Riassunto: Il libretto rosso

Il libretto rosso(L. Pirandello), per noi, rappresenta una sorta di lezione civica, una lezione di etica.

Allora… come viene definita ‘l’etica’? 

Etica

Il campo dell’etica (o filosofia morale) coinvolge la sistematizzazione, la difesa e la raccomandazione dei concetti di comportamento giusto e sbagliato. I filosofi di oggi dividono le teorie etiche in tre aree disciplinari generali: la metaetica, l’etica normativa e l’etica applicata. La metaetica indaga da dove vengono i nostri principi etici e cosa significano. Sono semplicemente invenzioni sociali? Coinvolgono più delle espressioni delle nostre singole emozioni? Le risposte metaetiche a queste domande si concentrano sui problemi delle verità universali, sulla volontà di Dio, sul ruolo della ragione nei giudizi etici e sul significato dei termini etici stessi. L’etica normativa assume un compito più pratico, che è quello di arrivare a norme morali che regolano la condotta giusta e sbagliata. Questo può coinvolgere l’articolazione delle buone abitudini che dovremmo acquisire, i doveri che dovremmo seguire, o le conseguenze del nostro comportamento sugli altri. Infine, l’etica applicata implica l’esame di specifiche questioni controverse, come l’aborto, l’infanticidio, i diritti degli animali, le preoccupazioni ambientali, l’omosessualità, la pena capitale o la guerra nucleare.

Utilizzando gli strumenti concettuali della metaetica e dell’etica normativa, le discussioni sull’etica applicata cercano di risolvere questi problemi controversi. Le linee di distinzione tra metaetica, etica normativa ed etica applicata sono spesso sfocate. Ad esempio, la questione dell’aborto è un argomento etico applicato poiché implica un tipo specifico di comportamento controverso. Ma dipende anche da principi normativi più generali, come il diritto all’autogoverno e il diritto alla vita, che sono le prove del tornasole per determinare la moralità di quella procedura. Il problema si basa anche su questioni metaetiche come “da dove vengono i diritti?” e “che tipo di esseri hanno diritti?”

https://www.iep.utm.edu/ethics/

***

Allora… apprediamo che la storia si svolge a Nisia, una piccola città portuale siciliana. All’inizio, abbiamo il senso che Nisia sia un luogo vivace… una città focalizzata sul futuro, sul miglioramento di sé, sulla sua stabilità e sulla sua crescita.

Nisia. Grosso borgo affaccendato, su una striscia di spiaggia del mare africano.

Secondo noi il tono della storia è stabilito dall’inizio: la messa a fuoco qui è sul tema della povertà, cioè, delle vite degli impoveriti, la loro lotta per sopravvivere giorno per giorno e le sue decisioni ei suoi compromessi che spesso vengono fatti come conseguenza di questa lotta. Ci viene detto che le condizioni di povertà durissime (inflessibili / spietate / aspre) non esistono solo per gli umani (che, purtroppo, possono esser nasciti in povertà e non possono sfuggire mai), ma anche per le città. Se, per esempio, una città dovesse attrarre una sovrabbondanza dei poveri, cioè, persone che, in altre parole, richiedono le risorse e l’assistenza della città per sopravvivere, ebbene poi la città potrebbe in effetti ‘scendere’ in povertà.

Nascere in mal punto non è prerogativa soltanto degli uomini. Anche un borgo non nasce come o dove vorrebbe, ma là dove per qualche necessità naturale urga la vita. E se troppi uomini, costretti da questa necessità, convengono in quel punto e troppi ve ne nascono e il punto è troppo angusto, per forza il borgo deve crescere male.

(Come vedremo, la lezione di etica di Il libretto rossocoinvolgerà le decisioni di non solo i Nisiesi impoveriti ma anche il suo governo ei suoi funzionari.)

Scopriamo che Nisia è situata sul lungomare… con una scogliera alle sue spalle, e in cima, un grande altopiano che domina la città. Affinché Nisia cresca economicamente, la città deve espandersi costruendo case sulla scogliera. Il problema, tuttavia, è la distanza: la vita economica della città è centrata sul porto, e le case costruite più e più alto sulla scogliera ovviamente saranno più e più lontano dal porto. Senza lo sviluppo simultaneo d’infrastruttura, il problema della distanza probabilmente non sia fattibile… possimao chiedere, “Come potrebbero viaggiare ogni giorno gli uomini che vivono sulla scogliera al loro lavoro al porto?” Anche se non è dichiarato esplicitamente, assumiamo che il governo di Nisia non abbia le risorse per finanziare un progetto d’infrastruttura. Così, Nisia rimane ‘bloccata sul posto’: il governo non è libero di spendere in un modo che promuova la crescita e lo sviluppo e la properità. Ne consegue che il governo deve prestare molta attenzione quando considera le spese… Nisia dev’esser espediente, in altre parole, per sopravvivere.

Nisia, se ha voluto crescere, s’è dovuto arrampicare, una casa sull’altra, per le marne scoscese dell’altipiano imminente, il quale, poco oltre il borgo, strapiomba minaccioso sul mare. Liberamente avrebbe potuto estendersi su questo altipiano vasto e arioso; ma si sarebbe allora allontanato dalla spiaggia. Forse una casa, posta per forza lassù, un bel giorno, sotto il cappello delle tegole e stretta nello scialle del suo intonaco, si sarebbe veduta scendere come una papera alla spiaggia. Perché lì, sulla spiaggia, orge la vita.

Un cimitero è piazzata sull’altopiano, dove le condizioni sono esattamente l’opposto delle condizioni della città, cioè, sull’altopiano, il clima si rinnova continuamente e la vita è tranquilla e silenziosa,

Sull’altipiano quelli di Nisia hanno posto il cimitero. Il respiro è lassù, per i morti.

– Lassù respireremo -, dicono quelli di Nisia.

…d’altra parte, si dicono che la vita nella città è tumultuosa, caotica e sporca.

E dicono così, perché giù, sulla spiaggia, non si respira; in mezzo al traffico tumultuoso e polverulento dello zolfo, del carbone, del legname, dei cereali e dei salati, non si respira. Se vogliono respirare, debbono andare lassù; ci vanno da morti, e si figurano che, morti, respireranno.

È possibile che questa impressione dell’altopiano sia dovuta, almeno in parte, agli atteggiamenti mentali dei Nisiesi: nella città, dopotutto, la gente lotta contiuamente per sopravvivere, mentre una visita all’altopiano, quasi per definizione, rappresenta una ‘pausa’ di tutto ciò. Ciò nonostante, i Nisiesi, ironicamente, si riferiscono all’opportunità ‘di trovarsi sull’altopiano’ come una consolazione ragionevole per morire!

È una bella consolazione.

Quindi, ci viene fornita secondo noi una delle ‘chiavi’ per comprendere le intenzioni del Pirandello. Ci viene detto che ciò che deriva spesso da una vita impoverita è il bisogno d’esser pratico, cioè, la necessità di fare scelte che siano puramente egoistiche. A questo punto, è fatto al lettore una sorta d’appello: non giudicare troppo duramente la storia che stai per leggere… sii tollerante! sii indulgente! sii comprensivo! dopotutto non è così facile esser onesto / etico quando la vita è impoverita.

Molta indulgenza bisogna avere per gli abitanti di Nisia, perché non è molto facile essere onesti quando si sta male.

Scopriamo che molte delle case in Nisia, che sono miserabili — le case sono piccole e sporche, con uomini e animali condividendo lo spazio vitale — hanno una quantità sproporzionata di spazio dedicato alla cura dei neonati ei bambini.

Cova in quelle case oppresse, tane più che case, un tristo tanfo umido e acre, che corrompe a lungo andare ogni virtù. Concorrono a questa corruzione della virtù, cioè a crescere il tanfo, il majaletto e le galline, e, non di rado, anche qualche scalpicciante somarello. Il fumo non trova sfogo e ristagna in quelle tane e annegra soffitto e pareti. E che smorfie di disgusto fanno dalle stampacce fuligginose i santi protettori appesi a quelle pareti!

Come si potrebbe immaginare, gli uomini sembrano essere colpiti meno delle donne dalle condizioni a casa: dopotutto, gli uomini hanno il loro lavoro, che li porta lontano da casa ogni giorno, mentre le donne rimangono nella casa dove le loro vite sono dominate dalla cura della casa, dalla religione e dalla cura dei bambini.

Gli uomini lo sentono meno, imbricati e imbestiati come sono tutto il giorno sulla spiaggia o sulle navi; le donne, lo sentono; e ne sono come arrabbiate, e pare che questa loro rabbia sfoghino facendo figliuoli.

Veniamo a sapere che il tasso di mortalità infantile è, purtroppo, astronomico: una tipica famiglia Nisiesa può avere 3-4 bambini vivi dopo tanti quanti 16 gravidanze!

Quanti ne fanno! Chi dodici, chi quattordici, chi sedici… Vero è che poi non riescono a tirarne su più di tre o quattro.

Il denaro è scarso, naturalmente, e un modo per le mamme di guadagnare qualcosa di più è prendersi cura dei trovatelli. A Nisia, loro sono normalmente istituzionalizzati ed assistiti dal governo, che comunque ha creato un programma che consente alle donne di prendersi cura dei trovatelli nelle loro case, in cambio d’uno stipendio mensile di 30 L.

Ma quelli che muojono in fasce ajutano a crescere e a prendere stato quei tre o quattro, non si sa se più fortunati o sfortunati; ché ogni donna, subito dopo la morte d’uno di quei figliuoli, corre all’ospizio dei trovatelli e se ne prende uno, con la scorta d’un libretto rosso, che vale per parecchi anni trenta lire al mese.

(Presumiamo che questo programma sia un ‘win-win’, cioè, è meno costoso se la città paghi a una mamma uno stipendio mensile piuttosto che istituzionalizzi i trovatelli, e l’opportunità esiste per le famiglie che partecipano al programma per guadagnare i soldi extra.)

Scopriamo che un altro vantaggio per le mamme che partecipano al programma è un credito fornito dai commercianti locali per la stoffa. Il credito funziona come segue: la mamma applica al governo di prendersi cura d’un trovatello; una volta approvata la sua applicazione, è data la mamma un libretto rosso che attesta l’approvazione del governo; la mamma poi porta il libretto ad un mercante locale che lo conserva in cambio di 200 L di stoffa (che è quasi sempre usato per il corredo della figlia della mamma); infine, il mercante porta il libretto al governo, che lo rimborsa, presumibilmente per un profitto.

Tutti i mercanti di tele e d’altre stoffe sono a Nisia Maltesi. Anche se nati in Sicilia, sono Maltesi. «Andare dal Maltese» vuol dire a Nisia andare a provvedersi di tela. E i Maltesi, armati di mezzacanna, fanno a Nisia affaroni: fanno incetta di quei libretti rossi; danno per ciascun libretto duecento lire di roba: un corredo da sposa.

Dovrebb’esser chiaro che questo programma ha successo solo se le mamme sono diligenti riguardo alla cura dei loro trovatelli… se, per esempio, un trovatello dovesse morire mentre si è sotto la cura d’una mamma a casa, dovrebb’esser restituita la stoffa ottenuta dal commerciante.

Le ragazze a Nisia si maritano tutte così, coi libretti rossi dei trovatelli, a cui le mamme in compenso dovrebbero dare il latte.

È bello vedere, alla fine d’ogni mese, la processione dei panciuti e taciturni Maltesi, in pantofole ricamate e berretto di seta nera, un fazzolettone turchino in una mano e nell’altra la tabacchiera d’osso o d’argento, al Municipio di Etisia, ciascuno con sette o dieci o quindici di quei libretti rossi di baliatico. Seggono in fila sulla panca del lungo corridojo polveroso ove si apre lo sportello dell’ufficio d’esattoria, e ognuno aspetta il suo turno, pacificamente pisolando o infrociando tabacco o cacciando via le mosche pian piano. Il pagamento del balistico ai Maltesi è ormai a Nisia tradizionale.

Periodicamente, i commercianti vanno in un ufficio governativo per restituire i libretti per il rimborso. Quando arrivano in ufficio, depositano i loro libretti e poi aspettano d’essere chiamati. Quando è pronto, il funzionario del governo in realtà chiama il nome della mamma elencato nel libretto.

– Marenga Rosa -, grida l’esattore.

– Presente -, risponde il Maltese.

Successivamente, apprendiamo che Marenga Rosa De Nicolao è stata, e continua ad esser, dei più noti partecipanti al programma d’assistenza ai trovatelli di Nisia.

Marenga Rosa De Nicolao è famosa al Municipio di Nisia. Da più di vent’anni nutre l’usura dei Maltesi con una serie quasi ininterrotta di quei libretti rossi.

La Rosa non è in grado di ricordare il numero di bambini (suoi o trovatelli) che sono morti nella sua cura. Sa per certo però che ha quattro figli vivi, tutte femmine. Questa è sia una benedizione che una maledizione… una maledizione perché la Rosa deve trovare i mezzi per fornire quattro corredi alle sue figlie. Apprendiamo che, con l’aiuto del programma per gli orfani, la Rosa ha fornito con successo per tre delle sue figlie,

Quanti figliuoli le sono morti in fasce? Non ne ricorda più il numero neppur lei. Ne ha tirati su quattro, femmine. Tre le ha già maritate.

…e, cosa ce di più, la sua ultima figlia è attualmente fidanzata, e, di conseguenza, la Rosa ha di recente applicato, con successo, per prendersi cura d’un altro trovatello. Tuttavia, quando ha presentato il suo libretto rosso ai mercanti, per ottenere il suo beneficio, le è stato negato! Questo era perché lei aveva dimostrato, nel tempo, di non esser in grado di produrre abbastanza latte materno per sostenere gli trovatelli a sua cura, chi avevano sofferto.

Ora ha la quarta sposa.

Ma non si sa più se sia donna o strofinaccio. Tanto che i Maltesi, a cui si è rivolta per le tre prime figliuole, si sono rifiutati per questa quarta di farle credito.

– Gnora Rosilla, non gliela fate.

– Io? Non gliela faccio, io?

La Rosa era incredula! Si è stata negata? Dopo tutto questo tempo? Dopo che il governo l’aveva ritenuta degna di partecipare al programma? Davvero, le è stata negata? Il rifiuto la offese, era davvero un’offesa alla sua dignità, e lei ha urlatooooo in segno di protesta!

Si è sentita offesa nella dignità di bestia per tanti anni buona per razza e per latte e, poiché non si discute coi taciturni Maltesi, ha strillato ferocemente davanti alle botteghe.

Se all’ospizio le hanno affidato un trovatello, non è segno che hanno riconosciuto in lei la possibilità di allevarlo?

…ma il mercante che l’ha negata si è rifiutato di cedere.

Ma a questo argomento i Maltesi, nell’ombra, dietro il banco della bottega, hanno sorriso sotto il naso, tentennando il capo.

Adesso la motivazione del commerciante che ha respinto la richiesta della Rosa è spiegata a noi:

— A prima vista, ammettiamo che la negazione non ha senso, dato che il commerciante sembra agire contro i propri interessi economici (vale a dire che guadagna un profitto ogni volta che restituisce un libretto al governo).

— Ci viene spiegato che il commerciante comprende perfettamente bene come funziona il programma, gli interessi dei funzionari della città che continuano ad approvare le applicazioni della Rosa, e come il programma avvantaggia Nisia, i suoi cittadini, le sue imprese e (ultimo ma non meno importante) i suoi trovatelli.

Si può supporre che essi non abbiano molta fiducia nel medico e nell’assessore comunale incaricati di sorvegliare alla sorte dei trovatelli dell’ospizio. Ma non è questo. I Maltesi sanno che agli occhi di quel medico e di quell’assessore il compito d’una madre che deve maritar la figliuola e non ha altro mezzo che quello d’un libretto rosso, è assai più grave e merita maggior considerazione che il compito d’allevare un trovatello, il quale, se muore, a chi fa male? e chi se ne lagna, se patisce?

— Ci viene poi detto che Nisia ha interesse a far sposare tutte le sue giovanotte. È difficile, se non impossibile, per la città impedire le relazioni sessuali di tutte le giovanotte non sposate, e senza la disponibilità generale d’una contraccezione efficace e sicura, queste giovanotte daranno nascita fuori dal matrimonio ai bambini che poi diventeranno trovatelli sotto la tutela della città. (Adesso capiamo perché la città rimborsa i commercianti, che non solo consentono alle famiglie di permettersi un matrimonio ma anche riducono il numero di bambini nati fuori dal matrimonio).

Una figliuola è una figliuola; un trovatello è un trovatello. E se la figliuola non si marita, c’è pericolo che si metta a far crescere anche lei il numero dei trovatelli, a cui il municipio dovrà poi provvedere.

— Poi, ci viene spiegato che dal punto di vista di Nisia, la morte d’un trovatello sarebbe considerata una ‘benedizione’ perché permette le risorse preziose d’essere dirottate altrove.

Se però per il Municipio la morte d’un trovatello è una fortuna,

— E poi, apprendiamo che il governo non fa nessuno sforzo per monitorare il suo programma. Ad esempio, non vengono conservate testimonianze per documentare il numero dei trovatelli che sopravvivono sotto la cura delle mamme rispetto al numero che muore. Anche se la città non abbia interesse, i commercianti sì, devono monitorare il programma: lo fanno infatti per poter reclamare la loro stoffa se un trovatello dovesse morire (cioè, stoffa per il quale sono già stati pagati ma che ora possono rivendere). Questo sforzo di sorveglianza, in effetti, non solo costringe i commercianti a vedere in prima persona le condizioni di vita dei Nisiesi impoveriti ma anche la devastazione che non insolitamente precede la morte d’un orfano.

è per il Maltese per lo meno un cattivo affare, anche se riesca a riprendersi la roba anticipata. Non sono rare perciò, in certe ore del giorno, le visite di perlustrazione dei Maltesi, sotto colore di giratina per sollievo, in quei sudici vicoli formicolanti di bimbi ignudi ferrigni arsicci, di majaletti cretacei e di galline, ove da un uscio all’altro ciarlano o più spesso leticano tutte quelle mamme dai libretti rossi.

— Ci viene detto che i mercanti provano empatia per i trovatelli malati e maltrattati,

Dei trovatelli i Maltesi si prendono la stessa cura

…proprio come le madri che partecipano al programma si prendono cura dei loro animali!

che dei majaletti le donne.

(Questo è davvero scioccante da leggere, ma la spiegazione di questi atteggiamenti sembra esser radicata in economia: i mercanti sono abbastanza ricchi d’aver fare in empatia con un trovatello maltrattato, mentre i poveri di Nisia vedono i trovatelli solo come un mezzo per un fine… cioè, non hanno la capacità di fare in empatia — se un trovatello muore, e allora? D’altra parte, i poveri si prendono molta molta cura dei loro animali, che sono cruciali per la loro sopravvivenza.)

— Veniamo a sapere che il mercante che ha rifiutato la Rosa è stato sconvolto dal modo in cui sono stati trattati i trovatelli nella sua cura. È capito lui che la Rosa non è riuscita più a produrre latte materno e, di conseguenza, sono morti i suoi trovatelli — lentamente, orribilmente — per fame.

Qualche Maltese, al colmo della costernazione, è arrivato perfino a far dare a un trovatello molto deperito una bevutina di latte dalla propria moglie per una mezz’oretta al giorno.

Ovviamente, dopo che era rifiutata, la Rosa aveva ancora bisogno di fornire i mezzi per sposare sua figlia: apprendiamo che senza il corredo, la famiglia del fidanzato della sua figlia non sarebbe stata d’accordo con il matrimonio.

Basta. Rosa Marenga ha trovato alla fine un Maltese di second’ordine, un maltesino principiante, il quale le ha promesso di darle un po’ per volta non, come di solito, duecento lire di roba, ma centoquaranta. Lo sposo della figliuola e i suoi parenti se ne sono contentati, e si sono stabilite le nozze.

Veniamo a sapere che il trovatello attualmente sotto la cura della Rosa piangerebbe giorno e notte, fino a quando è svegliato… indubbiamente, il pianto era dovuto alla fame. Tuzza, la figlia della Rosa sembrava essere troppo giovane e troppo preoccupata per capire il significato delle grida del trovatello.

Ora il trovatello affamato entro una specie di sacco sospeso con l’arcuccio a due funi in un angolo della tana, strilla da mane a sera, e Tuzza, la figliuola fidanzata di Rosa Marenga fa all’amore, conversa col promesso sposo, ride cuce il suo corredo e, di tanto in tanto, tira la cordicella legata a quella culla primitiva e la fa dondolare:

– Aòh, bello, aòh, Fiamma Santissima, com’è «rètico» questo nutrico!

Rètico viene da eretico e significa inquieto, bizzoso, fastidioso, scontento. Non si può dire che non sia un modo blando, per gente cristiana, di giudicare gli eretici. Un po’ di latte, e quel bambino diventerebbe subito cristiano! Ma ne ha tanto poco mamma Rosa, di latte.

La Rosa, d’altra parte, deve aver capito che il trovatello stesse morendo di fame: ammette lei di non riuscire a produrre abbastanza latte materno e che non avrebbe mai fatto richiesta per prendersi cura di questo trovatello se non fosse stato per il fidanzamento di Tuzza.

Bisogna bene che Tuzza si rassegni ad andare a nozze con quella musica di strilli disperati. Se ella non avesse dovuto sposare, questa volta mamma Rosa, in coscienza, non avrebbe preso dall’ospizio un trovatello. L’ha preso per lei; il bimbo piange per lei, perché lei possa fare all’amore. E l’amore ha tanta potenza, che non fa sentire gli strilli dell’affamato.

(In un certo senso, per la Rosa, fosse svolgendo una specie di corsa… sopravviverebbe abbastanza a lungo il trovatello? cioè, fino a dopoil matrimonio di Tuzza? A questo proposito, il lettore moderno potrebbe considerare l’atteggiamento della Rosa come un ‘indifferenza depravata alla vita umana’, vero?)

Una sera, la Rosa ei giovanotti lasciano il trovatello da solo in casa e vanno sull’altopiano per divertirsi. Le urla del trovatello disturbano tutti quelli che possono sentire.

Il promesso sposo, del resto, che è uno scaricatore di bordo, viene di sera, quando è finito il lavoro del porto; e, se la serata è bella, mamma, figliuola e fidanzato se ne vanno sull’altipiano a respirare il chiaro di luna; e il trovatello rimane a strillar solo al bujo, nella tana serrata, sospeso in quella specie di cuna. Lo sentono i vicini, con smanioso fastidio e con angoscia, e per pietà, tutti d’accordo, gli augurano la morte. Levano proprio il respiro, quegli strilli ininterrotti.

Le bestie della Rosa diventano sempre più sconvolti come le urla del trovatello diventano sempre più disperate. Gli animali, ci dicono, rispondono istintivamente alle grida d’un bambino, non importa la specie.

Finanche il porcellino n’ha fastidio e sbuffa e grufola; e se ne inquietano, raccolte sotto il forno, le galline.

Ci viene detto come una delle galline si è comportata quando il suo pulcino è stato perso: non si sarebbe riposata finché il pulcino fosse stato trovato. Si fa un confronto tra un pulcino che è perduto ed un trovatello che muore di fame.

Che borbottano tra loro le galline?

Qualcuna di esse è stata chioccia e ha provato l’angoscia, una volta, di sentirsi chiamare da lontano da un suo pulcino sperduto. Starnazzando, avventandosi di qua e di là con tutti i merluzzi della cresta erti, non s’era data pace finché non lo aveva ritrovato. Ora, come mai la mamma di quel piccino, che certo dev’essere anche lui sperduto, non accorre a quei disperati richiami?

Il punto è fatto che il comportamento d’un animale è governato dall’istinto — sono ‘stupidi’ gli animali, e quindi non sono in grado di ragionare, di complottare — e di conseguenza un animale non considererebbe maila possibilità d’abbandonare un infante… di permettere un infante di soffrire o di essere danneggiato.

Le galline sono tanto stupide che covano anche le uova fetale da altre, e quando da queste uova non loro nascono i pulcini, normanno distinguerli da quelli nati dalle uova loro e li amano e li allevano con la stessa cura. Non sanno poi, che ai pulcini umani non basta il solo calore materno, ma è necessario anche il latte. Il porcello lo sa, che ha avuto bisogno di latte anche lui, e n’ha avuto, oh! ne ha avuto tanto, perché la mamma sua, benché porca, notte e giorno gliene diede con tutto il cuore, finché ne volle. Esso perciò non sa concepire che si possa strillar così per mancanza di latte e, aggirandosi per la tana buja, protesta co’ suoi grugniti da ingordo contro il piccino sospeso nella cuna, «rètico» anche per lui.

Per sottolineare la tragedia che si svolge nella casa della Rosa, ci viene detto che il trovatello morente è completamente solo in questo mondo, abbandonato dalla sua mamma naturale e dalla mamma surrogata.

Su, piccino, lascia dormire il porchetta grasso, che ha sonno; lascia dormire le galline e il vicinato. Credi pure che te lo darebbe il latte mamma Rosa, se ne avesse, ma non ne ha. Se di te non ha avuto pietà la tua mamma vera, la tua mamma ignota, come vuol che ne abbia lei, che deve averla invece per la sua figliuola? Lasciala respirare un po’ lassù, dopo una giornataccia di rudi fatiche, e beare della gioja della sua figliuola innamorata, che passeggia sotto la luna, a braccio del promesso sposo. Se tu sapessi che luminoso velo, trapunto di rugiada e tutto sonoro di trilli argentini, stende la luna lassù! E fiorisce spontaneo in quell’incanto delizioso un desiderio accorato di bontà. Tuzza si promette in cuore d’essere una mamma amorosa per i suoi piccini.

Poi apprendiamo che il trovatello tenta di consolarsi succhiando il pollice… ma infatti, così vigorosamente / disperatamente che il pollice si è gonfiato. Il trovatello è emaciato; il nostro senso è che la morte sia vicina.

Su, povero piccolo, fatti capezzolo d’un tuo ditino, e succhia, succhia questo, invece, e addormentati! Ditino? Oh Dio! Che hai fatto? Il pollice della tua manina manca è diventato casi enorme che quasi non puoi più ficcartelo in bocca! Enorme esso solo, quel dito, nella gracile manina gelida e rattrappita; enorme esso solo in tutto il tuo corpicciuolo. Con codesto pollice in bocca, ti sei tutto succhiato fino a non lasciare più che sola pelle attorno agli ossicini del tuo scheletro. Come, dove trovi in te la forza di strillare ancora così?

La Rosa ei fidanzati tornano a casa… ora c’è un silenzio completo, che è piuttosto strano ed anche inquietante.

Miracolo. Di ritorno dal chiaro di luna mamma, figliuola e fidanzato trovano, una sera, nella tana un gran silenzio.

– Zitti, per carità! – raccomanda la mamma ai fidanzati che vorrebbero indugiarsi ancora a conversare davanti la porta.

Zitti, sì; ma Tuzza non può trattenere lo scatto di certe risatine a qualche parola che il fidanzato le sussurra all’orecchio. Parola o bacio? Al bujo si vede.

La Rosa si avvicina alla cula e si rende conto che il trovatello è morto. Anche gli animali lo sanno.

Mamma Rosa è entrata nella tana, s’è appressata alla cuna, e tende l’orecchio. Silenzio. Un raggio di luna s’è allungato dalla porta per terra come un fantasma, nel bujo, fin sotto il forno, ove sono appollajate le galline. Qualcuna ne prova fastidio e crocchia sotto sotto. Maledetta! E maledetto anche il vecchio marito, che ritorna ubriaco al solito dalla bettola e inciampa nella porta per scansare i due fidanzati.

Ma che! Il bimbo non si sveglia per nessun rumore. Eppure, ha il sonno così lieve, che basta a svegliarlo il volo d’una mosca. Mamma Rosa se ne costerna; accende il lume; guarda nella culla; allunga cauta una mano alla fronte del piccino e subito caccia un grido.

La Rosa tenta quindi di creare una ‘narrazione’ che suggerisca che il trovatello sia morto dopo era fallita una corda attaccata alla cula… quindi il bambino era caduto sul pavimento, dove la Rosa l’aveva trovato.

Tuzza accorre; ma il fidanzato rimane perplesso e sgomento davanti la porta. Che gli grida mamma Rosa? di venire a sciogliere in fretta in furia una delle funi che reggono sospesa all’angolo la culla? E perché? Su, presto! presto! Lo sa lei, il perché, mamma Rosa! Ma il giovine, come raggelato d’un tratto dal silenzio mortale del piccino, non sa più muovere un passo, resta a guardare torbido e scuro dalla porta. E allora mamma Rosa, prima che il vicinato accorra, balza lei su una seggiola e strappa la fune, gridando a Tuzza di parare il morticino.

La Rosa allora piange, ad altissima voce (troppo forte), tutta la notte e nel giorno successivo, mentre perpetua la menzogna.

Che disgrazia, che disgrazia! La fune s’è strappata, chi sa come! S’è strappata, e il bimbo è caduto dalla culla, ed è morto. L’hanno trovato morto, per terra, freddo e duro! Che disgrazia! che disgrazia!

Tutta la notte, anche quando le ultime vicine accorse alle grida se ne sono tornate a dormire nelle loro case, ella séguita a piangere e a strillare; e’ appena spunta il nuovo giorno, riprende a raccontare quella disgrazia a chiunque s’affacci alla porta.

(Sospettiamo che la risposta rapida della Rosa alla tragedia sia stata premeditata.)

Nessuno crede la storia della Rosa,

Ma come, caduto? Non ha nessuna ferita, nessun livido, nessuna ammaccatura quel cadaverino. Ha soltanto una magrezza che incute ribrezzo, e nella manina manca quel dito, quel pollice enorme!

Il medico necroscopo, dopo la visita, se ne va, facendo spallucce e smusate. C’è tutto il vicinato che attesta a una voce che il bimbo è morto di fame. E il promesso sposo, pur sapendo in quale angoscia dov’essere Tuzza, non si fa vedere. Vengono invece, fredde fredde, piano piano, con le labbra cucite, la mamma di lui e una sorella maritata, per assistere alla scena del Maltese, del maltesino principiante, che piomba furibondo nella tana a riprendersi la roba anticipata. Rosa Marenga strepita, si straccia i capelli, si dà manate su la faccia e pugni sul petto, si scopre il seno per far vedere che ha latte ancora, e invoca pietà e misericordia per la figliuola sposa, che le si conceda almeno un comporto fino alla sera, il tempo di correre dal sindaco, dall’assessore e dal medico dell’ospizio dei trovatelli, per carità! per carità! E scappa via, così gridando, tutta scarduffata, con le braccia per aria, accompagnata dai lazzi e dai fischi dei monelli.

Tutto il vicinato è in fermento là davanti la porta, attorno al maltesino che s’è piantato di guardia alla sua roba, e alla madre e alla sorella del fidanzato, che vogliono vedere come andrà a finire quella storia.

…e solo una persona, una vicina, mostra l’umanità.

Una vicina caritatevole è entrata nella tana e, con l’ajuto di Tuzza che si scioglie in lagrime, lava e veste il cadaverina.

Alla fine, tutto il lutto cessa… l’unica persona che rimane nella casa della Rosa è il mercante che le ha dato 140 L; lui è lì solo per proteggere e reclamare la sua stoffa,

L’attesa è lunga; il vicinato si stanca, si stancano i parenti del fidanzato e tutti se ne vanno alle loro case. Solo il maltesino resta lì di guardia, irremovibile.

…e il trovatello è morto è sepolto.

Si rincollano tutti davanti la porta sul far della sera, all’arrivo del carro funebre municipale, che trasporterà il morticino al cimitero.

Poi vediamo che il ‘prossimo passo’ della Rosa era anche premeditato. È passata silenziosamente da casa sua per chiedere assistenza a un altro trovatello e la sua applicazione è stata accolta! Torna a casa, con il bambino in braccio, trionfante, senza vergogna.

Lo hanno già inchiodato nella piccola bara d’abete; lo sollevano per introdurlo nel carro, quando, tra gli urli di maraviglia e altri lazzi e altri fischi della folla, sopravviene raggiante e trionfante Rosa Marenga con in braccio un altro trovatello.

– Eccolo! eccolo! – grida, mostrandolo da lontano alla figlia che sorride tra le lagrime, mentre il carro funebre s’avvia lentamente al cimitero.

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