazione di una parola in particolare—scontento—sembrava rilevante per Ritorno.

La Lahiri scrive,

Un’altra parola distinta per me, che viene utilizzata di frequente, è scotento. Può significare infelicità in inglese, ma è molto più forte di quella. Si tratta di un amalgama di frustrazione, insoddisfazione, delusione, malcontento.

Potrebb’essere qualche dubbio che scontento è una descrizione quasi perfetta del personaggio di Paolo Marro? (Infatti, scontento funziona come una descrizione quasi perfetta di tutti i personaggi della novella!)

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