Riassunto: Il viaggio

Da tredici anni Adriana Braggi non usciva più dalla casa antica, silenziosa come una badia, dove giovinetta era entrata sposa. Non la vedevano più nemmeno dietro le vetrate delle finestre i pochi passanti che di tanto in tanto salivano quell’erta via a sdrucciolo e mezza dirupata, così solitaria che l’erba vi cresceva tra i ciottoli a cespugli.

Comincia così Il viaggio(L. Pirandello), una novella senza eguali… una storia meravigliosamente concepita e scritta che, in qualche modo, riesce ad indurre sia rabbia che gioia. La storia descrive la ‘fioritura’ d’una giovane donna — a lungo repressa da norme e convenzioni sociali — proprio mentre lei sta per morire. L’ironia di questa situazione è quasi troppo da sopportare.

All’inizio della novella ci viene presentata Adriana Braggi, la protagonista. Veniamo a sapere che Adriana si è sposata il figlio d’una famiglia nobile, e che è rimasta nella sua vecchia casa nella campagna siciliana per gli ultimi 13 anni… cioè, è rimasta quasi in clausura, come se fosse in un monastero. Infatti, Adriana è rimasta così isolata che, negli ultimi 13 anni, è stata vista raramente dagli altri!

Apprendiamo che Adriana si è sposata all’età di 18 anni; poi all’età di 22 anni è morto suo marito. All’apertura della novella, Adriana ha 35 anni, ed impariamo che è rimasta in pieno lutto, dal giorno in cui suo marito è morto fino ad oggi. Il nostro senso è che lei abbia accettato la sua vita / il suo destino nel miglior modo possibile.

A ventidue anni, dopo quattro appena di matrimonio, con la morte del marito era quasi morta anche lei per il mondo. Ne aveva ora trentacinque, e vestiva ancora di nero, come il primo giorno della disgrazia; un fazzoletto nero, di seta, le nascondeva i bei capelli castani, non più curati, appena ravviati in due bande e annodati alla nuca. Tuttavia, una serenità mesta e dolce le sorrideva nel volto pallido e delicato.

Nessuno nel suo paese è sorpreso dall’isolamento dal mondo quasi totale di Adriana dopo la morte del marito. “Questo è come dovrebb’essere” potrebbero dire forse, oppure “Questo è secondo la nostra usanza, la nostra aspettativa.” È detto, in altre parole, che le vedove (mentre sono vive) dovrebbero ‘seguire’ loro mariti ‘fino alla tomba’… dovrebbero, cioè, rimanere chiuse, in lutto perpetuo, finché muoiono loro stesse.

Di questa clausura nessuno si meravigliava in quell’alta cittaduzza dell’interno della Sicilia, ove i rigidi costumi per poco non imponevano alla moglie di seguire nella tomba il marito. Dovevano le vedove starsene chiuse così in perpetuo lutto, fino alla morte.

Cosa si può dire della vita d’una donna in una famiglia nobile come quella di Adriana? In realtà, in circostanze normali, solo raramente erano autorizzate d’uscire di casa le donne… tranne la domenica forse00, brevemente, per frequentare la messa, e forse per visitare altre nobildonne della zona. Durante queste visite si diceva che le donne ostentassero i loro vestiti e gioielli, in una sorta di competizione amichevole. Siamo tuttavia avvertiti di non assumere mai che le donne si vestissero e si comportassero in questo modo a causa della proprio vanità. Non l’hanno fatto! Invece, si vestirono / comportarano in questo modo all’insistenza dei padroni, che hanno schierati le donne, quasi come se fossero beni mobili, in una dimostrazione del proprio potere e ricchezza.

Del resto, le donne delle poche famiglie signorili, da fanciulle e da maritate, non si vedevano quasi mai per via: uscivano solamente le domeniche, per andare a messa; qualche rara volta per le visite che di tempo in tempo si scambiavano tra loro. Sfoggiavano allora a gara ricchissimi abiti d’ultima moda, fatti venire dalle primarie sartorie di Palermo o di Catania, e gemme e ori preziosi; non per civetteria: andavano serie e invermigliate in volto, con gli occhi a terra, impacciate, strette accanto al marito o al padre o al fratello maggiore. Quello sfoggio era quasi d’obbligo; quelle visite o quei due passi fino alla chiesa erano per loro vere e proprie spedizioni da preparare fin dal giorno avanti. Il decoro del casato poteva scapitarne; e gli uomini se ne impacciavano; anzi, i più puntigliosi erano loro, perché volevano dimostrare così di sapere e potere spendere per le loro donne.

Impariamo che questo ‘sistema’, se possiamo parlare così, è stato effettivamente considerato una parte importante dell’educazione d’una donna. Le donne dovevano essere viste, non ascoltate. Lo scopo delle loro vite? Se erano sposate, sono state tenute a prendere cura della casa e dei bambini. Se non erano sposate, dovevano aspettare pazientemente fino a quando il loro matrimonio fosse stato organizzato. Una volta sposate, le donne dovevano rimanere fedeli a loro mariti, anche se il matrimonio era sterile (come spesso si diceva fosse il caso).

Sempre sottomesse e obbedienti, queste si paravano com’essi volevano, per non farli sfigurare; dopo quelle brevi comparse, ritornavano tranquille alle cure casalinghe; e, se spose, attendevano a far figliuoli, tutti quelli che Dio mandava {era questa la loro croce); se fanciulle, aspettavano di sentirsi dire un bel giorno dai parenti: eccoti, sposa questo; lo sposavano; quieti e paghi gli uomini di quella supina fedeltà senza amore.

Come un lettore moderno potrebb’immaginare, questa fosse una vita tediosa, noiosa… immutabile, rigidamente definita, una vita nella campagna di squallore emotivo e fisico. A nostro parere queste donne siano state essenzialmente private di ‘emozioni umane’ (es.) rispetto, ammirazione, amore… sembrano essere senza orgoglio, senza aspirazione. La nostra impressione è che le norme della società erano tali che le donne fossero considerate come ‘oggetti’ o ‘proprietà’. Ci viene detto che la loro volontà d’esser sottomesse, con “la fede cieca”, era l’unica cosa che impedisce loro di raggiungere uno stato di disperazione.

Soltanto la fede cieca in un compenso oltre la vita poteva far sopportare senza disperazione il lento e greve squallore in cui volgevano le giornate, una dopo l’altra tutte uguali, in quella cittaduzza montana, così silenziosa che pareva quasi deserta, sotto l’azzurro intenso e ardente del cielo, con le straducole anguste, male acciottolate, tra le grezze casette di pietra e calce, coi doccioni di creta e i tubi di latta scoperti.

(Non è vero che questa vita sembra, in qualche modo, analoga alla vita d’un prigioniero in isolamento?)

Com’è, allora, la campagna? Impariamo che la storia si svolge in una regione, forse vicino ad Agrigento, dove lo zolfo viene estratto dalla terra. Ci viene detto che il clima è caldo e secco, c’è una siccità per gran parte dell’anno, anche in inverno, e che la terra è stata devastata / ‘bruciata’ / quasi distrutta dalle attività associate alle miniere di zolfo. Questo non è, in altre parole, una terra lussureggiante e bucolica, in cui la natura è in armonia. Infatti, pochi animali sono in grado di sopravvivere in questa terra ‘sterile’.

A inoltrarsi fin dove quelle straducole terminavano, la vista della distesa ondeggiante delle terre arse dalle solfare, accorava. Alido il cielo, alida la terra, da cui nel silenzio immobile, addormentato dal ronzio degli insetti, dal fritinnìo di qualche grillo, dal canto lontano d’un gallo o dall’abbajare d’un cane, vaporava denso nell’abbagliamento meridiano l’odore di tante erbe appassite, dal grassume delle stalle sparso.

Se e quando piove, era motivo di festa… ed anche d’azione: dopo la pioggia c’era bisogno di catturare quanta più acqua possibile prima che scomparisse. Dopo la pioggia, ci viene detto che la terra era rinfrescata e rinnovata.

In tutte le case, anche nelle poche signorili, mancava l’acqua; nei vasti cortili, come in capo alle vie, c’erano vecchie cisterne alla mercé del cielo; ma anche d’inverno pioveva poco; quando pioveva era una festa: tutte le donne mettevan fuori conche e buglioli, vaschette e botticine, e stavano poi su gli usci con le vesti di baracane raccolte tra le gambe a vedere l’acqua piovana scorrere a torrenti per i ripidi viottoli, a sentirla gorgogliare nelle grondaie e per entro ai doccioni e ai cannoni delle cisterne. Si lavavano i ciottoli, si lavavano i muri delle case, e tutto pareva respirasse più lieve nella freschezza fragrante della terra bagnata.

In questa regione sembrava esserci un netto contrasto tra le vite di uomini e donne. Da una parte, gli uomini di giorno hanno partecipato ai loro affari… e poi loro hanno socializzati. In contrasto, le donne, come abbiamo visto, rimaste ‘in clausura’ a casa, con obblighi e aspettative ben definite. (Ci viene spiegato che le loro vite hanno consistito di ‘casa, religione e figli’.) Alle donne sono stato insegnato ad esser sottomesse, senza ego, senza vanità, senza aspirazione.

Gli uomini, tanto o quanto, trovavano nella varia vicenda degli affari, nella lotta dei partiti comunali, nel Caffè o nel Casino di compagnia, la sera, da distrarsi in qualche modo; ma le donne, in cui fin dall’infanzia s’era costretto a isterilire ogni istinto di vanità, sposate senz’amore, dopo avere atteso come serve alle faccende domestiche sempre le stesse, languivano miseramente con un bambino in grembo o col rosario in mano, in attesa che l’uomo, il padrone, rincasasse.

(A questo punto, ci chiediamo come una società possa aspettarsi di prosperare se nega, a tutti gli effetti, i contributi potenziali d’una metà dei suoi cittadini?)

Successivamente, apprendiamo che il matrimonio di Adriana era turbato, soffocante, abusivo. Suo marito, il secondogenito della famiglia, era in salute delicata… era anche lui immaturo e un bullo. Ci viene spiegato che il loro matrimonio era, in effetti, un errore in quanto sfidava una tradizione / una usanza ben stabilita: per queste famiglie nobili, era consuetudine permettere a un figlio solo, solitamente il primogenito, di sposarsi, come un modo di conservare e preservare la tenuta / l’eredità / la proprietà fondiaria attraverso le generazioni.

Adriana Braggi non aveva amato affatto il marito.

Debolissimo di complessione e in continuo orgasmo per la cagionevole salute, quel marito l’aveva oppressa e torturata quattr’anni, geloso fin anche del fratello maggiore, a cui sapeva d’aver fatto, sposando, un grave torto, anzi un vero tradimento. Ancora, là, di tutti i figli maschi d’ogni famiglia ricca uno solo, il maggiore, doveva prendere moglie, perché le sostanze del casato non andassero sparpagliate tra molti eredi.

Il primogenito di questa famiglia nobile era Cesare Braggi. Veniamo a sapere che Cesare non era stato turbato dal tradimento del fratello, forse perché loro padre, prima di morire, ha dichiarato che Cesare avrebbe comandato la famiglia e che il marito di Adriana sarebbe obbediente, cioè, che gli sarebbe richiesto di rispettare tutte le decisioni di Cesare.

Cesare Braggi, il fratello maggiore, non aveva mai dato a vedere d’essersi avuto a male di quel tradimento, forse perché il padre, morendo poco prima di quelle nozze, aveva disposto che il capo della famiglia rimanesse lui e che il secondogenito ammogliato gli dovesse obbedienza intera.

È morto il loro padre poco dopo che Adriana si è sposata e, a causa del tradimento del marito, lei si è sentita un senso d’imbarazzo / d’umiliazione nella casa di Cesare. Impariamo che questi sentimenti erano aggravati dalla costante rabbia e gelosia del marito, che ha sospettato che Cesare volesse sposare Adriana, forse come una forma di vendetta;

Entrando nella casa antica dei Braggi, Adriana aveva provato una certa umiliazione nel sapersi così soggetta al cognato. La sua condizione era diventata doppiamente penosa e irritante, allorché il marito stesso, nella furia della gelosia, le aveva lasciato intendere che Cesare aveva già avuto in animo di sposar lei. Non aveva saputo più come contenersi di fronte al cognato;

…Adriana rimase però in uno stato di confusione, perché, fin dall’inizio, Cesare era cordiale e solidale con lei: si diceva che lui avesse trattato Adriana come se fosse sua sorella. Dunque, Adriana sembrava incapace di decidere la verità: era Cesare in realtà una minaccia o un amico.

e tanto più imbarazzo era cresciuto, quanto meno il cognato aveva fatto pesare la sua potestà su lei, accolta fin dal primo giorno con cordiale franchezza di simpatia e trattata come una vera sorella.

Poi, apprendiamo che Cesare era, semplicemente, un brav’uomo: sicuro di sé, gentile, intelligente, mondano, prevedibile, anche mentre svolgeva i suoi affari che, come possiamo ben immaginare, potrebbe aver incluso la necessità d’affrontare il crimine organizzato e la corruzione politica.

Era di modi gentili, e nel parlare e nel vestire e in tutti i tratti, d’una squisita signorilità naturale, che né il contatto della ruvida gente del paese, né le faccende a cui attendeva, né le abitudini di rilassata pigrizia, a cui quella vuota e misera vita di provincia induceva per tanti mesi dell’anno, avevano potuto mai, non che arrozzire, ma neppure alterare d’un poco.

Impariamo poi che Cesare aveva l’abitudine di prender una vacanza annuale, viaggiando da solo, spesso per più d’un mese alla volta. La sua preferenza era d’immergersi nelle grandi città d’Italia, e si riferiva a quest’esperienze come ‘fare il bagno nella cultura’. Questi viaggi erano ringiovanenti, per non dir altro.

Ogni anno, del resto, per parecchi giorni, spesso anche per più d’un mese, s’allontanava dalla cittaduzza e dagli affari. Andava a Palermo, a Napoli, a Roma, a Firenze, a Milano, a tuffarsi nella vita, a prendere – com’egli diceva un bagno di civiltà. Ritornava da quei viaggi ringiovanito nell’anima e nel corpo.

Ad Adriana, che non aveva mai lasciato Agrigento, viaggi come questi sembravano esotici. Cosa ce di più, lei è stata in grado di vedere in prima persona che viaggi come questi potrebbero esser edificanti e stimolanti… in netto contrasto con la stagnazione di vita sua.

Adriana, che non aveva mai dato un passo fuori del paese natale, nel vederlo rientrare così nella vasta casa antica, ove il tempo pareva stagnasse in un silenzio di morte, provava ogni volta un segreto turbamento indefinibile.

Adriana, come possiamo ben immaginare, non è stata in grado di comprendere le storie sul mondo oltre la Sicilia.

Il cognato recava con sè l’aria d’un mondo, che lei non riusciva nemmeno a immaginare.

Poi, apprendiamo che Cesare aveva attivamente cercato di descrivere ad Adriana le sue avventure… questo, ovviamente, aveva portato suo marito a diventare sempre più arrabbiato, sospettoso ed amaro;

E il turbamento le cresceva, udendo le stridule risate del marito che di là ascoltava il racconto delle saporite avventure occorse al fratello; diventava sdegno, ribrezzo poi, la sera, allorché il marito, dopo quei racconti del fratello, veniva a trovarla in camera, acceso, sovreccitato, smanioso.

…impariamo che, alla fine, Adriana aveva cominciato a preferire Cesare… specialmente una volta che era vedova.

Lo sdegno, il ribrezzo erano per il marito, e tanto più forti quanto più ella vedeva invece il cognato pieno di rispetto, anzi di riverenza per lei.

Dopo la morte del marito, Adriana era costernata dalla prospettiva di vivere da sola nella casa di Cesare. Certo, c’erano due bambini a cui badare (questo era un conforto per lei), ma lei non si era ancora risolta i ‘messaggi’ contrastanti che aveva ricevuto in precedenza (es.) dovrebbe continuare a credere che Cesare fosse una minaccia o poteva fidarsi del proprio giudizio sul suo carattere e personalità?

Morto il marito, Adriana aveva provato un’angoscia piena di sgomento al pensiero di restar sola con lui in quella casa. Aveva, sì, i due piccini che in quei quattro anni le erano nati; ma, benché madre, non era riuscita a superare di fronte al cognato, la sua nativa timidezza di fanciulla. Questa timidezza, veramente, non era stata mai in lei ritrosia; ma ora sì; e ne incolpava il marito geloso, che l’aveva oppressa con la più sospettosa e obliqua sorveglianza.

Col tempo, Cesare ha continuato a mettersi alla prova in modo coerente e senza riserve, cioè, in un modo che ha ispirato fiducia. Ad un certo punto, lui ha invitato la madre di Adriana a vivere a casa con lei. Questo era veramente liberatorio! Adesso, Adriana aveva una compagna, qualcuna che le permetteva di riprendere ed esprimere la sua vera carratere e personalità. Dopo l’arrivo di sua madre, Adriana si descriveva come ‘giovane’, ed era libera di rivolgere tutta la sua attenzione ai suoi figli… per amarli e sostenerli, per allevarli nel modo migliore.

Cesare Braggi, con squisita premura, aveva allora invitato la madre di lei a venirsene a stare con la figliuola vedova. E a poco a poco Adriana, liberata dall’esosa tirannia del marito, con la compagnia della madre, aveva potuto, se non acquistare al tutto la pace, tranquillare alquanto lo spirito. S’era dedicata con intero abbandono alla cura dei figliuoli, prodigando loro quell’amore e quelle tenerezze che non avevano potuto trovare uno sfogo nel matrimonio disgraziato.

Cesare ha continuato a fare una vacanza ogni anno, ma adesso è tornato con i regali, cioè, per Adriana, per sua madre, per i figli. È descritto il suo affetto per tutt’e quattro come ‘paterno’.

Ogni anno Cesare aveva seguitato a fare il suo viaggio d’un mese nel Continente, recando doni al ritorno così a lei come alla nonna e ai nipotini, per i quali aveva sempre avuto le più delicate premure paterne.

Ogni volta che Cesare se n’era andato, tuttavia, la casa sembrava esser un posto terrificante… specialmente di notte,

La casa, senza il presidio d’un uomo, faceva paura alle donne, segnatamente la notte. Nei giorni ch’egli era assente, pareva ad Adriana che il silenzio, divenuto più profondo, più cupo, tenesse come sospesa sulla casa una grande ignota sciagura; e con infinito sbigottimento udiva stridere la carrucola dell’antica cisterna in capo all’erta via solitaria, se un soffio di vento veniva a scuoterne la fune.

…ma ciònonostante, Adriana, dopo aver ricevuto da Cesare tanta gentilezza e buona volontà, e dopo esser stata contenta per così tanto tempo, non era in grado di lamentarsi.

Ma poteva egli, per riguardo a due donne e a due piccini che in fondo non gli appartenevano, privarsi di quell’unico svago dopo un anno di lavoro e di noja? Avrebbe potuto non curarsi né tanto né poco di loro, vivere per sè, libero, poiché il fratello gli aveva impedito di formarsi una famiglia sua; e invece – come non riconoscerlo? – tolte quelle brevi vacanze, era tutto dedito alla casa e ai nipotini orfani.

Col passare del tempo, Adriana sembrava allontanarsi dal suo passato. I suoi figli stavano crescendo bene — dopotutto non hanno solo il sostegno di Adriana e di nonna, ma anche il sostegno di Cesare, che continua ad esser uomo buono, attento, premuroso e dedicato.

Col tempo, s’era addormentato ogni rammarico nel cuore di Adriana. I figliuoli crescevano, e lei godeva che crescessero con la guida di quello zio. La sua dedizione era divenuta ormai totale cosicché si meravigliava se il cognato o i figliuoli si opponevano a qualche cura soverchia che si dava di loro. Le pareva di non far mai abbastanza. E a che avrebbe dovuto pensare, se non a loro?

Poi è morta la madre di Adriana. Questa è stata sicuramente una perdita significativa, dato che loro erano diventate amiche e confidenti. Come abbiamo visto prima, quando sua madre era viva, Adriana ha pensato a se stessa come una ‘giovane’; adesso però sua madre è morta ei suoi figli sono quasi giovanotti, quindi ha cominciato a pensare a sè come una ‘vecchia’.

Era stato per lei un gran dolore la morte della madre: era venuta a mancarle l’unica compagnia. Da un pezzo parlava con lei come con una sorella; tuttavia, con la madre accanto, lei poteva pensarsi ancora giovane, qual’era in fondo. Sparita la madre, con quei due figliuoli ormai giovinetti, uno di sedici, l’altro di quattordici anni, già alti quasi quanto lo zio, cominciò a sentirsi e a considerarsi vecchia.

A questo punto della storia, Adriana inizia per la prima volta a sentirsi che qualcosa non va: sembra sempre stanca e sente un dolore sordo, mal definito ma persistente, vicino alla spalla, alla parte superiore del torace ed al braccio sinistra. Ci sono momenti in cui il dolore, inaspettatamente, è acuto e severo.

Era in quest’animo, allorché per la prima volta le avvenne di avvertire un vago malessere, una stanchezza, una oppressione un po’ a una spalla, un po’ al petto; un certo dolor sordo che le prendeva talvolta anche tutto il braccio sinistro e che di tratto in tratto diventava lancinante e le toglieva il respiro.

Poi, un giorno, il dolore sembra esser significativamente peggiorato e non diminuisce. Si chiama un medico… ci viene spiegato che lui è preoccupato quando impara la storia della malattia attuale; le sue preoccupazioni si intensificano dopo che la esamina.

Non ne mosse lamento; e forse nessuno lo avrebbe mai saputo, se un giorno a tavola ella non avesse avuto l’assalto d’uno di quei fitti spasimi improvvisi.

Fu chiamato il vecchio medico di casa, il quale fin da principio restò costernato dal ragguaglio di quei sintomi. La costernazione crebbe dopo un lungo e attento esame dell’inferma.

Il medico non ha una diagnosi precisa e consulta uno dei suoi colleghi. Tentano una biopsia, che sfortunatamente non è informativa. Poi, scoprono la presenza di diverse aree (discrete?) di fermezza ed indurimento sotto la pelle, sia sopra che sotto la scapola sinistra, un tumore possibilmente, forse un tumore maligno all’interno delle ghiandole linfatiche. Cesare è consigliato di portar Adriana immediatamente a Palermo per la continuazione delle cure.

Il male era alla plèura. Ma di che natura? Il vecchio medico, con l’ajuto d’un collega, tentò una puntura esplorativa, senza alcun esito. Poi, notando un certo indurimento nelle glandole sopra e sottoscapolari, consigliò al Braggi di condurre subito la cognata a Palermo, lasciando intendere chiaramente che temeva fosse un tumore interno, forse irrimediabile.

Il loro viaggio è in ritardo, tuttavia, perché Adriana manca di vestiti adeguati per un viaggio;

Partire subito non fu possibile. Adriana, dopo tredici anni di clausura, era affatto sprovvista d’abiti per comparire in pubblico e per viaggiare. Bisognò scrivere a Palermo per provvederla con la massima sollecitudine.

…l’abbigliamento è ordinato, anche se Adriana non ha voglia d’andare a Palermo… sembra esser terrorizzata dalla prospettiva d’un viaggio, cioè, crea ostacoli, dicendo che in realtà si sente meglio e che non vuole imporre / gravare Cesare, che ha programmato una vacanza in questo momento;

Cercò d’opporsi in tutti i modi, assicurando il cognato e i figliuoli che non si sentiva poi così male. Un viaggio? Solo a pensarci, le venivano i brividi. Era poi giusto il tempo che Cesare soleva prendersi le sue vacanze d’un mese. Partendo con lui, gli avrebbe tolto la libertà, ogni piacere. No, no, non voleva a nessun patto! E poi, come, a chi avrebbe lasciato i figliuoli? a chi affidato la casa? Metteva avanti tutte queste difficoltà;

…ma poi, a tutti gli effetti, ignorano le sue preoccupazioni Cesare ei suoi figli,

ma il cognato e i figliuoli gliele abbattevano con una risata.

…e continuano ad ignorare queste preoccupazioni, anche se Adriana continua ad esprimere le sue obiezioni!

Si ostinava a dire che il viaggio le avrebbe fatto certo più male. Oh, buon Dio, se non sapeva più neppure come fossero fatte le strade! Non avrebbe saputo muovervi un passo! Per carità, per carità, la lasciassero in pace!

Arrivano i vestiti,

Quando da Palermo arrivarono gli abiti e i cappelli, fu per i due figliuoli un tripudio.

…ei suoi figli sono esultanti. Non vedono l’ora di veder la madre con i suoi eleganti vestiti nuovi…

Entrarono esultanti con le grosse scatole avvolte nella tela cerata, in camera della madre, gridando, strepitando, ch’ella dovesse subito subito provarseli. Volevano veder bella la loro mammina, come non la avevano veduta mai. E tanto dissero, tanto fecero, che dovette arrendersi e contentarli.

…Adriana riesce a malapena a vestirsi; l’abbigliamento è alla moda, di cui lei sa quasi nulla,

Erano abiti neri, da lutto anche quelli, ma ricchissimi e lavorati con meravigliosa maestria. Ormai ignara affatto di mode, inesperta, non sapeva da che parte prenderli per vestirsene. Dove e come agganciare i tanti uncinetti che trovava qua e là? Quel colletto, oh Dio, così alto? E quelle maniche, con tanti sbuffi… Usavano adesso così?

…ei suoi figli, aspettando in una stanza appena fuori dalla camera in cui si veste, sono sempre più impazienti. C’è infatti tanta attesa ed eccitazione che tutti sembrano momentaneamente dimenticare il perché sono stati ordinati i vestiti in primo luogo.

Dietro l’uscio, intanto, tempestavano i figliuoli, impazienti:

– Mamma, fatto? Ancora?

Come se la mamma di là stésse ad abbigliarsi per una festa! Non pensavano più alla ragione per cui quegli abiti erano arrivati; non ci pensava più, veramente, nemmeno lei, in quel momento.

Finalmente, Adriana è vestita: vede che si trasforma in una donna bellissima, sexy (procace) e sofisticata! Infatti non si sente più vecchia! e riesce a malapena a credere a quello che è successo!

Quando, tutta confusa, accaldata, levò gli occhi e si vide nello specchio dell’armadio, provò un’impressione violentissima, quasi di vergogna. Quell’abito, disegnandole con procacissima eleganza i fianchi e il seno, le dava la sveltezza e l’aria d’una fanciulla. Si sentiva già vecchia: si ritrovò d’un tratto in quello specchio, giovane, bella; un’altra!

– Ma che! ma che! Impossibile! – gridò, storcendo il collo e levando una mano per sottrarsi a quella vista.

Tuttavia, Adriana si rifiuta d’entrare nella stanza dove attendono suoi figli. Loro minacciano d’entrare nella sua camera con la forza.

I figliuoli, l’esclamazione, cominciarono a picchiare più forte all’uscio con le mani, coi piedi, a sospingerlo, gridandole che aprisse, che si facesse vedere.

Ma che! no! Si vergognava. Era una caricatura! No, no.

Ma quelli minacciarono di buttar l’uscio a terra. Dovette aprire.

Alla fine, suoi figli sono in grado di vedere Adriana; sono veramente sbalorditi dalla sua trasformazione. Tuttavia, Adriana si rifiuta di esaminarsi allo specchio. Interviene Cesare a questo punto; all’inizio, non desidera intromettersi, ma i figli lo incoraggiano a rimanere… Cesare è sbalordito come tutti gli altri.

Restarono anch’essi, i figliuoli, abbagliati dapprima da quella trasformazione improvvisa. La mamma cercava di schermirsi, ripetendo: – Ma no, lasciatemi! ma che! impossibile! siete matti? – quando sopravvenne il cognato. Oh, per pietà! Tentò di scappare, di nascondersi, come se egli l’avesse sorpresa nuda. Ma i figliuoli la tenevano; la mostrarono allo zio che rideva di quella vergogna.

– Ma se ti sta proprio bene! – disse egli, alla fine, ritornando serio.

Cesare insiste sul fatto che Adriana si esamina allo specchio; quando acquisisce, riesce a malapena a comprendere la sua immagine… è contenta.

– Su, lasciati vedere.

Si provò ad alzare il capo.

– Mi pare d’essere mascherata…

– Ma no! Perché? Ti sta invece benissimo. Voltati un poco… così, di fianco…

Obbedì, sforzandosi di parer calma; ma il seno, ben disegnato dall’abito, le si sollevava al frequente respiro che tradiva l’interna agitazione cagionata da quell’esame attento e tranquillo di lui, espertissimo conoscitore.

Poi devono affrontare il problema degli enormi cappelli che sono stati inviati da Palermo. Cosa fare con i suoi capelli?

– Va proprio bene. E i cappelli?

– Certe ceste! – esclamò Adriana, quasi sgomenta.

– Eh sì, usano grandissimi.

– Come farò a mettermeli in capo? bisognerà che mi pettini in qualche altro modo.

Cesare tornò a guardarla, calmo, sorridente; disse:

– Ma sì, hai tanti capelli…

– Sì, sì, brava mammina! Pettinati subito! – approvarono i figliuoli.

…ancora una volta, vediamo che Adriana è contenta.

Adriana sorrise mestamente:

– Vedete che mi fate fare? – disse, rivolgendosi anche al cognato.

Poi, il giorno dopo Cesare ed Adriana partono in treno a Palermo. Adriana sembra esser quasi indifferente / imperturbabile alla sua salute; invece si concentra sul bisogno di rimaner calma, in modo da non disturbare Cesare, anche se è immediatamente sopraffatta dalle immagini e dai suoni del viaggio.

La partenza fu stabilita per la mattina appresso.

Sola con lui!

Lo seguiva in uno di quei viaggi, a cui un tempo pensava con tanto turbamento. E un solo timore aveva adesso: quello di apparire turbata a lui che le stava davanti, tutto intento a lei, ma tranquillo come sempre.

Cesare rimane calmo, naturalmente, com’è la sua natura; Adriana è un po’ innervosita da questo,

Questa tranquillità di lui, naturalissima, avrebbe fatto stimare a lei indegno il suo turbamento e tale da doverne arrossire, ove ella, con una finzione quasi cosciente, appunto per non doverne aver vergogna e raffinarsi di se medesima,

…ma le cause della sua costernazione sono complesse: sì, si preoccupa per il benessere di Cesare, ma è anche ‘travolti’ dai dettagli del viaggio, che è descritto come un assalto ai suoi sensi.

non gli avesse dato un’altra cagione: la novità stessa del viaggio, l’assalto di tante impressioni strane alla sua anima chiusa e schiva. E attribuiva lo sforzo che faceva su se stessa per dominare quel turbamento (il quale tuttavia, così interpretato, non avrebbe avuto nulla di riprovevole) alla convenienza di non darsi a vedere tanto nuova delle cose e meravigliata, di fronte a uno che, per esser da tanti anni esperto di tutto e padrone sempre di sè, avrebbe potuto provarne fastidio e dispiacere. Anche ridicola, infatti, avrebbe potuto apparire, alla sua età, per quella meraviglia quasi infantile che le ferveva negli occhi.

Tutto è nuovo! Tutto è meraviglioso! Suoni, viste, odori! …chi sapeva che il mondo fuori dal Agrigento offrirebbe così tante opportunità? Mentre tentando di controllare le sue emozioni, Adriana fissa intensamente al mondo fuori dalla sua finestra.

Si costringeva pertanto a frenare l’ilare ansia febbrile dello sguardo e a non voltare continuamente il capo da un finestrino all’altro, come aveva la tentazione di fare per non perdere nulla delle tante cose, su cui i suoi occhi, così in fuga, si posavano un attimo per la prima volta. Si costringeva a nascondere la maraviglia, a dominare quella curiosità, che pure le avrebbe giovato tener desta e accesa, per vincere con essa lo stordimento e la vertigine che il rombar cadenzato delle ruote e quella fuga illusoria di siepi e d’alberi e di colli le cagionavano.

Questo è, naturalmente, il primo viaggio in treno di Adriana; e anche l’inizio d’un’altra trasformazione, cioè, la terza. In primo luogo, Cesare le ha mostrato che gli uomini non erano tutti uguali, che loro potevano esser gentili, generosi e giusti. In secondo luogo, sono emersi il carattere e la personalità di Adriana come risultato delle sue interazioni con sua madre ei suoi figli e della sua amicizia / collaborazione continua (e crescente) con Cesare. Adesso, Adriana inizia a capire quanto sia immenso il mondo al di là di Agrigento e quanta bellezza esiste. Per la prima volta pensa a se stessa come sexy ed elegante (quasi, come una che appartiene nel questo mondo), forse anche come una persona con qualcosa da offrire, con un proprio punto di vista.

È ben consapevole che Adriana è sopraffatta… dopotutto, tante cose da provare, da comprendere! tanta bellezza!

Andava in treno per la prima volta. A ogni tratto, a ogni giro di ruota, aveva l’impressione di penetrare, d’avanzarsi In un mondo ignoto, che d’improvviso le si creava nello spirito con apparenze che, per quanto le fossero vicine, pur le sembravano come lontane e le davano, insieme col piacere della loro vista, anche un senso di pena sottilissima e indefinibile: la pena ch’esse fossero sempre esistite oltre e fuori dell’esistenza e anche dell’immaginazione di lei; la pena d’essere tra loro estranea e di passaggio, e ch’esse senza di lei avrebbero seguitato a vivere per sè con le loro proprie vicende.

Adriana cerca di ‘veder’ tutto… ad esempio, le case e le persone in uno villaggio strano. Queste persone sembrano effettivamente condurre vite diverse da quella che lei ha lasciato indietro ad Agrigento. Sta sognando? Adriana non riesce a credere a quello che vede, anche se è sicura che ciò che vede è a portata di mano.

Ecco lì le umili case di un villaggio: tetti e finestre e porte e scale e strade: la gente che vi dimorava era, come per tanti anni era stata lei nella sua cittaduzza, chiusa lì in quel punto di terra, con le sue abitudini e le sue occupazioni: oltre a quello che gli occhi arrivavano a vedere, non esisteva più nulla per quella gente; il mondo era un sogno: tanti e tanti lì nascevano e lì crescevano e morivano, senza aver visto nulla di quel che ora andava a veder lei in quel suo viaggio, che era così poco a petto della grandezza del mondo, e che tuttavia a lei sembrava già tanto.

Cesare la osserva; è preoccupato per Adriana ma anche soddisfatto… la interrompe per chiedere come si sente, ed Adriana lo risposta che sta bene.

Nel volgere gli occhi, incontrava a quando a quando lo sguardo e il sorriso del cognato, che le domandava:

– Come ti senti?

Gli rispondeva con un cenno del capo:

– Bene.

Adesso, Cesare siede accanto ad Adriana; premurosamente, lui racconta storie, spiegando alcuni dei dettagli di ciò che lei vede e sperimenta… Cesare anticipa e si concentra su quelle cose che sono probabilmente di maggiore interesse. (Non vuole sopraffarla; piuttosto, il suo obiettivo è arricchire le sue esperienze.) Come risultato di questi sforzi di Cesare, le emozioni di Adriana si innalzano, ma poi cadono mentre si rende conto di quanto il mondo sia stato ‘isolato’ da lei, di quanto poco del mondo lei sappia realmente.

Più d’una volta il cognato venne a sederlesi accanto per mostrarle e nominarle un paese lontano, ov’era stato, e quel monte là dal profilo minaccioso, tutti gli aspetti di maggior rilievo che si figurava dovessero più vivamente richiamare l’attenzione di lei. Non intendeva che tutte le cose, anche le minime, quelle che per lui erano le più comuni, destavano intanto in lei un tumulto di sensazioni nuove; e che le indicazioni, le notizie ch’egli le dava, anziché accrescere, diminuivano e raffreddavano quella fervida, fluttuante immagine di grandezza, ch’ella, smarrita, con quel sentimento di pena indefinibile, si creava alla vista di tanto mondo ignoto.

A questo punto della novella, sembriamo sperimentare qualcosa di mal definito ma intenso — forse è un senso di profonda ironia? forse di rabbia? forse entrambi? — quando ci rendiamo conto che Adriana doveva esser gravemente ammalata prima che lei sia in grado di provare il mondo. Ci chiediamo, “Perché dovrebbe essere?”

Nel tumulto interno delle sensazioni, inoltre, la voce di lui, anziché far luce, le cagionava quasi un arresto bujo e violento, pieno di fremiti pungenti; e allora quel sentimento di pena si faceva più acuto in lei, più distinto. Si vedeva meschina nella sua ignoranza; e avvertiva un oscuro e quasi ostile rincrescimento della vista di tutte quelle cose che ora, troppo tardi per lei, all’improvviso, le riempivano gli occhi e le entravano nell’anima.

Alla fine Cesare ed Adriana arrivano a Palermo. Procedono a visitare una clinica medica, ma non è buona la valutazione: la prognosi di Adriana è sfavorevole… probabilmente morirà presto per il cancro. Incredibilmente (permetterci assicuravi: questo non succederebbe mai oggi!), le viene somministrato un cocktail d’agenti chimici (“veleni”) che lei deve prendere due volte al giorno in regime ambulatoriale. Cesare è affranto / distrutto dalla notizia, ma cerca di nascondere i suoi sentimenti, per preoccupazione e rispetto. Cesare è anche dispiaciuto del modo in cui Adriana viene curata mentre è in clinica.

A Palermo, scendendo il giorno dopo dalla casa del clinico primario dopo la lunghissima visita, comprese bene dallo sforzo che faceva il cognato per nascondere la profonda costernazione, dalla premura affettata con cui ancora una volta aveva voluto farsi insegnare il modo di usare la medicina prescritta e dell’aria con cui il medico gli aveva risposto; comprese bene che questi aveva dato su lei la sentenza di morte, e che quella mistura di veleni da prendere a gocce con molta precauzione, due volte al giorno prima dei pasti, non era altro che un inganno pietoso o il viatico di una lenta agonia.

Cesare ed Adriana lasciano la clinica ed iniziano ad esplorare Palermo… che si dice sia abbagliante e bella, piena di meraviglie naturale ed artificiale. Adriana ha appena ricevuto notizie sgradite, eppure sceglie di concentrarsi sulla bellezza che la circonda. Incredibilmente, Adriana sembra rendersi conto dell’importanza di vivere ogni giorno al massimo.

Eppure, appena, ancora un po’ stordita e disgustata dal diffuso odore dell’etere nella casa del medico, uscì dall’ombra della scala sulla via, nell’abbagliamento del sole al tramonto, sotto un cielo tutto di fiamma che dalla parte della marina lanciava come un immenso nembo sfolgorante sul Corso lunghissimo; e vide tra le vetture entro quel baglior d’oro il brulichio della folla rumorosa, dai volti e dagli abiti accesi da riflessi purpurei, i guizzi di luce, gli sprazzi colorati, quasi di pietre preziose, delle vetrine, delle insegne, degli specchi delle botteghe; la vita, la vita, la vita soltanto si sentì irrompere in subbuglio nell’anima per tutti i sensi commossi ed esaltati quasi per un’ebbrezza divina; né poté avere alcuna angustia, neppure un fuggevole pensiero per la morte prossima e inevitabile per la morte ch’era pure già dentro di lei, appiattata là, sotto la scapola sinistra, dove più acute a tratti sentiva le punture. No, no, la vita, la vita! E quel subbuglio interno che le sconvolgeva lo spirito, le faceva impeto intanto alla gola, ove non sapeva che cosa, quasi un’antica pena sommossa dal fondo del suo essere le si era a un tratto ingorgata, ed ecco la forzava alle lagrime, pur fra tanta gioja.

Non è dichiarato esplicitamente, ma il messaggio qua sembra esser questo… la bellezza in questo mondo è opprimente, incredibile – quasi divina – e quindi degna della nostra attenzione. Moriremo tutti, quindi è una perdita di tempo se permettiamo una malattia predominare i nostri pensieri. Dovremmo sforzarci, per quanto possibile, per sperimentare qualunque bellezza il mondo abbia da offrire… inoltre dovremmo provare a godere quelle cose che amiamo e trascorrere quanto tempo possibile con quella che amo.

Cesare è sconvolto, ma riesce a riacquistare il suo equilibrio. Decidono tutt’e due d’andare a cena, per godersi la serata,

– Niente, niente… – disse al cognato, con un sorriso che le s’illuminò vividissimo negli occhi attraverso le lagrime. – Mi par d’essere… non so… Andiamo, andiamo…

– All’albergo?

– No… no…

– Andiamo allora a cenare allo “Chalet a mare, al Foro Italico; ti piace?

– Sì, dove vuoi.

– Benissimo. Andiamo! Poi vedremo il passeggio al Foro; sentiremo la musica…

Montarono in vettura e andarono incontro a quel nembo sfolgorante, che accecava.

…che, per fortuna, non potrebb’esser più incantevole o più bella!

Ah, che serata fu quella per lei, nello “Chalet” a mare, sotto la luna, alla vista di quel Foro illuminato, corso da un continuo fragore di vetture scintillanti, tra l’odore delle alghe che veniva dal mare, il profumo delle zàgare che veniva dai giardini! Smarrita come in un incanto sovrumano, a cui una certa angoscia le impediva di abbandonarsi interamente, l’angoscia destata dal dubbio che non fosse vero quanto vedeva, si sentiva lontana, lontana anche da se stessa, senza memoria né coscienza né pensiero, in una infinita lontananza di sogno.

L’impressione di questa lontananza infinita, la riebbe più intensa la mattina seguente, percorrendo in vettura gli sterminati viali deserti del parco della Favorita, perché, a un certo punto, con un lunghissimo sospiro poté quasi rivenire a sè da quella lontananza e misurarla, pur senza rompere l’incanto né turbare l’ebbrezza di quel sogno nel sole, tra quelle piante che parevano assorte anch’esse in un sogno senza fine.

Il giorno seguente, mentre sono insieme, Cesare prova rammarico.

E, senza volerlo, si voltò a guardare il cognato, e gli sorrise, per gratitudine.

Subito però quel sorriso le destò una viva e profonda tenerezza per sè condannata a morire, ora, ora che le si schiudevano davanti agli occhi stupiti tante bellezze maravigliose, una vita, quale anche per lei avrebbe potuto essere qual era per tante creature che lì vivevano. E sentì che forse era stata una crudeltà farla viaggiare.

A questo punto, tuttavia, Adriana sembra esser completamente trasformata. La sua passata è dietro di lei e sembra aver pienamente abbracciato la bellezza e le infinite possibilità del mondo. Impariamo che questo nuovo mondo è abbastanza, la soddisfa, lei è contenta.

Ma poco dopo, quando la vettura finalmente si fermò in fondo a un viale remoto, ed ella sorretta da lui ne scese per vedere da vicino la fontana d’Ercole; Il davanti a quel la fontana, sotto il cobalto del cielo così intenso che quasi pareva nero attorno alla fulgida statua marmorea del semidio su l’alta colonna sorgente in mezzo all’ampia conca, chinandosi a guardare l’acqua vitrea, su cui natava qualche foglia, qualche cuora verdastra che riflettevano l’ombra sul fondo; e poi, a ogni lieve ondulìo di quell’acqua, vedendo vaporare come una nebbiolina sul volto impassibile delle sfingi che guardano la conca, quasi un’ombra di pensiero si sentì anche lei passare sul volto che come un alito fresco veniva da quell’acqua; e subito a quel soffio un gran silenzio di stupore le allargò smisuratamente lo spirito; e, come se un lume d’altri cieli le si accendesse improvviso in quel vuoto incommensurabile, ella sentì d’attingere in quel punto quasi l’eternità, d’acquistare una lucida, sconfinata coscienza di tutto, dell’infinito che si nasconde nella profondità dell’anima misteriosa, e d’aver vissuto, e che le poteva bastare, perché era stata in un attimo, in quell’attimo, eterna.

Adriana rivela il suo desiderio di tornare ad Agrigento, lasciandosi alle spalle Cesare per proseguire i suoi viaggi come lui vorrebbe. Sembra certa che ci sia tempo… cioè, che non morirà prima di tornare lui ad Agrigento.

Propose al cognato di ripartire quello stesso giorno. Voleva ritornarsene a casa, per lasciarlo libero, dopo quei quattro giorni sottratti alle sue vacanze. Un altro giorno egli avrebbe perduto per riaccompagnarla; poi poteva riprendere la via, la sua corsa annuale per paesi più lontani, oltre quell’infinito mare turchino. Senza timore poteva, ché di sicuro lei non sarebbe morta così presto, in quel mese delle sue vacanze.

Ma Cesare ha altri pensieri: vuole loro a continuare insieme il loro viaggio, prima a Napoli, in modo che Adriana possa ricevere una seconda opinione. In un primo momento, Adriana non accetta questa proposta, ma Cesare insiste.

Non gli disse tutto questo; lo pensò soltanto; e lo pregò che fosse contento di ricondurla al paese.

– Ma no, perché? – le rispose egli. – Ormai ci siamo; tu verrai con me a Napoli. Consulteremo là, per maggior sicurezza, qualche altro medico.

– No, no, per carità, Cesare! Lasciami ritornare a casa. E inutile!

– Perché? Nient’affatto. Sarà meglio. Per maggior sicurezza.

– Non basta quello che abbiamo saputo qua? Non ho nulla; mi sento bene, vedi? Farò la cura. Basterà.

Egli la guardò serio e disse:

– Adriana, desidero così.

Dopo esser stata trasformata, Adriana non è più sottomessa, e si chiede se la proposta di Cesare, di portarla a Napoli, sia solo per il gusto delle ‘apparenze’,

E allora ella non poté più replicare: vide in sè la donna del suo paese che non deve mai replicare a ciò che l’uomo stima giusto e conveniente; pensò che egli volesse per sé la soddisfazione di non essersi contentato d’un solo consulto, la soddisfazione che gli altri, là in paese, domani, alla morte di lei, potessero dire: Egli fece di tutto per salvarla; la portò a Palermo, anche a Napoli…”.

…o forse perché crede lui che i medici di Napoli siano più capaci dei medici di Palermo,

O forse era in lui veramente la speranza che un altro medico di più lontano, più bravo, riconoscesse curabile il male, scoprisse un rimedio per salvarla?

…o forse perché vuole semplicemente fornirle un ultimo regalo!

O forse… ma sì, questo era da credere piuttosto: sapendola irremissibilmente perduta, egli voleva, poiché si trovava in viaggio con lei, procurarle quell’ultimo e straordinario svago, come un tenue compenso alla crudeltà della sorte.

Adriana accetta la proposta di Cesare, ma c’è ancora un problema: sembra aver paura del mare. Cesare è comunque in grado di assicurarle che tutto andrà bene.

Ma ella aveva odore, ecco, orrore di tutto quel mare da attraversare. Solo a guardarlo, con questo pensiero, si sentiva mozzare il fiato quasi avesse dovuto attraversarlo a nuoto.

– Ma no, vedrai – la rassicurò egli, sorridendo. – Non avvertirai neppure d’esserci, di questa stagione. Vedi com’è tranquillo? E poi vedrai il piroscafo… Non sentirai nulla.

Infatti, Adriana non ha paura di morire in mare! …la sua paura si basa su una premonizione che se lei attraversa il mare, non tornerà più ad Agrigento. Adriana decide di mantenere questa preoccupazione come un segreto.

Poteva ella confessargli l’oscuro presentimento che la angosciava alla vista di quel mare, che cioè, se fosse partita, se si fosse staccata dalle sponde dell’isola che già le parevano tanto lontane dal suo paesello e così nuove; in cui già tanta agitazione, e così strana, aveva provato; se con lui si fosse avventurata ancor più lontano, con lui sperduta nella tremenda, misteriosa lontananza di quel mare, non sarebbe più ritornata alla sua casa, non avrebbe più rivalicato quelle acque, se non forse morta? No, neanche a se stessa poteva confessarlo questo presentimento; e credeva anche lei a quell’orrore del mare, per il solo fatto che prima non lo aveva mai neppur veduto da lontano; e, doverci ora andar sopra…

Mentre Cesare ed Adriana partono per Napoli, Palermo svanisce nella lontananza.

S’imbarcarono quella sera stessa per Napoli.

Di nuovo, appena il piroscafo si mosse dalla rada e usò dal porto, passato lo stordimento per il trambusto e il rimescolìo di tanta gente che saliva e scendeva per il pontile, vociando, e lo stridore delle grue su le stive; vedendo a grado a grado allontanarsi e rimpiccolirsi ogni cosa, la gente su lo scalo, che seguitava ad agitare in saluto i fazzoletti, la rada, le case, finché tutta la città non si confuse in una striscia bianca, vaporosa, qua e là trapunta da pallidi lumi sotto la chiostra ampia dei monti grigi rossigni; di nuovo si sentì smarrire nel sogno, in un altro sogno maraviglioso, che le faceva però sgranare gli occhi di sgomento, quanto più, su quel piroscafo, pur grande, sì, ma forse fragile se vibrava tutto così ai cupi tonfi cadenzati delle eliche, entrava nelle due immensità sterminate del mare e del cielo.

A bordo della nave, Cesare ed Adriana sono affettuosi.

Egli sorrise di quello sgomento e, invitandola ad alzarsi e passandole con una intimità che finora non s’era mai permessa un braccio sotto il braccio, per sorreggerla, la condusse a vedere di là, su la coperta stessa, i lucidi possenti stantuffi d’acciaio che movevano quelle eliche. Ma ella, già turbata di quel contatto insolito, non poté resistere a quella vista e più al fiato caldo, al tanfo crasso che vaporavano di là, e fu per mancare e reclinò e quasi appoggiò il capo su la spalla di lui. Si contenne subito, quasi atterrita di quella voglia istintiva d’abbandono a cui stava per cedere.

Ancora una volta Cesare chiede se tutto va bene, e lei risponde di sì. Si immergono in un’esperienza condivisa. Ci sono dubbi sulla correttezza delle loro azioni, ma questi dubbi non sono abbastanza forti da superare ciò che si sentono l’uno per l’altra.

E di nuovo egli, con maggior premura, le chiese:

– Ti senti male?

Col capo, non trovando la voce, gli rispose di no. E andarono tutti e due, così a braccio, verso la poppa, a guardar la lunga scia fervida fosforescente sul mare già divenuto nero sotto il cielo polverato di stelle, in cui il tubo enorme della ciminiera esalava con continuo sbocco il fumo denso e lento, quasi arroventato dal calore della macchina. Finché, a compir l’incanto, non sorse dal mare la luna; dapprima tra i vapori dell’orizzonte come una lugubre maschera di fuoco che spuntasse minacciosa a spiare in un silenzio spaventevole quei suoi dominii d’acqua; poi a mano a mano schiarendosi, restringendosi precisa nel suo niveo fulgore che allargò il mare in un argenteo palpito senza fine. E allora più che mai Adriana sentì crescersi dentro l’angoscia e lo sgomento di quella delizia che la rapiva e la traeva irresistibilmente a nascondere, esausta, la faccia sul petto di lui.

Alla fine arrivano a Napoli; loro cenano e passano la serata insieme a braccetto. Purtroppo, Adriana sperimenta un dolore forte.

Fu a Napoli, in un attimo, nell’uscire da un caffè-concerto, ove avevano cenato e passato la sera. Solito egli, nei suoi viaggi annuali, a uscire di notte da quei ritrovi con una donna sotto il braccio, nel porgerlo ora a lei, colse all’improvviso sotto il gran cappello nero piumato il guizzo d’uno sguardo acceso, e subito, quasi senza volerlo, diede col braccio al braccio di lei una stretta rapida e forte contro il suo petto. Fu tutto. L’incendio divampò.

Ritornano al loro albergo. Qui, dopo tanto tempo insieme, esprimono il loro amore reciproco.

Là, al bujo, nella vettura che li riconduceva all’albergo, allacciati, con la bocca su la bocca insaziabilmente, si dissero tutto, in pochi momenti, tutto quello che egli or ora, in un attimo, in un lampo, al guizzo di quello sguardo aveva indovinato: tutta la vita di lei in tanti anni di silenzio e di martirio. Ella gli disse come sempre, sempre, senza volerlo, senza saperlo, lo avesse amato; e lui quanto da giovinetta la aveva desiderata, nel sogno di farla sua, così, sua! sua!

Fu un delirio, una frenesia, a cui diedero una violenta lena instancabile la brama di ricompensarsi in quei pochi giorni sotto la condanna mortale di lei, di tutti quegli anni perduti, di soffocato ardore e di nascosta febbre; il bisogno d’accecarsi, di perdersi, di non vedersi quali finora l’uno per l’altra erano stati per tanti anni, nelle composte apparenze oneste, laggiù, nella cittaduzza dai rigidi costumi, per cui quel loro amore, le loro nozze domani sarebbero apparse come un inaudito sacrilegio.

Cesare propone che si sposano, ma Adriana rifiuta.

Che nozze? No! Perché lo avrebbe costretto a quell’atto quasi sacrilego per tutti? perché lo avrebbe legato a sè che aveva ormai tanto poco da vivere? No, no: l’amore, quell’amore frenetico e travolgente, in quel viaggio di pochi giorni; viaggio d’amore, senza ritorno; viaggio d’amore verso la morte.

Diventa chiaro a noi che Adriana ora ha la capacità di pensare in termini del proprio interesse personale. Si rende conto d’aver realizzato tutto ciò che può in questo mondo. Lei ha il coraggio d’accettare la morte, ed è sicura che i suoi sopravvissuti saranno in grado di continuare, indipendentemente, dopo che se ne va.

Non poteva più ritornare laggiù, davanti ai figliuoli. Lo aveva ben presentito, partendo; lo sapeva che, passando il mare, sarebbe finita per lei. E ora, via, via, voleva andar via, più sè, più lontano, così in braccio a lui, cieca, fino alla morte.

Cesare ed Adriana decidono di continuare il loro viaggio insieme. Gli amanti visitano Roma, Firenze, Milano. Il tumore continua ad ‘aggredirla’, ma Adriana è in grado di sopportare il dolore e continuare.

E così passarono per Roma, poi per Firenze, poi per Milano, quasi senza veder nulla. La morte, annidata in lei, con le sue trafitture, li fustigava, e fomentava l’ardore.

– Niente! – diceva a ogni assalto, a ogni morso. – Niente…

E porgeva la bocca, col pallore della morte sul volto.

– Adriana, tu soffri…

– No, niente! Che m’importa?

È l’ultimo giorno… arriva la coppia a Venezia, ed Adriana crede che la morte sia vicina.

L’ultimo giorno, a Milano, poco prima di partire per Venezia, si vide nello specchio, disfatta. E quando, dopo il viaggio notturno, le si aprì nel silenzio dell’alba la visione di sogno, superba e malinconica, della città emergente dalle acque, comprese che era giunta al suo destino; che lì il suo viaggio doveva aver fine.

La coppia trascorre una bella giornata a Venezia; quella notte, Adriana non riesce a dormire…  ha una premonizione della sua morte.

Volle tuttavia avere il suo giorno di Venezia. Fino alla sera, fino alla notte, per i canali silenziosi, in gondola. E tutta la notte rimase sveglia, con una strana impressione di quel giorno: un giorno di velluto.

Il velluto della gondola? il velluto dell’ombra di certi canali? Chi sa! Il velluto della bara.

Il finale è profondamente, profondamente ambiguo… potrebb’esser più ambiguo, ci chiediamo? È sera, e Cesare ha lasciato il suo albergo per spedire delle lettere, mentre Adriana è sola nelle loro stanze. Nelle vicinanze, lei riconosce una busta aperta da suo figlio, che lei recupera e poi bacia, in preda alla disperazione. Poi trova il mix di sostanze chimiche (i “veleni”) che le sono stati dati a Palermo. Lei beve.

Com’egli, la mattina seguente, scese dall’albergo per andare a impostare alcune lettere per la Sicilia, ella entrò nella camera di lui: scorse sul tavolino una busta lacerata; riconobbe i caratteri del maggiore dei suoi figliuoli: si portò quella busta alle labbra e la baciò disperatamente; poi entrò nella sua camera; trasse dalla borsa di cuojo la boccetta con la mistura dei veleni intatta, si buttò sul letto disfatto e la bevve d’un sorso.

***

Cari lettori, cosa ne pensate? È questo un atto di conformità con gli ordini d’un medico? oppure un suicidio?

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