Riassunto: Un cavallo sulla luna

Un cavallo sulla luna (L. Pirandello) è una meraviglia — un esame umoristico, sconcertante e alla fine provocatorio delle complessità dell’amore e del matrimonio (specialmente così in questo caso, perché gli sposi hanno appena raggiunto l’età della pubertà, e quindi, uno può dire che loro non siano pronti a sposarsi.) Secondo noi entrambi sono immaturi e nessuno dei due si conosce abbastanza bene da offrirsi ad un’altra persona. Inoltre, nessuno dei due abbia una chiara idea di ciò che stanno cercando in un coniuge.

La storia è ambientata nella campagna dell’Italia meridionale, in Sicilia, forse vicino ad Agrigento. Questa ‘campagna’ — compresa la terra e tutto ciò che vive lì — è cruciale per la trama della novella. Anzi uno potrebbe sostenere che la terra o ‘spinge’ avanti o ‘guida’ avanti la narrativa e quindi serve come la protagonista della novella. In effetti uno ha la netta impressione che la terra determini come vivono le persone; con questo intendiamo dire che gli atteggiamenti e le sensibilità delle persone, nonché le loro priorità e azioni, sembrano essere governati dal luogo in cui vivono. Inoltre, entrambi i ritmi della vita e i cicli della vita sono agrari e dunque guidati dalle stagioni. La vita nella campagna è una lotta continua, con la presenza costante di povertà estrema e condizioni climatiche estreme. Tutti, cioè, umani, animali, piante, hanno bisogno d’adattarsi alla campagna per sopravvivere.

(Per un lettore americano è stata una piccola sorpresa leggere di una gente che vivere in questo modo. Dopotutto, una gran parte della storia americana è stato caratterizzato dalla convinzione che potremmo forzare il nostro ambiente ad adattarsi a noi e ai nostri bisogni. Ora mi chiedo se siamo stati semplicemente folli a pensare che potremmo davvero / realisticamente farlo!)

***

La novella comincia così:

È settembre, verso la fine della stagione di crescita delle colture, cioè, un periodo di raccolta (certo, finché uno sia fortunato). Tutta la campagna è riarsa, esausta, triste, vicina alla morte.

Di settembre, su quell’altipiano d’aride argille azzurre, strapiombante franoso sul mare africano, la campagna già riarsa dalle rabbie dei lunghi soli estivi, era triste: ancor tutta irta di stoppie annerite, con radi mandorli e qualche ceppo centenario d’olivo saraceno qua e là.

 

(Forse la terra sembrava così?)

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Due giovani, Nino Berardi ed Ida, si sono appena sposati e ci sarà un pranzo matrimoniale tradizionale per celebrare gli sposi. Nino è siciliano e da questo posto, Ida non lo è.

Tuttavia fu stabilito che i due sposi vi passassero almeno i primi giorni della luna di miele, in considerazione dello sposo.

Apprendiamo dal comportamento e dall’apparenza angoscianti (“forsennato”) di Nino, che hanno smorzato la celebrazione. Nino è obeso, ha 20 anni e sembra essere fuori di testa… semplicemente pazzo! Sembra che capisca ben poco di ciò che gli viene detto, non mangia quasi nulla e beve ancora meno… la sua faccia è arrossata — livida, quasi viola-nera. Nino non si impegna nessuno.

Il pranzo di nozze, preparato in una sala dell’antica villa solitaria, non fu davvero una festa per i convitati.

Nessuno di essi riuscì a vincere l’impaccio, ch’era piuttosto sbigottimento, per l’aspetto e il contegno di quel giovanotto grasso, appena ventenne, dal volto infocato, che guardava qua e là coi piccoli occhi neri, lustri, da pazzo, e non intendeva più nulla, e non mangiava e non beveva e diventava di punto in punto più pavonazzo, quasi nero.

Poi veniamo a sapere che il corteggiamento era stato difficile… Si dicevano che Nino fosse delirio / disperato / accanito-innamorato di Ida — era implacabile! — anche fino al punto di un tentativo di suicidio.

Si sapeva che, preso d’un amor forsennato, per colei che ora gli sedeva accanto, sposa, aveva fatto pazzie, fino al punto di tentare di uccidersi:

Scopriamo anche che Nino è ricco ed un’orfano, l’unico erede di un lignaggio (“casato”) storico, la famiglia Berardi.

lui, ricchissimo, unico erede dell’antico casato dei Berardi,

(Qui, uno può immaginare un patrimonio che includeva una quantità significativa di terra. Probabilmente, in aggiunta, includeva alcuni membri della famiglia a cui era stato concesso un titolo nobiliare. Certamente è ragionevole sospettare che la famiglia abbia dimostrato la resilienza e la forza del carattere per sopravvivere sotto vari regimi politici).

Ida, d’altra parte, è a malapena un adolescente. La sua famiglia è di altrove (“della penisola?”). Suo padre, un militare, è stato trasferito in Sicilia con il suo reggimento circa un anno fa.

per una che, dopo tutto, non era altro che la figlia d’un colonnello di fanteria, venuto col reggimento da un anno in Sicilia.

Poi una possibile ragione per la lotta di Nino durante il corteggiamento sia rivelata a noi. Il padre di Ida si dice che sia prevenuto nei confronti della Sicilia e dei siciliani, ed era contrario al matrimonio perché temeva che Ida sarebbe stata costretta a vivere lì.

Ma il signor colonnello, mal prevenuto contro gli abitanti dell’isola, non avrebbe voluto accondiscendere a quelle nozze, per non lasciare là, come tra selvaggi, la figliuola.

(Restiamo solo per immaginare come abbia superato Nino l’obiezione del padre di Ida.)

Durante il pranzo cerimoniale un altro motivo di preoccupazione si dice che sia il contrasto tra gli sposi. Ad esempio (cioè, in paragona a Nino), Ida è relativamente insensibile, un delizioso mix di grazia, ingenuità e astuzia. È orfana (sua madre è morta molti anni fa) ed è entrata in matrimonio quasi senza preparazione.

Lo sbigottimento per l’aspetto e il contegno dello sposo cresceva nei convitati, quanto più essi avvertivano il contrasto con l’aria della giovanissima sposa. Era una vera bambina ancora, vispa, fresca, aliena: e pareva si scrollasse sempre d’addosso ogni pensiero fastidioso con certi scatti d’una vivacità piena di grazia, ingenua e furba nello stesso tempo. Furba però, come d’una birichina ancora ignara di tutto. Orfana, cresciuta fin dall’infanzia senza mamma, appariva infatti chiaramente che andava a nozze affatto impreparata.

Ad un certo punto, verso la fine del pranzo, ogni finzione di felicità è distrutta: Ida ne ha avuto abbastanza del comportamento strano / intenso / intrusivo / irritante di Nino, e lei lo ammonisce in pubblico, chiedendogli se è malato.

Tutti, a un certo punto, finito il pranzo, risero e si sentirono gelare a un’esclamazione di lei, rivolta allo sposo:

– Oh Dio, Nino, ma perché fai codesti occhi piccoli piccoli? Lasciami… no, scotti! Perché ti scottano così le mani? Senti, senti, papà, come gli scottano le mani. Che abbia la febbre?

Suo padre, apparentemente imbarazzato, chiude la celebrazione. Gli ospiti ora trasporteranno in carrozza dalla villa alla città. Gli sposi vanno in giro con i loro genitori, ma subito dopo la partenza, fermano la carrozza e scendono. Vogliono camminare.

Tra le spine, il colonnello affrettò la partenza dei convitati dalla campagna. Ma sì, per togliere quello spettacolo che gli pareva indecente. Presero tutti posto in sei vetture. Quella dove il colonnello sedette accanto alla madre dello sposo, anch’essa vedova, andando a passo per il viale, rimase un po’ indietro, perché i due sposi, lei di qua, lui di là, con una mano nella mano del padre e della madre, vollero seguirla per un tratto a piedi, fino all’imboccatura dello stradone che conduceva alla città lontana. Qua il colonnello si chinò a baciar sul capo la figliuola; tossì, borbottò:

– Addio, Nino.

– Addio, Ida, – rise di là la madre dello sposo; e la carrozza s’avviò di buon trotto per raggiungere le altre dei convitati.

Gli sposi sono finalmente soli! Il comportamento strano di Nino continua. Questo è amore / lussuria, giusto??

I due sposi rimasero per un pezzo a seguirla con gli occhi. La seguì la sola Ida veramente, perché Nino non vide nulla, non sentì nulla, con gli occhi fissi alla sposa rimasta lì, sola con lui finalmente, tutta, tutta sua.

Ida, tuttavia, è sopraffatta dall’emozione dopo aver salutato suo padre.

Ma che? Piangeva?

– Il babbo, – disse Ida, agitando con la mano il fazzoletto in saluto. – Là, vedi? Anche lui…

(Anche suo padre era sopraffatto.)

Nino cerca di confortare Ida, goffamente per essere sicuro; viene respinto.

– Ma tu no, Ida… Ida mia… – balbettò, singhiozzò quasi, Nino, facendo per abbracciarla, tutto tremante.

Ida lo scostò.

– No, lasciami, ti prego.

– Voglio asciugarti gli occhi…

– Ma no, caro, grazie: me li asciugo da me.

Siamo convinti a questo punto che Nino sia immaturo, un lunatico delirante, una bestia in fiamme! Ida gli chiede di nuovo cosa c’è che non va?

Nino rimase lì, goffo, a guardarla, con un viso pietoso, la bocca semiaperta. Ida finì d’asciugarsi gli occhi; poi:

– Ma che hai? – gli domandò. – Tu tremi tutto. Dio, no, Nino: non mi star davanti così! Mi fai ridere. E non la finisco più, bada, se mi metto a ridere. Aspetta, ti sveglio.

(Davvero non capisce??)

Gli posò lievemente le mani sulle tempie e gli soffiò su gli occhi. Al tocco di quelle dita, all’alito di quelle labbra, egli si sentì mancar le gambe; fu per cadere in ginocchio; ma lei lo sostenne, scoppiando in una risata fragorosa:

– Su lo stradone? Sei matto? Andiamo, andiamo! Là, guarda: a quella collinetta là! Si vedranno ancora le carrozze. Andiamo a vedere!

E lo trascinò via per un braccio, impetuosamente.

(Non sappiamo se Ida sia semplicemente timida? o forse non pronta o non disposta a consumare il matrimonio? Qualunque sia la risposta, Ida ha chiaramente il controllo della situazione… questo sicuramente non è un momento #MeToo!)

A questo punto della narrazione, ci viene ricordato della terra in autunno, sia bellissima che molto dura.

Da tutta la campagna intorno, ove tante erbe e tante cose sparse da tempo erano seccate, vaporava nella calura quasi un alido antico, denso, che si mescolava coi tepori grassi del fimo fermentante in piccoli mucchi sui maggesi, e con le fragranze acute dei mentastri ancor vivi e delle salvie. Quell’alito denso, quei grassi tepori, queste fragranze pungenti, li avvertiva lui solo. Ida dietro le spesse siepi di fichidindia, tra gli irti ciuffi giallicci delle stoppie bruciate, sentiva, invece, correndo, come strillavano gaje al sole le calandre, e come, nell’afa dei piani, nel silenzio attonito, sonava da lontane aje, auguroso, il canto di qualche gallo; si sentiva investire, ogni tanto, dal fresco respiro refrigerante che veniva dal mare prossimo a commuover le foglie stanche, già diradate e ingiallite, dei mandorli, e quelle fitte, aguzze e cinerulee degli olivi.

Gli sposi si inerpicano / salgono / si arrampicano su una piccola collina per ‘cogliere un ultima occhiata’ delle carrozze mentre si dirigono verso la città. Nino riesce a malapena a contenere se stesso. Lui fa un altro imbarazzante tentativo d’abbracciare Ida e viene nuovamente respinto.

Raggiunsero presto la collinetta; ma egli non si reggeva più, quasi cascava a pezzi, dalla corsa; volle sedere; tentò di far sedere anche lei, lì accanto, tirandola per la vita. Ma Ida si schermì:

Adesso cambia l’umore di Ida. Leggera e spensierata? Non è più! Piuttosto Ida diventa angosciata e annoiata, sconvolta e sconcertata. Ha raggiunto un ‘punto di rottura’ e desidera fuggire.

Cominciava a essere inquieta, entro di sé. Non voleva mostrarlo. Irritata da certe curiose ostinazioni di lui, non sapeva, non voleva star ferma; voleva fuggire ancora, allontanarsi ancora; scuoterlo, distrarlo e distrarsi anche lei, finché durava il giorno.

Alla ricerca di un modo per distrarre Nino e ritrovare un suo senso di equilibrio, Ida scorge una casale in lontananza. Lei propone che camminano insieme. Sono le 17:00 e uno aspetterebbe che il giro duri quasi un’ora.

Di là dalla collina si stendeva una pianura sterminata, in un mare di stoppie, nel quale serpeggiavano qua e là le nere vestigia della debbiatura, e qua e là anche rompeva l’irto giallore qualche cespo di cappero o di liquirizia. Laggiù laggiù, quasi all’altra riva lontana di quel vasto mare giallo, si scorgevano i tetti d’un casale tra alte pioppe nere.

Ebbene, Ida propose al marito d’arrivare fin là, fino a quel casale. Quanto ci avrebbero messo? Un’ora, poco più. Erano appena le cinque. Là, nella villa, i servi dovevano ancora sparecchiare. Prima di sera sarebbero stati di ritorno.

Obietta Nino, ma Ida ha preso la decisione. Nino riesce a malapena a stare dietro a lei.

Cercò d’opporsi Nino, ma ella lo tirò su per le mani, lo fece sorgere in piedi, e poi via di corsa per il breve pendio di quella collinetta e quindi per quel mare di stoppie, agile e svelta come una cerbiatta. Egli, non facendo a tempo a seguirla, sempre più rosso, e come intronato, sudato, ansava, correndo, la chiamava, voleva una mano:

– Almeno la mano! almeno la mano! – andava gridando.

Avvicinandosi alla casale, Ida è sorpresa di trovare per caso un vecchio cavallo, steso a terra, vicino alla morte. Il povero ‘quasi cadavere’ è circondato da uno stormo di corvi, che anticipano la morte e una festa successiva.

Ida è scioccata. Nino non lo è: capisce bene, per esperienza, che questo ‘tableaux’ è normale — cioè, un esempio dei ritmi della vita in campagna, dei cicli della vita in campagna.

A un tratto ella si fermò dando un grido. Le si era levato davanti uno stormo di corvi, gracchiando. Più là, steso per terra, era un cavallo morto. Morto? No, no, non era morto: aveva gli occhi aperti. Dio, che occhi! Uno scheletro, era. E quelle costole! quei fianchi!

Nino sopravvenne, stronfiando, arrangolato:

– Andiamo… subito, via! Ritorniamo indietro!

– È vivo, guarda! – gridò Ida, con ribrezzo e pietà. – Leva la testa… Dio, che occhi! guarda, Nino!

– Ma sì, – fece lui, ancora ansimante. – Son venuti a buttarlo qua. Lascia; andiamocene! Che gusto? Non senti che già l’aria…

– E quei corvi? – esclamò lei con un brivido d’orrore. – Quei corvi se lo mangiano vivo?

– Ma, Ida, per carità! – pregò lui a mani giunte.

– Nino, basta! – gli gridò allora lei, al colmo della stizza nel vederlo così supplice e melenso. – Rispondi: se lo mangiano vivo?

– Che vuoi che sappia io, come se lo mangiano. Aspetteranno…

– Che muoja qui, di fame, di sete? – riprese ella, col volto tutto strizzato dalla compassione e dall’orrore.

– Perché è vecchio? perché non serve più? Ah, povera bestia! che infamia! che infamia! Ma che cuore hanno codesti villani? che cuore avete voi qua?

Nino chiede a Ida se prova compassione per il cavallo. Ida dice “Sì, certo.” Nino poi chiede: “E riguardo a me?”

– Scusami, – diss’egli, alterandosi, – tu senti tanta pietà per una bestia…

– Non dovrei sentirne?

– Ma non ne senti per me!

(Gentile lettore, nella tua vita hai mai incontrato due persone più maledettamente accoppiate nel matrimonio? …due persone meno pronte a sposarsi?!?)

Ida, incredula, sfida l’umanità di Nino.

– E che sei bestia tu? che stai morendo forse di fame e di sete, tu, buttato in mezzo alle stoppie? Senti… oh guarda i corvi, Nino, su… guarda… fanno la ruota. Oh che cosa orribile, infame, mostruosa. Guarda… oh, povera bestia… prova a rizzarsi! Nino, si muove… forse può ancora camminare… Nino, su, ajutiamola… smuoviti!

Nino non può ‘vedere’ / non può comprendere il suo punto di vista.

– Ma che vuoi che gli faccia io? – proruppe egli, esasperato. – Me lo posso trascinare dietro? caricarmelo su le spalle? Ci mancava il cavallo, ci mancava! Come vuoi che cammini? Non vedi che è mezzo morto?

– E se gli facessimo portare da mangiare?

– E da bere, anche!

– Oh, come sei cattivo, Nino! – disse Ida con le lagrime agli occhi.

Ida tende al cavallo. Nino si arrabbia. Il sole tramonta, è sera.

E si chinò, vincendo il ribrezzo, a carezzare con la mano, appena appena, la testa del cavallo che s’era tirato su a stento da terra, ginocchioni su le due zampe davanti, mostrando pur nell’avvilimento di quella sua miseria infinita un ultimo resto, nel collo e nell’aria del capo, della sua nobile bellezza.

Nino, fosse per il sangue rimescolato, fosse per il dispetto acerrimo, o fosse per la corsa e per il sudore, si sentì all’improvviso abbrezzare, stolzò e si mise a battere i denti, con un tremore strano di tutto il corpo; si tirò su istintivamente il bavero della giacca e, con le mani in tasca, cupo, raffagottato, disperato, andò a sedere discosto, su una pietra.

Il sole era già tramontato. Si udivano da lontano le sonagliere di qualche carro che passava laggiù per lo stradone.

Nino, povero Nino, non ha assolutamente idea del modo migliore di procedere.

Perché batteva i denti così? Eppure la fronte gli scottava e il sangue gli frizzava per le vene e le orecchie gli rombavano. Gli pareva che sonassero tante campane lontane. Tutta quell’ansia, quello spasimo d’attesa, la freddezza capricciosa di lei, quell’ultima corsa, e quel cavallo ora, quel maledetto cavallo… oh Dio, era un sogno? un incubo nel sogno? era la febbre? Forse un malanno peggiore. Sì! Che bujo, Dio, che bujo! O gli s’era anche intorbidata la vista? E non poteva parlare, non poteva gridare. La chiamava: «Ida! Ida!» ma la voce non gli usciva più dalla gola arsa e quasi insugherita.

Alzando gli occhi dalla sua baldoria, Nino nota che Ida se n’è andata. Ha deciso lei d’andare alla casale per chiedere aiuto. Non si rende conto che probabilmente il vecchio cavallo appartenga alle persone che vivono lì, che loro stessi hanno abbandonato il cavallo.

Dov’era Ida? Che faceva?

Era scappata al lontano casale a chiedere ajuto per quel cavallo, senza pensare che proprio i contadini di là avevano trascinato qua la bestia moribonda.

Nino rimane indietro. La notte è caduta. Ora, per la prima volta, capiamo che Nino è malato. Gravemente malato. (Oh mamma! Siamo stati ingannati? Forse sia stato malato e progressivamente peggiorato dall’inizio della storia!)

Egli rimase lì, solo, a sedere sulla pietra, tutto in preda a quel tremore crescente; e, curvo, tenendosi tutto ristretto in sé, come un grosso gufo appollajato, intravide a un tratto una cosa che gli parve… ma sì, giusta, ora, per quanto atroce, per quanto come una visione d’altro mondo. La luna. Una gran luna che sorgeva lenta da quel mare giallo di stoppie. E, nera, in quell’enorme disco di rame vaporoso, la testa inteschiata di quel cavallo che attendeva ancora col collo proteso; che avrebbe atteso sempre, forse, così nero stagliato su quel disco di rame, mentre i corvi, facendo la ruota, gracchiavano alti nel cielo.

Ida torna a cercare Nino a terra. Lui è privo di sensi. È probabile che stia soffrendo dalla sepsi / setticemia, che stia morendo.

Quando Ida, disillusa, sdegnata, sperduta per la pianura, gridando: – Nino! Nino! – ritornò, la luna s’era già alzata; il cavallo s’era riabbattuto, come morto; e Nino… – dov’era Nino? Oh, eccolo là, per terra anche lui.

Si era addormentato là?

Corse a lui. Lo trovò che rantolava, con la faccia anche lui a terra, quasi nera, gli occhi gonfi serrati, congestionato.

– Oh Dio!

Ida è completamente svanita, disperata. Che cosa sta succedendo? È un sogno? un incubo? Lei grida aiuto.

E si guardò attorno, quasi svanita; aprì le mani, ove teneva alcune fave secche portate da quel casale per darle a mangiare al cavallo; guardò la luna, poi il cavallo, poi qua per terra quest’uomo come morto anche lui; si sentì mancare, assalita improvvisamente dal dubbio che tutto quello che vedeva non fosse vero; e fuggì atterrita verso la villa, chiamando a gran voce il padre, il padre che se la portasse via, oh Dio! via da quell’uomo che rantolava… chi sa perché! via da quel cavallo, via da sotto quella luna pazza, via da sotto quei corvi che gracchiavano nel cielo… via, via, via…

***

Gentili lettori,

Sappiamo bene che in Italia a attraverso il mondo all’inizio del novecento, era consuetudine / era normale per adolescenti di sposarsi. Infatti mia nonna, di Calabria, si è sposata mio nonno nel 1900, all’eta di seidici anni.

E sappiamo bene che era possibile per i sposi adolescenti aver una vita bella, sodisfacente, (es.) i miei nonni si sono allevati 5 bambini dopo immigrando all’America. Hanno passato più di 60 anni insiemi… in matrimonio… contenti!

Era possibile poi. Era commune. Potrebbe funzionare un matrimonio tra due adolescenti.

Ma cosa ne pensate?

Pensate che il Pirandello ha voluto provocarci a considerare l’idea di un matrimonio tra gli adolescenti da un prospettivo negativo, cioè, dall prospettivo della loro grande mancanza d’esperienza di vita / di maturità e dunque la loro necessità di una famiglia allargata?

Pensate che il Pirandello ha avuto una sua opinione, un proprio punto di vista?

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