Riassunto: Il lume dell’altra casa

Fu una sera, di domenica, al ritorno da una lunga passeggiata.

Comincia così Il lume dell’altra casa (L. Pirandello), una storia, secondo noi, d’un giovanotto che, dopo aver subito l’abuso violento del padre, ha represso, in modo diligente ed instancabile, la propria personalità… lo fa per isolarsi / proteggersi dai suoi ricordi indicibilmente dolorosi.

All’inizio della novella ci viene presentato Tullio Buti, il protagonista. Veniamo a sapere che il Buti è arrivato a Roma due mesi fa; che il Buti vive in una stanza modesta che affitta dalla signora Nini e Clotildina, la sua figlia zitella (la stanza sembra esser situata fuori dal centro); e che il Buti si è abituato a prendere una lunga passeggiata ogni sera, dopo lavoro. In effetti, le Nini hanno avuto poche opportunità di conoscerlo perché il Buti parte per lavoro presto ogni mattina (è un avvocato che lavora per un ministero del governo) e non torna a casa fino a dopo la passeggiata, molto tardi la sera.

Tullio Buti aveva preso in affitto quella camera da circa due mesi. La padrona di casa, signora Nini, buona vecchietta all’antica, e la figliuola zitella, ormai appassita, non lo vedevano mai. Usciva ogni mattina per tempo e rincasava a sera inoltrata. Sapevano ch’era impiegato a un Ministero; ch’era anche avvocato; nient’altro.

La stanza in affitto è angusta ed arredata in modo modesto. Dopo due mesi, il Buti non ha fatto quasi nessun sforzo per personalizzare il suo spazio vitale… con questo, intendiamo dire che la stanza non ha quasi nessun effetto personale che possa riflettere la propria personalità. In effetti, per le Nini, il Buti sembra considerare i suoi alloggi più come una camera d’albergo e meno come casa sua.

La cameretta, piuttosto angusta, ammobigliata modestamente, non serbava traccia della abitazione di lui. Pareva che di proposito, con istudio, egli volesse restarvi estraneo, come in una stanza d’albergo. Aveva, sì, disposto la biancheria nel cassettone, appeso qualche abito nell’armadio; ma poi, alle pareti, sugli altri mobili, nulla: né un astuccio, né un libro, né un ritratto; mai sul tavolino qualche busta lacerata; mai su qualche seggiola un capo di biancheria lasciato, un colletto, una cravatta, a dar segno ch’egli lì si considerava in casa sua.

Le Nini sono attente a questi dettagli perché la camera del Buti si è rivelata difficile da affittare: prima che arrivasse il Buti, gli affittuari potenziali avevano sempre considerato la stanza troppo scomoda e cupa. In gran parte, questo è perché la stanza ha solamente una finestrina che si affaccia su un alto edificio nelle vicinanze… un’edificio che blocca efficacemente entrambi la luce e la brezza.

Le Nini, madre e figlia, temevano che non vi durasse. Avevano stentato tanto ad affittare quella cameretta. Parecchi erano venuti a visitarla; nessuno aveva voluto prenderla. Veramente, non era né molto comoda né molto allegra, con quell’unica finestra che dava su una viuzza stretta, privata, e dalla quale non pigliava mai né aria né luce, oppressa com’era dalla casa dirimpetto che parava.

Di conseguenza, prima che il Buti abbia affittato la stanza, le Nini passava molto tempo a pensare ai modi per rendere l’esperienza dell’inquilino più ‘attraente’;

Mamma e figliuola avrebbero voluto compensare l’inquilino tanto sospirato con cure e attenzioni; ne avevano studiate e preparate tante, aspettando: – «Gli faremo questo; gli diremo quello» – e così e colà; specialmente lei, Clotildina, la figliuola, tante care finezze, tante care «civiltà» come diceva la madre, oh, ma così, senza secondo fine, aveva studiate e preparate.

…erano frustrate, tuttavia, perché il Buti sembrava essere quasi sempre fuori dalla stanza e, di conseguenza, incapace di sperimentare le gentilezze / raffinatezze che le Nini hanno da offrire.

Ma come usargliele, se non si lasciava mai vedere?

Poi, ci viene spiegato che le Nini potrebbero non essersi agitate così tanto se avessero avuto una migliore conoscenza del loro ospite.

Forse, se lo avessero veduto, avrebbero compreso subito che il loro timore era infondato.

Anzi, il ‘carattere’ triste ed oscuro della stanza sembra corrispondere abbastanza bene al carattere / alla personalità del Buti. Impariamo che, in realtà, il Buti è un giovanotto timido, qualcuno che vive ‘entirely within his head’, cioè qualcuno che si rifiuta di coinvolgere il mondo intorno a lui.

Quella cameretta triste, buja, oppressa dalla casa dirimpetto, s’accordava con l’umore dell’inquilino.

Tullio Buti andava per via sempre solo, senza neanche i due compagni dei solitarii più schivi: il sigaro e il bastone. Con le mani affondate nelle tasche del pastrano, le spalle in capo, aggrondato, il cappello calcato fin sugli occhi, pareva covasse il più cupo rancore contro la vita.

La personalità ‘timida e chiusa’ del Buti era ovvia per i suoi colleghi al lavoro: impariamo che lui ha evitato ogni opportunità di interagire, e di conseguenza i suoi colleghi non hanno nessun idea di com’è.

All’ufficio, non scambiava mai una parola con nessuno dei colleghi, i quali, tra gufo e orso, non avevano ancora stabilito quale dei due appellativi gli quadrasse di più.

Veniamo a sapere che ogni sera, dopo il lavoro, il Buti trascorre il tempo da solo in un caffè, e poi, a tarda sera, ritorna nella sua stanza camminando attraverso le strade secondarie perlopiù deserte.

Nessuno lo aveva mai veduto entrare, di sera, in qualche caffè; molti, invece, schivare di furia le vie più frequentate per subito riimmergersi nell’ombra delle lunghe vie diritte e solitarie dei quartieri alti, e scostarsi ogni volta dal muro e girare attorno al cerchio di luce che i fanali projettano sui marciapiedi.

Il Buti non rivela mai nulla di se stesso: lui è detto esser senza espressione e non ha fatto mai i gesti.

Né un gesto involontario, né una anche minima contrazione dei lineamenti del volto, né un cenno degli occhi o delle labbra tradivano mai i pensieri in cui pareva assorto,

E poi arriviamo a capire che il Buti ha chiuso la sua personalità fin da una tragedia che ha sofferto in precedenza.

la doglia cupa in cui stava così tutto chiuso. La devastazione, che quei pensieri e questa doglia gli dovevano aver fatto nell’anima, era evidentissima nella fissità spasimosa degli occhi chiari, acuti, nel pallore del volto disfatto, nella precoce brizzolatura della barba incolta.

Il Buti sembra non avere né famiglia né amici, (es.) non manda né riceve lettere, e mentre cammina rimane ignaro di tutti gli altri e del tempo.

Non scriveva e non riceveva mai lettere; non leggeva giornali; non si fermava né si voltava mai a guardare, qualunque cosa accadesse per istrada, che attirasse l’altrui curiosità; e se talvolta la pioggia lo coglieva alla sprovvista, seguitava ad andare dello stesso passo, come se nulla fosse.

La nostra sensazione è che il Buti sia un caso estremo: qualcuno, in altre parole, che è stato devastato dalla tristezza e dalla tragedia… qualcuno difficile da comprendere… quasi un ‘eremita’ vivendo e lavorando a Roma.

Che stesse a farci così nella vita, non si sapeva. Forse non lo sapeva neppur lui. Ci stava… Non sospettava forse nemmeno, che ci si potesse stare diversamente, o che, a starci diversamente, si potesse sentir meno il peso della noja e della tristezza.

Poi veniamo a sapere che il Buti è stato derubato della sua infanzia da un padre estremamente violento / abusivo,

Non aveva avuto infanzia; non era stato giovine, mai. Le scene selvagge a cui aveva assistito nella casa paterna fin dai più gracili anni, per la brutalità e la tirannia feroce del padre, gli avevano bruciato nello spirito ogni germe di vita.

…qualcuno che è stato dichiarato responsabile della morte della moglie. Dopo la morte della mamma, si è sciolta la famiglia, con ciascuno(a) dei figli andando per la propria strada.

Morta ancor giovane la madre per le atroci sevizie del marito, la famiglia s’era sbandata: una sorella s’era fatta monaca, un fratello era scappato in America.

Poi, apprendiamo che il Buti si è adattato bene alle orribili esperienze / ai dolorosi ricordi della sua infanzia: verso questo fine, usa i metodi rigorosi per ingannare la sua mente a sequestrare questi ricordi nel suo subconscio.

Fuggito anche lui di casa, ramingo, con incredibili stenti s’era tirato su fino a formarsi quello stato.

Ora non soffriva più. Pareva che soffrisse; ma s’era ottuso in lui anche il sentimento del dolore. Pareva che stesse assorto sempre in pensieri; ma no; non pensava più nemmeno. Lo spirito gli era rimasto come sospeso in una specie di tetraggine attonita, che solo gli faceva avvertire, ma appena, un che d’amaro alla gola. Passeggiando di sera per le vie solitarie, contava i fanali; non faceva altro; o guardava la sua ombra, o ascoltava l’eco dei suoi passi, o qualche volta si fermava davanti ai giardini delle ville a contemplare i cipressi chiusi e cupi come lui, più notturni della notte.

(In effetti, il Buti sembra essersi chiuso dal mondo nel tentativo di bloccare tutte le esperienze d’infanzia… cioè, sembra essersi chiuso a qualsiasi vista, suono, odorato, tocco, sapore che potrebbero scatenare un ricordo d’infanzia.)

Una domenica, esausta dopo una lunga passeggiata, il Buti torna in camera insolitamente presto (prima di cena). Le Nini sono sorprese ed anche estatiche… avranno finalmente l’opportunità di mostrargli le raffinatezze e civiltà!

Quella domenica, stanco della lunga passeggiata per la via Appia antica, insolitamente aveva deciso di rincasare. Era ancora presto per la cena. Avrebbe aspettato nella cameretta che il giorno finisse di morire e si facesse l’ora.

Mentre complottano tutt’e due, Clotildina arriva a realizzare che il Buti potrebbe aver bisogno d’aver una fonte di luce nella sua stanza, e lei si precipita a portargli una lampada,

Per le Nini, madre e figlia, fu una gratissima sorpresa. Clotildina, dalla contentezza, batté anche le mani. Quale delle tante cure e attenzioni studiate e preparate, quale delle tante finezze e «civiltà» particolari, usargli prima? Confabularono mamma e figliuola: a un tratto Clotildina pestò un piede, si batté la fronte. Oh Dio, il lume, intanto! Prima di tutto bisognava recargli un lume, quello buono, messo apposta da parte, di porcellana coi papaveri dipinti e il globo smerigliato. Lo accese e andò a picchiare discretamente all’uscio dell’inquilino. Tremava tanto, per l’emozione, che il globo, oscillando, batteva contro il tubo, che rischiava d’affumicarsi.

…ma il Buti rifiuta la lampada, senza lasciare spazio per ulteriori discussioni.

– Permesso? Il lume.

– No, grazie, – rispose il Buti, di là. – Sto per uscire.

La zitellona fece una smorfietta, con gli occhi bassi, come se l’inquilino potesse vederla, e insistette:

– Sa, ce l’ho qua. Per non farla stare al bujo.

Ma il Buti ripetè, duro:

– Grazie, no.

Poi, il Buti rimane per un po’ nella oscurità / solitudine della sua stanza,

S’era seduto sul piccolo canapè dietro al tavolino, e sbarrava gli occhi invagati nell’ombra che a mano a mano s’addensava nella cameretta, mentre ai vetri smoriva tristissimo l’ultimo barlume del crepuscolo.

…quando, improvvisamente, lui percepisce una fonte di luce debole che permea la sua stanza. È veramente sbalordito… mai prima era nella sua stanza con una fonte di luce estranea.

Tutt’a un tratto, vide.

Stupito, volse gli occhi intorno. Sì. La cameretta s’era schiarata all’improvviso, d’un blando lume discreto, come per un soffio misterioso.

Che era? Com’era avvenuto?

Alla fine, il Buti si rende conto che la luce proviene da un appartamento nell’edificio che si affaccia sulla sua finestrina.

Ah, ecco. Il lume dell’altra casa. Un lume or ora acceso nella casa dirimpetto: l’alito d’una vita estranea ch’entrava a stenebrare il bujo, il vuoto, il deserto della sua esistenza.

La luce, non importa quanto soffusa, causa il Buti considerevole angoscia: il pericolo, ovviamente, è che possa innescare un ricordo doloroso.

Rimase un pezzo a mirare quel chiarore come alcunché di prodigioso. E un’intensa angoscia gli serrò la gola nel notare con quale soave carezza si posava là sul suo letto, su la parete, e qua su le sue mani pallide, abbandonate sul tavolino. Gli sorse in quell’angoscia il ricordo della sua infanzia oppressa, di sua madre. E gli parve come se la luce di un’alba lontana, spirasse nella notte del suo spirito.

Alla fine, il Buti si trova il coraggio di spostarsi verso la finestrina.

Si alzò, andò alla finestra e, furtivamente, dietro ai vetri, guardò là, nella casa dirimpetto, a quella finestra donde gli veniva il lume.

La luce proviene da una sala da pranzo dove una famiglia (i Masci: un padre, una madre e tre bambini) si sono riuniti per la cena.

Vide una famigliuola raccolta intorno al desco: tre bambini, il padre già seduti, la mamma ancora in piedi, che stava a ministrarli, cercando – com’egli poteva argomentare dalle mosse – di frenar l’impazienza dei due maggiori che brandivano il cucchiajo e si dimenavano su la seggiola. L’ultimo stirava il collo, rigirava la testina bionda: evidentemente, gli avevano legato troppo stretto al collo il tovagliolo; ma se la mammina si fosse affrettata a dargli la minestra, non avrebbe più sentito il fastidio di quella legatura troppo stretta. Ecco, ecco, infatti: ih, con quale voracità s’affrettava a ingollare! tutto il cucchiajo si ficcava in bocca. E il babbo, tra il fumo che vaporava dal suo piatto, rideva. Ora si sedeva anche la mammina, lì, proprio dirimpetto.

Dopo un po’, per caso, la madre guarda fuori dalla sua finestra, ma il Buti è sicuro di non poter esser visto;

Tullio Buti fece per ritrarsi, istintivamente, nel vedere ch’ella, sedendo, aveva alzato gli occhi verso la finestra; ma pensò che, essendo al bujo, non poteva esser veduto,

…alla fine, il Buti arriva a considerare quest’esperienza come una ‘fuga’, qualcosa che non riesce ad innescare una memoria dolorosa.

e rimase lì ad assistere alla cena di quella famigliuola, dimenticandosi affatto della sua.

Da questo giorno in avanti, il Buti cambia la sua routine. Ora arriva a casa ogni sera presto dopo il lavoro, e poi aspetta pazientemente, da solo nella sua stanza, per riunirsi per cena i Masci. In effetti, secondo noi, il Buti è diventato un voyeur / guardone;

Da quel giorno in poi, tutte le sere, uscendo dall’ufficio, invece d’avviarsi per le sue solite passeggiate solitarie, prese la via di casa; aspettò ogni sera che il bujo della sua cameretta s’inalbasse soavemente del lume dell’altra casa, e stette lì, dietro ai vetri, come un mendico,

…nel tempo, tuttavia, queste esperienze sembrano diventare per lui una fonte di tremendo rimpianto, cioè, un esempio di ciò che avrebbero potuto essere la sua famiglia / la sua infanzia.

ad assaporare con infinita angoscia quell’intimità dolce e cara, quel conforto familiare, di cui gli altri godevano, di cui anch’egli, bambino, in qualche rara sera di calma aveva goduto, quando la mamma… la mamma sua… come quella…

E piangeva.

È interessante notare che il Buti non si ritira da quest’esperienza… invece sembra esser trasformato, il suo spirito sembra esser permesso di emergere… cioè, d’abbracciare ciò che ha perso, di riconoscere ciò che è importante per lui.

Sì. Questo prodigio operò il lume dell’altra casa. La tetraggine attonita, in cui lo spirito di lui era rimasto per tanti anni sospeso, si sciolse a quel blando chiarore.

Nello stesso momento in cui il Buti spia su i Masci, rimane ignaro delle macchinazioni delle Nini, che si intensificano adesso che lui passa più tempo nella sua stanza.

Non pensò, intanto, Tullio Buti, a tutte le strane supposizioni che quel suo starsene al bujo doveva far nascere nella padrona di casa e nella figliuola.

Due altre volte Clotildina gli aveva profferte il lume, invano. Avesse almeno acceso la candela! Ma no, neppure. Che si sentisse male? Aveva osato domandarglielo Clotildina con tenera voce, dall’uscio, la seconda volta ch’era accorsa col lume. Egli le aveva risposto:

– No; sto bene così.

Infatti, Clotildina ha iniziato a spiare nella sua stanza,

Alla fine… ma sì, santo Dio, scusabilissima! aveva spiato dal buco della serratura, Clotildina e, con maraviglia, veduto anche lei nella cameretta dell’inquilino il chiarore diffuso dal lume dell’altra casa:

(Pensiamo che questo sia imperdonabile!)

…e presto lei arriva a credere che il Buti sia infatuato di Margherita Masci, la madre.

della casa dei Masci appunto; e veduto lui, lui ritto dietro ai vetri della finestra, intento a guardare lì, nella casa dei Masci.

Clotildina era corsa, tutta sossopra, ad annunziare alla mamma la grande scoperta:

– Innamorato di Margherita! di Margherita Masci! Innamorato!

Scopriamo che da qualche tempo i Masci hanno affittato la loro casa dalle Nini. Data questo rapporto di vecchia data, le Nini decidono di rivelare ai Masci che il Buti sta spiando su di loro. Il marito capita di non esser a casa la sera che le Nini visitano; dalla sua finestrina, il Buti osserva con orrore mentre le Nini rivela le sue azioni.

Qualche sera dopo, Tullio Buti, mentre se ne stava a guardare, vide con sorpresa in quella stanza dirimpetto, ove la famigliuola al solito – ma senza il babbo, quella sera – se ne stava a cenare, vide entrare la signora Nini sua padrona di casa, e la figliuola, accolte come amiche di antica data.

A un certo punto, Tullio Buti si ritrasse d’un balzo dalla finestra, turbato, ansante.

La mammina e i tre piccini avevano alzato gli occhi verso la sua finestra. Senza dubbio, quelle due si erano messe a parlare di lui.

A questo punto della storia, sembra improbabile che il Buti sia innamorato di Margherita. Invece, quello importante sembra esser (semplicemente) l’opportunità di guardare questa famiglia quando si riunisce ed interagisce insieme. Dunque, a seguito delle rivelazioni, quello che il Buti sembra temere di più sia che non avrà più un’opportunità di guardare i Masci.

E ora? Ora tutto forse era finito! La sera appresso, quella mammina, o il marito, sapendo che nella cameretta di contro c’era lui così misteriosamente al bujo, avrebbero accostato gli scuri; e così d’ora in poi non gli sarebbe venuto più quel lume di cui viveva, quel lume ch’era il suo godimento innocente e il suo unico conforto.

Tuttavia, una svolta inaspettata della storia è che la sua opportunità di guardare i Masci non è ridotta.

Ma non fu così.

Con questo intendiamo dire che Margherita Masci sembra abbracciare l’opportunità di interagire con il Buti! …lei alla sua finestra, lui alla sua.

Quella sera stessa, allorché il lume di là fu spento, ed egli, piombato nella tenebra, dopo avere atteso ancora un poco che la famigliuola fosse andata a letto, si recò ad aprire cautamente la vetrata della finestra per rinnovare l’aria, vide anche aperta la finestra di là; vide poco dopo (e ne ebbe nel bujo un tremore di sgomento) vide affacciarsi a quella finestra la donna, forse incuriosita di quanto avevano detto di lui le Nini, mamma e figliuola.

Alla fine, il Buti non ha motivo di metter in dubbio le intenzioni di Margherita,

Quei due fabbricati altissimi, che aprivano l’uno contro l’altro così da presso gli occhi delle loro finestre, non lasciavano vedere né, in alto, la striscia chiara di cielo, né, in basso, la striscia nera di terra, chiusa all’imboccatura da un cancello; non lasciavano mai penetrare né un raggio di sole, né un raggio di luna.

Ella, dunque, là, non poteva essersi affacciata che per lui, e certo perché s’era accorta che egli s’era affacciato a quella sua finestra spenta.

…e poi, nonostante l’oscurità, il Buti si rende conto che Margherita è bellissima,

Nel bujo, potevano discernersi appena. Ma egli da un pezzo la sapeva bella; ne conosceva già tutte le grazie delle mosse, i guizzi degli occhi neri, i sorrisi delle labbra rosse.

…e dopo un po’, il Buti ammette cautamente la possibilità che Margherita gli potrebb’esser interessata!

Più che altro, però, quella prima volta, per la sorpresa che lo sconvolgeva tutto e gli toglieva il respiro in un fremito d’inquietudine quasi insostenibile, provò pena; dovette fare uno sforzo violento su se stesso per non ritirarsi, per aspettare che si ritirasse lei per la prima.

Quel sogno di pace, d’amore, d’intimità dolce e cara, di cui aveva immaginato dovesse godere quella famigliuola; di cui per riflesso aveva goduto anche lui; crollava, se quella donna, di furto, al bujo, veniva alla finestra per un estraneo. Questo estraneo, sì, era lui.

Eppure, prima di ritirarsi, prima di richiudere la vetrata, ella gli bisbigliò:

– Buona sera!

Ancora una volta, ci chiediamo cosa le Nini debba pensare a questa situazione.

Che avevano fantasticato di lui le due donne che lo ospitavano, da suscitare e accendere così la curiosità di quella donna? Che strana, potente attrazione aveva operato su lei il mistero di quella sua vita chiusa, se fin dalla prima volta, lasciando di là i suoi piccini, era venuta a lui, quasi a tenergli un po’ di compagnia?

L’interazione, ci viene spiegato, sembra essere vantaggiosa sia per Tullio Buti che per Margherita Masci.

L’uno di faccia all’altra, benché avessero entrambi schivato di guardarsi e avessero quasi finto davanti a se stessi d’essere alla finestra senza alcuna intenzione, tutti e due – ne era certo – avevano vibrato dello stesso tremito d’ignota attesa, sgomenti del fascino che così da vicino li avvolgeva nel bujo.

Quando, a sera tarda, egli richiuse la finestra, ebbe la certezza che la sera dopo ella, spento il lume, si sarebbe riaffacciata per lui. E così fu.

Adesso, Tullio Buti non può aspettare che si spenga la luce dall’appartamento dei Masci,

D’allora in poi Tullio Buti non attese più nella sua cameretta il lume dell’altra casa; attese con impazienza, invece, che quel lume fosse spento.

(Questo è un segnale che Margherita apparirà presto alla sua finestra per aspettarlo.)

…e poi il Buti si è lasciato innamorare di Margherita,

La passione d’amore, non mai provata, divampò vorace, tremenda nel cuore di quell’uomo per tanti anni fuori della vita, e investì, schiantò, travolse come in un turbine quella donna.

…quando, mamma mia, il Buti (poverino) scopre che lei ha abbandonato la sua famiglia!

Lo stesso giorno che il Buti sloggiò dalla cameretta delle Nini, scoppiò come una bomba la notizia che la signora del terzo piano della casa accanto, la signora Masci, aveva abbandonato il marito e i tre figliuoli.

Rimase vuota la cameretta, che aveva ospitato per circa quattro mesi il Buti; rimase spenta per parecchie settimane la stanza dirimpetto, ove la famigliuola soleva ogni sera raccogliersi a cena.

Poi il lume fu riacceso su quel triste desco, attorno al quale un padre istupidito dalla sciagura mirò i visi sbigottiti di tre bimbi che non osavano volgere gli occhi all’uscio, donde la mamma soleva entrare ogni sera con la zuppiera fumante.

Quel lume riacceso sul triste desco tornò allora a rischiarare, ma spettrale, la cameretta di contro, vuota.

(Adesso capiamo che Margherita potrebb’esser stata interessata al Buti perché era infelice a casa. Anzi, sembra possibile che il rapporto con il Buti le ha dato il coraggio d’abbandonare la sua famiglia.)

Passano diversi mesi e i Masci si sono trasferiti dal loro appartamento, che rimane vuoto. Pietosamente, il Buti chiede alle Nini il permesso di entrare nell’appartamento vuoto per un breve periodo ogni giorno.

Se ne sovvennero, dopo alcuni mesi dalla loro crudele follia, Tullio Buti e l’amante?

Una sera le Nini, spaventate, si videro comparir dinanzi, stravolto e convulso, il loro strano inquilino. Che voleva? La cameretta, la cameretta, se era ancora sfitta! No, non per sé, non per starci! per venirci un’ora sola, un momento solo almeno, ogni sera, di nascosto! Ah, per pietà, per pietà di quella povera madre che voleva rivedere da lontano, senz’esser veduta, i suoi figliuoli! Avrebbero usato tutte le precauzioni; si sarebbero magari travestiti; avrebbe colto ogni sera il momento che nessuno fosse per le scale; egli avrebbe pagato il doppio, il triplo la pigione, per quel momento solo.

Inizialmente, le Nini rifiutano la richiesta, ma poi sono d’accordo;

No. Le Nini non vollero acconsentire. Solo, finché la cameretta restava sfitta, concessero che qualche rara volta… – oh, ma per carità, a patto che nessuno li avesse scoperti! Qualche rara volta…

…la sera dopo il Buti e la Clotildina entrano nell’appartamento abbandonato. Ognuno di loro, a modo suo(a), è sopraffatto(a) dall’emozione.

La sera dopo, come due ladri, essi vennero. Entrarono quasi rantolanti nella cameretta al bujo, e attesero, attesero che s’inalbasse ancora del lume dell’altra casa.

Di quel lume dovevano vivere ormai, così, da lontano.

Eccolo!

Ma Tullio Buti non potè in prima sostenerlo. Lei, invece, coi singhiozzi che le gorgogliavano in gola, lo bevve come un’assetata, si precipitò ai vetri della finestra, premendosi forte il fazzoletto su la bocca. I suoi piccini… i suoi piccini… i suoi piccini, là… eccoli… a tavola…

Egli accorse a sorreggerla, e tutti e due rimasero lì, stretti, inchiodati, a spiare.

***

“Perdersi per ritrovarsi”

Leave a comment