Riassunto: Leviamoci questo pensiero

Più di una volta, nelle novelle che abbiamo letto, il Pirandello sembrava avere usar la campagna (la natura) come un antidoto alla vita ‘innaturale’ degli umani esseri che risiedono nelle città, cioè, la complessa, contraddittoria, caotica, frustrante, vita antagonista ed ingiusta dei cittadini. Molte volte, i disturbi di questi umani erano psicologici o psicosomatici. Variano in gravità questi disturbi dalla lieve nevrosi alla severa disperazione. Quasi sempre, l’ambiente naturale, l’ordine apparente della natura e l’ovvia bellezza della campagna sembrava avere un effetto restitutivo / curativo.

Gli abitanti delle città, come descritti sopra, sembravano sempre aver qualche sorta di sistema di credenze (es. la fede religiosa) per aiutarli a sopravvivere alle prove e alle tribolazioni della vita. In quanto tale, quando la natura esercitava il suo ‘effetto magico’, era come un ‘add-on’ per questi sistemi preesistenti di credenza. Tuttavia, in Leviamoci questo pensieroil Pirandello utilizza un approccio diverso. Bernardo Sopo, il protagonista, dopo un’apparentemente attenta riflessione, è venito alla conclusione che gli esseri umani sono, semplicemente, una parte della natura — cioè, loro non sono diversi da qualsiasi altra pianta o animale sulla terra. Per lui, non ci sono divinità. L’idea che l’uomo possa usare i progressi della tecnologia per controllare la vita e il mondo è, secondo il Sopo, delirante. Lui è abbastanza fermo nella sua convinzione che l’inchiesta scientifica e la fede religiosa sono sistemi invalidi di pensiero / indagine.

Di conseguenza, Bernardo Sopo rimane da solo nel mondo naturale. Come i greci antichi lui capisce che la vita è dura — piena di sfide e ostacoli che devono esser affrontati nel miglior modo possibile. (Questo atteggiamento, ovviamente, è molto diverso dal cristianesimo, dove si dice che gli umani esseri seguono il piano di Dio.) Come sembra credere il Sopo, quando si manifestano situazioni avverse possono esser o affrontate direttamente o accomodato.

Come vedremo, il suo sistema di credenze lo ha portato Bernardo Sopo ad affrontare in modo aggressivo gli ostacoli di vita sua. Infatti, nel suo caso, la necessità d’affrontare gli ostacoli, in modo diretto e tempestivo, sembra esser diventata una vera ossessione.

Che cosa è un’ossessione? Secondo Merriam-Webster, un’ossessione è “…un’idea o pensiero che continuamente si preoccupa o si intromette nella mente d’una persona”. Un’ossessione può certamente essere qualcosa di positivo nella propria vita, cioè, può assumere la forma d’una passione che può portare una persona ad essere, diciamo, interessante e creativa, produttiva e soddisfatta.

Prendiamo, per esempio, questa descrizione della vita e del lavoro di Toni Morrison, uno dei principali autori dell’America:

“When “The Bluest Eye” was published, in 1970, Morrison was unknown and thirty-nine years old. The initial print run was modest: two thousand copies in hardcover. Now a first edition can fetch upward of six thousand dollars. In 2000, when “The Bluest Eye” became a selection for Oprah’s Book Club, Plume sold more than eight hundred thousand paperback copies. By then, Toni Morrison had become Toni Morrison—the first African-American to win the Nobel Prize in Literature, in 1993. Following “The Bluest Eye,” Morrison published seven more novels: “Sula” (1973), “Song of Solomon” (1977), “Tar Baby” (1981), “Beloved” (1987), “Jazz” (1992), “Paradise” (1998), and now “Love.” Morrison also wrote a critical study, “Playing in the Dark: Whiteness and the Literary Imagination” (1992), which, like all her novels since “Song of Solomon,” became a best-seller. She has edited several anthologies—about O.J., about the Clarence Thomas hearings—as well as collections of the writings of Huey P. Newton and James Baldwin. With her son Slade, she has co-authored a number of books for children. She wrote the book for a musical, “New Orleans” (1983); a play, “Dreaming Emmett” (1986), which reimagined the life and death of Emmett Till, the fourteen-year-old black boy who was murdered in Mississippi in 1955; a song cycle with the composer André Previn; and, most recently, an opera based on the life of Margaret Garner, the slave whose story inspired “Beloved.” She was an editor at Random House for nineteen years—she still reads the Times with pencil in hand, copy-editing as she goes—and has been the Robert F. Goheen Professor in the Council of the Humanities at Princeton since 1989.”

“ “I know it seems like a lot,” Morrison said. “But I really only do one thing. I read books. I teach books. I write books. I think about books. It’s one job.” ” (Hilton Als)

Quella, cari lettori, è una meravigliosa descrizione d’una singola mente di scopo, d’una vera ossessione!

D’altra parte, un’ossessione può esser qualcosa di negativo nella propria vita. Può, ad esempio, condurre ad attività criminale. O, come crediamo d’essere vero nel caso del Bernardo Sopo, una causa di tormento e angoscia, portando ad una malattia psicologica e al suo ostracismo dalla società. Come vedremo, il Sopo è ossessionato dalle sfide della sua vita e la loro risoluzione, all’esclusione di quasi tutto il resto. Alla fine, vedremo che il Sopo si stanca della sua vita: sembra perdere la propria prospettiva, sembra anche perdere la propria strada.

***

Nella camera mortuaria erano raccolti tutti i parenti: il padre vecchissimo, le sorelle coi loro mariti, i fratelli con le loro mogli e i figliuoli più grandi; e chi piangeva silenziosamente, col fazzoletto sugli occhi; e chi, scotendo amaramente il capo, appena appena, con gli angoli della bocca contratti in giù, mirava sul letto tra i quattro ceri la povera morta cosparsa di fiori, con un piccolo crocefisso d’argento e la corona del rosario di grani rossi tra le mani dure, livide, composte a forza sul petto.

Inizia così Leviamoci questo pensiero (L. Pirandello). Scopriamo che Ersilia, la moglie del Bernardo Sopo, è morta… improvvisamente ed inaspettatamente (dopo un arresto cardiaco) e tragicamente (in un’età relativamente giovane). Apprendiamo che una veglia funebre è in corso nella casa del Sopo. I genitori ei parenti di Ersilia sono presenti insieme agli amici della famiglia. Sono palpabili il dolore, la tristezza e lo shock dei dolenti.

Bernardo Sopo, d’altra parte, rimane da solo in una stanza adiacente.

Bernardo Sopo, il marito, passeggiava nella camera accanto.

Scopriamo che Bernardo ha una sorta di deformità o condizione che interferisce con la funzione normale delle sue gambe. Tuttavia, lui cammina, apparentemente perso nei suoi pensieri. Arriviamo a capire che, tra le altre cose, Bernardo pensa ad Ersilia con grande tristezza: cammina e parla a se stesso, poi si ferma, poi cammina.

Di larghe spalle, quantunque povero e tardo di gambe, calvo e barbuto come un padre cappuccino, con gli occhi socchiusi, le lenti dimenticate su la punta del naso, le mani a tergo, passeggiava; si fermava di tratto in tratto; diceva:

– Ersilia… poveretta…

Si rimetteva a passeggiare, e poco dopo si rifermava per ripetere:

– Poveretta.

Impariamo che l’assenza di Bernardo Sopo e la sua attività nella stanza adiacente sono inquietanti e deludono la famiglia di Ersilia. Per loro, Bernardo non sembra esser abbastanza in lutto! Periodicamente, il Sopo si ferma sulla soglia della sua stanza e fissa (intensamente?) i dolenti: attraverso il suo linguaggio del corpo, lui sembra disapprovare sia la veglia funebre che la sincerità dei dolenti.

Il suono de’ suoi passi, il suono della sua voce, in quella che non pareva neppure un’esclamazione di compianto, ma quasi una conclusione ragionata, urtavano i parenti muti e raccolti nel cordoglio. Urtava peggio la sua presenza, ogni qual volta egli veniva a fermarsi un momento su la soglia e, col capo reclinato indietro e gli occhi tra i peli, guardava tutti in giro, come per compassione di quello spettacolo di morte, ch’essi stavano lì a rappresentare sinceramente, quasi per esercizio d’un dovere, oh tristissimo sì, ma al tutto inutile.

La famiglia di Ersilia, ci viene detto, si preoccupa che il Sopo voglia far finire la veglia funebre.

E appena egli voltava le spalle per rimettersi a passeggiare nella stanza accanto, tutti avevano l’impressione che, così passeggiando, quell’uomo stesse ad aspettare, con forzata pazienza, che si finisse una buona volta di piangere.

(Comprendiamo, a questo punto, che Bernardo e la famiglia di Ersilia hanno programmi diversi e che la comunicazione tra di loro è scarsa.)

Poi ci viene fornita qualche intuizione del carattere e della personalità di Bernardo Sopo: sembra esser qualcuno con un insolito mix di rassegnazione e ostinazione. Come un esempio: il Sopo ha pensato che la veglia funebre fosse un esercizio inutile, una perdita di tempo… ma ciò nonostante, si è rassegnato alla ceremonia dopo l’insistenza della famiglia di Ersilia.

A un certo punto lo videro entrare nella camera con un’aria che gli conoscevano bene, aria di rassegnazione, ma testarda, con la quale sfidava le proteste e accoglieva le ingiurie di tutti, come un asino le nerbate senza rimuoversi d’un passo dall’orlo del precipizio.

Bernardo Sopo non è stato affidato alla famiglia di Ersilia;

Quasi quasi temettero che andasse a soffiare sui quattro ceri per spegnerli, come a dire che lo spettacolo era già durato abbastanza e poteva aver fine.

…ci viene spiegato, tuttavia, che il Sopo non prenderebbe mai in considerazione un’azione del genere. La veglia funebre è in corso e lo sopporterà. No… il punto di vista di Bernardo è che la veglia funebre non avrebbe mai dovuto esser tenuto in primo luogo.

Di tanto tutti quei parenti stimavano capace Bernardo Sopo. E certo, se fosse dipeso da lui – no, spenti no, spenti mai – ma non sarebbero stati certo accesi quei ceri, né sparsi quei fiori, né posti in mano alla morta quel crocefisso e quella corona di grani rossi. Non per la ragione, però, che con maligno animo sospettavano i parenti.

(Vediamo, più e più volte, che Bernardo Sopo è supponente / presuntuoso, ma non è meschino / gretto. Sembra esser sinceramente rattristato dalla morte di Ersilia, ma sembra anche avere un modo molto strano / singolare di mostrare come si sente.)

Ad un certo punto durante la veglia funebre Bernardo Sopo si avvicina al padre di Ersilia e gli chiede di venire nella sua stanza: intende risolvere alcuni aspetti della tenuta di Ersilia. In particolare, vuole restituire la dote di Ersilia ai suoi genitori.

Bernardo Sopo si accostò al suocero e lo pregò di recarsi con lui, per un momento, nello scrittojo.

Qua, la vista dei mobili quieti, in penombra, che non sapevano nulla di quanto era accaduto di là, lo fece sbuffare, specialmente la vista degli scaffali pieni zeppi di pesanti libri di filosofia. Aperto un cassetto della scrivania, ne trasse una cartella di rendita intestata alla moglie defunta, e la porse al suocero.

Questi, stordito dalla sciagura, guardò coi calvi occhi, insanguati nel pianto, prima quella cartella, poi il genero, senza comprendere.

– La dote d’Ersilia, – gli disse il Sopo.

Sfortunatamente, il vecchio padre di Ersilia è sopraffatto dall’offerta, che non è in grado di considerare.

Il vecchio, sdegnato, buttò la cartella su la scrivania e, poiché anche lì, non reggendosi in piedi, era cascato a sedere su la prima seggiola, si levò come sospinto da una susta, per ritornare alla camera mortuaria. Ma Bernardo Sopo, strizzando dolorosamente gli occhi e protendendo le mani, cercò di trattenerlo.

Bernardo Sopo lo supplica di accettare — dicendo che il ritorno della dote è uno degli punti nella sua lista di cose da fare — ma il padre di Ersilia rifiuta categoricamente la richiesta… adesso, dice, è il momento di piangere!

– Per carità. – pregò. – Tutto quello che si deve fare…

– Ma piangere! – gli gridò il vecchio, – piangere! piangere per ora, e niente altro!

In un primo momento, Bernardo è commosso dalla profondità del dolore del padre di Ersilia,

Bernardo Sopo tornò a strizzare dolorosamente gli occhi, per pietà profonda di quel povero vecchio, di quel povero padre;

…ma poi ritorna rapidamente alla sua convinzione che sono completamente inutili la veglia funebre e il processo di lutto.

ma poi sollevò la faccia, sollevò il petto, trasse con le nari quanta più aria potè, e quindi, votandosene, con gesto di sconsolata stanchezza, disse:

– A che giova?

Dal punto di vista di Bernardo: a) Ersilia è morta, b) dopo la sua morte ci sono molte cose da affrontare, c) una di quelle è il bisogno di restituire la dote di Ersilia ai suoi genitori — non avevano figli Bernardo ed Ersilia quindi sarebbe giusto restituire la dote ai genitori), e) il bisogno di piangere e la cerimonia associata alla morte (la veglia funebre, la sepoltura, e un periodo di lutto dopo) hanno semplicemente interferito con la sua capacità di portare a termine i suoi compiti.

Non avendo avuto figliuoli dalla moglie, egli doveva restituire la dote.

Bisognava che si levasse questo pensiero.

Un secondo punto sulla lista è la disposizione della loro casa. È stato affittato sotto il nome di Ersilia quindi alla sua morte, il contratto è stato annullato. Questa è una benedizione per Bernardo Sopo perché la casa è troppo grande per una persona sola (lui intende rimanere single) e perché lui non può, da solo, pagare l’affitto.

Un altro pensiero, che non gli pareva l’ora di levarsi, era quello della casa. Morta la moglie e dovendo restituire la dote, egli con quel che aveva di suo e coi tanti pesi che aveva addosso, non poteva più sostenerne la pigione. Quella casa, per altro, sarebbe stata troppo grande per lui, che restava ormai solo. Per fortuna, essa figurava come locata alla moglie; sicché dunque il contratto, con la morte di questa, si scioglieva naturalmente.

Tuttavia, al fine di sgomberare i locali, Bernardo deve rimuovere tutti i loro effetti personali, compresi i mobili. A quanto pare, Bernardo non ha bisogno di nessuno dei mobili: dopo la sepoltura di Ersilia lui intende trasferirsi in un piccolo appartamento ammobiliato. L’affitto per questo mese è stato già pagato, ma mancano solo sei giorni alla fine del mese. Dunque, Bernardo ha sei giorni per smaltire il contenuto della loro casa o gli sarà richiesto di pagare l’affitto del mese successivo. Cosa ce di più, all’insistenza della famiglia di Ersilia tutti gli affari di famiglia saranno sospese fino a 48 ore dopo la sepoltura.

Ma c’erano i mobili, i mobili, tutti quei mobili di cui la povera morta, che amava gli agi, aveva ingombrato le stanze fin negli angoli più riposti. E Bernardo Sopo se li sentiva come tanti macigni sul petto.

Ci mancavano ancora sei giorni a finire il mese. La pigione di quel mese era pagata; non avrebbe voluto pagare quella del mese venturo a cagione di tutti quei mobili là, di cui non sapeva che farsi. Aveva già stabilito d’andarsene in una camera mobiliata. Intanto, come far presto?

Per levarsi quest’altro pensiero dei mobili, bisognava che prima la moglie fosse portata via al camposanto; e dovevano passare almeno quarantotto ore, per espressa volontà dei parenti, morta com’era all’improvviso, di paralisi cardiaca.

Bernardo rimane preoccupato della sua lista. Sembra dire: “È davvero spiacevole che Ersilia sia morta. Ma Ersilia è infatti morta e ci sono queste cose che devono esser affrontate. Perché dobbiamo aspettare?”

«Quarantotto ore,» diceva tra sé Bernardo Sopo, seguitando a passeggiare con gli occhi socchiusi e grattandosi il mento con la mano irrequieta tra i peli della folta barba da padre cappuccino. «Quarantotto ore! Come se la povera Ersilia potesse non esser morta davvero! Purtroppo è morta! Purtroppo per me, non per lei. Ah lei sì, povera Ersilia, se l’è levato questo pensiero della morte. Mentre noi qua, ora… Tutte queste sciocchezze da fare; e che si devono fare! la veglia al cadavere, sicuro, e i ceri e i fiori e i funerali in chiesa e il trasporto e il seppellimento. Quarantotto ore!»

Vediamo che Bernardo rimane imperterrito / indisturbato nel suo perseguimento delle cose che deve fare… cioè, nonostante il linguaggio corporeo negativo della famiglia di Ersilia.

E non badando alle torve occhiate che tutti gli lanciavano per quel che or ora il suocero era tornato a riferire su la cartella della dote, seguitò a dimostrare in tutti i modi la smania, l’affanno che quell’attesa forzata gli cagionava.

Bernardo Sopo cerca di spiegare cosa deve fare ai parenti più intimi di Ersilia. Tuttavia, lui è respinto da tutti loro. La famiglia di Ersilia sembra rimanere estremamente delusa dal suo comportamento.

Assillato dalla sollecitudine, non trovava requie; s’accostava a questo e a quello dei parenti più intimi della defunta, irresistibilmente tratto dall’idea di proporgli qualcuna delle tante cose che si dovevano fare; ma subito avvertiva in quello la repulsione, l’urto.

Notevolmente, non si offende… anzi, Bernardo Sopo è ormai abituato a tale trattamento.

Non se n’aveva per male. Già c’era avvezzo. Del resto riconosceva che quella repulsione, quell’urto erano naturali verso uno che, come lui, stava a rappresentare le dure necessità dell’esistenza. Comprendeva e compativa.:

Imperterrito / indisturbato, Bernardo segnala a uno dei parenti intimi,

Gli restava un pezzo accanto, a guardarlo attraverso le palpebre semichiuse, inerte, ingombrante, soffocante, finché non provocava con uno sbuffo la domanda:

– Mi vuoi?

…chi si unisce a lui. Gli offre alcuni mobili, che desidera solo regalare, ma questi, insultato e disgustato, rifiuta.

Accennava di sì col capo, mestamente, e con aria stanca, abbattuta, se lo portava a passeggiare nella sala da pranzo.

Qua, dopo essere andato due o tre volte su e giù, esclamando a tratti: – La vita, caro, che tristezza! – La vita… che miseria! – oppure di nuovo: – Ersilia… poveretta… – si fermava e, con atteggiamento umile e pietoso, o fingendosi all’improvviso distratto, sospirava:

– Tu, se vuoi, caro, potresti prenderti intanto queste due vetrine col servizio da tavola e la cristalliera; anche la credenza, se vuoi.

L’offerta, in quel punto, col cadavere ancor lì presente, pareva a quello un insulto, anzi peggio, un pugno sul petto. E senza avere altra risposta, che uno sguardo di disgusto, d’abominazione, Bernardo Sopo si vedeva lasciato in asso.

Persiste Bernardo in questo sforzo, ma viene nuovamente respinto.

Il che però non gli toglieva l’animo d’accostarsi, poco dopo, a un altro dei parenti più intimi e di portarselo a passeggiare nel salotto per proporgli a un certo punto, come a quell’altro:

– Se ti piacciono questo canapè e queste poltroncine, puoi prenderle, sai, caro!

Poi, Bernardo Sopo cerca di dare via i mobili ai parenti meno intimi e anche agli amici della famiglia. Vediamo che loro accettano l’offerta e gli ringraziano! Tuttavia il Sopo respinge la loro gratitudine — la sua attenzione è concentrata solo sul compito a portata di mano — e invece sottolinea la necessità di prendere possesso dei mobili il più rapidamente possibile.

Finché, vedendo che tutti a un modo i più intimi gli si rivoltavano scandalizzati, non cominciò a profferire i mobili e gli oggetti della casa ai meno intimi e anche a qualche estraneo, amico di casa, i quali, con minor scrupolo, ma pur perplessi e timidi, lo ringraziavano. Bernardo Sopo troncava subito i ringraziamenti con un gesto della mano, alzava le spalle per significare che non dava alcuna importanza al regalo, e soggiungeva:

– Dovresti affrettarti piuttosto a farli portar via; mi preme di sgombrare al più presto.

Questo sviluppo provoca ulteriormente la famiglia di Ersilia. Loro sembrano capire che i mobili appartengono al Bernardo Sopo e che lui è nel suo diritto di disporre i mobili come preferisce… ma dai, solo non qui! e non adesso!

Quegli altri allora presero a fulminarlo dalla camera mortuaria con certi occhiacci da spiritati e a dar segni d’ira e di sdegno e di dispetto, per un altro verso.

No, non avevano diritto, nessun diritto su quei mobili che appartenevano a lui soltanto, a Bernardo Sopo; ma perdio, era un’indecenza!

Incapaci di controllarsi ancora, alcuni membri della famiglia di Ersilia affrontano Bernardo Sopo direttamente, con rabbia e incredulità;

E a uno a uno, non riuscendo più a trattenersi, balzarono da sedere e corsero a investirlo, a gridargli tra i denti che doveva vergognarsi di quel che stava facendo, vergognarsi, come si vergognavano per lui quelli stessi che, nell’imbarazzo, non avevano saputo opporsi alle profferte. Li chiamavano in testimonianza:

– E vero? è vero?

Quelli si stringevano nelle spalle, con un sorriso afflitto su le labbra.

– Ma certo! ognuno! – esclamavano allora i parenti. – Sono mortificazioni!

…ma Bernardo sembra esser imperturbato da queste preoccupazioni.

E Bernardo Sopo, sempre con gli occhi chiusi, aprendo le braccia:

– Ma scusate, perché, cari, perché? Io mi spoglio… Per me è finita, cari miei! Bisogna che non ci pensi più! So quello che porto addosso. Lasciatemi fare. Son cose che si devono fare.

Ancora una volta, i membri della famiglia di Ersilia gli chiedono di rimandare ciò che deve fare.

Quelli gridavano:

– Va bene, si devono fare; ma a tempo e a luogo, perdio!

Adesso, finalmente, il Sopo sembra capire… e acconsentire alla loro richiesta,

E allora lui, per troncare il discorso, rimettendosi:

– Capisco… capisco…

…ma, in effetti, rimane più ostinato che mai!

Ma non capiva affatto; o piuttosto, capiva questo soltanto: ch’era una debolezza quell’indugio che si voleva frapporre; una debolezza, come tutto quel pianto là.

Ci viene detto che la famiglia di Ersilia considera Bernardo Sopo senza cuore perché non piange come loro, perché non sembra condividere il loro dolore. In realtà, il Sopo non si lascia piangere / lamentarsi perché lo considera sia inutile che disonesto (cioè, egocentrico: lui pensa che i dolenti si comportino come fanno per loro stessi piuttosto che per il defunto).

Lo credevano senza cuore, perché egli non piangeva. Ma dimostrava forse il pianto la intensità del dolore? Dimostrava la debolezza di chi soffre. Chi piange vuol far conoscere che soffre, o vuole intenerire, o chiede conforto e commiserazione.

Bernardo, invece, crede di dover affrontare la morte di Ersilia da solo, che nessun altro possa confortarlo.

Egli non piangeva, perché sapeva che nessuno avrebbe potuto confortarlo, e che era inutile ogni commiserazione. Né c’era da aver pena per quelli che se n’andavano. Fortunati da invidiare, anzi!

A questo punto della storia, la vita del Sopo è descritta per noi. È una vita cupa ed isolata. Per il Sopo, la morte di Ersilia non può essere spiegata né razionalizzata dalla scienza o dalla fede religiosa.

La vita era per Bernardo Sopo profondamente oscura; la morte, uno sbuffo di più densa tenebra nell’oscurità. Né al lume della scienza per la vita, né al lume della fede per la morte riusciva a dar credito;

Il Sopo capisce e si aspetta che la vita sia dura. La sua unica necessità è esistere / sopravvivere. Secondo il Sopo, l’uomo ha solo due opzioni di fronte alle avversità. Da un lato, può affrontare la sua situazione avversa e provare a risolverlo, oppure può accettare la situazione avversa e soffrire.

e in tanta oscurità non vedeva profilarsi altro, a ogni passo, che le sgradevoli, dure, ispide necessità dell’esistenza, a cui era vano tentar di sottrarsi, e che si dovevano subito perciò affrontare o subire, per levarsene al più presto il pensiero.

Ecco, sì, levarsene il pensiero! Tutta la vita non era altro che questo: un pensiero, una sequela di pensieri da levarsi. Ogni indugio era una debolezza.

Impariamo che i membri della famiglia di Ersilia hanno capito tutto questoper qualche tempo.

Tutti quei parenti che s’indignavano, sapevan pur bene che egli era stato sempre così. Quante volte non li aveva fatti ridere la loro Ersilia, raccontando con festosa esagerazione le furiose avventure della sua vita coniugale con quell’uomo, il quale, poveretto, che poteva farci? aveva in corpo la smania, la frenesia di levarsi tutti i pensieri, appena gli si affacciassero alla mente come un’ineluttabile necessità. Anche, anche a letto, sì, tutti i pensieri! Ed ella, la poverina, si rappresentava come una cagnetta stanca, in corsa perpetua, dietro a lui, sempre con tanto di lingua fuori.

Adesso, tuttavia, il lettore inizia a sospettare che Bernardo Sopo possa aver preso le sue convinzioni troppo in là. Ne danno quattro esempi: quando lui ed Ersilia hanno deciso di frequentare il teatro, quando loro hanno scelto di fare un viaggio, quando Bernardo ha deciso d’acquistare un paio di scarpe, e quando Bernardo deve pagare le sue tasse. Non si tratta più della necessità di affrontare situazioni avverse… queste sono invece le situazioni della vita quotidiana. Adesso, il bisogno del Sopo di risolvere le cose il prima possibile sembra esser un’ossessione e, a questo proposito, si comporta in un modo distintamente insolito.

Si doveva andare a teatro? Quell’uomo non aveva più requie. Non già perché gli premesse il teatro; anzi il contrario! Il pensiero d’andarci diventava per lui un tale incubo, che non gli pareva l’ora di levarselo; e, sissignori, ogni volta, un’ora prima, nel palco, al bujo, ad aspettare!

Si doveva partire? Misericordia di Dio! Un precipizio. Bauli, valige, fagotti; caccia, cocchiere! corri, facchino! E i sudori! e i sudori! e quante cose smarrite, e quante dimenticate, per arrivare alla stazione due ore prima della partenza del treno! Non già perché temesse di perdere la corsa, ma perché non poteva più aspettare in casa, neanche un minuto, con quel pensiero della partenza che lo assillava.

E quante volte non s’era presentato in casa con un fagotto di cinque o sei paia di scarpe, per levarsi per un pezzo il pensiero di comperarle! Era forse l’unico dei contribuenti che pagasse tutte in una volta per l’annata le rate delle tasse, sempre il primo dietro gli sportelli dell’esattoria. Per miracolo, all’alba del giorno segnato per il pagamento della prima rata, non andava a svegliare in casa l’esattore.

Ersilia, a volte, cercava d’aiutar Bernardo a vedere le cose in modo diverso, a rilassarsi un po’ di più, a non lottare tanto. In questo, lei non ha avuto successo.

Sempre, nel vederlo assaettato così in tutte le faccende, aveva cercato di arrestarlo la povera Ersilia; poi, quando lo vedeva stanco o smanioso, con tanto tempo avanti a sé che non sapeva più come riempire, gli domandava:

– Vedi? Ti sei levato il pensiero, Bebi mio; e ora? e ora?

A questa domanda Bernardo Sopo si metteva a scuotere il capo, sempre con gli occhi chiusi.

Allora, l’ossessione di Bernardo Sopo ci viene spiegata. Lui è diventato completamente preoccupato dei suoi obblighi. Anzi, l’ossessione è così intensa che il Sopo si sente peggio dopo un compito è stato completato e non c’è più niente da fare!

Non voleva confessare, non che agli altri, ma nemmeno a se stesso, che nel fondo più recondito di quella oscurità che si sentiva dentro e che né il lume della scienza né quello della fede riuscivano mai a stenebrare neppur d’un primo frigido pallor d’alba, gli palpitava come un’ansia indefinibile, l’ansia di un’attesa ignota, un presentimento vago, che nella vita ci fosse da fare qualche cosa, che non era mai quella delle tante a cui correva dietro per levarsene subito il pensiero. Ma pur troppo, sempre, quando di queste s’era levato il pensiero, restava come sospeso e anelante in un vuoto smanioso. Gli rimaneva quell’ansia, dentro: ma l’attesa, ahimè, era sempre vana, sempre.

Nel tempo, Bernardo si esaurisce.

E gli anni erano passati e passavano, e Bernardo Sopo, oggi più stanco e più stufo di jeri, ma pur non meno obbediente a tutte le più dure necessità dell’esistenza, anzi tanto più obbediente quanto più stanco e più stufo, non riusciva a comprendere che proprio per questo, proprio per obbedire a quelle necessità, si stesse nella vita.

Poi, il Pirandello fa una domanda interessante. L’ossessione di Bernardo Sopo, che sembra aver diminuito il suo benessere: era appresoper tutta la vita o è stato ereditato?

Possibile che non ci fosse da fare altro? che si fosse venuti su la terra e ci si stesse per questo?

(Pensiamo che questa sia la domanda d’uno psichiatra, nel senso che la rispostasarebbe, con ogni probabilità, influenzare il trattamento che il Sopo sarà offerto per alleviare la sua ossessione).

Successivamente, ci vengono presentate le credenze di Bernardo Sopo. Impariamo del suo rifiuto della scienza e delle scienze umane come concezioni artificiali di poco vero valore duraturo.

Oh sì, c’erano i sogni dei poeti, le architetture mentali dei filosofi, le scoperte della scienza. Ma a Bernardo Sopo parevano tutti scherzi, questi, scherzi graziosi o scherzi ingegnosi, illusioni. Che concludevano?

S’era convinto, man mano sempre più, che l’uomo su la terra non poteva concluder nulla, che tutte le conclusioni a cui l’uomo credeva d’esser venuto, erano per forza illusorie o arbitrarie.

Quindi, apprendiamo che Bernardo crede che gli esseri umani siano, semplicemente, una parte del mondo naturale, che è eterno e onnipresente.

L’uomo è nella natura, è la natura stessa che pensa, che produce in lui i suoi frutti di pensiero, frutti secondo le stagioni anch’essi, come quelli degli alberi, effimeri forse un po’ meno, ma effimeri per forza. La natura non può concludere, essendo eterna; la natura, nella sua eternità, non conclude mai. E dunque, neppur l’uomo!

Pensiamo che Bernardo sembri essere convinto che i suoi simili si siano convinti d’esser ‘separati’ in qualche modo dal mondo naturale. (Forse perché credono che possano controllare la natura?) Bernardo lo considera come nient’altro che una pia illusione.

Se n’accorgeva bene Bernardo Sopo, quando, nel tempo che sempre gli avanzava, si astraeva dalle volgari contingenze, dalle brighe quotidiane, dai doveri che s’era imposti, dalle abitudini che s’era tracciate, e allargava i confini della consueta visione della vita e si sollevava, spassionato, a contemplare da questa altezza tragica e solenne la natura. S’accorgeva che, per concludere, l’uomo si metteva un paraocchi, che gli facesse vedere per alcun tempo una cosa sola; ma, quando credeva di averla raggiunta, non la trovava più, perché, levandosi quel paraocchi e scoprendoglisi la vista di tutte le cose intorno, addio conclusione!

No! …quello che rimane per Bernardo è una vita spogliata di tutti i tocchi umani, una vita nella natura… una vita che si presume esser dura, una vita con due sole opzioni quando si è costretti a confrontarsi le avversità.

Che restava dunque a non volersi illudere coscientemente, quasi per uno scherzo? Ahimè, nient’altro che le dure necessità dell’esistenza, da subire o da affrontare subito, per levarsene il pensiero al più presto.

Tuttavia… Bernardo è esausto e frustrato, infelice della sua vita. Lui contempla una via d’uscita, il suicidio,

Ma allora, tanto valeva uccidersi, per levarsi subito il pensiero di tutto. Bravo, sì! uccidersi… Poterlo fare!

…ma poi rifiuta questa idea perché ha molti parenti che sono venuti a dipendere da lui per la loro sopravvivenza.

Bernardo Sopo non poteva: la sua vita era purtroppo una necessità, di cui non si poteva levare il pensiero. Aveva fuori tanti parenti poveri, per cui doveva vivere.

Il Sopo è intrappolato.

A questo punto della storia, apprendiamo che Ersilia è stata sepolta e che Bernardo è stato in grado di regalare tutti gli arredi prima della fine del mese,

Dopo il trasporto e il seppellimento della moglie, riuscito a spogliarsi di tutto nei pochi giorni che restavano a finire il mese, si ridusse a viver solo, miseramente, in una cameretta d’affitto.

…e che la famiglia di Ersilia non desidera più vederlo.

Nessuno dei parenti della moglie volle più sapere di lui. Né egli se ne dolse.

Bernardo inizia una nuova vita, una vita di sacrificio mentre adempie ai suoi doveri verso i suoi parenti.

Si sbarazzò subito di moltissime necessità che, anche vivendo la moglie, aveva sempre stimate superflue, ma accettate per lei, subite o affrontate col solito coraggio e la solita rassegnazione. Si restrinse in tutte le spese di vitto, di biancheria, di vestiario, a cui la moglie lo obbligava, per non ridurre di troppo, ora che la moglie non c’era più, gli assegni a quei parenti poveri, che non glie ne restavano affatto grati. Neppur di questo egli si doleva. Stimava il suo sacrifizio come dovere, come necessità, anch’essa incresciosa; e lo lasciava intendere chiaramente nelle sue lettere a quei parenti, che perciò non gli restavano grati. Essi, insomma, come tutto il resto, rappresentavano per lui un pensiero da levarsi, da levarsi al più presto, ogni mese. Anche a costo di mangiare così, una sola volta al giorno, e anche scarsamente. Subito subito, anche quel desinarino, per non pensarci più per tutto il giorno.

E poi, Bernardo si trova di fronte a un vuoto, che sembra solo confonderlo.

Sbrigate così subito le poche faccende, a cui ormai gli restava da attendere, gli crebbe innanzi più che mai il tempo, il vuoto smanioso, che non sapeva come riempire.

Adesso, Bernardo Sopo non ha idea di come riempire il vuoto; cosa ce di più Ersilia è morta e nessuno sembra capirlo / tollerarlo.

Cominciò a spenderlo a profitto degli altri, di gente che conosceva appena, di cui per caso veniva a conoscere la necessità. Ma, al solito, anche da questi beneficati non ebbe altro in compenso che sgarbi e ingratitudine. Gli mancava al tutto il senso dell’opportunità, perché non riusciva a intendere che si potesse provar piacere a indugiarsi nelle illusioni, convinto com’era che ogni indugio, di fronte alle necessità impellenti e ineluttabili dell’esistenza, fosse una debolezza. E non aveva né pietà, né considerazione per tutti quei deboli che indugiavano: si presentava quando non doveva, a ricordar loro quelle necessità, con un’aria sempre più stanca e più oppressa, che diceva chiaramente: «Vedete, pur essendo così, pur costandomi tanto, io sono qua, pronto; su, cari miei, leviamoci questo pensiero!».

E ormai tutti, appena lo vedevano da lontano, spiritavano. Era divenuto un incubo per tutti. Tutti credevano ch’egli provasse un gusto feroce a tormentare, a opprimere.

Il tempo passa. Mentre la storia si avvicina, osserviamo come la salute di Bernardo comincia a fallire. La sua ossessione, tuttavia, rimane costante.

Le gambe, con gli anni, gli divennero sempre più tarde. Nulla era più penoso che il vedere com’egli si adoperasse, ora, nella corsa dietro a quelle necessità sue e altrui, e cercasse il verso d’andare speditamente con quelle povere gambe che pareva lo lasciassero sempre allo stesso punto.

Avviluppato nell’ombra tremenda del tempo che gli avanzava, col rodio, l’assillo di tante sollecitudini non sue soltanto, gli avveniva spesso di fermarsi di botto in mezzo alla via, non ricordandosi più dove fosse diretto, che cosa dovesse fare.

Col bastone sotto l’ascella, il cappello in mano, l’altra mano sul mento, irrequieta tra i peli della folta barba, restava un pezzo a pensare, con gli occhi chiusi, ripetendo piano a se stesso:

«Io dovevo fare una cosa…».

Un giorno, mentre è perso nei pensieri in mezzo a una strada, Bernardo viene investito da una macchina e gravemente ferito. Mentre giaceva morente, tutto ciò a cui riesce a pensare sono le cose che deve fare.

E così una volta lo colse, in mezzo a una piazza deserta, di pieno meriggio, un’automobile che passava di furia.

Travolto in un attimo, sballottato sotto le ruote, Bernardo Sopo, con le costole fracassate e le braccia e le gambe spezzate, fu raccolto moribondo da alcuni vetturini di stazione e trasportato all’ospedale, privo di conoscenza.

Si riebbe pochi momenti prima di morire; riaprì gli occhi appannati; guardò un pezzo accigliato il medico e gli infermieri attorno al letto: poi, reclinando il capo sui guanciali, ripetè con l’ultimo sospiro:

– Io dovevo fare una cosa…

 

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