Riassunto: Non è una cosa seria

Perazzetti? No. Quello poi era un genere particolare.

La novella Non è una cosa seria (L. Pirandello) inizia con una domanda, che siamo costretti ad immaginare, ma sembra esser sulla falsariga di: “Perazzetti… è completamente fuori di testa?” La persona che risponde (qualcuno che non incontriamo mai) è il narratore della storia; la nostra impressione è che il narratore fosse in sintonia con l’uomo in questione, Perazzetti, il protagonista. Risponde il narratore dicendo che, ‘No… Perazzetti non è pazzo affatto, invece è unico, unico nel suo genere.’

Secondo noi la conversazione tra il narratore ed un’altra persona costituisce la ‘struttura’ della storia. (Alla fine della novella, il narratore starà parlando ad un gruppo di persone con un interesse in cosa ha da dire.)Immaginiamo che la storia si svolgi in uno spazio pubblico, forse a Roma, dove si sono riuniti numerosi amici. Perazzetti è tra gli amici presenti, e la conversazione tra il narratore e gli altri sembra esser in qualche modo privata… forse fuori di lato, per così dire; nonostante Perazzetti sembra esser abbastanza vicino, per essere visto e ascoltato.

Si potrebb’immaginare che, mentre guardava, il narratore cominciasse a dubitare le sue opinioni di Perazzetti. Prima di tutto, il suo aspetto è più di due deviazioni standard al di fuori della norma… ad esempio, le sue unghie erano estremamente lunghe e agganciate / adunche, infatti non diversamente dagli artigli d’un grande uccello predatore. Arriviamo a capire che non erano avvenute per caso le unghie, invece sono state meticolosamente preparate.

Le diveva serio serio, che no pareva nemmeno lui, guardandosi le unghie adunche lunghissime, di cui aveva la cura più meticolosa.

Perazzetti indebolisce anche il supporto del narratore quando rideva: la sua risata suona come il richiamo d’un’anatra. Cosa ce di più, le azioni di Perazzetti imitavano anche quelle d’un’anatra.

È vero che poi, tutt’a un tratto, senz’alcuna ragione apparente… un’anatra, ecco, tal’e quale! scoppiava in certe risate, che parevano il verso di un’anatra; e ci guazzava dentro, proprio come un’anatra.

Oltre a tutto ciò, Perazzetti piangeva senza apparente motivo. Visto il suo bizzarro aspetto e comportamento, gli amici e conoscenti sono lasciati a concludere che era pazzo. (Cos’altro chiamerebbe un comportamento che è più di due deviazioni standard al di fuori della norma?)

Comprensibilmente forse, gli amici hanno chiesto a Perazzetti, “Ma perché?”. Tuttavia lui non era in grado fornire (o non voleva) una risposta.

Moltissimi trovavano appunto in queste risate la prova più lampante della pazzia di Perazzetti. Nel vederlo torcere con le lagrime agli occhi, gli amici gli domandavano:

– Ma perché?

E lui:

– Niente. Non ve lo posso dire.

Suscita preoccupazione un comportamento tale bizzarro: quelli vicini inizialmente si erano stupiti e poi si erano chiesti se dovrebbero aver paura… cioè,si erano chiesti, “Cosa stia succedendo?” e “Sia pericoloso questo pazzo?”

A veder ridere uno così, senza che voglia dirne la ragione, si resta sconcertati, con un certo viso da scemi si resta e una certa irritazione in corpo, che nei così detti «urtati di nervi» può diventar facilmente stizza feroce e voglia di sgraffiare.

Ciònonostante, molti sembrano aver concluso che Perazzetti era incapace di violenza fisica. Si sono chiesti, “Forse questo sia semplicemente un caso di nervi?” Al tempo stesso, di sicuro, nessuno sembra esser stato in grado di dire con certezza.

Non potendo sgraffiare, i così detti «urtati di nervi» (che sono poi tanti, oggidì) si scrollavano rabbiosamente e dicevano di Perazzetti:

– È pazzo!

Se Perazzetti, invece, avesse detto loro la ragione di quel suo anatrare… Ma non la poteva dire, spesso, Perazzetti; veramente non la poteva dire.

(Spesso, non è vero, quello che segue la mancanza d’una spiegazione sia una risposta predefinita comune, “La persona in questione dev’esser ‘pazzo’?)

Poi, il narratore ci dice che Perazzetti aveva ‘visioni’ di una sorta… cioè, fantasie imprevedibili, al di fuori del suo controllo spesso, che erano apparentemente emersi dalla sua coscienza. Ci spiega il narratore che le ‘visioni’ consistevano in immagini stravaganti, sorprendenti e talvolta comiche. Il narratore li descrive come analogie e contrasti, entrambi grotteschi e ridicoli, che avevano preceduto i suoi bizzarri e estemporanei scoppi di risate. Ci anche dice che la vista degli altri aveva incitato le ‘visioni’.

Aveva una fantasia mobilissima e quanto mai capricciosa, la quale, alla vista della gente, si sbizzarriva a destargli dentro, senza ch’egli lo volesse, le più stravaganti immagini e guizzi di comicissimi aspetti inesprimibile; a scoprirgli d’un subito certe strane, riposte analogie, a rappresentargli improvvisamente certi contrasti così grotteschi e buffi, che la risata gli scattava irrefrenabile.

Il narratore ci chiede, “Data la natura capricciosa e inspiegabile di queste potenti visioni, e il modo incontrollabile in cui si manifestano, come potrebbe aspettarsi che Perazzetti sarebbe stato in grado di spiegare il suo comportamento agli altri?”

Come comunicare altrui il giuoco istantaneo di queste fuggevoli immagini impensate?

Quello che segue è un’affascinante discussione sui concetti di carattere e personalità, concetti che, secondo il narratore, erano per Perazzetti d’importanza fondamentale.

Innanzitutto, il concetto di carattere. Perazzetti sembrava aver creduto che ‘carattere’ sia un riflesso dell’essenza d’un essere umano. Inoltre, considerava il carattere di ciascun essere umano come unico, immutabile / costante… e se possiamo estrapolare, ereditato. Insomma il concetto di carattere, secondo Perazzetti, descriveva la natura d’una persona… era, essenzialmente, un concetto biologico, qualcosa radicato nella natura e nella genetica. D’altra parte, Perazzetti sembrava creder che la personalità fosse acquisita nel tempo… mutevole / incostante, era basata sull’apprendimento e sull’esperienza.

Sapeva bene Perazzetti, per propria esperienza, quanto in ogni uomo il fondo dell’essere sia diverso dalle fittizie interpretazioni che ciascuno se ne dà spontaneamente, o per inconscia finzione, per quel bisogno di crederci o d’esser creduti diversi da quel che siamo, o per imitazione degli altri, o per le necessità e le convenienze sociali.

È interessante notare che Perazzetti considerava il carattere d’una persona essere ‘vero’ o ‘pure / reale’, mentre la personalità d’una persona era ‘falsa’. Il carattere era ereditato e non era soggetto a cambiamenti, mentre la personalità si sviluppava nel tempo e potrebbe essere mutevole. La personalità, in altre parole, era guidata dal desiderio d’una persona di ‘adattarsi’ o ‘conformarsi’, in modo da poter esser accettati nella società, in modo da poter raggiungere il successo nella vita sua. A questo proposito, Perazzetti considera le norme, le convenzioni e le convinzioni sociali come il ‘driver’ dello sviluppo della personalità. Loro non erano naturali, di sicuro, erano invece fatte dall’uomo.

Il narratore ci spiega poi che il concetto di carattere era di particolare interesse per Perazzetti, che si riferivava al carattere come “l’antro della bestia”, cioè, un termine che sembrava enfatizzare che gli esseri umani erano, essenzialmente, mammiferi. Perazzetti aveva continuato dicendo che lo sviluppo della personalità è stato colto nel tempo, a strati, che circondano e isolano l’antro (il carattere).Cosa ce di più ogni strato poteva esser o unico o una variazione d’un tema. Presi insieme, Perazzetti sembrava credere che gli strati rappresentassero la somma totale delle proprie esperienze.

Su questo fondo dell’essere egli aveva fatto studii particolari. Lo chiamava l’«antro della bestia». E intendeva della bestia originaria acquattata dentro a ciascuno di noi, sotto tutti gli strati di coscienza, che gli si sono a mano a mano sovrapposti con gli anni.

Essendo arrivato alle definizioni di carattere e personalità, Perazzetti era quindi in grado di spiegare alcuni degli aspetti più misteriosi del comportamento umano, cioè, come può esser, a volte, gentile, generoso ed empatico, ed ad altre volte vizioso, competitivo e violento.

L’uomo, diceva Perazzetti, a toccarlo, a solleticarlo in questo o in quello strato, risponde con inchini, con sorrisi, porge la mano, dice buon giorno e buona sera, dà magari in prestito cento lire; ma guai ad andarlo a stuzzicare laggiù, nell’antro della bestia: scappa fuori il ladro, il farabutto, l’assassino.

Il narratore ci fornisce quindi un notevole riassunto delle idee di Perazzetti: ci chiede di immaginare un uomo che per anni abbia condotto una vita civile e raffrenata, ma che ora raggiunge un punto in cui si sia comportato come una bestia. Mortificato da ciò che ha fatto, quest’uomo si pente sotto la copertura della sua religione.

È vero che, dopo tanti secoli di civiltà, molti nel loro antro ospitano ormai una bestia troppo mortificata: un porco, per esempio, che si dice ogni sera il rosario.

Anche se non pensiamo che questo sia il punto che il Pirandello sta cercando di fare, una questione correlata, a questo punto della narrativa, potrebb’essere: “Come sia possibile per un uomo civilizzato — cioè, un uomo di famiglia, ad esempio, uno profondamente religioso — competere ferocemente con gli altri per aver successo nella società?” o potrebb’esser strutturata così, “Come sia possibile per un leader spingere il suo paese in guerra, sapendo che la sua decisione porterà al massacro degli altri e la distruzione sfrenata della terra?” (Questo è tutto per dire che gli esseri umani abbiano una natura duplice, vero? …cioè, abbiano la capacità di bene e di male.)

Ancora una volta, secondo il narratore, Perazzetti riconosceva che il carratere ogni essere umano sarà diverso. A questo proposito Perazzetti usava una metafora animale per spiegare che alcuni uomini, nel suo “antro della bestia”, possono avere il carattere unico, cioè, di un formichiere o un porcospino o un pollo d’India.

In trattoria, Perazzetti studiava le impazienze raffrenate degli avventori. Fuori, la creanza; dentro, l’asino che voleva subito la biada. E si divertiva un mondo a immaginare tutte le razze di bestie rintanate negli antri degli uomini di sua conoscenza: quello aveva certo dentro un formichiere e quello un porcospino e quell’altro un pollo d’India, e così via.

Sospettiamo a questo punto che Perazzetti credesse che il suo carattere fosse quello d’un’anatra! Forse sarebbe anche importante ricordare che, per Perazzetti, il carattere fosse reale, naturale, ereditato, cioè, l’essenza d’un essere umano, dunque una cosa seria… mentre la personalità fosse falsa, artificiale, istruita, creata dall’uomo dunque una cosa non seria. A questo punto iniziamo a renderci conto che Perazzetti aveva tentato di togliere tanti strati di artificio dalla sua vita il più possibile, cioè, voleva che la sua vita, per quanto possibile, fosse un’espressione del suo carattere. Perazzetti, in altre parole, aveva lavorato molto duramente per spogliarsi alla sua nuda essenza. Sospettiamo anche che Perazzetti fosse espresso il suo carattere (la sua ‘anatra’, per così dire) ogni volta che la personalità d’un’altra ha offeso se stesso.

Inoltre, il narratore sembra sottolineare che Perazzetti non volesse esser percepito come un pazzo,

Spesso però le risate di Perazzetti avevano una ragione, dirò così, più costante; e questa davvero non era da spiattellare, là, a tutti; ma da confidare, se mai, in un orecchio pian piano a qualcuno. Confidata così, vi assicuro che promoveva inevitabilmente il più fragoroso scoppio di risa. La confidò una volta a un amico, presso al quale gli premeva di non passare per matto.

…che Perazzetti fosse un uomo d’onore,

Io non posso dirvela forte; posso accennarvela appena; voi cercate d’intenderla a volo, giacché, detta forte, rischierebbe, tra l’altro, di parere una sconcezza e non è.

…e che Perazzetti credesse profondamente nella ‘dualità dell’uomo’, cioè, nei concetti di carattere e personalità, cioè, nei tratti ereditati ei comportamenti appresi.

Perazzetti non era uomo volgare; anzi dichiarava d’avere una stima altissima dell’umanità, di tutto quanto essa, a dispetto della bestia originaria, ha saputo fare; ma Perazzetti non riusciva a dimenticare che l’uomo, il quale è stato capace di crear tante bellezze, è pure una bestia che mangia, e che mangiando, è costretto per conseguenza a obbedire ogni giorno a certe intime necessità naturali, che certamente non gli fanno onore.

Il narratore ci rispiega questo dando due esempi. Primo, sarebbe sembrato ‘vero’ a Perazzetti un povero contadino in campagna che si fosse comportato con umiltà. Di sicuro, il contadino molto probabilmente avesse acquisito alcuni strati di personalità, ma abbia vissuto e si fosse comportato in modo coerente con la sua essenza. Secondo, sarebbe sembrato ‘falso’ a Perazzetti un uomo ricco e sofisticato nella città, uno che fosse arrogante e pomposo. Perazzetti avrebbe detto che un tale uomo abbia acquisito molti molti molti strati di personalità e che abbia vissuto e si fosse comportato come se fosse voluto negare la sua essenza.

Vedendo un pover’uomo, una povera donna in atto umile e dimesso, Perazzetti non ci pensava affatto; ma quando invece vedeva certe donne che si davano arie di sentimento, certi uomini tronfii, gravidi di boria, era un disastro: subito, irresistibilmente, gli scattava dentro l’immagine di quelle intime necessità naturali, a cui anch’essi per forza dovevano ogni giorno ubbidire; li vedeva in quell’atto e scoppiava a ridere senza remissione.

In altre parole, il ‘più alto’ nella società che andava Perazzetti, più lui ha visto che era falso, messo su, innaturale… quindi, era più probabile che lo avrebbe costretto esser ridere in modo incontrollabile, come un’anatra!

Non c’era nobiltà d’uomo o bellezza di donna, che si potesse salvare da questo disastro nell’immaginazione di Perazzetti; anzi quanto più eterea e ideale gli si presentava una donna, quanto più composto a un’aria di maestà un uomo, tanto più quella maledetta immagine si svegliava in lui all’improvviso.

I concetti di carattere e peronalità sono, come abbiamo suggerito, affascinanti, e ci auguriamo che il Pirandello abbia permesso più tempo per discuterli / amplificarli. Sfortunatamente forse, la storia cambierà direzione a questo punto: come impariamo il retroscena di Perazzetti, la seconda parte della novella è farsesca!

Il narratore ci spiega che le visioni di Perazzetti sono state dolorose, che desiderava evitarle. Forse per tentativi ed errori, Perazzetti era venuto a sapere che le sue visioni avevano diminuito ogni quando si era innamorato d’una donna. Era molto difficile, tuttavia, per finire quello che aveva iniziato, cioè, per sposarsi, e presto abbandonava ognuna fidanzata. La vita di Perazzetti arrivava ad aver uno schema quasi ciclico, in cui era o isolato e pazzo o innamorato e normale.

Ora, con questo, immaginatevi Perazzetti innamorato.

E s’innamorava, il disgraziato, s’innamorava con una facilità spaventosa! Non pensava più a nulla, s’intende, finiva d’esser lui, appena innamorato; diventava subito un altro, diventava quel Perazzetti che gli altri volevano, quale amava foggiarselo la donna nelle cui mani era caduto, non solo, ma quale amavano foggiarselo anche i futuri suoceri, i futuri cognati e perfino gli amici di casa della sposa.

Era stato fidanzato, a dir poco, una ventina di volte. E faceva schiattar dalle risa nel descrivere i tanti Perazzetti ch’egli era stato, uno più stupido e imbecille dell’altro: quello del pappagallo della suocera, quello delle stelle fisse della cognatina, quello dei fagiolini dell’amico non so chi.

Quando il calore della fiamma, che lo aveva messo per così dire in istato di fusione, cominciava ad attutirsi, ed egli a poco a poco cominciava a rapprendersi nella sua forma consueta e riacquistava coscienza di sé, provava dapprima stupore, sbigottimento nel contemplarela forma che gli avevano dato, la parte che gli avevano fatto rappresentare, lo stato d’imbecillità in cui lo avevano ridotto; poi, guardando la sposa, guardando la suocera, guardando il suocero, ricominciavano le terribili risate, e doveva scappare – non c’era via di mezzo – doveva scappare.

(Sospettiamo che Perazzetti abbia aborrito l’istituzione del matrimonio, che la considerasse una convenzione sociale, una norma sociale… in altre parole, dunque, il matrimonio non fosse una cosa serie.)

Il problema, come ci spiega il narratore, era con l’abbandono… Perazzetti, quando era innamorato e normal, era amato da tutti. Impariamo che lui era anche benestante, e la combinazione dei due rende Perazzetti, beh, desiderabile! Le findanzate, alle quali, spesso non voleva che se ne andasse!

Ma il guajo era questo, che non volevano più lasciarlo scappare. Era un ottimo giovine, Perazzetti, agiato, simpaticissimo: quel che si dice un partito invidiabile.

Il narratore ci spiega che il comportamento ciclico di Perazzetti e le sue storie d’amore riempirebbero un libro molto divertente,

I drammi attraversati in quei suoi venti e più fidanzamenti, a raccoglierli in un libro, narrati da lui, formerebbero una delle più esilaranti letture dei giorni nostri. Ma quelle che per i lettori sarebbero risa, sono state pur troppo lagrime, lagrime vere per il povero Perazzetti, e rabbie e angosce e disperazione.

…ma che questo ciclismo era doloroso, qualcosa che Perazzetti ha tentato d’evitare ma senza successo.

Ogni volta egli prometteva e giurava a se stesso di non ricascarci più; si proponeva di escogitare qualche rimedio eroico, che gl’impedisse d’innamorarsi di nuovo. Ma che! Ci ricascava poco dopo, e sempre peggio di prima.

(Come vedremo, Perazzetti era oggetto di considerevoli pettegolezzi, qualcosa che, non importa quanto buono possa esser stato, si risentiva.)

Il narratore continua dicendo che un giorno, per l’incredulità di molti, è stato rivelato che Perazzetti si era sposato! (Incredulità non solo a causa della storia di Perazzetti con le donne ma anche a causa di Filomena, sua moglie.)

Un giorno, finalmente, scoppiò come una bomba la notizia, ch’egli aveva sposato. E aveva sposato nientemeno… Ma no, nessuno in prima ci volle credere! Pazzie ne aveva fatte Perazzetti d’ogni genere; ma che potesse arrivare fino a tal punto, fino a legarsi per tutta la vita con una donna come quella.

Il narratore ci informa che molti amici si erano recati da casa di Perazzetti per veder per se stessi se le notizie fossero vere. La situazione era sorprendente, per non dire altro. Perazzetti aveva infatti sposato Filomena, ma aveva anche deciso di vivere separatamente da lei… la coppia, in effetti e in modo anticonvenzionale, aveva deciso di vivere le sue vite completamente separate.

Legarsi? Quando a uno dei tanti amici, andato a trovarlo in casa, gli scappò detto così, per miracolo Perazzetti non se lo mangiò.

— Legarsi? come legarsi? perché legarsi? Stupidi, scemi, imbecilli tutti quanti! Legarsi? Chi l’ha detto? Ti sembro legato? Vieni, entra qua… Questo è il mio solito letto, sì o no? Ti sembra un letto a due? Ehi, Celestino! Celestino!

Celestino era il suo vecchio servo fidato.

— Di’, Celestino. Vengo ogni sera a dormire qua, solo?

— Sissignore, solo.

— Ogni sera?

— Ogni sera.

— Dove mangio?

— Di là.

— Con chi mangio?

— Solo.

— Mi fai tu da mangiare?

— Io, sissignore.

— E sono sempre lo stesso Perazzetti?

— Sempre lo stesso, sissignore.

Il narratore ci informa che per Perazzetti, il matrimonio con Filomena non era una cosa seria, ma i suoi amici sembravano incapaci di capire.

Mandato via il servo, dopo questo interrogatorio, Perazzetti concluse, aprendo le braccia:

— Dunque…

— Dunque non è vero? – domandò quello.

— Ma sì, vero! verissimo! – rispose Perazzetti. – L’ho sposata! L’ho sposata in chiesa e allo stato civile! Ma che per questo? Ti pare una cosa seria?

— No, anzi ridicolissima.

Impariamo che il matrimonio sembrava esser stato un mezzo per un fine per Perazzetti… l’aveva liberato da ogni ulteriore pettegolezzo / ridicolo dagli altri.

— E dunque! – tornò a concludere Perazzetti. – Escimi dai piedi! Avete finito di ridere alle mie spalle! Mi volevate morto, è vero? col cappio sempre alla gola? Basta, basta, cari miei! Ora mi sono liberato per sempre!

A questo punto il narratore ci riporta ancora più indietro del retroscena di Perazzetti. Veniamo a sapere che, in effetti, Perazzetti era fortunato ad esser vivo quando ha sposato Filomena, cioè, il suo fidanzamento precedente, con Ely Lamanna, era finito male… gli era quasi costato la vita sua.

Ci voleva quest’ultima tempesta, da cui sono uscito vivo per miracolo.

L’ultima tempesta a cui alludeva Perazzetti era il fidanzamento con la figlia del capodivisione al Ministero delle finanze, commendator Vico Lamanna; e aveva proprio ragione di dire Perazzetti che ne era uscito vivo per miracolo. Gli era toccato di battersi alla spada col fratello di lei, Lino Lamanna; e poiché di Lino egli era amicissimo e sentiva di non aver nulla, proprio nulla contro di lui, s’era lasciato infilzare generosamente come un pollo.

Veniamo a sapere che Ely era la figlia del commendatore Vico Lamanna, il capodivisione al Ministero delle finanze. La sua famiglia era benestante, ed Ely stessa era educata, padrona di sé. Una o due volte prima, al suo costernazione, Perazzetti aveva osservato il commendatore comportarsi in modo pomposo e pretenzioso… di sicuro questo comportamento aveva provocato alcune risate ‘all’anatra’’. Tuttavia, Perazzetti aveva spiegato ad Ely la motivazione per le sue risate, e lei l’aveva trovata divertente! Avendo superato quest’ostacolo, Perazzetti si era lasciato convincere d’aver finalmente trovato qualcuna con cui poteva sposare.

Pareva quella volta – e ci avrebbe messo chiunque la mano sul fuoco – che il matrimonio dovesse aver luogo. La signorina Ely Lamanna, educata all’inglese – come si poteva conoscere anche dal nome – schietta, franca, solida, bene azzampata (leggi «scarpe all’americana»), era riuscita senza dubbio a salvarsi da quel solito disastro nell’immaginazione di Perazzetti. Qualche risata, sì, gli era scappata guardando il suocero commendatore, che anche con lui stava in aria e gli parlava alle volte con quella sua collosità pomatosa… Ma poi basta. Aveva confidato con garbo alla sposa il perché di quelle risate; ne aveva riso anche lei; e, superato quello scoglio, credeva anche lui, Perazzetti, che quella volta finalmente avrebbe raggiunto il tranquillo porto delle nozze (per modo di dire). La suocera era una buona vecchietta, modesta e taciturna, e Lino, il cognato, pareva fatto apposta per medesimarsi in tutto e per tutto con lui.

Come spesso aveva accaduto, Perazzetti si era innamorato non solo Ely ma anche la sua famiglia, ed in particolare suo fratello Lino. Fra non molto, l’amicizia tra i giovanotti era diventata profonda… i due erano inseparabili, molto molto vicini, cioè, ‘due piselli in un baccello’.

Perazzetti e Lino Lamanna diventarono infatti fin dal primo giorno del fidanzamento due indivisibili. Più che con la sposa si può dire che Perazzetti stava col futuro cognato: escursioni, cacce, passeggiate a cavallo insieme, insieme sul Tevere alla società di canottaggio.

Cosa, possiamo chiedere, potrebb’esser andato storto?

Tutto poteva immaginarsi, povero Perazzetti, tranne che questa volta il «disastro» dovesse venirgli da questa troppa intimità col futuro cognato, per un altro tiro dell’immaginazione sua morbosa e buffona.

Ebbene… il narratore ci spiega che in un viaggio in Toscana con Ely e la sua famiglia, Perazzetti aveva avuto l’opportunità di veder Ely (per la prima volta) in costume da bagno e che aveva riconosciuto che il corpo di lei era abbastanza simile a quello di Lino, in particolare per quanto riguarda i fianchi. (Perazzetti era a conoscenza dell’habitus del corpo di Lino perché i due erano membri d’un club di canottaggio a Roma).

A un certo punto, egli cominciò a scoprire nella fidanzata una rassomiglianza inquietante col fratello di lei.

Fu a Livorno, ai bagni, ov’era andato, naturalmente, coi Lamanna.

Perazzetti aveva veduto tante volte Lino in maglia, alla società di canottaggio; vide ora la sposa in costume da bagno. Notare che Lino aveva veramente un che di femineo, nelle anche.

Incredibilmente poi, Perazzetti aveva scoperto che non era in grado di separare le immagini del fratello e sorella, e, di conseguenza, non era stato in grado di continuare la relazione con Ely! Eventualmente l’aveva abbandonata!

Che impressione ebbe Perazzetti dalla scoperta di questa rassomiglianza? Cominciò a sudar freddo, cominciò a provare un ribrezzo invincibile al pensiero d’entrare in intimità coniugale con Ely Lamanna, che somigliava tanto al fratello. Gli si rappresentò subito come mostruosa, quasi contro natura, quella intimità, giacché vedeva il fratello nella fidanzata; e si torceva alla minima carezza ch’ella gli faceva, nel vedersi guardato con occhi ora incitanti e aizzosi, ora che s’illanguidivano nella promessa d’una voluttà sospirata.

Poteva intanto gridarle Perazzetti:

— Oh Dio, per carità, smetti! finiamola! Io posso essere amicissimo di Lino, perché non debbo sposarlo; ma non posso più sposar te, perché mi parrebbe di sposare tuo fratello?

(Abbiamo detto che la novella è finita in farsa, giusto?)

Il narratore ci spiega che il suo abbandono aveva portato a un duello con Lino, e alla ferita di Perazzetti, dalla quale ha riuscito a riprendersi (anche se nessuno pensava che lo avrebbe fatto).

A questo punto il narratore chiedeva quelli che si erano riuniti intorno a lui: “Perché, allora, dopo l’episodio dei Lamanna, avrebbe avuto scelto Perazzetti di sposare Filomena?”

La tortura che soffrì questa volta Perazzetti fu di gran lunga superiore a tutte quelle che aveva sofferto per l’innanzi. Finì con quel colpo di spada, che per miracolo non lo mandò all’altro mondo.

E appena guarito della ferita, trovò il rimedio eroico che doveva precludergli per sempre la via del matrimonio.

— Ma come – voi dite – sposando?

La risposta era che Filomena, poverina, era fondamentalmente una persona la cui vita era esaurita, lei era qualcuna persa, qualcuna con poco o nessun valore di redenzione sociale.

Sicuro! Filomena: quella del cane. Sposando Filomena, quella povera scema che si vedeva ogni sera per via, parata con certi cappellacci carichi di verdura svolazzante, tirata da un barbone nero, che non le lasciava mai il tempo di finir certe sue risatelle assassine alle guardie, ai giovanottini di primo pelo e ai soldati, per la fretta che aveva – maledetto cane – d’arrivare chi sa dove, chi sa a qual remoto angolo bujo…

Come tale, Filomena era, nella mente di Perazzetti, perfetto per lui! Poteva sposarla e mettere a tacere i pettegolezzi… ma anche poteva effettivamente ignorare sua moglie, cioè, ignorare che lei esisteva e andare avanti con la propria vita.

In chiesa e allo stato civile la sposò; la tolse dalla strada; le assegnò venti lire al giorno e la spedì lontano, in campagna, col cane.

Gli amici – come potete figurarvi – non gli dettero più pace per parecchio tempo. Ma Perazzetti era ritornato ormai tranquillo, a dirle serio serio, che non pareva nemmeno lui.

— Sì, – diceva, guardandosi le unghie. – L’ho sposata. Ma non è una cosa seria. Dormire, dormo solo, in casa mia; mangiare, mangio solo, in casa mia; non la vedo; non mi dà alcun fastidio… Voi dite per il nome? Sì: le ho dato il mio nome. Ma, signori miei, che cosa è un nome? Non è una cosa seria.

Cose serie, a rigore, non ce n’erano per Perazzetti. Tutto sta nell’importanza che si dà alle cose. Una cosa ridicolissima, a darle importanza, può diventare seriissima, e viceversa, la cosa più seria, ridicolissima. C’è cosa più seria della morte? Eppure, per tanti che non le danno importanza…

Il narratore ci dice che alcuni giorni dopo il matrimonio, Perazzetti ha vissuto i suoi amici e che gli hanno chiesto se avesse qualche rimpianti / pentimenti. Perazzetti gli ha risposto affermando che ne aveva qualcuni, certo, ma che il matrimonio era una convenzione, una norma, un’istituzione creata dall’uomo e quindi banale… in altre parole, il matrimonio non era una cosa seria. Di conseguenza, anche i suoi rimpianti non erano seri.

Va bene; ma tra qualche giorno lo volevano vedere gli amici. Chi sa come se ne sarebbe pentito!

— Bella forza! – rispondeva Perazzetti. – Sicuro che me ne pentirò! Già già comincio a esserne pentito…

Gli amici, a questa uscita, levavano alte le grida:

— Ah! lo vedi?

— Ma imbecilli, – rimbeccava Perazzetti, – giusto quando me ne pentirò per davvero, risentirò il beneficio del mio rimedio, perché vorrà dire che mi sarò allora innamorato di nuovo, fino al punto di commettere la più grossa delle bestialità: quella di prendere moglie.

Coro:

— Ma se l’hai già presa!

Perazzetti :

— Quella? Eh via! Quella non è una cosa seria.

Il narratore conclude la storia spiegando che Perazzetti si era sposato per convenienza e anche per poter osservare l’istituzione del matrimonio ‘dall’interno’ per così dire. La sua scelta, quindi, era coerente con il suo interesse a lungo termine nello studio del carattere e della personalità!

Conclusione:

Perazzetti aveva sposato per guardarsi dal pericolo di prendere moglie.

***

Qui, siamo costantemente alla ricerca degli ‘equivalenti’, cioè, scritti del nostro tempo che toccano i temi che il Pirandello ha esplorato a suo tempo.

Nella misura in cui Non è una cosa seria parla di Perazzetti, un uomo che non sopporta mai l’inautenticità, offriamo il seguente articolo su un senzatetto con alcuni tratti similari:

https://www.newyorker.com/news/essay/the-sordid-necessity-of-living-for-others

As we leave the shop, I tell him about various ballot initiatives in the upcoming election meant to address the housing crisis. Admittedly, all are minor salves. No one with power has the radical vision, or will, to tackle homelessness head on. But better to gesture in the right direction than do nothing at all, I argue.

“Is it?” he asks. He talks about the stinginess with which relief is given, the arbitrary and inflexible conditions: “You can’t be fifteen minutes late to this or that meeting—they’ll take away your benefits for a month. You’re not allowed to use your food stamps to get hot food. It’s easier to sell your E.B.T. card on the black market than find a place that will let you buy a hot cup of coffee in the morning. Not even a hot green tea—and that shit’s healthy.” I’ve been on food stamps myself; it occurs to me that I am insisting on the necessity of expanding a system that consistently makes him feel like shit.

My brother won’t be pinned down to a political ideology; he’s neither right-wing nor left. He sidesteps Trump’s racism but enjoys his candor. What he can’t stand is inauthenticity, the disguised racism of many white liberals, and what he knows is that opportunism, whenever encountered, is always authentic. Generosity rarely so. “They call Trump a hypocrite,” he says. “Well, there is no hypocrisy in capitalism, only opportunity.”

Cosa pensate? ‘Il fratello’ assomiglia a Perazzetti?

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